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    Predefinito 14 settembre - Esaltazione della S. Croce

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Esaltazione della Santa Croce

    14 settembre - Festa

    La croce, già segno del più terribile fra i supplizi, è per il cristiano l'albero della vita, il talamo, il trono, l'altare della nuova alleanza. Dal Cristo, nuovo Adamo addormentato sulla croce, è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa. La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria. Nella tradizione dei Padri la croce è il segno del figlio dell'uomo che comparirà alla fine dei tempi. La festa dell'esaltazione della croce, che in Oriente è paragonata a quella della Pasqua, si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo. (Mess. Rom.)

    Martirologio Romano: Festa della esaltazione della Santa Croce, che, il giorno dopo la dedicazione della basilica della Risurrezione eretta sul sepolcro di Cristo, viene esaltata e onorata come trofeo della sua vittoria pasquale e segno che apparirà in cielo ad annunciare a tutti la seconda venuta del Signore.

    Martirologio tradizionale (14 settembre): Esaltazione della santa Croce, quando l'Imperatore Eraclio, vinto il Re Cósroa, la riportò dalla Persia in Gerusalemme.

    La festa in onore della Croce venne celebrata la prima volta nel 335, in occasione della “Crucem” sul Golgota, e quella dell'"Anàstasis", cioè della Risurrezione. La dedicazione avvenne il 13 dicembre. Col termine di "esaltazione", che traduce il greco hypsòsis, la festa passò anche in Occidente, e a partire dal secolo VII, essa voleva commemorare il recupero della preziosa reliquia fatto dall'imperatore Eraclio nel 628. Della Croce trafugata quattordici anni prima dal re persiano Cosroe Parviz, durante la conquista della Città santa, si persero definitivamente le tracce nel 1187, quando venne tolta al vescovo di Betlem che l'aveva portata nella battaglia di Hattin.
    La celebrazione odierna assume un significato ben più alto del leggendario ritrovamento da parte della pia madre dell'imperatore Costantino, Elena. La glorificazione di Cristo passa attraverso il supplizio della croce e l'antitesi sofferenza-glorificazione diventa fondamentale nella storia della Redenzione: Cristo, incarnato nella sua realtà concreta umano-divina, si sottomette volontariamente all'umiliante condizione di schiavo (la croce, dal latino "crux", cioè tormento, era riservata agli schiavi) e l'infamante supplizio viene tramutato in gloria imperitura. Così la croce diventa il simbolo e il compendio della religione cristiana.
    La stessa evangelizzazione, operata dagli apostoli, è la semplice presentazione di "Cristo crocifisso". Il cristiano, accettando questa verità, "è crocifisso con Cristo", cioè deve portare quotidianamente la propria croce, sopportando ingiurie e sofferenze, come Cristo, gravato dal peso del "patibulum" (il braccio trasversale della croce, che il condannato portava sulle spalle fino al luogo del supplizio dov'era conficcato stabilmente il palo verticale), fu costretto a esporsi agli insulti della gente sulla via che conduceva al Golgota. Le sofferenze che riproducono nel corpo mistico della Chiesa lo stato di morte di Cristo, sono un contributo alla redenzione degli uomini, e assicurano la partecipazione alla gloria del Risorto.

    Autore: Piero Bargellini




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    Predefinito Dai Discorsi di san Leone Magno

    Sermones 57,64,59; De passione Domini VI, 4.XIII, 3.VIII, 6-7, in PL 54, 330.360.340-341.

    Prima di essere tradito, il Signore aveva detto: lo, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12,32). Assumerò integralmente la causa del genere umano e reintegrerò perfettamente la natura andata, in precedenza, perduta. In me ogni languore sarà distrutto e ogni ferita troverà la guarigione.
    Quando Gesù subì la sua orrenda passione nella nostra natura, lo sconvolgimento dell'universo manifestò che il Signore, una volta innalzato, aveva davvero attirato tutto a se. Mentre il Creatore pendeva dal patibolo, la creazione intera gemette, sperimentando con lui la trafittura dei chiodi della croce. Nulla rimase estraneo a quel supplizio: il cielo e la terra si unirono alle sofferenze dei Salvatore, infrangendo le pietre, spalancando i sepolcri, liberando i prigionieri dagli inferi, nascondendo i raggi del sole sotto l'orrore di fitte tenebre. Il mondo doveva rendere questa testimonianza al suo Creatore, quasi che nella morte del suo Autore, anche il cosmo volesse finire di esistere.

    Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me. La vera fede, che giustifica l'empio e crea il giusto, è attratta verso colui che è l'uomo per eccellenza. In lui, la fede acquista la salvezza, perché solo in lui l'umanità si è ritrovata innocente. Ormai tutti gli uomini rientrano in pace con Dio, giacché Gesù Cristo è divenuto solidale con la loro stirpe ed è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini. Ormai, tutti gli uomini possono gloriarsi della potenza di Cristo, che nell'infermità della nostra carne ha affrontato il nemico superbo e ha donato la vittoria a coloro da cui ha preso il suo corpo vincitore. In Cristo sulla croce il nostro sguardo interiore non deve soltanto contemplare il corpo che potevano vedere anche gli empi. Mosè aveva loro predetto: La tua vita ti sarà dinanzi come sospesa a un filo; temerai notte e giorno e non sarai sicuro della tua vita (Dt 28, 66). I giudei non potevano scorgere nel Signore crocifisso altro che il proprio crimine; non li angosciava quel timore che giustifica il vero credente, ma quello che tormenta la cattiva coscienza. Noi invece, illuminati dallo Spirito di verità, spalanchiamo un cuore puro e libero alla gloria della Croce, raggiante in cielo e in terra. Penetriamo con lo sguardo interiore il senso delle parole che Cristo disse nell'imminenza della passione: "E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome". Venne allora una voce dal cielo: L 'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò. Gesù rispose ai presenti: Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora e il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. lo, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12, 23.27-28.30-32).

    O mirabile potenza della croce!
    O ineffabile gloria della passione, che racchiude in se il tribunale del Signore, il giudizio del mondo e la potenza del Crocifisso.
    Hai attirato davvero ogni cosa a te, Signore, e mentre stendevi tutto il giorno le mani verso il popolo che non credeva e ti scherniva, donavi a tutto il mondo di intendere e proclamare la tua maestà. Hai attirato ogni cosa a te, Signore, quando nell'esecrazione per il delitto commesso dai giudei, tutti gli elementi del creato pronunciarono un'unica sentenza: si oscurarono i luminari del cielo, il giorno divenne notte, la terra fu scossa da un insolito terremoto, e ogni creatura negò agli empi il suo servizio. Hai attirato ogni cosa a te, Signore, perché il velo del tempio si è squarciato, sottraendo il Santo dei santi agli sguardi degli indegni pontefici. Cosi il simbolo che prefigurava la presenza di Dio fu sostituito dalla verità di quella presenza, la profezia fece posto alla manifestazione reale e la legge ha trovato compimento nel vangelo.

    Hai attirato ogni cosa a te, Signore, perché quello che si compiva nell'unico tempio di Gerusalemme, sotto il velo dei segni, fosse celebrato dovunque, nella pienezza e nell'evidenza del sacramento, dalla devozione di tutte le genti. Ora infatti è più nobile l'ordine dei leviti, più alta la dignità dei presbiteri, più sacra l'unzione dei vescovi; poiché la tua croce è la fonte di ogni benedizione, la causa di ogni grazia. Per suo mezzo vien data ai fedeli la forza nella sofferenza, la gloria nell'umiliazione, la vita nella morte. Ora poi, essendo venuta meno la verità dei sacrifici materiali, l'unica oblazione del tuo Corpo e del tuo Sangue sostituisce con pienezza l'offerta molteplice delle vittime: poiché tu sei il vero Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo (Gv 1, 29). E cosi, in te porti a compimento tutti i misteri e le celebrazioni rituali, perché, come uno solo è il sacrificio per ogni vittima, cosi pure uno sia il regno formato da tutti i popoli.

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    Predefinito Dalla omelia "Sulla Pasqua" di Melitone di Sardi.

    De Pasca, 4-9.39-44.100-105. SC 123, 60ss.

    La legge di Mosè è antica, ma nuova è la parola evangelica. Temporanea è la figura, eterna la grazia. Corruttibile l'agnello, incorruttibile il Signore, che fu immolato come un agnello, ma risorse come Dio. Era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca (Is 53,7). Il simbolo è scomparso ed è venuta la realtà: invece di un agnello, Dio, l'uomo-Cristo, che tutto compendia. L'immolazione dell'agnello, la celebrazione della Pasqua e le prescrizioni della legge hanno trovato compimento in Cristo Gesù. Nell'antica legge tutto avveniva in vista di Cristo. Nell'ordine nuovo tutto converge a Cristo in una forma assai superiore. La legge è divenuta parola da antica si è fatta nuova, ma ambedue, legge e parola, uscirono da Sion e da Gerusalemme. Il precetto si mutò in grazia, la figura in verità, l'agnello nel Figlio, la pecora nell'uomo, e l'uomo in Dio. Come Figlio infatti fu generato, come agnello fu condotto via e come pecora fu immolato.Come uomo fu sepolto, ed è risorto dai morti come Dio, essendo per natura Dio e uomo. Egli è tutto: quando giudica, è legge; quando insegna, è parola; quando salva, è grazia; quando da la vita, è Padre; quando viene generato, è Figlio; quando patisce, è pecora; quando è sepolto, è uomo; quando risorge, è Dio. Questi è Gesù Cristo.

    La salvezza e la verità del Signore furono prefigurate nel popolo di Israele, e le affermazioni del vangelo furono preannunziate dalla legge di Mosè. Era dunque il popolo l'immagine della Chiesa e la legge una scrittura simbolica. Il vangelo invece è pienezza e spiegazione della legge, e la Chiesa è il luogo della verità. I simboli erano preziosi prima della verità e la parabola mirabile prima dell'interpretazione. Il popolo d'Israele fu valido prima che la Chiesa sorgesse, e la legge stupenda prima che manifestasse la sua luce il vangelo. Ma quando fu fondata la Chiesa e annunziato il vangelo, il simbolo scomparve, perché aveva trasmesso alla realtà la sua forza. Le antiche parabole si compirono, quando furono illuminate dalla spiegazione. Cosi anche la legge ebbe compimento, quando brillò il vangelo; e il popolo d'Israele divenne vano, quando fu fondata la Chiesa; e fu cancellata l'immagine, quando il Signore si manifestò. Una volta era preziosa l'immolazione dell'agnello ma ora è senza pregio, perché il vero bene è apparso nel sacrificio salvifico del Signore.

    Il Signore, pur essendo Dio, si fece uomo e soffri per chi soffre, fu prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è sepolto, risuscitò dai morti e gridò queste grandi parole: ( Is 50,8 ) Chi mi accusa? Si avvicini a me. Io sono Cristo che ho distrutto la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l'inferno, che ho imbrigliato il forte e ho elevato l'uomo alle sublimità del cielo; io, egli dice, sono il Cristo. Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati, e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il vostro perdono, lo la Pasqua della redenzione, io l'Agnello immolato per voi, io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, la vostra luce, la vostra salvezza, io il vostro re. lo vi porto in alto nei cieli. lo vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. lo vi innalzerò con la mia destra.

    Il Signore è colui che ha fatto il cielo e la terra ha plasmato l'uomo a sua immagine e si annunziò per mezzo della legge e dei profeti. Si è incarnato nella Vergine, a un legno fu appeso, fu deposto in terra, dai morti è risuscitato ed è salito vittorioso verso l'alto dei cieli. Siede alla destra del Padre, con il potere di giudicare e salvare ogni cosa. Per mezzo di lui il Padre ha fatto tutte le cose dal principio fino all'eternità. Egli è l'alfa e l'omega, il principio e la fine, inizio ineffabile e fine inenarrabile. Egli è il Cristo, il re. E' Gesù, il capo, il Signore. Egli è il risorto, assiso alla destra del Padre. Egli rivela il Padre e dal Padre è rivelato. A lui sia gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.

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    Predefinito Dai Discorri di san Bernardo.

    Sermones de diversis, 60,1-4, in PL 183, 683-685.

    Nessuno e mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. Il Signore e salvatore nostro, Gesù Cristo, per insegnarci a salire al cielo, mise in pratica ciò che insegnò, per cui salì lui stesso al cielo. Tuttavia non poteva salirvi senza prima discenderne. La semplicità della natura divina non consentiva a Dio ne di scendere ne di salire, giacché non ammette ne crescita ne ediminuzione o mutamenti di sorta. Il Figlio di Dio ha assunto allora la natura umana nell'unità della sua persona; in tal modo gli fu possibile scendere e poi risalire al cielo per indicarci la via da percorrere per ascendere a nostra volta. La frase dei vangelo: Nessuno e mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo indica che il Verbo ha assunto la nostra natura mortale, mentre il seguito del testo "che è disceso dal cielo" sottolinea l'immutabilità della natura divina (Is 5,4), "due membri" della frase significano tanto che Cristo è la via per cui bisogna salire quanto che è la patria dove dobbiamo rimanere, specificando che il cielo è la patria di quanti sono arrivati. Notiamo che il testo dice "è sceso" e non "è caduto". Difatti chi cade precipita in terra senza nessuna progressione o misura, mentre chi scende procede misuratamente, mettendo il piede su un gradino dopo l'altro.

    Esaminiamo i vari gradi della discesa e dell'ascesa di Cristo. Ve ne sono tre per parte. Il primo grado discendente conduce dall'alto dei cieli fino alla carne; il secondo conduce alla croce, il terzo alla morte. Ecco fin dove è sceso Cristo. Poteva abbassarsi di più? Certo no, poiché il nostro re diceva affettuosamente a proposito della sua opera: Che cosa dovevo fare ancora al la mia vigna che io non abbia fatto (Is 5,4)? Nessuno ha un amore piùgrande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Abbiamo esaminato i vari gradi della discesa di Cristo. Vediamo ora quelli della sua ascesa, tre anch'essi. Il primo è la gloria della risurrezione, il secondo conduce al potere di giudicare, l'ultimo a sedersi alla destra del Padre. Con la sua morte, Cristo meritò di risorgere. Con la croce meritò il potere di giudicare; condannato ingiustamente alla croce, il Signore doveva ottenere grazie ad essa una giusta contropartita, che egli conferma una volta risorto, dicendo: Mi e stato dato ogni potere in cielo e in terra (Mt 28, 18). Infine, a motivo della condizione di schiavo che aveva assunto, ha meritato di sedersi alla destra di Dio. La carne mortale in cui soffrì e morì, egli l'ha risuscitata e innalzata sopra tutti i cieli, sopra tutti i cori angelici fino alla destra del Padre.

    Che c'è di più bello di questa disposizione di Dio, grazie a cui la morte è inghiottita dalla vittoria e l'ignominia della croce si muta in gloria splendente? Questo mirabile disegno divino fa dire ai giusti: Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo (Gal 6,14). Che cosa di più bello di questo piano dove l'umiltà della carne passa da questo mondo al Padre? Che dire, che pensare di più sublime di questa ascensione? Potremo mai trovare un onore più glorioso? Nostro Signore è sceso, poi è risalito grazie al mistero della sua incarnazione, lasciandoci un esempio, perché camminassimo sulle sue orme. Attingiamo perciò nel mistero di Cristo il modello della nostra condotta, giacché chi dice di dimorare in Cristo. deve comportarsi come lui si e comportato (1 Gv 2, 6). Scendiamo con Gesù per il sentiero dell'umiltà: il nostro primo gradino sarà di non voler mai dominare sugli altri; il secondo di starcene sottomessi a tutti, il terzo di sopportare senza scomporci ogni ingiuria e ogni villania in questo stato di sottomissione.

    Dopo essere discesi, occorrerà risalire. Domandiamo al profeta: Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo (Sal 23, 3-4). Notiamo qui tre gradi successivi per la salita: dapprima è chiesta l'innocenza nelle opere, poi la purezza del cuore e infine il frutto dell' edificazione. Questa progressione nella salita corrisponde mirabilmente a quella della discesa. Il primo grado del salmista, l'innocenza nelle opere, si prova mediante la tollerante sopportazione delle ingiurie. Il secondo grado, la purezza del cuore, corrisponde alla sottomissione paziente, perché questo atteggiamento ci purifica il cuore, come afferma Gesù stesso: Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunziato (Gv 15, 3). Il terzo grado, quello del frutto della buona edificazione, corrisponde al primo grado della discesa: non pretendere di essere superiori agli altri. Chi infatti non ambisce di dominare, certamente può comandare agli altri con risultati soddisfacenti.


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    Predefinito Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo

    Disc. 10 sull'Esaltazione della santa croce; PG 97, 1018-1019. 1022-1023

    Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. E' tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. E' in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.
    Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell'albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l'inferno non sarebbe stato spogliato.
    E' dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. E' preziosa poi la croce perché è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell'inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l'universo.
    La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e lo glorificherà subito» (Gv 13, 31-32).
    E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5). E ancor: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12, 28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo.

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    Paolo Biancucci, Esaltazione della S. Croce, XVII sec., Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca

    Autore non precisato, Volto Santo tra Cherubini con ai piedi la raffigurazione dell'arrivo a Lucca della Sacra Immagine, XVI-XVII sec., Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca

    Piero di Cosimo, Volto Santo di Lucca, 1505-10, Szepmuveszeti Muzeum, Budapest


    Piero della Francesca, Esaltazione della S. Croce, 1466 circa, Chiesa di S. Francesco, Arezzo. La lunetta rappresenta il momento in cui Eraclio, scalzo in segno di umiltà, porta in trionfo la Croce, sottratta dalle mani dell'empio Cosroe. Al suo seguito un gruppo di dignitari. Di fronte a lui si stanno inginocchiando i notabili di Gerusalemme.

    Moretto da Brescia, Allegoria della fede, 1530 circa, Hermitage, San Pietroburgo

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    Predefinito 14 settembre - Esaltazione della S. Croce

    da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste , trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1072-1076

    14 SETTEMBRE

    ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

    Il senso della festa della Croce.


    Abbiate in voi, fratelli miei, lo stesso sentimento da cui era animato Cristo Gesù il quale esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua eguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilì se stesso, prendendo la forma di servo e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo. Egli umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce". Le parole dell'Apostolo, che leggiamo nell'Epistola della Messa, ci danno il senso della festa che oggi celebriamo. I termini schiavo, croce sono, è vero, per noi parole correnti, perché hanno perduto il senso abbietto che avevano nel mondo antico, prima dell'era cristiana e perciò i destinatari della lettera di san Paolo capivano meglio di noi l'orrore della cosa e misuravano meglio di noi quanto Gesù Cristo si era abbassato con l'Incarnazione e la morte sulla Croce.

    Il supplizio della Croce.

    Non era la croce considerata dagli antichi come "il supplizio più terribile e più infamante" (Cicerone, In Verr. II)? Era allora cosa frequente vedere un ladro o uno schiavo messo in croce e ciò che di questo supplizio indirettamente conosciamo ci permette di valutarne l'atrocità. Il crocifisso moriva con lenta agonia, soffocato per l'asfissia, determinata dalla estensione delle braccia in alto, e torturato da crampi ai nervi irrigiditi.

    Il culto della Croce.

    Il Cristo ha subito lo spaventevole supplizio per ciascuno di noi; ha offerto al Padre, con un amore infinito il sacrificio del suo corpo disteso sulla Croce. Lo strumento di supplizio, fino allora oggetto di infamia, diventa per i cristiani la gloria e san Paolo non vuole aver gloria che nella croce del Signore, nella quale risiede la nostra salvezza, la nostra vita, la risurrezione, e per la quale siamo stati salvati e liberati (Introito della Messa).

    Il culto della Croce, strumento della nostra redenzione, si è molto diffuso nella Chiesa: la Croce è adorata e riceve omaggi, che non si concedono ad altre reliquie e le feste della Santa Croce rivestono particolare splendore.

    È stato già festeggiato il fortunato avvenimento del rinvenimento della Croce il tre maggio, oggi la Chiesa celebra l'Esaltazione della Croce, festa che ha un'origine complessa ma che la storia ci permetterà di precisare.

    Origine della festa.

    La data del 14 settembre segna l'anniversario di una dedicazione che lasciò nella storia ecclesiastica un profondo ricordo.

    Il 14 settembre del 335 una folla considerevole di curiosi, di pellegrini, di monaci, di clero, di prelati, accorsi da tutte le province dell'Impero, si riunivano a Gerusalemme per la Dedicazione del magnifico santuario restaurato dall'imperatore Costantino nel luogo stesso dove il Signore aveva sofferto ed era stato sepolto.

    L'anniversario continuò ad essere celebrato con non minore splendore negli anni seguenti. La pellegrina Eteria, venuta a Gerusalemme, al tramonto del IV secolo, ci riferisce che più di 50 vescovi assistevano ogni anno alla solennità del 14 settembre. La Dedicazione aveva rito pari alla Pasqua e all'Epifania e si protraeva per otto giorni con immenso concorso di pellegrini.

    Doppio oggetto della festa.

    Altri elementi si aggiunsero in seguito alla festa anniversaria della Dedicazione. Primo fu il ricordo dell'antica festa giudaica dei Tabernacoli, che coronava le fatiche della vendemmia. Si credeva che fosse celebrata il 14 settembre e la festa cristiana della Dedicazione doveva prenderne il posto. Dal secolo IV un altro ricordo, questo prettamente cristiano, si attaccava alla festa del 14 settembre. e cioè il ritrovamento del legno sacro della Croce. Una cerimonia liturgica detta elevazione o esaltazione (hyposios) della Croce ricordava tutti gli anni la fortunata scoperta. Il luogo in cui la Croce era stata innalzata era considerato centro del mondo e per questo un sacerdote alzava il legno sacro della Croce verso le quattro diverse parti del mondo. I pellegrini, a ricordo della cerimonia, si portavano a casa una minuscola ampolla contenente dell'olio, che era stata posta a contatto del legno della Croce.

    Diffusione della festa.

    La cerimonia prese un'importanza sempre più grande e avvenne che nel IV secolo il ricordo del rinvenimento della Croce e la Dedicazione avvenuta sul Golgota passarono in secondo piano.

    I frammenti del sacro legno furono distribuiti nel mondo e con i frammenti si diffuse nelle Chiese cristiane la cerimonia della Esaltazione. Costantinopoli adottò la festa nel 612, sotto l'imperatore Eraclio e Roma l'ebbe nel corso del secolo VII. Sotto papa Sergio († 701) al Laterano il 14 settembre si ripeteva l'adorazione della Croce del Venerdì Santo e gli antichi Sacramentari hanno conservato un'orazione ad crucem salutandam in uso in tale cerimonia. Il rito durò poco e scomparì dagli usi romani, ma l'orazione restò nelle raccolte di orazioni private (Ephemerides liturgicae, 1932, p. 33 e 38, nt. 16). Ai nostri tempi l'adorazione della Croce il 14 settembre si fa ormai solo nei monasteri e in poche chiese.

    Nuovo splendore della festa.

    Un avvenimento venne nel corso dei secoli a rinnovare lo splendore della festa della Esaltazione. Gerusalemme nel 614 era stata occupata dai Persiani e messa a ferro e fuoco. Dopo le vittorie del pio imperatore Eraclio, la città santa era stata restaurata ed Eraclio aveva ottenuto che fosse restituita la Santa Croce, portata dagli invasori a Ctesifonte. Il 21 marzo del 630, la Croce fu di nuovo eretta nella Chiesa del S. Sepolcro e si riprese il 14 settembre seguente la cerimonia della Esaltazione.

    Carattere nuovo della festa.

    Si resta stupiti nel vedere che la festa, ripristinata con l'antica cerimonia, ha un nuovo carattere di tristezza e di penitenza. Hanno forse contribuito a fare della cerimonia di adorazione un rito di intercessione, nel corso del quale si ripete il Kyrie eleison, le sventure dell'Impero. Il digiuno diventa in quel giorno di rigore, almeno nel mondo monastico. Il carattere di intercessione resta nei testi della nostra liturgia proprii della festa di questo giorno (gli altri testi sono presi dalla festa del 3 maggio o dalla Settimana Santa). Offertorio e Postcommunio chiedono protezione e soccorso mentre il Vangelo ricorda l'Esaltazione del Figlio dell'Uomo sulla Croce, figurata dal serpente di bronzo.

    Essendo stata l'adorazione della Croce un rito della festa di oggi per molto tempo, riportiamo la preghiera composta da sant'Anselmo per la cerimonia del Venerdì Santo.

    O Croce Santa, la vista della quale ci ricorda un'altra croce, quella sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo ci ha strappati con la sua morte alla morte eterna, nella quale stavamo precipitando miseramente, risuscitandoci alla vita eterna perduta per il peccato, adoro, venero, glorifico in te la Croce che rappresenti e, in essa, il misericordioso Signore. Per essa egli compì la sua opera di misericordia. O amabile Croce, in cui sono salvezza, vita, e resurrezione nostra! O legno prezioso per il quale fummo salvati e liberati! O simbolo di cui Dio ci ha segnati! O Croce gloriosa della quale soltanto dobbiamo gloriarci!

    Come ti lodiamo? Come ti esaltiamo? Con quale cuore ti preghiamo? Con quale gioia ci glorieremo di te? Per te è spogliato l'inferno; è chiuso per tutti coloro che in te sono stati riscattati. Per te i demoni sono terrificati, compressi, vinti, schiacciati. Per te il mondo è rinnovato, abbellito, in virtù della verità che splende e della giustizia che regna in Lui. Per te la natura umana peccatrice è giustificata: era condannata ed è salvata; era schiava del peccato e dell'inferno ed è resa libera; era morta ed è risuscitata. Per te la beata città celeste è restaurata e perfezionata. Per te Dio, Figlio di Dio, volle per noi obbedire al Padre fino alla morte (Fil 2,8-9). Per questo egli, elevato da terra, ebbe un nome che è al di sopra di ogni nome. Per te egli ha preparato il suo trono (Sal 9,8) e ristabilito il suo regno.

    Sia su di te e in te la mia gloria, in te e per te la mia vera speranza. Per te siano cancellati i miei peccati, per te la mia anima muoia alla sua vita vecchia e sorga a vita nuova, la vita della giustizia. Fa', te ne prego, che, avendomi purificato nel battesimo dai peccati nei quali fui concepito e nacqui, tu ancora mi purifichi da quelli che ho contratto dopo la nascita alla seconda vita, e che per te io pervenga ai beni per i quali l'uomo è stato creato per il medesimo Gesù Cristo Nostro Signore, cui sia benedizione nei secoli.

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    Predefinito Approfondimento della Bibbia di Mons. G. Ravasi

    BACH E LA CROCE

    (Anno 2000)


    Giovedì 14 settembre la liturgia ha in calendario la festa dell’Esaltazione della Croce di Cristo, una celebrazione antichissima che ebbe origine a Gerusalemme per commemorare la dedicazione delle due basiliche erette dall’imperatore Costantino e da sua madre Elena (IV sec.) rispettivamente sul Calvario e sul Santo Sepolcro (come è noto, entrambi i siti sono ora mglobati nell’unica basilica del Santo Sepolcro). Noi vorremmo celebrare questa solennità, che è anche biblica (Giovanni e Paolo descrivono la crocifissione come “esaltazione-innalzamento” glorioso e già pasquale), in modo un po’ sorprendente.
    Il 28 luglio scorso ricorrevano i 250 anni dalla morte di un musicista sommo, Johann Sebastian Bach, che si spegneva a 65 anni a Lipsia proprio il 28 luglio del 1750. Ebbene, per tutta
    la sua vita egli ha cantato la sua fede: non dimentichiamo che in capo alle sue composizioni egli poneva la sigla J.J., cioè Jesu Juva, “Gesù, aiutami!” e le suggellava con un S.D.G., Soli Deo Gloria, convinto che la gloria toccasse solo a Dio. È curioso notare che l’inventario della sua biblioteca comprendeva soprattutto libri sacri, di teologia e di spiritualità.
    Il vero e proprio oceano musicale che egli ha lasciato è sistematicamente fondato sulla Bibbia e, anche quando — come accade nelle 200 Cantate — il testo è affidato a librettisti, in filigrana si intravedono sempre i rimandi scntturistici. Proprio sul nostro settimanale a Pasqua abbiamo ricordato la scoperta, avvenuta in un archivio di Kiev in Ucraina, dell’ultima pagina di Bach, scritta con fatica alle soglie della morte: era il mottetto che egli voleva fosse eseguito al suo funerale e portava un titolo embiematico, Lieber Herr Gott, wecke uns auf, “Caro Signore Dio, risvegliaci!”, una nitida professione di fede nella risurrezione.
    Ma a livello popolare una delle opere più famose del maestro di Lipsia è la Passione secondo Matteo, che nel catalogo delle opere reca la segnatura BWV 244. Purtroppo è spesso seguita da un pubblico che, oltre a ignorare il tedesco, non ha forse mai letto integralmente il racconto matteano della passione, morte e sepoltura di Gesù che funge da filigrana dell’opera (26,1-75; 27,1-66). La Passione, invece, veniva eseguita in chiesa il Venerdì santo, come vera e propria celebrazione religiosa. È per questo che il testo evangelico è costantemente intarsiato di corali che hanno lo scopo di stimolare la meditazione, la partecipazione, la conversione del cuore.
    Ebbene, la teologia della croce era fondamentale nella spiritualità luterana e Bach seppe fare con la sua musica una specie di catechesi altissima del messaggio sintetizzato da Paolo ai Corinzi così: «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei sia Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Corinzi 1, 23-24).

    FONTE

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    Predefinito Dai Commenti al Vangelo di Matteo di S. Giovanni Crisostomo

    S. Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 54,4-5

    Nessuno, dunque, si vergogni dei segni sacri e venerabili della nostra salvezza, della croce che è la somma e il vertice dei nostri beni, per la quale noi viviamo e siamo ciò che siamo. Portiamo ovunque la croce di Cristo, come una corona. Tutto ciò che ci riguarda si compie e si consuma attraverso di essa. Quando noi dobbiamo essere rigenerati dal battesimo, la croce è presente; se ci alimentiamo di quel mistico cibo che è il corpo di Cristo, se ci vengono imposte le mani per essere consacrati ministri del Signore, e qualsiasi altra cosa facciamo, sempre e ovunque ci sta accanto e ci assiste questo simbolo di vittoria. Di qui il fervore con cui noi lo conserviamo nelle nostre case, lo dipingiamo sulle nostre pareti, lo incidiamo sulle porte, lo imprimiamo sulla nostra fronte e nella nostra mente, lo portiamo sempre nel cuore. La croce è infatti il segno della nostra salvezza e della comune libertà del genere umano, è il segno della misericordia del Signore che per amor nostro si è lasciato condurre come pecora al macello (Is. 53,7; cf. Atti, 8, 32). Quando, dunque, ti fai questo segno, ricorda tutto il mistero della croce e spegni in te l'ira e tutte le altre passioni. E ancora, quando ti segni in fronte, riempiti di grande ardimento e rida' alla tua anima la sua libertà. Conosci bene infatti quali sono i mezzi che ci procurano la libertà. Anche Paolo per elevarci alla libertà che ci conviene ricorda la croce e il sangue del Signore: A caro prezzo siete stati comprati. Non fatevi schiavi degli uomini (1 Cor. 7, 23). Considerate, egli sembra dire, quale prezzo è stato pagato per il vostro riscatto e non sarete più schiavi di nessun uomo; e chiama la croce "prezzo" del riscatto.

    Non devi quindi tracciare semplicemente il segno della croce con la punta delle dita, ma prima devi inciderlo nel tuo cuore con fede ardente. Se lo imprimerai in questo modo sulla tua fronte, nessuno dei demoni impuri potrà restare accanto a te, in quanto vedrà l'arma con cui è stato ferito, la spada da cui ha ricevuto il colpo mortale. Se la sola vista del luogo dove avviene l'esecuzione dei criminali fa fremere; d'orrore, immagina che cosa proveranno il diavolo e i suoi demoni vedendo l'arma con cui Cristo sgominò completamente il loro potere e tagliò la testa del dragone (cf. Ap. 12, 1 ss.; 20, 1 ss.).

    Non vergognarti, dunque, di così grande bene se non vuoi che anche Cristo si vergogni di te quando verrà nella sua gloria e il segno della croce apparirà più luminoso dei raggi stessi del sole. La croce avanzerà allora e il suo apparire sarà come una voce che difenderà la causa del Signore di fronte a tutti gli uomini e dimostrerà che nulla egli tralasciò di fare - di quanto era necessario da parte sua -per assicurare la nostra salvezza. Questo segno, sia ai tempi dei nostri padri come oggi, apre le porte che erano chiuse, neutralizza l'effetto mortale dei veleni, annulla il potere letale della cicuta, cura i morsi dei serpenti velenosi. Infatti, se questa croce ha dischiuso le porte dell'oltretomba, ha disteso nuovamente le volte del cielo, ha rinnovato l'ingresso del paradiso, ha distrutto il dominio del diavolo, c'è da stupirsi se essa ha anche vinto la forza dei veleni, delle belve e di altri simili mortali pericoli?

    Imprimi, dunque, questo segno nel tuo cuore e abbraccia questa croce, cui dobbiamo la salvezza delle nostre anime. E' la croce infatti che ha salvato e convertito tutto il mondo, ha bandito l'errore, ha ristabilito la verità, ha fatto della terra cielo, e degli uomini angeli. Grazie a lei i demoni hanno cessato di essere temibili e sono divenuti disprezzabili; la morte non è più morte, ma sonno.

 

 
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