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Discussione: Cristeros

  1. #1
    «Mi honor se llama fidelidad»
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    Predefinito Cristeros

    Vi segnalo che dal sito www.salpan.org è possibile scaricare un commovente filmato sulla storia dei Cristeros, i martiri di Cristo Re!
    "Il filmato, ricco di foto d'epoca, [...] documenta la ferocia della persecuzione che subirono i messicani nella prima metà del '900 e l'eroismo di un popolo che testimoniò con il suo sangue la Fede e l'amore a Gesù Cristo, combattendo con coraggio una guerra tremenda contro i vari governi "laici", liberali e massoni, atei..."
    Questo è il link diretto: http://www.salpan.org/ARTICOLI/Cristeros.htm
    Saluti,
    Martha

  2. #2
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    Predefinito

    PIO XI

    LETTERA APOSTOLICA

    PATERNA SANE

    CON LA QUALE SI INVITANO
    I VESCOVI, IL CLERO E I FEDELI MESSICANI
    A RIVENDICARE I DIRITTI CIVILI E AD ADEMPIERE
    AI DOVERI COMUNI A TUTTI I CITTADINI
    SENZA L'INTERVENTO DEI PARTITI POLITICI


    Ai Venerabili Fratelli Giuseppe Mora y Del Rio,
    Arcivescovo Messicano,
    e agli altri Arcivescovi e Vescovi
    della Repubblica Messicana.

    Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

    La sollecitudine paterna che, per l’alto ufficio ricevuto dalla divina Provvidenza, Noi sentiamo per tutti i fedeli sparsi nelle diverse parti della terra, chiede senza alcun dubbio che Noi amiamo con particolare affetto coloro che, trovandosi maggiormente afflitti, abbisognano di cure più attente da parte del Padre comune. Queste vivissime attenzioni, fin da quando siamo stati innalzati alla Cattedra del Beato Pietro, abbiamo rivolto con molto piacere a voi, Venerabili Fratelli, che sapevamo oppressi da tali vessazioni che sono indegne di un popolo civile e aperto al progresso, in gran parte cattolico.

    Quanto siano inique le leggi e le prescrizioni che da parte di governanti ostili alla Chiesa sono state imposte ai cittadini cattolici della Repubblica Messicana è superfluo ricordarlo a voi che, avendone sperimentato a lungo il gravame, ben sapete come esse siano lontane dai princìpi dell’ordinamento razionale e del bene comune, tanto che non meritano nemmeno il nome di leggi. Ben a ragione, quindi, il Nostro Predecessore Benedetto XV di felice memoria vi lodò quando, respingendo giustamente e coscienziosamente tali leggi, elevaste una solenne protesta che Noi stessi con questa Lettera non solo ratifichiamo ma facciamo Nostra.

    A tale pubblica protesta e condanna Noi siamo particolarmente indotti in quanto, di giorno in giorno, da parte di coloro che sono alla guida del Governo si va sempre più inasprendo la guerra contro la Religione cattolica, al punto da rendere nullo ed inefficace, con grave danno della vostra dilettissima Nazione, quanto cercammo e cerchiamo di fare per la pacificazione del popolo Messicano. Nessuno ignora che due anni fa il Nostro Delegato che avevate accolto con tante manifestazioni di deferenza e di gioia, venne espulso da codesto paese, contro ogni senso di giustizia e lealtà, come persona pericolosa per la sicurezza dello Stato, con gravissimo affronto a Noi stessi, ai Vescovi e a tutta la Nazione Messicana.

    Ma se allora Ci siamo deliberatamente astenuti da qualsiasi protesta — che certamente quanto era accaduto la richiedeva a buon diritto — e pazientemente e a lungo abbiamo sopportato tale ingiuria invitando anche voi a tollerare con lo stesso animo, ciò non era da attribuire soltanto al grandissimo desiderio di pace che Ci sollecitava, ma anche alla ardentissima speranza, da Noi nutrita con paterno cuore, che il Governo della Repubblica avrebbe riconosciuto e ammesso spontaneamente le valide ed indiscutibili ragioni del Nostro Delegato.

    In effetti questa Nostra condiscendenza moderata non ebbe un cattivo risultato perché codesto Governo prese formale impegno di ricevere il Nostro Delegato e di non far nulla che offendesse la sua dignità e la sua altissima funzione. Voi comprendete facilmente quale fu la Nostra dolorosa sorpresa quando apprendemmo che lo stesso Governo, pur avendo ricevuto senza difficoltà il Nostro Delegato Apostolico Serafino Cimino, con un comportamento senza precedenti, approfittando di una sua temporanea assenza dovuta a motivi di salute, gli vietava di tornare nel Messico, e ciò senza alcuna giusta causa.

    Pertanto, codesto Governo, rifiutando la presenza del Nostro Delegato, che quasi tutti i Governi ricevono quale ambasciatore di pace, respinge il Nostro ministero, e si lascia trasportare a quell’ingiusto comportamento che si verifica presso di voi con gravissimo danno per i cittadini cattolici.

    Infatti, di giorno in giorno vengono adottati con maggiore asprezza quelle prescrizioni e quei decreti che, se rispettati, non consentono ai cittadini cattolici di godere dei diritti comuni e nemmeno di adempiere agli obblighi e ai doveri della Religione cristiana. Il Governo nega intanto alla Chiesa cattolica quella libertà che concede con larghezza ad una setta scismatica che chiama « Chiesa nazionale »; di essa favorisce la formazione e le iniziative solo perché è in contrasto con i diritti della Chiesa Romana, e considera voi come nemici della Repubblica perché difendete l’integrità e l’incolumità del patrimonio della Fede avita. Ma mentre siffatti eventi Ci recano vivissimo dolore, unico grande conforto giunge al Nostro animo apprendere che il popolo Messicano combatte energicamente le macchinazioni degli scismatici, e mentre ringraziamo tanto la Divina Provvidenza, siamo assai lieti di dare la più ampia lode a voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i fedeli della Repubblica Messicana, e contemporaneamente vi esortiamo con calore a proseguire con animo forte la difesa della Religione cattolica. Profondamente commossi per le tribolazioni alle quali siete sottoposti, Ci piace ripetere per voi le parole che nel sacro Concistoro del 14 dicembre dello scorso anno pronunciammo alla presenza dell’augusta assemblea dei Cardinali: «Non possiamo avere la speranza di tempi migliori se non contando in uno speciale intervento della misericordia di Dio, che ogni giorno supplichevoli invochiamo, e in un concorde e disciplinato lavoro di azione cattolica del popolo stesso».

    Con paterno animo vi indirizziamo dunque i Nostri principali consigli, che tendono ad incoraggiarvi sempre più in un concorde e disciplinato lavoro di « azione cattolica » tra i fedeli affidati alle vostre cure. Abbiamo detto « azione cattolica ». Infatti, nella difficile condizione in cui vi trovate, è assolutamente necessario, Venerabili Fratelli, che voi, tutto il clero e anche le associazioni cattoliche, vi manteniate completamente fuori da ogni partito politico, per non offrire agli avversari alcun pretesto per confondere la vostra fede con un partito od una fazione qualsiasi. Pertanto tutti i cattolici della Repubblica Messicana, come tali, non dovranno costituire un partito politico di nome cattolico, e in particolare i Vescovi e i sacerdoti, come già fanno lodevolmente, non si iscriveranno a nessun partito politico e non collaboreranno a qualsiasi giornale di partito, dato che il loro ministero è necessariamente destinato a tutti i fedeli, anzi, a tutti i cittadini.

    Questi dunque, Venerabili Fratelli, i Nostri consigli e le Nostre disposizioni, che i cristiani dovranno fedelmente osservare e che non impediscono loro di esercitare i diritti e i doveri comuni a tutti i cittadini; anzi, la loro stessa professione di cattolici esige che di tali diritti e doveri facciano il miglior uso, per il bene inseparabile della Religione e della Patria. Il clero non dovrà disinteressarsi delle cose civili e politiche; anzi, pur mantenendosi completamente fuori da qualsiasi partito politico, dovrà, come è dovere dell’ufficio sacerdotale, fatte salve le esigenze del sacro ministero, contribuire al bene della Nazione, non solo esercitando diligentemente e scrupolosamente i diritti e i doveri di competenza, ma anche formando le coscienze dei fedeli secondo le norme indefettibili della legge di Dio e della Chiesa, affinché ognuno adempia con cura ai propri pubblici obblighi.

    Per raggiungere questo nobilissimo scopo, il vostro clero — lo ripetiamo con la massima insistenza — dovrà, pur rimanendo libero da qualsiasi contesa di parte, operare avendo davanti a sé un largo campo di azione religiosa, morale, culturale, economica e sociale allo scopo di formare la coscienza cattolica dei cittadini, e soprattutto della gioventù, sia studiosa, sia lavoratrice. Se voi seguirete fedelmente le Nostre esortazioni e le tradurrete in pratica — come ne siamo assolutamente certi — si otterrà, con l’aiuto di Dio, la soluzione dei gravissimi problemi che angosciano da tanto tempo la nobilissima Nazione Messicana.

    Intanto, quale auspicio dei celesti favori e quale testimonianza della Nostra particolare benevolenza, Noi impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione a voi, Venerabili Fratelli, a tutto il clero, ai vostri fedeli e a tutto il popolo Messicano.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il 2 febbraio 1926, anno quarto del Nostro Pontificato.

    PIUS PP. XI

  3. #3
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    PIO XI

    LETTERA ENCICLICA

    INIQUIS AFFLICTISQUE

    CONTRO LE PERSECUZIONI
    AI DANNI DELLA CHIESA IN MESSICO


    Ai Reverendi Patriarchi, Primati,
    Arcivescovi, Vescovi
    e agli altri Ordinari locali
    che hanno pace e comunione con l’Apostolica Sede.

    Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

    Nel dicembre dell’anno scorso, parlando in Concistoro al Sacro Collegio dei Cardinali, notammo che ormai non si può sperare o attendere alcun sollievo alla tristezza delle ingiuste condizioni fatte alla religione cattolica nel Messico se non «dall’efficacia di qualche aiuto di Dio misericordioso», e voi non tardaste ad assecondare il Nostro pensiero e i Nostri desideri, più volte manifestati, spronando con ogni premura i fedeli affidati alle vostre cure pastorali a muovere con fervide preghiere il divino Fondatore della Chiesa perché ponesse rimedio a così grande acerbità di mali. A tanta acerbità di mali, diciamo, mentre contro i Nostri carissimi figli Messicani, altri figli, disertati dalla milizia di Cristo e ostili al Padre comune, mossero per l’addietro e muovono tuttora una spietata persecuzione. Che se nei primi secoli della Chiesa e in altri tempi successivi si trattarono i cristiani in modo più atroce, non accadde forse mai e in nessun luogo che, conculcando e violando i diritti di Dio e della Chiesa, un ristretto numero di uomini, senz’alcun riguardo alle glorie avite, senza sentimento di pietà verso i propri concittadini, soffocasse in ogni modo la libertà della maggioranza con arti così meditate, aggiungendovi una parvenza di legislazione per mascherare l’arbitrio. Non vogliamo dunque che a voi e a tutti i fedeli manchi una solenne testimonianza della Nostra gratitudine per le suppliche private e per le pubbliche funzioni indette a tale scopo. Ma tali preghiere, come vantaggiosamente si sono cominciate a praticare, così importa moltissimo che non solo non vengano meno, ma si continuino con fervore anche più intenso. Infatti, se non è davvero in potere degli uomini regolare le vicende degli eventi e dei tempi e volgerle a vantaggio della civile società, cambiando la mente e il cuore umano, ciò è però in potere di Dio, il quale solo può assegnare un termine sicuro a simili persecuzioni. Né vi sembri, Venerabili Fratelli, di avere indetto invano tali preghiere, vedendo che il Governo messicano, per il suo odio implacabile contro la religione, ha continuato ad applicare con durezza e violenza anche maggiore gli iniqui suoi editti, perché in realtà il clero e la moltitudine di quei fedeli, sorretti da più abbondante effusione di grazia divina nella paziente loro resistenza, hanno dato tale esemplare spettacolo da meritarsi a buon diritto che Noi, con un solenne documento della Nostra autorità apostolica, lo rileviamo al cospetto di tutto il mondo cattolico. Nel mese scorso, in occasione della beatificazione dei molti Martiri della rivoluzione francese, il Nostro pensiero volava spontaneamente ai cattolici messicani, che, come quelli, si mantengono fermi nel proposito di resistere pazientemente all’arbitrio e alla prepotenza altrui, pur di non separarsi dall’unità della Chiesa e dall’Ubbidienza alla Sede Apostolica. Oh, veramente illustre gloria della divina Sposa di Cristo, che sempre nel corso dei secoli poté contare su una prole nobile e generosa, pronta per la santa libertà della fede alla lotta, ai patimenti, alla morte!

    Non occorre, Venerabili Fratelli, rifarci molto addietro nel narrare le dolorose calamità della Chiesa messicana. Basti ricordare che le frequenti rivoluzioni di questi ultimi tempi sboccarono per lo più in tumulti e persecuzioni contro la religione, come nel 1914 e nel 1915, quando uomini, che parvero risentire ancora dell’antica barbarie, inferocirono contro il clero secolare e regolare, contro le sacre vergini e contro i luoghi e gli oggetti destinati al culto in modo tanto spietato, da non risparmiare alcuna violenza. Ma, trattandosi di fatti notori, contro i quali pubblicamente alzammo la Nostra protesta e di cui la stampa giornaliera parlò diffusamente, non è qui il caso di dilungarci nel deplorare che in questi ultimi anni, senza riguardo a ragioni di giustizia, di lealtà, di umanità, dei Delegati Apostolici inviati nel Messico, uno fu cacciato dal territorio, ad un altro fu interdetto il ritorno nello Stato, dal quale era uscito per breve tempo per motivi di salute, un terzo fu non meno ostilmente trattato e costretto a ritirarsi. Tal modo di procedere, senza dire che nessuno come quegli illustri personaggi, sarebbe riuscito più adatto quale negoziatore e mediatore di pace, non è chi non vegga quanto disonorevole ciò sia riuscito alla loro dignità arcivescovile e al loro onorifico ufficio, e specialmente alla Nostra autorità da essi rappresentata.

    Sono fatti questi dolorosi e gravi; ma gli arbitrii che siamo per esporre, Venerabili Fratelli, sono oltre ogni dire contrari ai diritti della Chiesa e assai più dannosi ai cattolici di quella nazione.

    Esaminiamo anzitutto la legge sancita nel 1917, che va sotto il nome di Costituzione Politica degli Stati Uniti del Messico. Per quanto si attiene al nostro argomento, proclamata la separazione dello Stato dalla Chiesa, a questa, come a persona spogliata di ogni onore civile, non è più riconosciuto alcun diritto nel presente e viene interdetto acquistarne in avvenire; ai magistrati civili si dà facoltà di inframmettersi nel culto e nella disciplina esterna della Chiesa. I sacerdoti sono pareggiati ai professionisti e lavoratori, ma con questa differenza, che non solo essi debbono essere Messicani di nascita e non eccedere il numero stabilito dai legislatori dei singoli Stati, ma restano privi dei diritti politici e civili, uguagliati in ciò ai malfattori e ai delinquenti. Si prescrive inoltre che, unitamente a una Commissione di dieci cittadini, i sacerdoti debbano informare il magistrato della loro entrata in possesso di un tempio o del loro trasferimento altrove. Voti religiosi, Ordini e Congregazioni religiose nel Messico non sono più permessi. Proibito il culto pubblico, eccetto che nell’interno della Chiesa e sotto la vigilanza del Governo; le stesse Chiese decretate proprietà dello Stato; Episcopii, Canoniche, Seminari, Case religiose, Ospedali e tutti gli Istituti di beneficenza, sottratti anch’essi alla Chiesa. Questa non ha più la proprietà di nulla; quanto possedeva, al tempo dell’approvazione della legge, è stato devoluto alla Nazione con facoltà a tutti di azione per la denunzia dei beni che sembrassero dalla Chiesa posseduti per interposta persona, e basta, per legge, a dar fondamento all’azione la semplice presunzione. I sacerdoti sono incapaci di eredità testamentaria, eccetto nei casi di stretta parentela. Nessun potere è riconosciuto alla Chiesa rispetto al matrimonio dei fedeli, e questo viene giudicato valido soltanto se contratto validamente secondo il diritto civile. L’insegnamento è sì proclamato libero, ma con queste restrizioni: divieto ai sacerdoti e ai religiosi di aprire o dirigere scuole elementari; bando assoluto della religione nell’insegnamento, anche privato, che si dà ai fanciulli. Parimenti nessun effetto legale viene riconosciuto ai diplomi degli studi compiuti in Istituti diretti dalla Chiesa. Certamente, Venerabili Fratelli, coloro che idearono, approvarono e sanzionarono una legge siffatta, o ignoravano che compete per diritto divino alla Chiesa, come a società perfetta, fondata per la comune salvezza degli uomini da Cristo, Redentore e Re, la piena libertà di compiere la sua missione — benché appaia incredibile tale ignoranza, dopo venti secoli di cristianesimo, in una Nazione cattolica e in uomini battezzati — oppure nella loro superbia e demenza credettero di potere scalzare e sgretolare la « casa del Signore, solidamente costruita e fortemente poggiata sulla viva pietra », o erano invasi dall’acre furore di nuocere con ogni mezzo alla Chiesa. Orbene, dopo la promulgazione di legge tanto odiosa, come avrebbero potuto tacere gli Arcivescovi e i Vescovi del Messico? Quindi, è che subito protestarono con lettere serene ma forti: proteste ratificate poi dall’immediato Nostro Predecessore, approvate collettivamente dall’Episcopato di alcune nazioni, individualmente dal maggior numero dei Vescovi di altre parti, e Noi stessi tali proteste confermammo il 2 febbraio di questo anno, in una lettera di conforto indirizzata ai Vescovi Messicani. Questi speravano che gli uomini del governo, dismessi i primi bollori, avrebbero compreso il non lieve danno e pericolo che sovrastava alla quasi totalità del popolo per quegli articoli della legge restrittivi della libertà religiosa, e che perciò per amore di concordia, non applicando, o quasi, quegli articoli, sarebbero venuti intanto a un modus vivendi più sopportabile. Ma nonostante l’estrema pazienza dimostrata dal clero e dal popolo, e ciò in ossequio ai Vescovi che li esortavano ala moderazione, ogni speranza di ritorno alla calma e alla pace venne a cadere. Infatti, in forza della legge promulgata dal presidente della repubblica il 2 luglio di quest’anno, quasi più nessuna libertà è rimasta o si permette alla Chiesa in quelle regioni; l’esercizio del sacro ministero è così inceppato, da venir punito, come se fosse un delitto capitale, con pene severissime. E questo così grande pervertimento nell’esercizio della pubblica autorità, Venerabili Fratelli, è incredibile quanto Ci addolora. Chiunque veneri, come ne ha obbligo, Iddio, Creatore e Redentore nostro amatissimo; chiunque voglia ubbidire ai precetti di Santa Madre Chiesa, costui, costui diciamo, sarà reputato colpevole e malfattore, costui meriterà di esser privato dei diritti civili, costui dovrà essere cacciato in prigione insieme con gli scellerati? Come giustamente si applicano agli autorı di tali enormità le parole dette dal Signor Nostro Gesù Cristo ai prìncipi dei giudei: «Questa è l’ora vostra e l’impero delle tenebre! » [1]. Fra tali leggi, quella più recente, più che interpretare, come pretendono, rende peggiore e assai più intollerabile l’altra più antica; e il Presidente della repubblica e i suoi ministri dell’una e dell’altra caldeggiano l’applicazione con tale accanimento, da non tollerare che qualche governatore degli Stati federati o magistrato o comandante militare rallenti la persecuzione contro i cattolici. E alla persecuzione si è aggiunto l’insulto; si suole metter la Chiesa in cattiva luce presso il popolo: dagli uni nei pubblici comizi con menzogne impudenti, mentre s’impedisce ai nostri coi fischi e con le ingiurie di parlare in contraddittorio; dagli altri per mezzo di giornali, nemici dichiarati della verità e dell’azione cattolica. Che se da principio i cattolici poterono tentare sui giornali qualche difesa della Chiesa, esponendo la verità e confutando gli errori, ormai a questi cittadini, pur così sinceramente amanti della patria, non si permette più di alzare la voce, sia pure con sterile lamento, in favore della libertà della fede avita e del culto divino. Ma, mossi dalla consapevolezza del Nostro dovere apostolico, saremo Noi a gridare, Venerabili Fratelli, perché dal Padre comune tutto il mondo cattolico ascolti quale sia stata da una parte la sfrenata tirannide degli avversari, e quale d’altra parte l’eroica virtù e costanza dei Vescovi, dei sacerdoti, delle famiglie religiose e dei laici.

    I sacerdoti e i religiosi stranieri sono cacciati; i collegi per l’istruzione cristiana dei fanciulli e delle fanciulle sono chiusi, o perché insigniti di qualche nome religioso, o perché in possesso di qualche statua od altra immagine sacra; parimenti chiusi moltissimi seminari, scuole, conventi e case annesse alle chiese. In quasi tutti gli Stati fu ristretto e fissato al minimo il numero dei sacerdoti destinati ad esercitare il sacro ministero, e questi neppure lo possono esercitare se non sono iscritti presso il magistrato, oppure da lui non ne hanno ottenuto il permesso. In alcune zone sono state poste condizioni tali all’esercizio del ministero, che, se non si trattasse di cosa tanto lagrimevole, moverebbero alle risa: come per esempio, che i sacerdoti debbono avere un’età fissa, essere uniti nel cosiddetto matrimonio civile e non battezzare se non con l’acqua corrente. In uno degli Stati della Federazione fu decretato che vi fosse un Vescovo solo dentro i confini dello stesso Stato, per cui sappiamo che due Vescovi dovettero andarsene in esilio dalle loro Diocesi. Costretti poi dalla situazione creatasi, altri Vescovi dovettero allontanarsi dalla loro propria sede; altri furono deferiti ai tribunali; parecchi furono arrestati ed altri sono sul punto di esserlo.

    Inoltre, a tutti i Messicani impegnati nell’educazione dell’infanzia o della giovinezza, o in altri pubblici uffici, fu chiesto di rispondere se stessero col Presidente della Repubblica e se approvassero la guerra fatta alla Religione cattolica; gli stessi furono per di più costretti, per non essere rimossi dall’ufficio, a prendere parte, insieme con i soldati e gli operai, ad un corteo indetto da quella Lega Socialista che chiamano Lega Regionale Operaia del Messico; tale corteo, sfilato per la città del Messico e per altre città in uno stesso giorno, e tenutosi fra empie concioni al popolo, mirava appunto a fare approvare con le grida e col plauso degli intervenuti, caricando di contumelie la Chiesa, l’azione dello stesso Presidente.

    Né qui si arrestò l’arbitrio crudele dei nemici. Uomini e donne che difendevano la causa della Religione e della Chiesa a viva voce e distribuendo fogli e giornali, furono trascinati in giudizio e posti in prigione. Così pure furono cacciati in carcere interi collegi di canonici, trasportandovi anche in lettiga i vecchi; sacerdoti e laici per le vie e per le piazze, innanzi alle chiese, furono spietatamente uccisi. Dio voglia che quanti hanno la responsabilità di tanti e così gravi delitti rientrino in sé una buona volta e ricorrano col pentimento e col pianto alla misericordia di Dio; siamo persuasi che questa è la vendetta nobilissima che i figli nostri iniquamente trucidati domandano, dinanzi a Dio, dei loro uccisori.

    Ora crediamo conveniente, Venerabili Fratelli, esporre brevemente in qual modo i Vescovi, i sacerdoti e fedeli del Messico siano insorti a resistere ed abbiano opposto una muraglia a difesa della casa di Israele e siano rimasti fermi nella lotta [2].

    Non vi poteva essere dubbio che i Vescovi messicani non tentassero unanimemente tutti i mezzi che erano in loro potere per difendere la libertà e la dignità della Chiesa. E anzitutto, diramata una lettera collettiva al popolo, dopo avere dimostrato ad evidenza che il clero si era sempre comportato con amore di pace, con prudenza e con pazienza verso i governanti della Repubblica, tollerando anche con animo fin troppo remissivo le leggi poco giuste, ammonirono i fedeli, spiegando la dottrina della costituzione divina della Chiesa, che si doveva mantenere nella religione cattolica, in modo « da ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini » [3] ogni volta che si imponessero leggi non meno contrarie allo stesso concetto e nome di legge, che ripugnanti alla costituzione a alla vita medesima della Chiesa. Promulgata poi dal Presidente della Repubblica la legge nefasta, con altra lettera collettiva di protesta i Vescovi dichiararono che accettare una legge siffatta era lo stesso che asservire la Chiesa e darla schiava ai governanti dello Stato, i quali, del resto, era evidente che non avrebbero desistito perciò dal loro intento. Essi volevano piuttosto astenersi dal pubblico esercizio del sacro ministero; perciò il culto divino, che non si poteva celebrare senza l’opera dei sacerdoti, dovesse del tutto sospendersi in tutte le Chiese della loro Diocesi, cominciando dall’ultimo giorno di luglio, nel qual giorno sarebbe entrata in vigore quella legge. Avendo poi i governanti comandato che le chiese fossero affidate dappertutto in custodia a laici scelti dal capo del municipio, e in nessun modo consegnate a coloro che fossero o nominati o designati dai Vescovi o dai sacerdoti (trasferendosi così il possesso delle chiese dalle autorità ecclesiastiche alle civili), i Vescovi, quasi dappertutto, interdissero ai fedeli di accettare la elezione che di loro avesse fatta l’autorità civile, e di entrare in quei templi che avessero cessato di essere in mano della Chiesa. In qualche parte, secondo la varietà dei luoghi e delle cose, fu provveduto diversamente.

    Con tutto ciò, non crediate, Venerabili Fratelli, che i Vescovi Messicani abbiano trascurato qualsiasi opportunità e comodità che loro si desse, atta a quietare gli animi e a ricondurli alla concordia, quantunque diffidassero, o anzi piuttosto disperassero, di qualsiasi buon esito. Consta infatti che i Vescovi, che nella città di Messico fungono in certo modo da procuratori dei loro colleghi, scrissero una lettera molto cortese e rispettosa al Presidente della Repubblica, in favore del Vescovo di Ueputla, il quale era stato trascinato in modo indegno e con grande apparato di forza nella città chiamata Pachuca; ma non è meno noto che il Presidente rispose loro in forma iraconda ed odiosa. Essendosi poi alcune egregie persone, amanti della pace, interposte spontaneamente perché il Presidente stesso volesse incontrare l’Arcivescovo di Morelia e il Vescovo di Tabasco, da ambo le parti si discusse molto e a lungo, ma senza frutto. Successivamente i Vescovi discussero se chiedere alla Camera legislativa l’abrogazione di quelle leggi che si opponevano ai diritti della Chiesa, ovvero continuare, come prima, la resistenza, così detta passiva; per più ragioni, infatti, sembrava loro che a nulla avrebbe approdato il presentare una istanza del genere. Presentarono tuttavia la petizione, redatta da cattolici assai competenti nel diritto e da loro medesimi con ogni diligenza ponderata; e a tale petizione, per cura dei soci della Federazione per la difesa della libertà religiosa, di cui diremo più appresso, si aggiunsero moltissime sottoscrizioni di cittadini d’ambo i sessi. Ma i Vescovi avevano bene previsto quello che sarebbe successo, giacché il Congresso nazionale rigettò, con suffragio di tutti, salvo uno, la petizione propostagli e ciò per la ragione che i Vescovi erano privi di personalità giuridica, avevano fatto ricorso al Sommo Pontefice, e non volevano riconoscere le leggi della Nazione. Ora, che cosa restava da fare ai Vescovi se non decidere che niente si mutasse nella condotta loro e in quella del popolo, se prima non fossero state abrogate le leggi ingiuste? Così i governanti degli Stati federati, abusando del loro potere e della mirabile pazienza del popolo potranno sì minacciare al clero ed al popolo messicano anche peggiori cose; ma come superare e vincere uomini disposti a sopportare qualsiasi sofferenza, purché non si concluda un accordo che possa recare qualche danno alla causa della libertà cattolica?

    La stupenda costanza dei Vescovi fu imitata dai preti, che la ricopiarono meravigliosamente fra le incresciose vicende del conflittto, sicché i loro esempi straordinari di virtù, che furono a Noi di sommo conforto, Noi manifestiamo al cospetto di tutto il mondo cattolico e li lodiamo perché « ne sono degni » [4].

    E su questo punto, quando ripensiamo che — sebbene nel Messico siano state adoperate tutte le arti, e gli sforzi e le vessazioni usate dagli avversari mirassero soprattutto ad allontanare clero e popolo dalla sacra gerarchia e dalla Sede Apostolica — nondimeno fra tutti i sacerdoti, che ivi si contano a quattromila, solo uno o due tradirono miseramente il loro dovere, Ci sembra che tutto possiamo sperare dal Clero Messicano. Noi vediamo, infatti, questi sacerdoti stare fra loro unitissimi e obbedire di cuore e con rispetto agli ordini dei loro Prelati, quantunque ciò non vada per lo più senza loro grave danno; vivere del sacro ministero, ed essendo essi poveri e non avendo di che sostentare la Chiesa, sopportare la povertà e la miseria con energia; celebrare il santo sacrificio in privato; provvedere con tutte le forze alle necessità spirituali dei fedeli e alimentare ed eccitare in tutti attorno a sé la fiamma della pietà; inoltre con l’esempio, coi consigli e con le esortazioni sollevare a più alto ideale le menti dei loro concittadini e fortificarne le volontà a perseverare nella resistenza passiva. Chi dunque si meraviglierà che l’ira e la rabbia degli avversari principalmente e innanzitutto si sia rivolta contro i sacerdoti? Questi, d’altra parte, non hanno esitato ad affrontare, quando necessario, il carcere e la stessa morte con volto sereno e animo coraggioso. Quanto poi si è saputo in questi ultimi giorni è cosa che oltrepassa le stesse inique leggi che abbiamo ricordate, e tocca il colmo dell’empietà, giacché vengono assaliti improvvisamente i sacerdoti quando celebrano, in casa propria o altrui; viene turpemente oltraggiata la santissima Eucaristia e gli stessi sacri ministri vengono condotti in prigione.

    Né loderemo mai abbastanza i coraggiosi fedeli del Messico, i quali hanno ben capito di quale importanza sia per loro che quella cattolica Nazione in cose così gravi e così sante, come il culto di Dio, la libertà della Chiesa e la cura della eterna salvezza delle anime, non dipenda dall’arbitrio e dall’audacia di pochi, ma sia governata una buona volta, e per benignità di Dio, con giuste leggi conformi al diritto naturale e divino, e all’ecclesiastico.

    Un encomio del tutto singolare dobbiamo attribuire alle associazioni cattoliche, le quali, in questi frangenti, stanno a fianco del clero come milizie di presidio. Infatti i membri di esse, per quanto è da loro, non solo provvedono a sostentare e a soccorrere i sacerdoti, ma anche vigilano sugli edifici sacri, insegnano la dottrina cristiana ai fanciulli, e come sentinelle stanno di guardia, per avvertire i sacerdoti, affinché nessuno resti privo della loro assistenza. E questo vale per tutti; ma vogliamo dire qualcosa delle principali associazioni, perché ciascuna sappia di essere sommamente approvata e lodata dal Vicario di Gesù Cristo. In primo luogo la Società dei Cavalieri di Colombo, la quale, estendendosi a tutta la Repubblica, si compone per buona sorte di uomini attivi ed operosi, che per la pratica delle cose, per l’aperta professione della fede e per lo zelo nell’aiutare la Chiesa, vanno grandemente segnalati; essa promuove specialmente due opere, che per i tempi sono opportune quanto mai: intendiamo il sodalizio nazionale dei padri di famiglia, il cui programma è educare cattolicamente i propri figli, e rivendicare il diritto proprio dei genitori cristiani di istruire liberamente la prole e, qualora essa frequenti le pubbliche scuole, di darle una sana e piena istruzione religiosa; intendiamo la Federazione per la libertà religiosa, finalmente istituita quando apparve più chiaro del sole che un immenso cumulo di mali minacciava la vita cattolica. Poiché tale Federazione si estese successivamente a tutta la Nazione, i soci si adoperarono concordemente e assiduamente per ordinare ed istruire tutti i cattolici e farne come un fronte unico gagliardissimo da opporre agli avversari. Non diversamente dai Cavalieri di Colombo, furono e sono grandemente benemeriti della Chiesa e della patria altre due associazioni, le quali, secondo il proprio programma, hanno particolare cura della cosiddetta azione cattolica sociale: vale a dire la Società cattolica della Gioventù Messicana, e quella delle Dame Messicane. Entrambi i sodalizi, infatti, oltre quello che è proprio di ciascuno, assecondano e fanno che siano da tutti assecondate in ogni luogo le iniziative della citata Federazione per la libertà religiosa. E qui, senza tener dietro ai singoli fatti, una cosa sola Ci piace, Venerabili Fratelli, farvi conoscere, ed è che tutti i soci e le socie di questi sodalizi hanno così poca paura che, lungi dal fuggire, cercano i pericoli, e godono anzi quando loro tocchi di soffrire per colpa degli avversari. Oh, spettacolo bellissimo, dato al mondo e agli angeli e agli uomini! oh, fatti degni di eterno encomio! Giacché, come sopra accennammo, non sono pochi — o dei Cavalieri di Colombo, o dei capi della Federazione e delle Signore o dei Giovani —, che vengono ammanettati, condotti per le vie in mezzo a squadre di soldati, chiusi in immonde prigioni, trattati aspramente e puniti con pene e multe. Anzi, Venerabili Fratelli, alcuni di quegli adolescenti e di quei giovani, e nel dirlo appena possiamo trattenere le lagrime, con in mano la corona e sul labbro le invocazioni a Cristo Re hanno incontrato volentieri la morte; alle nostre vergini, chiuse in carcere, sono stati recati i più indegni oltraggi, e ciò di proposito si è divulgato per intimidire le altre e farle venir meno al proprio dovere.

    Quando il benignissimo Iddio, Venerabili Fratelli, sia per imporre modo e termine a siffatte calamità, nessuno può congetturare e anche solo col pensiero prevedere; questo soltanto sappiamo: che verrà finalmente un giorno in cui la Chiesa Messicana riposerà da questa procella di odii, perché, giusta i divini oracoli, « non c’è sapienza, non c’è prudenza, non c’è consiglio contro il Signore » [5], e « le porte del’inferno non prevarranno » [6] contro la immacolata Sposa di Cristo.

    In verità la Chiesa, destinata all’immortalità, dal dì della Pentecoste, nel quale uscì, ricca dei doni e dei lumi dello Spirito Santo, dal chiuso recinto del Cenacolo all’aperto dell’umanità, che altro ha fatto per i venti secoli passati e fra le genti tutte, se non « spargere il bene dappertutto » [7] sull’esempio del suo Fondatore? Questi benefìci avrebbero dovuto conciliare alla Chiesa l’amore di tutti; ma le toccò il contrario, come del resto lo stesso Divino Maestro aveva preannunziato [8]. Perciò la navicella di Pietro ora navigò felicemente, col favore dei venti, ora apparve soverchiata dai flutti e quasi sommersa: ma non ha sempre con sé il divino nocchiero, che può placare a tempo opportuno le ire del mare e dei venti? Se non che Cristo, che è il solo onnipotente, fa servire a bene della Chiesa tutte le persecuzioni con cui vengono bersagliati i cattolici; giacché come attesta Sant’Ilario « è proprio della Chiesa vincere quando è perseguitata, rifulgere alle intelligenze quando viene contestata, fare delle conquiste quando è abbandonata » [9].

    Se tutti coloro che nella Repubblica Messicana infieriscono contro i loro stessi fratelli e concittadini, rei soltanto d’osservare la legge di Dio, richiamassero alla memoria e ben considerassero spassionatamente le vicende storiche della loro patria, non potrebbero non riconoscere e confessare che tutto quanto esiste tra loro di progresso e di civiltà, di buono e di bello, ha origine indubbiamente dalla Chiesa. Nessuno, infatti, ignora che, fondata ivi la cristianità, i sacerdoti e i religiosi segnatamente, che ora vengono con tanta ingratitudine e crudeltà perseguitati, si adoperarono, con immense fatiche e nonostante le gravi difficoltà opposte dai coloni divorati dalla febbre dell’oro da una parte, e dall’altra dagli indigeni ancora barbari, a promuovere in gran copia per quelle vaste regioni lo splendore del culto divino, i benefìci della fede cattolica; le opere e le istituzioni di carità, le scuole e i collegi per l’istruzione e l’educazione del popolo nelle lettere, nelle scienze sacre e profane, nelle arti e nelle industrie.

    Non ci resta, Venerabili Fratelli, che supplicare e implorare la Beatissima Nostra Signora di Guadalupe, celeste Patrona della Nazione Messicana, che voglia perdonare le ingiurie anche contro di Lei commesse, e impetrare per il suo popolo il ritorno della pace e della concordia; se poi, per arcano consiglio di Dio, dovrà essere ancora lontano questo desideratissimo giorno, voglia Ella consolare gli animi dei fedeli messicani e confortarli a sostenere la loro libertà nel professare la fede.

    Intanto, come auspicio delle grazie divine e attestazione della Nostra benevolenza paterna, a Voi, Venerabili Fratelli, a quelli specialmente che governano le Diocesi messicane, a tutto il clero e al vostro popolo, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il 18 novembre 1926, anno quinto del Nostro Pontificato.

    PIUS PP. XI

    -----------------------------------------------------------------------
    NOTE

    [1] Luc., XXII, 53.

    [2] Ezech., XIII, 5.

    [3] Act., V, 29.

    [4] Apoc., III, 4.

    [5] Prov., XXI, 30.

    [6] Matth., XVI, 18.

    [7] Act., X. 38.

    [8] Matth., X, 17-25.

    [9] S. Hilar. Pictav., De Trinitate, l. VII, 4 (Patrol. Lat., X, 202).

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    PIO XI

    LETTERA ENCICLICA

    ACERBA ANIMI

    SULLA PERSECUZIONE DELLA CHIESA IN MESSICO


    Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi
    e agli altri Ordinari locali
    degli Stati federati del Messico
    che hanno pace e comunione con la Sede Apostolica.

    Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

    La dolorosa ansietà per le tristissime condizioni presenti di tutta la società umana non attenua la Nostra particolare sollecitudine per i diletti figli della Nazione Messicana e specialmente per voi, Venerabili Fratelli, tanto più meritevoli delle Nostre premure paterne in quanto vi trovate da così lungo tempo vessati da gravissime persecuzioni.

    Già all’inizio del Nostro Pontificato, seguendo l’esempio del venerato Nostro Predecessore, Ci adoperammo con ogni sforzo per allontanare la temuta applicazione di quelle disposizioni cosiddette « costituzionali » che la Santa Sede era stata più volte costretta a condannare come gravemente lesive dei diritti più elementari e inalienabili della Chiesa e dei fedeli; e a tale intento procurammo altresì che un Nostro Rappresentante risiedesse in cotesta Repubblica.

    Ma mentre altri Governi in questi ultimi tempi gareggiavano nel riannodare accordi con la Santa Sede, quello del Messico precludeva ogni via ad intese, anzi nel modo più inaspettato veniva meno alle promesse poco prima fatte per iscritto, e bandiva ripetutamente i Nostri Rappresentanti, mostrando con ciò quali fossero le sue intenzioni verso la Chiesa. Così si giunse alla più rigorosa applicazione dell’art. 130 della « Costituzione », contro la quale, perché estremamente ostile alla Chiesa, come risulta dalla Nostra Enciclica « Iniquis afflictisque » del 18 novembre 1926, la Santa Sede aveva dovuto protestare nel modo più solenne.

    Furono quindi promulgate gravi pene contro i trasgressori dell’articolo deplorato; e, con nuova offesa contro la Gerarchia della Chiesa, si procurò che ogni Stato della Confederazione determinasse il numero dei sacerdoti, ai quali sarebbe permesso l’esercizio del sacro ministero sia in pubblico come in privato.

    Di fronte a così ingiuste e intolleranti ingiunzioni, che avrebbero assoggettato la Chiesa Messicana all’arbitrio dello Stato e del Governo ostili alla religione cattolica, voi, Venerabili Fratelli, deliberaste di sospendere il culto in pubblico; e nello stesso tempo invitaste i fedeli a protestare efficacemente contro l’ingiusta imposizione del Governo. Voi, per la vostra apostolica fermezza foste quasi tutti espulsi dalla Repubblica, e doveste assistere dalla terra d’esilio alle lotte e al martirio dei vostri sacerdoti e del vostro gregge; mentre quei pochissimi di voi, che quasi miracolosamente poterono rimanere nascosti nelle proprie diocesi, riuscirono di efficace incoraggiamento ai fedeli con il loro nobilissimo esempio di invitta fermezza.

    Di queste cose Noi già parlammo in solenni allocuzioni, in pubblici discorsi e più diffusamente nella citata Enciclica « Iniquis afflictisque », confortati dalla grande ammirazione destata in tutto il mondo dal nobile coraggio dimostrato dal clero nell’amministrare i Sacramenti ai fedeli, fra mille pericoli, anche della stessa vita, e dal non minore eroismo di numerosi fedeli i quali, a costo di inaudite sofferenze e incontrando ingenti danni, coadiuvarono volenterosamente i loro sacerdoti.

    Noi intanto non mancammo di incoraggiare con parole e consigli la legittima cristiana resistenza dei sacerdoti e dei fedeli, esortandoli a placare, con la penitenza e la preghiera, la giustizia di Dio, affinché la Sua misericordiosa Provvidenza abbreviasse la prova. In pari tempo invitammo ad unirsi alle Nostre preghiere per i fratelli messicani i Nostri figli di tutto il mondo; i quali, con ardore ammirabile, corrisposero pienamente al Nostro invito.

    Né tralasciammo di ricorrere altresì a quei mezzi umani, che erano a Nostra disposizione, per venire in sollievo ai nostri diletti figli; e mentre lanciavamo un appello al mondo cattolico, perché desse soccorso, anche con generose oblazioni, ai fratelli messicani perseguitati, insistemmo presso i Governi, con i quali siamo in relazioni diplomatiche, perché considerassero l’anormale e grave condizione di tanti fedeli.

    Di fronte alla ferma e generosa resistenza degli oppressi, il Governo cominciò a far intendere in diversi modi che non sarebbe stato alieno dal venire a intese, pur di uscire da una condizione di cose ch’esso non poteva modificare in suo favore. A questo punto, benché ammaestrati da una dolorosa esperienza a non fare affidamento su simili promesse, dovemmo tuttavia domandarCi se fosse conveniente al bene delle anime che si continuasse nella sospensione del culto in pubblico. Tale sospensione, se era riuscita efficace protesta contro gli arbitrii del Governo, tuttavia, ove si fosse ancora prolungata, avrebbe potuto portare gravi danni sia all’ordinamento civile, sia a quello religioso. Quel che più conta, tale sospensione, secondo gravissime notizie che Ci pervenivano da fonti varie ed ineccepibili, portava serio nocumento per i fedeli; i quali, privati di molti aiuti spirituali necessari alla vita cristiana, e non di rado costretti ad omettere i propri doveri religiosi, correvano il rischio di rimanere prima lontani, poi come avulsi dal sacerdozio, e quindi dalle sorgenti stesse della vita soprannaturale. Si aggiunga che la prolungata assenza di quasi tutti i Vescovi dalle loro Diocesi non poteva non essere causa di rilassamento della disciplina ecclesiastica, specialmente in momenti di tanta tribolazione per la Chiesa Messicana, quando cioè il clero ed i fedeli abbisognavano maggiormente della guida di coloro « che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio » [1].

    Quando perciò, nel 1929, il Magistrato Supremo del Messico pubblicamente dichiarò che il Governo, con l’applicazione delle note leggi, non intendeva distruggere « l’identità della Chiesa » né misconoscere la Gerarchia Ecclesiastica, Noi, avendo unicamente di mira la salute delle anime, credemmo opportuno di non lasciar passare questa occasione, che sembrava offrire una possibilità di riconoscimento dei diritti della Gerarchia. Quindi, vedendo tornare qualche speranza di rimediare ai mali maggiori, e sembrando che venissero meno i principali motivi che avevano indotto l’Episcopato a sospendere il culto in pubblico, Ci domandammo se non fosse il caso di ordinarne la ripresa. Con ciò non si intendeva certamente accettare le leggi messicane circa il culto, né ritirare le proteste fatte contro le leggi medesime, e tanto meno desistere dalla lotta contro di esse: si trattava soltanto, di fronte alle mutate dichiarazioni del Governo, di abbandonare (prima che potesse tornar nocivo ai fedeli) uno dei mezzi di resistenza, ricorrendo invece ad altri che fossero ritenuti più opportuni.

    Ma purtroppo, come tutti sanno, ai Nostri desideri e voti non corrisposero la sospirata pace e l’auspicato accomodamento. Si continuò invece a punire e ad imprigionare Vescovi, Sacerdoti e fedeli, contro lo spirito col quale si era concluso il « modus vivendi ». Con somma afflizione vedemmo che non solo non si richiamarono dall’esilio tutti i Vescovi, ma anzi qualche altro fu espulso oltre confine, senza neppure l’apparenza di legalità; in alcune diocesi non si restituirono né chiese né seminari, né episcòpi, né altri edifici sacri; nonostante le esplicite promesse, furono abbandonati alle più crudeli vendette degli avversari sacerdoti e laici che con fermezza avevano difeso la fede.

    Inoltre, appena revocata la sospensione del culto, si notò ben presto un inasprimento della campagna della stampa contro il Clero, la Chiesa e contro Dio stesso; ed è risaputo come la Santa Sede abbia dovuto riprovare e proscrivere una di tali pubblicazioni che, per immoralità sacrilega e per l’aperto scopo di propaganda irreligiosa e calunniatrice, aveva superato ogni misura.

    A ciò si aggiunga che non solo nelle scuole primarie è proibito per legge l’insegnamento religioso, ma non di rado si tenta di spingere coloro che devono concorrere ad educare le future generazioni, perché si facciano banditori di dottrine irreligiose e immorali, costringendo così i genitori a gravi sacrifici per tutelare l’innocenza della loro prole. A tale proposito, mentre benediciamo di cuore questi genitori cristiani e tutti i buoni maestri che li coadiuvano, torniamo a raccomandare caldamente a voi, Venerabili Fratelli, al clero secolare e regolare, a tutti i fedeli, di seguire con ogni sforzo la questione scolastica e la formazione della gioventù, specialmente di quella del popolo, più bisognosa perché maggiormente esposta ai pericoli della propaganda atea, massonica e comunista; persuadendovi che la vostra patria sarà quale voi la formerete nei vostri giovani.

    Ma un punto ancora più vitale della Chiesa si è cercato di colpire: l’esistenza cioè del Clero e della Gerarchia cattolica, col tentativo di eliminarla gradatamente dalla Repubblica. Così la Costituzione Messicana, come abbiamo più volte deplorato, mentre proclama la libertà di pensiero e di coscienza, prescrive, con la più manifesta contraddizione, che ogni Stato della Repubblica Federale debba determinare il numero dei sacerdoti, ai quali si permette l’esercizio del sacro ministero, non solo nelle pubbliche chiese, ma persino tra le pareti domestiche. Tale enormità viene ancora aggravata dai modi con cui si procede all’applicazione della legge.

    Infatti, se la Costituzione vuole che si determini il numero dei sacerdoti, dispone tuttavia che tale determinazione debba corrispondere alle necessità religiose dei fedeli e del luogo; né prescrive che si debba in ciò trascurare la Gerarchia ecclesiastica; come, del resto, fu esplicitamente riconosciuto nelle dichiarazioni del « modus vivendi ». Orbene, nello Stato di Michoacan, fu stabilito un sacerdote per ogni 33.000 fedeli; nello Stato di Chihuahua, uno per ogni 45.000; nello Stato di Chiapas uno per ogni 60.000, mentre in quello di Vera Cruz dovrebbe esercitare il ministero un solo sacerdote per ogni centomila abitanti. Ognuno vede se con siffatte restrizioni sia possibile attendere all’amministrazione dei Sacramenti a così numerosi fedeli, sparsi per lo più in uno sterminato territorio. Eppure i persecutori, quasi pentiti di aver soverchiamente largheggiato, imposero ulteriori limitazioni; e alcuni Governi ordinarono la chiusura di non pochi Seminari, la confisca delle canoniche, e in altri luoghi determinarono altresì i sacri templi e il territorio, dove soltanto sarebbe consentito al Sacerdote approvato di esercitare il ministero.

    Il fatto nondimeno che più manifestamente scopre l’intenzione di voler distruggere la stessa Chiesa Cattolica, è l’esplicita dichiarazione, pubblicata in alcuni Stati, che l’Autorità civile, nel concedere la licenza di esercizio, non riconosce nessuna Gerarchia, esclude anzi positivamente dalla possibilità di esercitare il ministero sacro tutti i Gerarchi, cioè i Vescovi e persino coloro che avessero esercitato l’ufficio di Delegati Apostolici.

    Abbiamo voluto brevemente riepilogare i punti principali della grave condizione imposta alla Chiesa del Messico, perché quanti amano l’ordine e la pace dei popoli, vedendo come una così inaudita persecuzione non sia molto dissimile, specialmente in alcuni Stati, da quella scatenatasi nelle infelici regioni della Russia, traggano, da questa iniqua coincidenza d’intenti, nuovo ardore per arginare la fiumana sovvertitrice di ogni ordine sociale.

    In pari tempo intendiamo dare una nuova prova a voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i diletti figli del Messico, della paterna sollecitudine con la quale vi seguiamo nella vostra tribolazione: sollecitudine che Ci ispirò le istruzioni impartitevi nel gennaio scorso per mezzo del Nostro Cardinale Segretario di Stato, e comunicatevi poi dal Nostro Delegato apostolico. Infatti, trattandosi di questioni strettamente connesse con la religione, è senza dubbio Nostro dovere e Nostro diritto stabilire le ragioni e le norme, alle quali tutti coloro che si gloriano del nome cattolico hanno l’obbligo di ottemperare. E qui Ci preme ricordare come, dettando tali istruzioni, abbiamo tenuto nella debita considerazione tutte le notizie e le indicazioni che Ci venivano sia dai fedeli, sia dalla Gerarchia; e diciamo tutte, fino a quelle che sembravano invocare il ritorno, come nel 1926, ad una norma di condotta più severa con la totale sospensione del culto pubblico in tutta la Repubblica.

    Pertanto, in merito alla pratica da seguire, non essendo il numero dei sacerdoti ugualmente ristretto in ogni Stato, né essendo ugualmente offesi i diritti della Gerarchia ecclesiastica, ne consegue che, secondo la diversità dell’applicazione degli infausti decreti, debba altresì essere diverso l’atteggiamento della Chiesa e dei Cattolici. A questo proposito Ci sembra giusto tributare speciali lodi a quei Vescovi Messicani che, secondo le notizie pervenuteCi, hanno sapientemente interpretato le istruzioni che abbiamo ripetutamente inculcato. E ciò vogliamo dichiarare, perché se taluno, spinto più dall’ardore della difesa della propria fede che non dalla prudenza, necessaria soprattutto in momenti così delicati, dal diverso modo di agire nelle diverse circostanze, avesse supposto nei Vescovi intendimenti contraddittori, si persuada ora che tale accusa è del tutto infondata. Tuttavia, poiché qualsivoglia restrizione del numero dei sacerdoti è pur sempre una grave violazione dei diritti divini, occorrerà che i Vescovi, il clero e gli stessi cattolici continuino a protestate con ogni loro energia contro tale violazione, usando di tutti i mezzi legittimi; anche se queste proteste non avranno efficacia sugli uomini del Governo, varranno a persuadere i fedeli, e specialmente i meno istruiti, che lo Stato, così operando, offende le libertà della Chiesa, alle quali questa non potrà mai rinunciare, nemmeno innanzi alla violenza dei persecutori.

    Quindi, come con grande soddisfazione abbiamo letto le diverse proteste recentemente sollevate dai Vescovi e dai Sacerdoti delle diocesi colpite dalle deplorate disposizioni governative, così Noi stessi torniamo ad aggiungervi le Nostre al cospetto del mondo intero, ed in modo particolare innanzi ai Governi di tutte le Nazioni, affinché considerino che la persecuzione del Messico, oltre che offesa a Dio, alla sua Chiesa e alla coscienza di una popolazione cattolica, è anche un incentivo al sovvertimento sociale, a cui mirano le associazioni dei negatori di Dio.

    Intanto, allo scopo di porre qualche rimedio alle calamitose circostanze che affliggono la Chiesa nel Messico, dobbiamo valerCi di quei mezzi che ancora restano in Nostra mano, perché, conservandosi in ogni luogo, per quanto si può, l’esercizio del culto divino in pubblico, la luce della fede e il sacro fuoco della carità non restino estinti in quelle povere popolazioni. Sono inique certamente le leggi, sono empie, come abbiamo già detto, e condannate da Dio, per tutto quello che perfidamente ed empiamente sottraggono ai diritti di Dio e della Chiesa nel governo delle anime; tuttavia sarebbe senza dubbio mosso da vano e infondato timore colui che credesse di cooperare alle inique disposizioni legislative qualora, subendone la vessazione, domandasse al Governo, che ciò impone, di potere esercitare il culto; e quindi ritenesse esser proprio dovere astenersi assolutamente da simile richiesta. Tale erronea opinione e tale condotta, portando ad una totale sospensione del culto, arrecherebbero senza dubbio un grandissimo danno a tutto il gregge dei fedeli.

    È da osservare, infatti, che approvare tale iniqua legge o dare ad essa spontaneamente una vera e propria cooperazione, è senza dubbio illecito e sacrilego; ma è assolutamente diverso il caso di chi soggiace a tali ingiuste prescrizioni soltanto contro la propria volontà e protesta; anzi fa di tutto, da parte propria, per diminuire i disastrosi effetti dell’infausta legge. Infatti il sacerdote si trova costretto a chiedere quel permesso senza il quale gli sarebbe impossibile esercitare il sacro ministero per il bene delle anime; tale imposizione egli forzatamente subisce soltanto per evitare un male maggiore. La sua condotta quindi non è molto differente da quella di colui, il quale, essendo spogliato delle sue cose, si vede costretto a domandare all’ingiusto spogliatore che gli consenta almeno l’uso di esse.

    Ed invero, il pericolo di una « formale cooperazione », anzi di una qualsivoglia approvazione della citata legge, viene, in quanto è necessario, rimosso dalle proteste anzidette, energicamente espresse da questa Sede Apostolica, da tutto l’Episcopato e dal Popolo Messicano. A queste poi si aggiungono le cautele del sacerdote stesso, il quale, benché già canonicamente istituito al sacro ministero dal proprio Vescovo, è costretto a chiedere al Governo la possibilità di esercitare il culto, e ben lungi dall’approvare la legge, che ingiustamente impone tale richiesta, vi si assoggetta materialmente — come suol dirsi — soltanto per eliminare un ostacolo all’esercizio del sacro ministero: ostacolo che condurrebbe, come si è detto, alla totale cessazione del culto e quindi a un danno estremo per tante anime.

    In modo non molto dissimile i primi fedeli e i sacri ministri, come è riferito dalla storia, chiedevano, offrendo anche qualche compenso, il permesso di visitare e confortare i martiri detenuti nelle carceri e di amministrare i Sacramenti, senza che alcuno avesse mai potuto pensare che essi, con ciò, in qualche modo approvassero o condividessero la condotta dei persecutori.

    Tale è, certa e sicura, la dottrina della Chiesa; se però l’attuazione di essa riuscisse di scandalo ad alcuni fedeli, sarà vostro dovere, Venerabili Fratelli, illuminarli accuratamente e diligentemente. Se poi, anche dopo che voi avrete fatto questa opera di chiarimento e di persuasione, esponendo questa Nostra direttiva, qualcuno rimarrà ostinatamente nella propria falsa opinione, sappia che in tal modo difficilmente può sfuggire alla taccia di disubbidiente e di ostinato.

    Continuino dunque tutti in quella unità di intenti e di ubbidienza, già altra volta da Noi ampiamente e con viva soddisfazione lodata nel clero; e rimosse le incertezze e i timori, spiegabili nei primi momenti della persecuzione, i sacerdoti, con il già provato spirito di abnegazione, rendano sempre più intenso il loro sacro ministero, particolarmente fra la gioventù e il popolo, procurando di far opera di persuasione e di carità, soprattutto fra gli avversari della Chiesa, che la combattono perché la ignorano.

    A tale proposito nuovamente raccomandiamo un punto che Ci sta grandemente a cuore; la necessità cioè di istituire e di dare sempre maggiore incremento all’Azione Cattolica [2], secondo le direttive impartite, per Nostro mandato, dal Nostro Delegato apostolico; lavoro, questo, senza dubbio difficile negli inizi e specialmente nelle presenti circostanze, lavoro talora lento nel produrre i desiderati effetti, ma necessario e ben più efficace di qualsiasi altro mezzo, come dimostra l’esperienza di tutte le Nazioni, passate esse pure attraverso la prova delle persecuzioni religiose.

    Ai Nostri diletti figli messicani raccomandiamo di tutto cuore l’unione più intima con la Chiesa e la sua Gerarchia, da prestare con la docilità agli insegnamenti e alle direttive di essa. Non tralascino occasione di ricorrere ai Sacramenti, fonti di grazia e di virtù; s’istruiscano nelle verità religiose; implorino da Dio misericordia per la loro sventurata Nazione e sentano l’obbligo e l’onore di cooperare all’apostolato sacerdotale nelle file dell’Azione Cattolica.

    Un elogio tutto particolare vogliamo tributare a coloro che, sia del clero secolare e regolare, sia del laicato cattolico, mossi da ardente zelo della religione e mantenendosi del tutto obbedienti a questa Sede Apostolica, hanno scritto pagine gloriose nella recente storia della Chiesa del Messico; in pari tempo li esortiamo vivamente nel Signore a voler continuare a difendere i sacrosanti diritti della Chiesa, con quella generosa abnegazione di cui hanno dato sì nobili esempi e secondo le norme da questa Sede Apostolica loro indicate.

    Ma non possiamo terminare questa Enciclica senza volgerCi particolarmente a voi, Venerabili Fratelli, fedeli interpreti del Nostro pensiero, per dirvi che Ci sentiamo tanto più strettamente uniti a voi, quanto maggiori sono le pene che incontrate nel vostro apostolico ministero; sicuri che sapendovi vicini al cuore del Vicario di Gesù Cristo, ne proverete conforto ed incitamento a perseverare nella santa ed ardua impresa di condurre a salvamento il gregge affidatovi. Ed affinché la grazia di Dio sempre vi assista e la Sua Misericordia vi sorregga, con ogni paterno affetto a voi e ai diletti figli, così duramente provati, impartiamo l’Apostolica Benedizione.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 settembre, dedicazione di San Michele Arcangelo, dell’anno 1932, undecimo del Nostro Pontificato.

    PIUS PP. XI
    --------------------------------------------------------------------------
    NOTE

    [1] Act., XI, 28.

    [2] Cfr. etiam Epist. Apost. « Paterna sane sollicitudo », d. 2 Febr. a. MDCCCCXXVI.

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    PIO XI

    LETTERA ENCICLICA

    NOS ES MUY CONOCIDA

    SULLA SITUAZIONE RELIGIOSA IN MESSICO


    A LOS VENERABLES HERMANOS PATRIARCAS, PRIMADOS, ARZOBISPOS, OBISPOS Y DEMÁS ORDINARIOS
    EN PAZ Y COMUNIÓN CON LA SEDE APOSTÓLICA

    Venerables hermanos: salud y bendición apostólica.

    1. Nos es muy conocida, Venerables Hermanos, y para Nuestro corazón paternal gran motivo de consuelo, vuestra constancia, la de vuestros sacerdotes y la de la mayor parte de los fieles mejicanos en profesar ardientemente la fe católica y en resistir a las imposiciones de aquellos que, ignorando la divina excelencia de la religión de Jesucristo y conociéndola sólo a través de las calumnias de sus enemigos, se engañan creyendo no poder hacer reformas favorables al pueblo si no es combatiendo la religión de la gran mayoría.

    2. Pero, por desgracia, los enemigos de Dios y de Jesucristo han logrado atraer aun a muchos tibios o tímidos, los cuales, si bien adoran a Dios en lo íntimo de sus conciencias, sin embargo, sea por respeto humano, sea por temor de males terrenos, se hacen, al menos materialmente, cooperadores de la descristianización de un pueblo que debe a la religión sus mayores glorias.

    3. Contrastando con tales apostasías o debilidades, que Nos afligen profundamente, se Nos hace todavía más laudable y meritoria la resistencia al mal, la práctica de la vida cristiana y la franca profesión de fe de aquellos numerosísimos fieles que vosotros, Venerables Hermanos, y con vosotros vuestro clero, ilumináis y guiáis, dirigiéndolos con la potestad pastoral y precediéndolos con el espléndido ejemplo de vuestra vida. Esto Nos consuela en medio de Nuestras amarguras, y engendra en Nos la esperanza de días mejores para la Iglesia mejicana, la cual, reanimada con tanto heroísmo y sostenida por las oraciones y sacrificios de tantas almas escogidas, no puede perecer, antes bien, florecerá más vigorosa y lozana.

    4. Y precisamente para reavivar vuestra confianza en el auxilio divino y para animaros a continuar en la práctica de una vida cristiana y fervorosa os dirigimos esta carta, y Nos valemos de esta ocasión para recordaros cómo en las actuales difíciles circunstancias los medios más eficaces para una restauración cristiana son, también entre vosotros, antes de todo, la santidad de los sacerdotes y, en segundo lugar, una formación de los seglares tan apta y cuidadosa que los haga capaces de cooperar fructuosamente al apostolado jerárquico, cosa tanto más necesaria en Méjico cuanto más lo exige la extensión de su territorio y las demás circunstancias del país por todos conocidas.

    5. Por eso Nuestro pensamiento se fija en primer lugar en aquellos que deben ser luz que ilumina, salva y conserva, fermento bueno que penetra en toda la masa de los fieles: es decir, en vuestros sacerdotes.

    6. En verdad, Nos sabemos con cuánta tenacidad y a costa de cuántos sacrificios procuráis la selección y el desarrollo de las vocaciones sacerdotales, en medio de toda clase de dificultades, íntimamente persuadidos de que así resolvéis un problema vital, mejor dicho, el más vital de todos los problemas relativos al porvenir de esa Iglesia. En vista de la imposibilidad casi absoluta de tener actualmente en vuestra patria seminarios bien organizados y tranquilos, habéis encontrado en esta alma Ciudad, para vuestros clérigos, un refugio amplio y afectuoso en el Colegio Pío Latino Americano, el cual ha formado, y sigue formando, en ciencia y virtud a tantos beneméritos sacerdotes, y que por su labor inapreciable Nos es particularmente querido. Pero, siendo casi imposible en muchísimos casos enviar vuestros alumnos a Roma, habéis trabajado solícitamente para hallar un asilo en la hospitalidad de una gran nación vecina.

    Al felicitaros a vosotros por esa tan laudable iniciativa, que está ya convirtiéndose en consoladora realidad, expresamos de nuevo Nuestra gratitud a todos aquellos que tan generosamente os han brindado hospitalidad y ayuda.

    7. Y con esta ocasión recordamos con paternal insistencia Nuestra voluntad expresa de que se dé a conocer y se explique convenientemente, no sólo a los clérigos, sino a todos los sacerdotes, Nuestra encíclica Ad catholici sacerdotii, la cual expone Nuestro pensamiento en esta materia, que es la más grave y trascendental entre todas las materias graves y trascendentales por Nos tratadas.

    8. Formados así los sacerdotes mejicanos según el Corazón de Jesucristo, sentirán que en las actuales condiciones de su patria (de las cuales ya hablamos en Nuestra carta apostólica Paterna sane sollicitudo, del 2 de febrero de 1926), que son tan semejantes a las de los primeros tiempos de la Iglesia -cuando los apóstoles recurrían a la colaboración de los seglares-, sería muy difícil reconquistar para Dios tantas almas extraviadas sin el auxilio providencial que prestan los seglares mediante la Acción Católica. Tanto más cuanto que entre éstos a veces la gracia prepara almas generosas, prontas a desarrollar la más fructuosa actividad, si encuentran un clero docto y santo que sepa comprenderlas y guiarlas.

    9. Así que a los sacerdotes mejicanos, que han dedicado toda su vida al servicio de Jesucristo, de la Iglesia y de las almas, es a quienes dirigimos este primer y más caluroso llamamiento, para que se decidan a secundar Nuestra solicitud y la vuestra por el desarrollo de la Acción Católica, dedicando a ella las mejores energías y la más oportuna diligencia.

    Los métodos de una eficaz colaboración de los seglares a vuestra acción en el apostolado no saldrán fallidos si los sacerdotes se emplean con esmero en cultivar el pueblo cristiano con una sabia dirección espiritual y con una cuidadosa instrucción religiosa, no diluida en discursos vanos, sino nutrida de sana doctrina de las Sagradas Escrituras y llena de unción y de fuerza.

    Es verdad que no todos comprenden de lleno la necesidad de este santo apostolado de los seglares, a pesar de que, desde Nuestra primera encíclica Ubi arcano Dei, Nos declaramos que indudablemente pertenece al ministerio pastoral y a la vida cristiana. Pero ya que, como hemos indicado, Nos dirigimos a pastores que deben reconquistar una grey tan vejada y en cierto modo dispersa, hoy más que nunca os recomendamos que os sirváis de aquellos seglares a los cuales, como a piedras vivas de la santa Casa de Dios, San Pedro atribuía una recóndita dignidad que los hace en cierto modo partícipes de un sacerdocio santo y real 1 .

    10. En efecto, todo cristiano consciente de su dignidad y de su responsabilidad como hijo de la Iglesia y miembro del Cuerpo Místico de Jesucristo -multi unum corpus sumus in Christo, singuli autem alter alterius membra 2 -, no puede menos de reconocer que entre todos los miembros de este Cuerpo debe existir una comunicación recíproca de vida y solidaridad de intereses.

    De aquí las obligaciones de cada uno en orden a la vida y al desarrollo de todo el organismo in aedificationem corporis Christi: de aquí también la eficaz contribución de cada miembro a la glorificación de la Cabeza y de su Cuerpo Místico 3 .

    De estos principios claros y sencillos, ¡qué consecuencias tan consoladoras! ¡Qué orientaciones tan luminosas brotan para muchas almas, indecisas todavía y vacilantes, pero deseosas de orientar sus ardorosas actividades! ¡Qué impulsos para contribuir a la difusión del reino de Cristo y a la salvación de las almas!

    11. Por otra parte, es evidente que el apostolado así entendido no proviene de una tendencia puramente natural a la acción, sino que es fruto de una sólida formación interior, es la expansión necesaria de un amor intenso a Jesucristo y a las almas redimidas con su preciosa sangre, que le lleva a imitar su vida de oración, de sacrificio y de celo inextinguible.

    Esta imitación de Jesucristo suscitará multiplicidad de formas de apostolado en los diversos campos donde las almas están en peligro o se hallan comprometidos los derechos del Divino Rey; se extenderá a todas las obras de apostolado que de cualquier manera caigan dentro de la divina misión de la Iglesia, y, por consiguiente, penetrará, no solamente en el ánimo de cada uno de los individuos, sino también en el santuario de la familia, en la escuela y aun en la vida pública.

    12. Pero la magnitud de la obra no debe hacer que os preocupéis más del número que de la calidad de los colaboradores. Conforme al ejemplo del Divino Maestro, que quiso precediera a unos pocos años de su labor apostólica una larga preparación, y se limitó a formar en el Colegio Apostólico no muchos, pero sí escogidos instrumentos para la futura conquista del mundo, así también vosotros, Venerables Hermanos, procuraréis, en primer lugar, que los directivos y propagandistas de la Acción Católica se formen por completo en lo sobrenatural; y sin preocuparos ni afligiros demasiado porque al principio sean un pusillus grex 4 .

    Y, pues sabemos que ya estáis trabajando en este sentido, os expresamos Nuestra complacencia por haber ya escogido escrupulosamente y formado con diligencia buenos colaboradores que, juntamente con la palabra y con el ejemplo, llevarán el fervor de la vida y del apostolado cristiano a las diócesis y a las parroquias.

    13. Este trabajo vuestro ha de ser sólido y profundo, ajeno a la notoriedad y al aparato, enemigo de métodos ruidosos; trabajo, que sepa desarrollar su actividad en silencio, aunque el fruto se haga esperar y no sea de mucho brillo, a manera de la semilla, que, soterrada, prepara con un aparente reposo la nueva planta vigorosa.

    14. Por otra parte, la formación espiritual y la vida interior que fomentéis en estos vuestros colaboradores les pondrán en guardia contra los peligros y posibles extravíos. Teniendo presente el fin último de la Acción Católica que es la santificación de las almas, según el precepto evangélico: Quaerite primum regnum Dei 5 , no se correrá el peligro de satisfacer los principios a fines inmediatos o secundarios y no se olvidará jamás que a ese fin último se deben subordinar las obras sociales y económicas y las iniciativas de caridad.

    15. Nuestro Señor Jesucristo nos lo enseñó con su ejemplo, pues aún, cuando en la inefable ternura de su Divino Corazón que le hacía exclamar: Misereor super turbam..., nolo eos remittere ieiunos, ne forte deficiant in via 6 , curaba las enfermedades del cuerpo y remediaba las necesidades temporales, nunca perdía de vista el fin último de su misión, es decir, la gloria de su Padre y la salud eterna de las almas.

    16. Por consiguiente, no caen fuera de la actividad de la Acción Católica las llamadas obras sociales en cuanto miran a la realización de los principios de la justicia y de la carida y en cuanto son medios para ganar las muchedumbres, pues muchas veces no se llega a las almas sino a través del alivio de las miserias corporales y de las necesidades de orden económico, por lo que Nos mismo así como también Nuestro Predecesor, de s. m., León XIII, las hemos recomendado muchas veces. Pero aun cuando la Acción Católica tiene el deber de preparar personas aptas para dirigir tales obras, de señalar los principios que deben orientarlas y de dar normas directivas sacándolas de las genuinas enseñanzas de Nuestras encíclicas, sin embargo, no debe tomar la responsabilidad en la parte puramente técnica, financiera o económica, que está fuera de su incumbencia y finalidad.

    17. En oposición a las frecuentes acusaciones que se hacen a la Iglesia de descuidar los problemas sociales o ser incapaz de resolverlos, no ceséis de proclamar que solamente la doctrina y la obra de la Iglesia, que está asistida por su Divino Fundador, pueden dar el remedio para los gravísimos males que afligen a la humanidad.

    18. A vosotros, por consiguiente, compete el emplear (como os esforzáis ya en hacerlo) estos principios fecundos, para resolver las graves cuestiones sociales que hoy perturban a vuestra patria, como por ejemplo, el problema agrario, la reducción de los latifundios, el mejoramiento de las condiciones de vida de los trabajadores y de sus familias.

    Recordaréis que, quedando siempre a salvo la esencia de los derechos primarios y fundamentales, como el de la propiedad, algunas veces el bien común impone restricciones a estos derechos y un recurso más frecuente que en tiempos pasados a la aplicación de la justicia social. En algunas circunstancias, para proteger la dignidad de la persona humana, puede hacer falta el denunciar con entereza las condiciones de vida injustas e indignas, pero al mismo tiempo será necesario evitar tanto el legitimar la violencia que se escuda con el pretexto de poner remedio a los males de las masas, como el admitir y favorecer cambios de maneras de ser seculares en la economía social, hechos sin tener en cuenta la equidad y la moderación, de manera que vengan a causar resultados más funestos que el mal mismo al cual se quería poner remedio.

    Esta intervención en la cuestión social os dará oportunidad de ocuparos con celo particular de la suerte de tantos pobres obreros, que tan fácilmente caen presa de la propaganda descristianizadora, engañados por el espejismo de las ventajas económicas que se les presentan ante los ojos, como precio de su apostasía de Dios y de la Santa Iglesia.

    19. Si amáis verdaderamente al obrero (y debéis amarlo, porque su condición se asemeja más que ninguna otra a la del Divino Maestro), debéis prestarle asistencia material y religiosa. Asistencia material, procurando que se cumpla en su favor no sólo la justicia conmutativa, sino también la justicia social, es decir, todas aquellas providencias que miran a mejorar la condición del proletario; y asistencia religiosa, prestándole los auxilios de la religión, sin los cuales vivirá hundido en un materialismo que lo embrutece y lo degrada.

    20. No menos grave ni menos urgente es otro deber, el de la asistencia religiosa y económica a los campesinos, y, en general, a aquella no pequeña parte de mejicanos, hijos vuestros, en su mayor parte agricultores, que forman la población indígena. Son millones de almas redimidas por Cristo, confiadas por El a vuestro cuidado, y de las cuales un día os pedirá cuenta; son millones de seres humanos que frecuentemente viven en condición tan triste y miserable, que no gozan ni siquiera de aquel mínimo de bienestar indispensable para conservar la dignidad humana. Os conjuramos, Venerables Hermanos, por las entrañas de Jesucristo, que tengáis cuidado particular de estos hijos, que exhortéis a vuestro clero para que se dedique a su cuidado con celo siempre más ardiente, y que hagáis que toda la Acción Católica mejicana se interese por esta obra de redención moral y material.

    21. No podemos dejar de recordar aquí un deber cuya importancia va siempre creciendo en estos últimos años: el cuidado de los mejicanos emigrados, los cuales, arrancados de su tierra y de sus tradiciones, muy fácilmente quedan envueltos entre las insidiosas redes de aquellos emisarios que pretenden inducirlos a apostatar de su fe.

    Un convenio con vuestros celosos hermanos de los Estados Unidos de América os daría por resultado una asistencia más diligente y organizada por parte del clero local, y aseguraría para los emigrados mejicanos los beneficios de tantas instituciones económicas y sociales que tan gran desarrollo han alcanzado ya entre los católicos de los Estados Unidos.

    22. La Acción Católica no puede dejar de preocuparse de las clases más humildes y necesitadas, de los obreros, de los campesinos, de los emigrados; pero en otros campos tiene también deberes no menos imprescindibles: entre otros, debe ocuparse con solicitud muy particular de los estudiantes que un día, terminada su carrera, ejercerán influencia grande en la sociedad y quizá ocuparán también cargos públicos. A la práctica de la religión cristiana, a la formación del carácter, que son principios fundamentales para los fieles, debéis añadir, para los estudiantes, una especial y cuidadosa educación y preparación intelectual, basada en la filosofía cristiana, es decir, en la filosofía que con tanta verdad lleva el nombre de "filosofía perenne". Pues hoy día -dada la tendencia cada vez más generalizada de la vida moderna hacia las exterioridades, la repugnancia y la dificultad para la reflexión y el recogimiento, y la propensión, en la misma vida espiritual, a dejarse guiar por el sentimiento más bien que por la razón- se hace mucho más necesaria que en otros tiempos una instrucción religiosa sólida y esmerada.

    23. Deseamos ardientemente que se haga entre vosotros, a lo menos en el grado que os sea posible, y adaptando la instrucción a las condiciones particulares, a las necesidades y posibilidades de vuestra patria, lo que tan laudablemente hace la Acción Católica en otros países por la formación cultural y para lograr que la instrucción religiosa tenga la primacía intelectual entre los estudiantes y profesores católicos.

    Gran esperanza de algún porvenir mejor en Méjico Nos hacen concebir los jóvenes universitarios que trabajan en la Acción Católica, y estamos seguros de que no defraudarán Nuestras esperanzas. Es evidente que ellos forman parte, y parte importante, de esta Acción Católica, que tan dentro está de Nuestro corazón, sean cuales fueren las formas de su organización, ya que éstas dependen en gran parte de las condiciones y circunstancias locales y varían de región a región. Estos universitarios no solamente forman, como acabamos de decir, la más firme esperanza de un mañana mejor, sino que ya ahora mismo pueden ofrecer efectivo servicio a la Iglesia y a la patria, ya sea por el apostolado que ejerciten entre sus compañeros, ya sea dando a las diferentes ramas de la Acción Católica directivos capaces y bien formados.

    24. Las singulares condiciones de vuestra patria Nos obligan a llamar vuestra atención sobre el necesario, imperioso e imprescindible cuidado de los niños, a cuya inocencia se tienden asechanzas, y cuya educación y formación cristiana están sometidas a una prueba tan dura. A todos los católicos mejicanos se les imponen estos dos graves preceptos: el primero, negativo, de alejar, en cuanto sea posible, a los niños de la escuela impía y corruptora; el segundo, positivo, de darles una esmerada instrucción religiosa y la debida asistencia para mantener su vida espiritual. Sobre el primer punto, tan grave y delicado, recientemente tuvimos ocasión de manifestaros Nuestro pensamiento. Por lo que hace a la instrucción religiosa, aunque sabemos con cuánta insistencia vosotros mismos la habéis recomendado a vuestros sacerdotes y a vuestros fieles, a pesar de todo, os repetimos que, siendo éste en la actualidad uno de los más importantes y capitales problemas para la Iglesia mejicana, es necesario que lo que tan laudablemente se practica en algunas diócesis se extienda a todas las demás, de manera que los sacerdotes y miembros de la Acción Católica se apliquen con todo ardor, y sin aterrarse de ningún sacrificio, a conservar para Dios y para la Iglesia estos pequeñuelos, por los cuales el Divino Salvador mostró predilección tan grande.

    25. El porvenir de las nuevas generaciones (os lo repetimos con toda la angustia de Nuestro corazón paterno) despierta en Nos la más apremiante solicitud y la ansiedad más viva. Sabemos a cuántos peligros se halla expuesta, hoy más que nunca, la niñez y la juventud en todas partes, pero de un modo particular en Méjico, donde una prensa inmoral y antirreligiosa pone en sus corazones la semilla de la apostasía. Para remediar mal tan grave y para defender vuestra juventud de esos peligros, es necesario que se pongan en movimiento todos los medios legales y todas las formas de organización, como, por ejemplo, las Ligas de los padres de familia, las Comisiones de moralidad y de vigilancia sobre las publicaciones y las de censura de los cinematógrafos.

    26. Acerca de la defensa individual de los niños y jóvenes, sabemos por los testimonios que Nos llegan de todo el mundo que el militar en las filas de la Acción Católica constituye la mejor tutela contra las asechanzas del mal, la más bella escuela de virtud y de pureza, la palestra más eficaz de fortaleza cristiana. Estos jóvenes, entusiasmados con la belleza del ideal cristiano, sostenidos con la ayuda divina que alcanzan por medio de la oración y de los sacramentos, se dedicarán con amor y alegría a la conquista de las almas de sus compañeros, recogiendo una consoladora cosecha de grandes bienes.

    27. Esta misma razón constituye una nueva prueba de que, ante los graves problemas de Méjico, no puede decirse que la Acción Católica ocupe un lugar de secundaria importancia; y, por lo tanto, si esta institución, que es educadora de las conciencias y formadora de las cualidades morales, fuese de algún modo pospuesta a otra obra extrínseca de cualquier especie, aunque se tratase de defender la necesaria libertad religiosa y civil, se incurriría en una dolorosa ofuscación, porque la salvación de Méjico, como la de toda sociedad humana, está, ante todo, en la eterna e inmutable doctrina evangélica y en la práctica sincera de la moral cristiana.

    28. Por lo demás, una vez establecida esta gradación de valores y actividades, hay que admitir que la vida cristiana necesita apoyarse, para su desenvolvimiento, en medios externos y sensibles; que la Iglesia, por ser una sociedad de hombres, no puede existir ni desarrollarse si no goza de libertad de acción, y que sus hijos tienen derecho a encontrar en la sociedad civil posibilidades de vivir en conformidad con los dictámenes de sus conciencias.

    Por consiguiente es muy natural que, cuando se atacan aun las más elementales libertades religiosas y cívicas, los ciudadanos católicos no se resignen pasivamente a renunciar a tales libertades. Aunque la reivindicación de estos derechos y libertades puede ser, según las circunstancias, más o menos oportuna, más o menos enérgica.

    29. Vosotros habéis recordado a vuestros hijos más de una vez que la Iglesia fomenta la paz y el orden, aun a costa de graves sacrificios, y que condena toda insurrección violenta, que sea injusta, contra los poderes constituidos. Por otra parte, también vosotros habéis afirmado que, cuando llegara el caso de que esos poderes constituidos se levantasen contra la justicia y la verdad hasta destruir aun los fundamentos mismos de la autoridad, no se ve cómo se podría entonces condenar el que los ciudadanos se unieran para defender la nación y defenderse a sí mismos con medios lícitos y apropiados contra los que se valen del poder público para arrastrarla a la ruina.

    30. Si bien es verdad que la solución práctica depende de las circunstancias concretas, con todo es deber Nuestro recordaros algunos principios generales que hay que tener siempre presentes, y son:

    1) Que estas reivindicaciones tienen razón de medio o de fin relativo, no de fin último y absoluto.

    2) Que, en su razón de medio, deben ser acciones lícitas y no intrínsecamente malas.

    3) Que si han de ser medios proporcionados al fin, hay que usar de ellos solamente en la medida en que sirven para conseguirlo o hacerlo posible en todo o en parte, y en tal modo, que no proporcionen a la comunidad daños mayores que aquellos que se quieran reparar.

    4) Que el uso de tales medios y el ejercicio de los derechos cívicos y políticos en toda su amplitud, incluyendo también los problemas de orden puramente material y técnico o de defensa violenta, no es manera alguna de la incumbencia del clero ni de la Acción Católica como tales instituciones; aunque también, por otra parte, a uno y a otra pertenece el preparar a los católicos para hacer uso de sus derechos y defenderlos con todos los medios legítimos, según lo exige el bien común.

    5) El clero y la Acción Católica, estando, por su misión de paz y de amor, consagrados a unir a todos los hombres in vinculo pacis 7 , deben contribuir a la prosperidad de la nación principalmente fomentando la unión de los ciudadanos y de las clases sociales y colaborando en todas aquellas iniciativas sociales que no se opongan al dogma o a las leyes de la moral cristiana.

    31. Por lo demás, la actividad cívica de los católicos mejicanos, desarrollada con un espíritu noble y levantado, obtendrá resultaos tanto más eficaces cuanto en mayor grado posean los católicos aquella visión sobrenatural de la vida, aquella educación religiosa y moral y aquel celo ardiente por la dilatación del reino de Nuestro Señor Jesucristo, que la Acción Católica se esfuerza en dar a sus miembros.

    Frente a una feliz coalición de conciencias que no están dispuestas a renunciar a la libertad que Cristo les reconquistó 8 , ¿qué poder o fuerza humana podrá subyugarlas al pecado? ¿Qué peligros ni qué persecuciones podrán separar a las almas, así templadas, de la caridad de Cristo? 9 .

    Esta recta formación del precepto cristiano y ciudadano, cuyas cualidades y acciones todas quedan ennoblecidas y sublimadas por el elemento sobrenatural, encierra en sí también, como no podía menos de ser, el cumplimiento de los deberes cívicos y sociales. San Agustín, encarándose con los enemigos de la Iglesia, les dirigía este desafío, que es un encomio de sus fieles, diciendo: Los que dicen que la doctrina de la Iglesia daña al Estado, que me den tales ciudadanos, tales maridos, tales esposos, tales padres, tales hijos, tales amos, tales criados, tales reyes y tales jueces... cuales manda la religión católica que sean; y atrévanse entonces a decir de ella que es enemiga del Estado: antes bien habrán de reconocer que, si tal doctrina se siguiera, ella sería la salvación del Estado 10 . Siendo esto así, un católico se guardará bien de descuidar, por ejemplo, el ejercicio del derecho de votar cuando entran en juego el bien de la Iglesia o de la patria; ni habrá peligro de que los católicos, para el ejercicio de las actividades cívicas y políticas, se organicen en grupos parciales, tal vez en pugna los unos contra los otros, o contrarios a las normas directivas de la autoridad eclesiástica: eso serviría para aumentar la confusión y desperdiciar energías, con detrimento del desarrollo de la Acción Católica y de la misma causa que se quiere defender.

    32. Ya hemos indicado algunas actividades que, aunque no le son contrarias, caen fuera del campo de la Acción Católica, como serían las actividades de partidos políticos y las de orden puramente económico-social. Pero existen otras muchas actividades benéficas que se pueden agrupar en torno al núcleo central de la Acción Católica, cuales son las Asociaciones de Padres de Familia para la defensa de las libertades escolares y de la enseñanza religiosa, la Unión de Ciudadanos para la defensa de la familia, de la santidad del matrimonio y de la moralidad pública; pues la Acción Católica no cristaliza rígidamente en esquemas fijos, sino que sabe coordinar, como en derredor de un centro irradiador de luz y de calor, otras iniciativas e instituciones auxiliares, que, aun conservando una justa autonomía y conveniente libertad de acción, necesarias para lograr sus fines específicos, sienten la necesidad de seguir las reglas generales y las comunes normas programáticas de la Acción Católica.

    Esto tiene una aplicación especial en el extenso territorio de vuestra nación, donde la variedad de necesidades y condiciones locales puede exigir que, conservando una base de principios comunes, se empleen métodos diferentes de organización y se den también soluciones prácticas, diversas entre sí, pero igualmente rectas y aptas para resolver un mismo problema.

    33. A vosotros os tocará, Venerables Hermanos, puestos por el Espíritu Santo para gobernar la Iglesia de Dios, dar la última decisión práctica en estos casos, a la cual obedecerán los fieles con docilidad y exactitud. Cosa que deseamos con todo Nuestro corazón, porque la recta intención y la obediencia, siempre y en todas partes, son condiciones indispensables para atraer las bendiciones divinas sobre el ministerio pastoral y sobre la Acción Católica y para fijar aquella unidad de dirección y aquella fusión de energías que son requisito indispensable para la fecundidad del apostolado. Conjuramos, por lo tanto, con toda Nuestra alma a los buenos católicos mejicanos a que tengan en grande estima y amen la obediencia y disciplina: Oboedite praepositis vestris et subiacete eis. Ipsi enim pervigilant, quasi rationem pro animabus vestris reddituri. Y que sea obediencia llena de gozo y estimuladora de las mejores energías, ut cum gaudio hoc faciant et non gementes 11 . El que no obedece sino con desgana y como a la fuerza, desfogando su resentimiento interno en críticas amargas contra sus superiores y compañeros de trabajo, contra todo lo que no es según el propio parecer y juicio, aleja las bendiciones divinas, debilita el nervio de la disciplina y destruye donde se debiera edificar.

    34. Junto con la obediencia y la disciplina Nos place traer a la memoria los otros deberes de caridad universal que Nos sugiere San Pablo en ese mismo capítulo IV de la epístola a los Efesios, que ya hemos citado y que debería ser la norma fundamental para todos los que trabajan en la Acción Católica: Obsecro itaque vos ego vinctus in Domino, ut digne ambuletis... cum omni humilitate et mansuetudine, cum patientia, supportantes invicem in caritate, solliciti servare unitatem Spiritus in vinculo pacis. Unum corpus et unus spiritus 12 .

    35. A Nuestros carísimos hijos mejicanos, a quienes parte tan grande cabe en los cuidados y en las afectuosas solicitudes de Nuestro Pontificado, les renovamos la exhortación a la unidad, a la caridad, a la paz en el trabajo apostólico de la Acción Católica, llamado a devolver a Cristo a Méjico y a restituiros la paz y aun la prosperidad temporal.

    36. Ponemos Nuestros votos y oraciones a los pies de vuestra celestial patrona, Nuestra Señora de Guadalupe, que en su santuario excita siempre el amor y la devoción de todos los mejicanos. A Ella, honrada y bendecida bajo ese título también en esta alma Ciudad, donde Nos erigimos una parroquia dedicada a su honor, rogamos ardientemente quiera oír Nuestros deseos y los vuestros -para la futura prosperidad de Méjico- de la paz de Cristo en el Reino de Cristo. Con estos votos y sentimientos os damos de todo corazón a vosotros, a vuestros sacerdotes, a la Acción Católica mejicana, a todos los queridos hijos de Méjico y a toda la noble nación mejicana, una especialísima Bendición Apostólica.

    37. Que esta carta Nuestra, que hemos querido enviaros en la festividad de la Pascua de Resurrección, sea asimismo para vuestro país una prenda de resurrección espiritual, pues no es otro el anhelo de Vuestro Padre, sino que, así como habéis participado tan íntimamente de los sufrimientos de Cristo, igualmente participéis de la gloria de su Resurrección.

    Dado en Roma, junto a San Pedro, en la fiesta de la Pascua de Resurrección, el 28 de marzo de 1937, año décimosexto de Nuestro Pontificado.

    PIUS PP. XI

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    1. Pet. 2, 9.

    2. Rom. 12, 5.

    3. Cf. Eph. 3, 12-16.

    4. Luc. 12, 32.

    5. Luc. 12, 31.

    6. Marc. 8, 2-3.

    7. Eph. 4, 3.

    8. Gal. 4, 31.

    9. Cf. Rom. 8, 35.

    10. Ep. 138 ad Marcellinum 2, 15.

    11. Hebr. 13, 17.

    12. Eph. 4, 1-4.

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    (traduzione)

    PIO XI

    LETTERA ENCICLICA

    FIRMISSIMAM CONSTANTIAM

    SULLA SITUAZIONE RELIGIOSA IN MESSICO


    Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi,
    Vescovi e agli altri Ordinari locali del Messico
    che hanno pace e comunione con la Sede Apostolica.

    Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

    È a Noi ben nota, Venerabili Fratelli, e per il Nostro cuore paterno gran motivo di consolazione, la costanza vostra, dei vostri sacerdoti, della maggior parte dei fedeli messicani, nel professare ardentemente la fede cattolica e nel resistere alle imposizioni di coloro che, ignorando la divina eccellenza della religione di Gesù Cristo e conoscendola solo attraverso le calunnie dei suoi nemici, si illudono di non poter compiere riforme a bene del popolo se non combattendo la religione della grande maggioranza.

    Senonché i nemici di Dio e del suo Cristo sono purtroppo riusciti anche ad avvincere molti tiepidi o pavidi; i quali, pur adorando Iddio nell’intimo della loro coscienza, tuttavia, sia per rispetto umano, sia per timore di mali terreni, si rendono, almeno materialmente, partecipi della scristianizzazione di un popolo che alla religione deve le sue più belle glorie.

    Di fronte a tali apostasie o debolezze, che profondamente Ci affliggono, anche più lodevole e meritoria Ci appare la resistenza al male, la pratica della vita cristiana e la franca professione di Fede di quei numerosissimi fedeli che voi, Venerabili Fratelli, e con voi il vostro Clero, illuminate e guidate con la sollecitudine pastorale non meno che con lo splendido esempio della vita. Questo Ci conforta nelle nostre amarezze e Ci dà affidamento a bene sperare per l’avvenire della Chiesa messicana; la quale, rinvigorita da tanto eroismo e sostenuta dalle preghiere e dalle sofferenze di tante anime elette, non può perire; dovrà anzi rifiorire più vegeta e più rigogliosa.

    Ora, appunto per ravvivare la vostra fiducia nell’aiuto divino e per incoraggiarvi a continuare nella pratica di una vita cristiana e fervorosa, Noi vi indirizziamo questa lettera, e ne prendiamo occasione per ricordarvi come, nelle presenti circostanze e difficoltà, i mezzi più efficaci per una restaurazione cristiana sono anche tra voi anzitutto la santità dei sacerdoti e in secondo luogo l’accurata formazione dei laici, tale da poterli associare nella valida cooperazione all’apostolato gerarchico, tanto più necessaria nel Messico e per la vastità del territorio e per le altre condizioni a tutti note.

    Il Nostro pensiero pertanto corre in primo luogo a quelli che devono essere la luce che illumina, il sale che conserva, il buon fermento che penetra tutta la massa dei fedeli, cioè ai vostri sacerdoti.

    Veramente Noi sappiamo già con quanta tenacia ed a costo di quali sacrifici voi curate, Venerabili Fratelli, la cernita e l’incremento delle vocazioni sacerdotali, in mezzo a difficoltà di ogni sorta, ben persuasi, come siete, di provvedere così ad un problema vitale, anzi al più vitale problema per l’avvenire di codesta Chiesa. Così, di fronte alla impossibilità quasi assoluta di avere oggi nella vostra patria Seminari ben ordinati e tranquilli, voi avete trovato in quest’Alma Città, per i vostri chierici, un rifugio largo e affettuoso nel Collegio Pio Latino Americano, il quale ha formato già e va formando alla scienza e alla virtù tanti benemeriti sacerdoti e che per la sua opera preziosa è a Noi particolarmente caro. Ma non essendo in moltissimi casi possibile inviare i vostri alunni fino a Roma, vi siete opportunamente adoperati per trovare un asilo nella ospitalità di una grande nazione vicina.

    Nel congratularCi con voi per la lodevole impresa, che sta diventando una consolante realtà, esprimiamo di nuovo la Nostra riconoscenza a tutti coloro che sono stati larghi con voi di ospitalità e di aiuto.

    E con paterna insistenza ricordiamo ancora in quest’occasione il Nostro preciso volere che sia illustrata e spiegata convenientemente, non solo ai chierici ma a tutti i sacerdoti, la Nostra Enciclica Ad Catholici Sacerdotii, la quale espone il Nostro pensiero su questo, che è il più grave e il più importante fra i gravi ed importanti argomenti da Noi trattati.

    Formati così i sacerdoti messicani, secondo il cuore di Cristo, essi sentiranno che nelle attuali condizioni della loro Patria — già ricordate nella Lettera Apostolica Paterna sane sollicitudo del 2 febbraio 1926 e che sono così simili a quelle dei primi tempi della Chiesa, quando gli Apostoli facevano appello alla collaborazione dei laici — ben ardua cosa sarebbe guadagnare a Dio tante anime senza l’ausilio provvidenziale che prestano i laici mediante l’Azione Cattolica. Tanto più che in essa la Grazia prepara non di rado anime generose, pronte alla più preziosa attività, quando trovino in un clero dotto e santo una conveniente comprensione e guida.

    Pertanto ai sacerdoti messicani, che hanno dedicato tutta la loro vita a servizio di Gesù Cristo, della sua Chiesa e delle anime, rivolgiamo il primo e più caldo appello, affinché vogliano generosamente assecondare le Nostre e vostre sollecitudini per il progresso dell’Azione Cattolica, dedicando ad essa le migliori loro forze e le diligenze più opportune.

    I metodi di una efficace collaborazione dei laici all’azione vostra ed all’apostolato non verranno mai a scarseggiare, se i sacerdoti si daranno premura di coltivare il popolo cristiano con una saggia direzione spirituale e con una accurata istruzione religiosa, non diluita in vani discorsi, ma nutrita di sana dottrina attinta alle Sacre Scritture e piena di forza e di pietà.

    È vero che non tutti comprendono appieno la necessità di questo santo apostolato del laicato cattolico, sebbene fin dalla prima Nostra Enciclica Ubi arcano Dei Noi abbiamo dichiarato che essa appartiene innegabilmente al ministero pastorale ed alla vita cristiana.

    Ma poiché, come già accennammo, Ci dirigiamo a Pastori che debbono riconquistare un gregge così provato e talvolta disperso, più che mai vi raccomandiamo di servirvi di quei laici ai quali, come a pietra viva della santa Casa di Dio, San Pietro attribuiva una arcana dignità, che li fa in qualche modo partecipi di un sacerdozio santo e regale [1].

    Ogni cristiano, infatti, che comprende la sua dignità e sente la sua responsabilità di figlio della Chiesa e di membro del Corpo mistico di Gesù Cristo — « pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri »[2] — non può non riconoscere che fra tutte le membra di questo Corpo deve esistere una comunicazione reciproca di vita e solidarietà di interessi.

    Di qui il dovere di ciascuno in ordine alla vita ed all’incremento di tutto l’organismo, « al fine di edificare il Corpo di Cristo »; di qui ancora l’efficace contributo di ciascun membro alla glorificazione del Capo e del suo Corpo mistico [3].

    Da questi chiari e semplici princìpi, quali consolanti deduzioni, quali luminose direttive non scaturiscono per molte anime, ancora incerte e diffidenti, ma desiderose di orientare il loro ardore! quali incitamenti a contribuire alla diffusione del Regno di Cristo e alla salvezza delle anime!

    È evidente per altro che l’apostolato così compreso non proviene da un impulso puramente naturale all’azione, ma è frutto di una solida formazione interiore: è la necessaria espansione di un amore intenso a Gesù Cristo e alle anime, redente dal suo Sangue prezioso, che si attua nello studio di imitarne la vita di preghiere, di sacrificio, di zelo inestinguibile.

    Questa imitazione di Cristo susciterà molteplici forme di apostolato in tutti i campi, dovunque le anime sono in pericolo o sono compromessi i diritti del Re divino. Si estenderà pertanto questa Azione Cattolica a tutte le opere di apostolato che in qualsiasi modo rientrino nella divina missione della Chiesa, e quindi penetrerà, come nell’animo degli individui, così nel santuario della famigilia, nella scuola e nella stessa vita pubblica.

    Né la vastità del compito dovrà farvi ricercare maggiormente il numero che non la qualità dei collaboratori. Secondo l’esempio del Divin Maestro, che volle premettere a pochi suoi anni di lavoro apostolico una lunga preparazione, e si limitò a formare nel Collegio Apostolico non molti ma scelti strumenti per la successiva conquista del mondo, così anche voi, Venerabili Fratelli, curerete in primo luogo la formazione soprannaturale dei vostri dirigenti e propagandisti, senza troppo impensierirvi né affliggervi se saranno da principio un « piccolo gregge » [4].

    E poiché sappiamo che voi già state lavorando in questo senso, vi esprimiamo il Nostro compiacimento per avere già scrupolosamente scelto e premurosamente formato buoni collaboratori, che porteranno con la parola e con l’esempio il fervore della vita e dell’apostolato cristiano nelle diocesi e nelle parrocchie.

    Codesto vostro lavoro riuscirà certo solido e profondo, alieno dalla pubblicità, dal rumore, da forme clamorose, operante nel silenzio, anche senza frutti molto appariscenti od immediati: a guisa del seme, che nell’apparente riposo sotterra prepara la nuova pianta rigogliosa.

    D’altra parte la formazione spirituale e la vita interiore, che fomentate in questi vostri collaboratori, li metteranno in guardia dai pericoli e dalle possibili deviazioni. Tenendo presente il fine ultimo dell’Azione Cattolica, che è la santificazione delle anime, secondo il precetto evangelico: «Cercate anzitutto il regno di Dio » [5], non si correrà il rischio di sacrificare i princìpi a fini immediati e secondari e non si dimenticherà mai che a quel fine supremo si debbono subordinare anche le opere sociali ed economiche e le iniziative caritatevoli.

    Il Signor Nostro Gesù Cristo ce lo insegnò con l’esempio: perché anche quando, nella ineffabile tenerezza del suo Cuore divino che gli faceva esclamare: « Sento compassione di questa folla… Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via »[6], guariva le infermità del corpo e sovveniva ai bisogni temporali, aveva sempre di mira il fine supremo della sua missione, cioè la gloria del Padre suo, e la salute eterna delle anime.

    Non sfuggono pertanto all’attività dell’Azione Cattolica le cosiddette opere sociali, in quanto mirano ad attuare i princìpi della giustizia e della carità e in quanto sono mezzi per avvicinare le moltitudini; giacché spesso non si giunge alle anime se non mediante il sollievo delle miserie corporali e delle necessità economiche. Il che Noi stessi, come già il Nostro Predecessore di s. m. Leone XIII, raccomandammo più volte. Ma è pur vero che, se l’Azione Cattolica ha il dovere di preparare uomini adatti per dirigere tali opere e di segnarne i princìpi che devono guidare con le norme e le direttive attinte alle genuine fonti delle Encicliche, non deve tuttavia assumerne la responsabilità in quella parte puramente tecnica, finanziaria, economica, che sta fuori dalle sue competenze e dalle sue finalità.

    Di fronte alle frequenti accuse fatte alla Chiesa di essere indifferente ai problemi sociali, o inetta a risolverli, non si cessi dal proclamare che soltanto la dottrina e l’opera della Chiesa, assistita com’è dal divino suo Fondatore, può portare rimedio ai gravissimi mali che travagliano l’umanità.

    A voi dunque (come già avete dimostrato di volere fare) spetta attingere a questi princìpi fecondi le norme sicure, per risolvere le gravi questioni sociali nelle quali oggi si dibatte la vostra Patria, quali sono ad esempio il problema agrario, la riduzione dei latifondi, il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie.

    Così, pur mettendo sempre in salvo l’essenza dei diritti primari e fondamentali, quali, ad esempio, il diritto di proprietà, ricorderete come talvolta il bene comune imponga restrizioni a tali diritti e un ricorso, più frequente che in passato, alle applicazioni della giustizia sociale.

    A tutela della dignità della persona umana può occorrere talvolta denunciare e biasimare arditamente condizioni di vita ingiuste e indegne; nello stesso tempo però bisognerà guardarsi, sia dal legittimare la violenza col pretesto di portare rimedio ai mali del popolo, sia dall’ammettere e favorire quelle rapide e violente mutazioni di condizioni secolari della società, che possono portare a effetti più funesti del male stesso al quale si voleva porre riparo.

    Questo intervento nella questione sociale vi porterà altresì ad occuparvi con zelo particolare della sorte di tanti poveri operai, che troppo facilmente divengono preda di una propaganda scristianizzatrice, col miraggio di vantaggi economici presentati alle loro menti quasi mercede della loro apostasia da Dio e dalla sua Chiesa.

    Se amate veramente l’operaio (e dovete amarlo perché le sue condizioni di vita maggiormente si avvicinano a quelle del divino Maestro) dovete assisterlo materialmente e religiosamente. Materialmente, procurando che sia a suo favore praticata non solo la giustizia commutativa ma anche la giustizia sociale, cioè tutte quelle provvidenze che mirano a sollevarne la condizione di proletario; religiosamente poi, ridandogli i conforti religiosi, senza i quali egli si dibatterà in un materialismo che lo abbrutisce e lo degrada.

    Non meno grave né meno urgente è un altro dovere; quello della assistenza religiosa ed economica dei « campesinos » ed in genere di quella parte non piccola di vostri figli che formano la popolazione, per lo più agricola, degli Indii. Sono milioni di anime, pur esse redente da Cristo, da Lui affidate alle vostre cure e di cui vi chiederà conto un giorno: sono milioni di individui spesso in così tristi e miserevoli condizioni di vita, da non avere nemmeno quel minimo di benessere indispensabile per tutelare la stessa dignità umana. Vi scongiuriamo, Venerabili Fratelli, nelle viscere della carità di Cristo, ad aver cura particolare di cotesti figli, ad incoraggiare il vostro clero a dedicarsi con sempre crescente zelo alla loro assistenza, e ad interessare tutta l’Azione Cattolica Messicana a quest’opera di redenzione morale e materiale.

    Né possiamo qui omettere un cenno a un dovere che in questi ultimi anni va sempre crescendo d’importanza: l’assistenza ai Messicani emigrati all’estero, i quali, sradicati dalla loro terra e dalle loro tradizioni, più facilmente divengono preda della insidiosa propaganda di emissari, che cercano di indurli ad apostatare dalla loro Fede. Un accordo con i vostri zelanti confratelli degli Stati Uniti d’America procurerà una cura più diligente ed organizzata da parte del clero locale, ed assicurerà agli emigrati messicani quelle provvidenze economiche e sociali che sono così sviluppate nella Chiesa Nord americana.

    Se l’Azione Cattolica non può trascurare le classi più umili e più bisognose degli operai, dei contadini, degli emigrati, ha in altri campi non meno gravi ed imprescindibili doveri. Fra l’altro essa deve con sollecitudine tutta particolare occuparsi degli studenti, che un giorno avranno, come professionisti, una grande influenza nella società e forse anche copriranno cariche pubbliche. Alla pratica della religione cristiana, alla formazione dell’indole e della coscienza cattolica, che sono elementi fondamentali per tutti i fedeli, dovete associare una speciale ed accurata educazione e preparazione intellettuale, appoggiata alla filosofia cristiana, quella cioè che con tanta verità fu detta filosofia perenne. Oggi, infatti, una solida ed adeguata istruzione religiosa sembra ancora più necessaria che in altri tempi, data la contraria tendenza sempre più generale della vita moderna alle esteriorità, la riluttanza e difficoltà alla riflessione e al raccoglimento, anzi la propensione, anche nella vita religiosa, a lasciarsi guidare più dal sentimento che dalla ragione.

    Quello che lodevolmente fa l’Azione Cattolica in altri paesi per la formazione culturale e per ottenere che l’istruzione religiosa abbia il primato intellettuale fra gli studenti e laureati cattolici, desideriamo ardentemente che si faccia, nella misura del possibile, anche tra di voi, adattando l’istruzione alle particolari condizioni, necessità e possibilità della vostra Patria.

    Ci dànno molta fiducia per un migliore avvenire del Messico gli universitari che militano nell’Azione Cattolica, e non dubitiamo che essi corrisponderanno alle Nostre speranze. È evidente che essi sono parte, e parte importante, di questa Azione Cattolica che Ci sta così a cuore, quali siano le sue forme organizzative, che dipendono in gran parte da condizioni e circostanze locali, varianti da paese a paese. Questi universitari, anzi, non solo ci assicurano, come dicemmo, le più valide speranze di un domani migliore, ma oggi stesso possono rendere effettivi servizi alla Chiesa e alla Patria, sia con l’apostolato che compiono tra i loro compagni, sia dando ai vari rami e alle varie organizzazioni dell’Azione Cattolica capaci e illuminati dirigenti.

    Le speciali condizioni della vostra Patria ci obbligano a richiamarvi la necessaria, doverosa, imprescindibile cura dei fanciulli, la cui innocenza è insidiata, la cui educazione e formazione cristiana sono messe a così dura prova.

    A tutti i cattolici messicani si impongono due gravi precetti: l’uno negativo, che è di tenere quanto è possibile lontani i fanciulli dalla scuola empia e corruttrice; l’altro positivo, che è di procurare ad essi una conveniente, accurata assistenza ed istruzione religiosa. Sul primo punto, così grave e delicato, abbiamo già avuto, anche recentemente, occasione di farvi conoscere il Nostro pensiero. Per quanto poi riguarda l’istruzione religiosa, sebbene conosciamo con quanta insistenza voi stessi l’abbiate raccomandata ai vostri sacerdoti e ai vostri fedeli, pur vi ripetiamo che, essendo questo uno fra i più importanti e capitali problemi di oggi per la Chiesa messicana, è necessario che quanto si fa già lodevolmente in alcune diocesi si estenda a tutte le altre, in modo che i sacerdoti e i militi dell’Azione Cattolica si applichino con ogni ardore e senza badare ad alcun sacrifizio a conservare a Dio e alla Chiesa questi piccoli, per i quali il divino Salvatore ha mostrato tanta predilezione.

    L’avvenire di queste giovani generazioni — ve lo ripetiamo con tutta l’angoscia del Nostro cuore paterno — desta in Noi le più vive sollecitudini e le più gravi ansietà. Sappiamo a quali pericoli sono esposte oggi più che mai la fanciullezza e la gioventù, dappertutto, ma in particolar modo nel Messico, dove una stampa immorale e antireligiosa pone nei loro cuori i germi della loro apostasia da Gesù Cristo. Per rimediare a tanta iattura e premunire i vostri giovani da siffatti pericoli, occorre che tutti gli espedienti legali e tutte le forme organizzative siano posti in atto, come, per esempio, le Leghe di Padri di famiglia, i Comitati di moralità e di vigilanza sulle pubblicazioni e di censura dei cinematografi.

    Per quello che riguarda la difesa individuale dei singoli, Noi ben sappiamo, per testimonianza che Ci perviene da tutto il mondo, che il militare nelle file dell’Azione Cattolica costituisce il presidio migliore contro le insidie del male, la più bella scuola di virtù e di purezza, la più efficace palestra di fortezza cristiana. Proprio questi giovani, rapiti dalla bellezza dell’ideale cristiano, sostenuti dall’aiuto divino che si assicurano con la preghiera e con i sacramenti, si dedicheranno con ardore e con gioia alla conquista delle anime dei loro compagni, raccogliendo consolante messe di bene.

    In ciò abbiamo un’altra prova che, di fronte ai bisogni così grandi del Messico, l’Azione Cattolica non si può dire opera di secondaria importanza. Qualora dunque essa, che è educatrice delle coscienze e formatrice delle doti morali, venisse comunque posposta ad altra opera estrinseca di qualsiasi specie, anche se si trattasse di sorgere a difesa delle necessarie libertà religiose e civili, si commetterebbe un ben doloroso abbaglio; perché la salute del Messico, come di ogni altra società umana, è posta anzitutto nella eterna, immutabile dottrina evangelica e nella pratica sincera della morale cristiana.

    Stabilita questa graduazione di valori e di attività, deve peraltro ammettersi che la vita cristiana, per svolgersi, ha bisogno pure di ricorrere a mezzi esterni e sensibili; che la Chiesa, essendo una società di uomini, richiede, rispetto alla naturale esigenza della vita e del suo necessario incremento, una legittima libertà d’azione, e che i suoi fedeli hanno diritto di trovare nella società civile possibilità di vivere in conformità ai dettami della loro coscienza.

    È quindi naturale che, quando le più elementari libertà religiose e civili vengono impugnate, i cittadini cattolici non si rassegnino senz’altro a rinunziarvi.Tuttavia la rivendicazione anche di questi diritti e di queste libertà potrà essere più o meno opportuna, più o meno energica, a seconda delle circostanze.

    Voi avete più di una volta ricordato ai vostri fedeli che la Chiesa è fautrice di ordine e di pace, anche a costo di gravi sacrifici, e che condanna ogni ingiusta insurrezione e violenza contro i poteri costituiti. D’altra parte fra di voi si è pure detto che, qualora questi poteri insorgessero contro la giustizia e la verità al punto di distruggere le fondamenta stesse dell’autorità, non si vedrebbe come dover condannare quei cittadini che si unissero per difendere con mezzi leciti ed idonei se stessi e la Nazione, contro chi si vale del potere per trarne a rovina la cosa pubblica.

    Se la soluzione pratica dipende dalle circostanze concrete, dobbiamo tuttavia da parte Nostra ricordarvi alcuni princìpi generali, da tener sempre presenti, e cioè:
    1. che queste rivendicazioni hanno ragione di mezzo, o di fine relativo, non di fine ultimo ed assoluto;
    2. che, in ragione di mezzo, devono essere azioni lecite e non intrinsecamente cattive;
    3. che, se vogliono essere mezzi proporzionati al fine, devono usarsi solo nella misura in cui servono ad ottenere o rendere possibile, in tutto o in parte, il fine, ed in modo da non recare alla comunità danni maggiori di quelli che si vorrebbero riparare;
    4. che l’uso di tali mezzi e l’esercizio dei diritti civici e politici nella loro pienezza, abbracciando anche problemi di ordine puramente materiale e tecnico, o di difesa violenta, non entrano in alcun modo nei compiti del clero e dell’Azione Cattolica come tali, benché ad essi appartenga preparare i cattolici a far retto uso dei loro diritti ed a propugnarli per tutte le vie legittime, secondo l’esigenza del bene comune;
    5. Il clero e l’Azione Cattolica — essendo per la loro missione di pace e di amore consacrati ad unire tutti gli uomini « nel vincolo della pace »[7] — devono contribuire alla prosperità della Nazione, specialmente fomentando l’unione dei cittadini e delle classi e collaborando a tutte le iniziative sociali, che non siano in contrasto con il dogma o la legge morale cristiana.

    Del resto, questa stessa attività civile dei cattolici messicani, svolta con uno spirito così nobile ed elevato, otterrà risultati tanto più efficaci quanto più i cattolici stessi avranno quella visione soprannaturale della vita, quella educazione religiosa e morale e quello zelo ardente per la dilatazione del Regno di Cristo che l’Azione Cattolica si propone di dare.

    Di fronte a una felice coalizione di coscienze che non intendono rinunziare alla libertà rivendicata loro da Cristo [8], quale potere o forza umana potrebbe aggiogarle al peccato? Quali pericoli, quali persecuzioni, quali prove potrebbero separare anime così temprate dalla carità di Cristo?[9].

    Questa retta formazione del perfetto cristiano e cittadino, in cui il soprannaturale nobilita tutte le doti e le azioni e le esalta, contiene anche, come è naturale, il compimento dei doveri civili e sociali. Di fronte agli avversari della Chiesa, Sant’Agostino proclamava a lode dei suoi fedeli: «Datemi tali padri di famiglia, tali figli, tali padroni, tali sudditi, tali mariti, tali spose, tali uomini di governo, tali cittadini, come quelli che forma la dottrina cristiana, e se non potete darli, confessate che questa dottrina cristiana, se si pratica, è la salvezza dello Stato »[10].

    Così, un cattolico si guarderà, ad esempio, di trascurare il suo diritto di voto quando viene a repentaglio il bene della Chiesa o della Patria. Né potrà darsi il pericolo di vedere cattolici che per l’esercizio delle attività civiche e politiche si organizzano in gruppi particolari, talvolta contrastanti tra di loro od anche contrari alle direttive dell’autorità ecclesiastica. Ciò sarebbe un accrescere la confusione e un disperdere le forze, a tutto detrimento sia dello sviluppo dell’Azione Cattolica sia della causa stessa che si vorrebbe difendere.

    Già abbiamo accennato ad attività che, sebbene non contrastanti, sono certo al di fuori dell’Azione Cattolica, come sarebbero quelle di partito politico o quelle prettamente economico-sociali. Ma esistono molte altre benefiche attività — come le Leghe di Padri di Famiglia, per la difesa delle libertà scolastiche e dell’insegnamento religioso, l’Unione di cittadini per la difesa della famiglia e della santità del matrimonio, e della pubblica moralità — che si possono riordinare attorno al nucleo centrale della Azione Cattolica. Essa infatti non si irrigidisce in schemi fissi; coordina anzi, come attorno ad un centro irradiatore di luce e di calore, altre iniziative ed istituzioni ausiliarie che pur godendo di una giusta autonomia e di una opportuna libertà di azione, necessarie per il raggiungimento dei loro fini specifìci, sentono però il bisogno di seguirne le direttive programmatiche.

    Ciò vale soprattutto per la vostra così estesa Nazione ove la varietà dei bisogni e delle condizioni locali può richiedere che, pur sulla base di princìpi comuni, si usino diversi metodi di organizzazione e si abbiano anche diverse soluzioni pratiche, ma egualmente giuste, di uno stesso problema.

    Spetterà a voi, Venerabili Fratelli, collocati dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio, dare l’ultima decisione pratica in questi casi, alla quale i fedeli presteranno docilità e fedeltà secondo le vostre direttive. Il che Ci sta sommamente a cuore, perché la retta intenzione e l’obbedienza, sempre e dappertutto, sono le condizioni indispensabili per attirare le benedizioni divine sul ministero pastorale e sull’Azione Cattolica e a determinare quell’unità d’indirizzo e quella fusione di energie che sono un presupposto indispensabile alla fecondità dell’apostolato. Scongiuriamo pertanto con tutto l’animo Nostro i buoni cattolici Messicani ad aver cara l’obbedienza e la disciplina. «Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi. Essi vegliano su di voi, come chi ha da renderne conto ». E sia l’obbedienza piena di gioia e stimolatrice delle migliori energie, « affinché facciano questo con gioia e non gemendo »[11]. Chi obbedisce solo a malincuore e come per forza, sfogando l’interno risentimento in amare critiche contro i superiori ed i compagni di lavoro, contro tutto ciò che non è secondo il proprio modo di vedere, allontana le benedizioni divine, infrange il nerbo della disciplina e distrugge là dove si dovrebbe costruire.

    Insieme con l’obbedienza e la disciplina Ci piace ricordare quegli altri doveri di carità universale che Ci vengono suggeriti da San Paolo in quello stesso cap. IV della Lettera agli Efesini, che abbiamo già citato e che dovrebbe essere la norma fondamentale di tutti quelli che lavorano nella Azione Cattolica: «Vi esorto dunque, io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna… con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito »[12].

    Ai Nostri carissimi figli messicani, che sono tanta parte delle cure e delle sollecitudini affettuose del Nostro Pontificato, rinnoviamo l’appello alla unità, alla carità, alla pace, nel lavoro apostolico dell’Azione Cattolica, che dovrà ridonare Cristo al Messico e restituirvi la pace e la prosperità anche temporale.

    I Nostri voti e le Nostre preghiere deponiamo ai piedi della vostra celeste Patrona invocata sotto il titolo di Nostra Signora di Guadalupe, che nel suo Santuario suscita tuttora l’amore e la venerazione di ogni Messicano. A Lei, che sotto questo titolo è venerata e benedetta anche in quest’Alma Città, dove anzi Noi stessi erigemmo una Parrocchia dedicata in suo onore, chiediamo ardentemente che esaudisca i Nostri e vostri voti, per il prospero avvenire del Messico, della pace di Cristo nel Regno di Cristo. Con questi voti e con questi sentimenti impartiamo di tutto cuore a voi, ai vostri sacerdoti, all’Azione Cattolica Messicana, a tutti i diletti figli del Messico, a tutta la nobile Nazione messicana una specialissima Apostolica Benedizione.

    Sia questa Nostra Lettera un pegno di risurrezione spirituale pel vostro paese: abbiamo voluto datarla per la Pasqua di Risurrezione, quale paterno auspicio che, come siete stati così vivamente partecipi dei patimenti di Cristo, così sarete del pari partecipi della sua risurrezione.

    Dato a Roma, presso San Pietro, nella festa della Pasqua di Risurrezione, il 28 marzo 1937, anno XVI del Nostro Pontificato.

    PIUS PP. XI
    --------------------------------------------------------------------------------

    [1] I Petr., II, 9.

    [2] Rom., XII, 5.

    [3] Ephes., IV, 12-16.

    [4] Luc., XII, 32.

    [5] Luc., XII, 31.

    [6] Marc., VIII, 2-3.

    [7] Ephes., IV, 3.

    [8] Gal., IV, 31.

    [9] Rom., VIII, 35.

    [10] Epist. 138 ad Marcellinum, c. 2, n. 15.

    [11] Hebr., XIII, 17.

    [12] Ephes., IV, 1-4.

  6. #6
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    I "cristeros" messicani (1926-1929)

    di Oscar Sanguinetti

    1. Per una civiltà cattolica iberoamericana


    La rivolta dei cristeros inizia nel 1926 e si conclude, anche se non definitivamente, nel 1929. E cristeros deriva da Cristos Reyes, i "Cristi-Re", come gli avversari definivano con intento spregiativo gli insorti cattolici che combattevano al grido di "Viva Cristo Re!", riprendendo il tema della regalità di Cristo, all'epoca molto popolare e in sintonia con l'enciclica sull'istituzione della festa di Cristo Re Quas primas, pubblicata nel 1925 da Papa Pio XI (1922-1939).

    Nel Messico, nei secoli seguenti la scoperta e la conquista dell'America, era avvenuta una feconda fusione fra cattolicesimo e cultura indigena. La civiltà iberoamericana, una miscela di elementi senza eguali nel tempo e nello spazio, vi aveva dato frutti di grande originalità in tutti i campi, compresi quelli delle arti figurative e della musica. All'inizio del secolo XX questa cultura, con una religiosità luminosa, pubblica, sopravvive ancora, anche se allo stato residuale e subalterno, nei ceti popolari e rurali, mentre le classi alte e il ceto politico e intellettuale hanno ampiamente assorbito le idee illuministiche e liberali. Dagli inizi del secolo alla guida della repubblica presidenziale federale messicana, per lo più a seguito di colpi di Stato e di guerre civili, si era avvicendata una serie di generali o di despoti, espressione della fazione di volta in volta vincente all'interno dell'unico e intoccabile establishment massonico e laicista, prevalso nella seconda metà dell'Ottocento. Quando scoppia l'insurrezione cattolica è al potere un generale, Plutarco Elías Calles (1877-1945), che pratica una politica rigidamente "modernizzatrice" - il suo partito si autodefinisce "rivoluzionario istituzionale" -, filostatunitense e con simpatie per il nascente socialismo latinoamericano. Questa politica porta il governo messicano a inasprire la lotta contro la Chiesa, vista non solo come centro sovranazionale di diffusione dell'"oppio del popolo" - secondo il cliché laicista - ma pure come bastione della conservazione e come ostacolo al latente totalitarismo statale. Il regime di Calles si differenzia dai precedenti per lo stile, il pugno di ferro, lo spirito da scontro epocale che egli ostenta, anche personalmente, nel realizzare la sua politica e che gli varrà, fra i cattolici, il nomignolo di "Nerone".

    2. Il conflitto fra Stato e Chiesa

    Nel 1917 il governo di Venustiano Carranza (1859-1920) vara una costituzione fortemente laicistica, che però non viene mai applicata. Nel 1926 il Governo Calles ordina ai governatori dei diversi Stati di emanare decreti volti a far applicare il dettato costituzionale in materia di disciplina dei culti. Essi prevedevano, di fatto, la radicale separazione fra Chiesa e Stato, la completa scristianizzazione dei luoghi pubblici - tribunali, scuole, e così via -, l'esproprio totale degli edifici di culto e dei seminari, la proibizione dei voti e degli ordini religiosi, la trasformazione del clero in un corpo di funzionari statali e il "numero chiuso" per lo stesso clero, che doveva essere messicano di nascita, sancendo così l'espulsione dei missionari stranieri. Nel 1925 il Governo, mentre favorisce la diffusione delle missioni protestanti nordamericane, tenta anche - ma invano, a causa della reazione dei cattolici -, di dar vita a una Chiesa Nazionale separata da Roma. Le violenze poliziesche seguenti il tentativo di applicare la nuova disciplina antiecclesiastica, in vigore dal 31 luglio 1926, generano immediatamente la reazione del mondo cattolico, che dà vita a una Lega Nazionale di Difesa della Libertà Religiosa. L'episcopato messicano, in sintonia con la Segreteria di Stato vaticana, retta dal card. Pietro Gasparri (1852-1934), dopo diversi tentativi, falliti, di resistenza legale non violenta - scioperi, boicottaggi e petizioni popolari -, ritiene di reagire alla escalation del terrorismo governativo con un provvedimento inusitato e clamoroso: in segno di protesta sospende completamente l'esercizio del culto pubblico. L'atto, senz'altro legittimo, si rivela però imprudente perché non teneva conto della determinazione degli ambienti governativi di andare fino in fondo nell'affermare il proprio controllo sulla Chiesa - anche se prove in questo senso non erano mancate negli anni precedenti - e, soprattutto, sottovalutava l'impatto che la sospensione del culto avrebbe avuto sul vissuto popolare quotidiano, specialmente dei più umili. Infatti, la cultura del popolo, profondamente nutrita di Bibbia e di leggende religiose, caratterizzata da una forte tensione escatologica, vivacizzata da un'intensa e diffusa pratica devozionale, interpretava consuetamente gli avvenimenti all'interno di categorie che si potrebbero definire "mistiche" e "apocalittiche". Anche la persecuzione di Calles viene dunque letta come l'abbattersi di un flagello biblico, e con altrettanto spirito apocalittico nasce nel popolo la convinzione che occorra reagire, come i fratelli Maccabei, impugnando le armi per ripristinare la giustizia violata.

    3. L'insurrezione

    Fin dai giorni immediatamente seguenti la sospensione del culto, in più di uno Stato, iniziano ad accendersi focolai di sollevazione. La Santa Sede si oppone alla rivolta armata, l'episcopato non la promuove né l'appoggia. Il mondo cattolico ufficiale - la Lega Nazionale di Difesa della Libertà Religiosa - persiste nell'azione di resistenza legale, che viene repressa con ancora maggiore asprezza: i federali non fanno distinzioni troppo sottili fra cristeros e circoli di Azione Cattolica, il che provoca innumerevoli martiri, particolarmente fra il clero. Il più noto è il sacerdote gesuita Miguel Agustín Pro (1891-1927), beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 25 settembre 1988.

    Dall'agosto del 1926 i focolai di rivolta diventano un incendio che divampa in quasi tutti gli Stati della federazione. Comunità intere si sollevano in massa. Clan familiari e confraternite laicali si danno alla macchia sulle montagne, da dove attaccano le truppe federali e le formazioni irregolari filogovernative, i cosiddetti "agraristi". Lo scontro è fin da subito violentissimo. Contro i ribelli - che gli avversari disprezzano come esseri subumani -, numerosi ma male armati e privi d'inquadramento militare, il Governo mobilita le truppe migliori dell'esercito nazionale, inclusa l'aviazione. Cionostante, i cristeros, forti dell'appoggio popolare e praticando la guerriglia, infliggono gravi perdite ai federali e aumentano, passando a controllare e ad amministrare aree sempre più vaste del territorio nazionale, in particolare nella parte centro-meridionale del paese, negli Stati di Durango, Morelia, Jalisco, Zacatecas, Michoacan, Veracruz, Colima e Oaxaca. Un salto di qualità si ha quando, nel 1927, la guida dell'esercito cristero - che conta circa ventimila uomini - viene presa dall'ex generale federale Enrique Gorostieta Velarde (1891-1929), che aderisce inizialmente alla rivolta più per spirito anticonformista che per convinzione religiosa, ma che maturerà in consapevolezza, prima di essere ucciso a tradimento, in combattimento, il 2 giugno del 1929. Fra il 1927 e il 1928 gli insorti sono in grado di affrontare l'esercito federale in vere e proprie battaglie campali, con impiego dell'artiglieria e della cavalleria. Gli aiuti ai combattenti provengono dalla rete creata dalle famiglie, dalle confraternite e dalle organizzazioni di soccorso. In questa sanguinosa guerra clandestina si distinguono le brigate paramilitari femminili, intitolate a santa Giovanna d'Arco (1412-1431). Il clero - i vescovi, tranne due o tre, sono fuggiti all'estero e i sacerdoti vivono nella clandestinità - è pressoché assente fra i combattenti, che devono supplire alla mancanza dei sacramenti con la preghiera, soprattutto con la recita del rosario e dei salmi e con la devozione ai santi patroni. Alla fine del 1928 per i federali comincia a profilarsi il fantasma di una sconfitta sul campo: non riescono più a sostenere il peso della guerra civile su tanti fronti e, soprattutto, sembrano stanchi del terrore su vasta scala, che hanno scatenato contro il loro stesso popolo. Grandi battaglie hanno luogo agli inizi del 1929 - la maggiore è quella di Tepatitlán, nello Stato di Jalisco, il 19 aprile - e il movimento cristero, che conta circa cinquantamila combattenti, è molto vicino alla vittoria.

    4. Gli "Arreglos" e la "Segunda"

    Davanti alle crescenti difficoltà di domare l'insorgenza, il Governo fa balenare la possibilità di una tregua e i vertici cattolici, che non comprendono la guerra dei cristeros e sono sempre rimasti in spasmodica attesa di un segno di buona volontà da parte dell'avversario, raccolgono subito il segnale e accordi, del tutto informali, gli Arreglos, vengono frettolosamente sottoscritti il 22 giugno 1929, con l'attenta e determinante regìa della Segreteria di Stato vaticana, e il culto pubblico riprende. Per la Chiesa e per la popolazione questo costituisce un indubbio sollievo, ma per la sollevazione armata significa la fine.

    Venuto meno il generale consenso popolare, costretti a cedere le armi e a tornare ai propri villaggi, i cristeros si trovano immediatamente esposti alla vendetta, anche privata, dei federali, dal momento che gli Arreglos non contenevano nessuna garanzia a salvaguardia dei combattenti. Mentre la Chiesa non ricupera la sua libertà e, anzi, continua a essere perseguitata, la repressione nei confronti dei combattenti cristiani - soprattutto dei capi e dei quadri -, per lo più contadini, continua ininterrottamente, almeno fino agli anni 1940. Così i cristeros, dopo una ripresa disperata della rivolta fra il 1934 e il 1938 - la cosiddetta Segunda -, quasi scompaiono, talora fisicamente, dalla storia del paese: restano ancora oggi, indomiti, alcuni piccoli nuclei di reduci che pubblicano un periodico, David. Nonostante l'oggettivo appeasement, fra Stato e Chiesa permangono strascichi latenti di quella guerra mai vinta e mai persa, fra i quali può forse venire inquadrata la "misteriosa" uccisione, il 24 maggio del 1993, del card. Juan Jésus Posadas Ocampo (1926-1993), arcivescovo di Guadalajara.

    La guerra dei cristeros, gloriosa e sfortunata, costata dalle settanta alle ottantacinquemila vite umane, sembra essere considerata tanto dalla Chiesa quanto dallo Stato messicani un malaugurato incidente di percorso nel processo di ralliement fra Chiesa e mondo moderno, sì che ricerche storiche, come quella fondamentale dello storico e sociologo francese Jean Meyer, negli anni 1960, hanno incontrato non pochi ostacoli. In realtà, si tratta di una pagina di storia complessa e ancora non del tutto chiarita - a proposito della quale le animosità, soprattutto laicistiche, non si sono ancora placate -, ma altamente significativa. Sul piano storico, siamo di fronte a un episodio dello scontro plurisecolare, nella sua versione armata e popolare, fra la Modernità, con i suoi processi di secolarizzazione delle culture e delle istituzioni politiche a fondamento religioso, e tali culture, pur residualmente di stampo sacrale tradizionale. Sul piano politico, la "lezione messicana" contribuisce all'elaborazione di una nuova strategia della Rivoluzione nei confronti dei cattolici, quella della "mano tesa".
    --------------------------------------------------------------------------
    Per approfondire: vedi una prima ricostruzione, nel mio La Chiesa e le insorgenze popolari controrivoluzionarie, in AA. VV, Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, a cura di Franco Cardini, 3a ed., Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1995, pp. 373-407 (pp. 396-401), che fa stato dei risultati della ricerca dello storico e sociologo francese Jean Meyer, da lui stesso condensati nel suo contributo Quando la storia è scritta dai vincitori. Insurrezione vandeana e rivolta dei cristeros messicani: due sollevazioni popolari escluse dalla storia ufficiale e dalla memoria nazionale, in AA. VV., La Vandea, trad. it., Corbaccio, Milano 1995, pp. 234-246; e nell'intervista Messico 1926-1929. La guerra dei "cristeros", a cura di Alver Metalli, in 30 Giorni nella Chiesa e nel mondo, anno VIII, n. 5, maggio 1990, pp. 56-61; vedi pure la rievocazione del padre comboniano Fidel González Fernández, Messico martire, in Litterae Communionis. Rivista mensile di Comunione e Liberazione, anno XX, marzo 1993, pp. 48-50; e Idem, A causa mia, ibid., anno XX, aprile 1993, pp. 50-52; nonché l'intervista della pittrice messicana Dolores Ortega, Il potere e la gloria, a cura di Stefano Maria Paci, in 30 Giorni nella Chiesa e nel mondo, anno XI, n. 3, marzo 1993, pp. 66-70.

    Fonte: Voci per un Dizionario del Pensiero Forte

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    L’epopea nazionale del XIX secolo. Leggendarie figure: Madero l’intellettuale; Zapata il trascinatore di peones; Villa il guerrigliero; i cattolici in armi

    QUE VIVA MEXICO! DALLA RÉVOLUCIÓN ALLA CRISTIADA

    di RENZO PATERNOSTER


    Il Messico è da sempre terra di contrasti, dove storia, arte, economia e religione si sono intrecciati in una spirale di violenza e di ingiustizia. Prima della famosissima “Rivoluzione messicana” avvenuta agli inizi del XX secolo, il Messico aveva conosciuto, nello spazio di cinquant’anni, settantadue colpi di Stato e trentasei costituzioni: una lunga serie di generali e despoti, espressione della fazione di volta in volta più forte all’interno dell’intoccabile sistema di potere massonico.
    Il Messico è un Paese in cui le figure di bronzo che adornano le piazze cittadine, rappresentano quasi sempre gli uomini che combatterono per la patria, i vari eroi, quasi tutti morti tragicamente, di una Nazione troppo spesso sconvolta da tumulti e rivolte. L’inno messicano, quasi contemporaneo al nostro di Mameli, inizia proprio così: «Messicani al grido di guerra, preparate le braccia e i cavalli, appena la terra trema fino al centro, per il cupo rimbombo del cannone».
    Uno dei grandi elementi di coesione del Paese è da sempre il cattolicesimo. Grande influenza ha avuto da sempre la Chiesa, dal cui intervento diretto nella vita del Paese sortì tuttavia un duplice effetto: l’alto clero, che si identificò negli interessi dei dominatori spagnoli e dei ceti proprietari, fu per questo guardato con disprezzo; mentre il basso clero, povero e sensibile alle necessità degli indios e dei meticci fu sempre guardato con simpatia, anche per le sue benemerenze nell’istruzione popolare e nell’assistenza, nella rivendicazione della terra. Proprio la rivendicazione della “terra comune” è uno dei temi cardini di tutta la storia del Messico post-ispanico.
    A tutt’oggi esistono ancora sacche rivoluzionarie che rivendicano il possesso della terra, che rimane ancora nelle mani di pochi. Azioni di guerriglia sono ancora all’ordine del giorno. La rivoluzione nello Stato meridionale del Chiapas si è organizzata attorno all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Brutalmente l’esercito reprime ogni sospetta rivendicazione da parte degli indios, definiti dallo Stato come terroristi che minacciano il bene del Paese.

    Breve excursus storico. Il Messico, un Paese grande sette volte l’Italia, non ha in sostanza conosciuto requie fin dall’arrivo di Hernán Cortés nel 1519. Come tutti i conquistadores portò la cosiddetta civiltà, sterminando gli indios e praticando lo sfruttamento sistematico e indiscriminato delle sue risorse. In nome del cristianesimo i primi coloni spagnoli si sentirono autorizzati a soffocare ogni cultura diversa dalla loro, nascondendosi dietro il pretesto della civilizzazione di quei popoli. Da allora in poi battaglie, guerre civili, colpi di Stato, invasioni, rivoluzioni, sangue e vendette ne hanno scandito la storia.
    Nel 1810 iniziò la lotta per l’indipendenza dalla Spagna, che si concluse nel 1815 quando la regione centroamericana si staccò dal vicereame della Nuova Spagna, proclamando nel 1821 la nascita del primo Stato messicano repubblicano.
    Il 14 aprile del 1823 il Congresso Costituente adottò ufficialmente la bandiera tricolore. Si decise così che il drappo doveva essere diviso verticalmente in tre parti, ognuna di differente colore: la prima, quella vicina all’asta doveva essere verde, quella al centro bianca, infine quella all’esterno rossa. Nella parte centrale era prevista un’aquila messicana, senza corona, posata su di un fico d’India che spunta da una roccia circondata dall’acqua. L’aquila posata sulla zampa sinistra, avrebbe avuto fra gli artigli destri un serpente, in più doveva essere contornata dai simboli repubblicani: i rami di quercia e d’alloro. Nel corso della storia nella bandiera messicana è variata solo la posizione dell’aquila, restando immutata nei colori.

    Il Messico repubblicano. Già dal 1845 iniziarono le prime sventure per il neonato Stato latinoamericano: gli Stati Uniti d’America decisero di annettersi il Texas, la regione più settentrionale messicana. La guerra che inevitabilmente seguì, fece perdere al Messico anche altri territori, come la California, il Nevada, l’Arizona.
    A seguito della guerra civile scoppiata nel Paese nel 1858, la Francia (in accordo con l’Inghilterra) occupò il Messico offrendo la corona di questi nuovi domini all’arciduca d’Austria Massimiliano d’Asburgo. Questo s’autoproclamò imperatore del regno del Messico. La Francia in seguito si ritirò, lasciando da solo il nuovo sovrano messicano che, a seguito di sommosse interne, fu subito detronizzato e fucilato al Cerro de las Campanas, nel parco di una collina di Querétaro.
    Nel 1876 iniziò una nuova fase della storia messicana, nuova nelle persone ma non meno ignobile delle precedenti. Al potere s’insediò il conservatore José de la Cruz Porfirio Díaz, che s’impose con il determinante apporto dell’oligarchia dei proprietari terrieri, gli hacendados, dando vita ad un regime spietatamente dittatoriale.
    Porfirio Díaz (Oaxa, 1830 – Parigi, 1915) si distinse nella guerra messicana contro gli Stati Uniti, combattuta dal 1846 al 1848. In seguito dimostrò di essere un valoroso combattente nella guerra civile del 1858-1860, durante la quale sostenne la causa liberale del partito di Benito Juárez. Infine si qualificò come patriota nella lotta contro il regime dell’imperatore Massimiliano D’Asburgo. Presentatosi nelle elezioni presidenziali del 1867 e del 1871, ne uscì sconfitto. Nel 1876 riuscì a rovesciare il governo del presidente Tejada, dando vita ad un regime personale protrattosi per ben trentacinque anni, quindi sino al 1911.

    Il governo di José de la Cruz Porfirio Díaz. Il problema centrale della società messicana aveva continuato ad essere rappresentato dalla proprietà e dallo sfruttamento della terra. La legislazione varata da Benito Juárez, prima, e da Porfirio Díaz, dopo, aveva portato all’esproprio di larga parte della proprietà ecclesiastica e di tutte le terre comunali degli indios, favorendo un imponente processo di concentrazione dei fondi nelle mani di una ristretta oligarchia. Tutto questo quindi era avvenuto a danno della piccola proprietà e degli indios, privati dall’oggi al domani di tutte le proprietà comuni dei villaggi, riducendo alla posizione di contadini senza terra (i peones), costretti a lavorare e a vivere nelle grandi fattorie (le haciendas) e nelle grandi miniere, nelle piantagioni di caffé e tabacco nello Yucatán, nelle coltivazioni di zucchero dello Stato di Morelos, nei pozzi petroliferi di Tampico nella regione di Veracruz.
    Una legge del 1892, con cui il governo messicano cedeva i suoi diritti sul sottosuolo agli stranieri, garantì l’ingresso in Messico di potenti multinazionali statunitensi e soprattutto britanniche, che occuparono i centri economici strategici del Paese. L’estrazione del petrolio e dei gas naturali, di conseguenza, passò nelle mani delle imprese straniere. A partire da questo momento, l’interferenza statunitense nella vita politica ed economica messicana divenne asfissiante: la morsa economico-politica-militare arrivò a tal punto da pianificare l’ascesa di quello o quell’altro politico alla presidenza del Paese, di riuscire ad esportare in Messico i cereali statunitensi in uno Stato già rigoglioso di produzione agricola, di succhiare a prezzi stracciati grandi quantità di petrolio.
    I proprietari terrieri, appoggiati dal capitale straniero rivoluzionarono la produzione, orientandola soprattutto alle esigenze del mercato internazionale. Contemporaneamente iniziarono ad espandersi a danno dei piccoli possidenti e delle proprietà comuni indigene.
    La causa diretta più importante del periodo rivoluzionario che stava per scoppiare, fu la monopolizzazione del potere politico e sociale da parte di Porfirio Díaz. Il suo lungo governo si distinse, infatti, per i suoi connotati dispotici e violenti. Diaz fu un dittatore troppo dipendente dagli interessi del capitale straniero, infatti, grazie a massicci investimenti statunitensi e britannici, il Messico poté svilupparsi a livello commerciale ed economico.

    L’autoritarismo del regime Díaz si accentuò ancor di più nel 1904, con la scelta come vicepresidente di Ramon Corral, conosciuto per i suoi metodi crudeli e responsabile dell’eccidio degli indios yaqui e della loro deportazione da Sonora allo Yucatán.
    Il Messico di Porfirio Díaz, grazie alla completa apertura al capitale straniero, conobbe uno sviluppo economico mai raggiunto prima: il commercio con l’estero fece registrare un incremento del 300%, furono costruite linee telefoniche e ampliate quelle ferroviarie, che da mille chilometri passarono a venticinquemila, come anche furono impiantate grandi industrie tessili.
    Per contro si era creata nel Paese una profonda situazione d’ingiustizia sociale, in quanto le classi popolari furono escluse dai benefici della crescita economica. Tali vantaggi andavano ad esclusivo sostegno dell’alta borghesia e dei proprietari terrieri, ai quali fu permesso di appropriarsi delle proprietà appartenenti per tradizione alle comunità degli indios. Nel 1910 l’1% della popolazione possedeva il 97% delle terre, mentre il 96% della popolazione ne possedeva l’1%. A tutto questo va aggiunto il disumano sfruttamento del lavoro degli indios, che aveva ulteriormente peggiorato la loro condizione sociale ed economica. Così il velato ordine che Díaz cercava d’imporre al Paese, attraverso un esercito spietato, fu spesso frantumato da scioperi generali. Le frequenti manifestazioni popolari di dissenso furono ovviamente represse nel sangue.
    Nel 1910 il Messico si estendeva su un territorio di due milioni di chilometri quadrati, con quindici milioni d’abitanti. La popolazione era soprattutto rurale e per metà si concentrava negli altipiani centrali (il cuore del Messico pre-ispanico). La forza lavoro agricola era quella maggioritaria, si concentrava nelle grandi haciendas dei ricchi proprietari e si aggirava intorno a tremilioni e mezzo di lavoratori. I minatori erano poco più di centomila unità, mentre altri cinquecentomila erano occupati nei vari settori dell’industria di trasformazione e nei trasporti.

    L’opposizione a Díaz. Il diffuso malcontento popolare e la disorganizzazione finanziaria non faceva navigare in acque tranquille il governo di Porfirio Díaz. In questo clima crebbero le rivendicazioni di trasformazioni politico-sociali d’indirizzo agrario e democratico, con severe rimostranze nei confronti dello strapotere dei ricchi hacendados, i latifondisti protetti e favoriti dalla protervia del dittatore Díaz. Nel 1908, per respingere le accuse di autocrazia rivolte al suo governo, Díaz, ormai ottantenne, si dichiarò disposto a tollerare un’opposizione politica nelle elezioni del 1910.
    Il principale oppositore del presidente in carica fu Francisco Indalecio Madero, che si presentò all’appuntamento elettorale. Il movimento politico di Madero, di chiara intonazione liberale, reclamava l’allontanamento di Díaz e il ristabilimento delle garanzie costituzionali. Madero fu appoggiato da ambienti d’affari statunitensi, in opposizione agli interessi inglesi che appoggiavano Díaz.
    Francisco Indalecio Madero (San Pedro de las Colonias, 1873 – Città del Messico, 1913) figlio di un ricco proprietario terriero, si era educato negli Stati Uniti e a Parigi. Tornò in patria convertito allo spiritismo e, si racconta, durante una seduta spiritica gli comparve l’anima di suo fratello minore, deceduto molto giovane. Questo “spirito” gli ordinò di consacrarsi a salvare il suo Paese. Così Francisco Madero si votò alla liberazione dei messicani dai soprusi del dittatore. Egli s’impegnò in politica sostenendo un programma di riforme politiche e sociali, in opposizione al presidente “a vita” Porfirio Díaz.
    La campagna elettorale di Madero fu tutta incentrata su questo programma, soprattutto contro la rielezione di Díaz. Il suo motto politico fu: «Suffragio effettivo, non rielezione».
    Madero e il suo "Partito Antirielezionista" dovettero però fare i conti con una sempre più dura repressione: il presidente Dìaz avviò una campagna contro di lui costringendolo ad espatriare negli Stati Uniti. Dìaz venne rieletto. In Texas Madero, assieme agli uomini del suo partito, stilò il cosiddetto “Plan de San Luis”. Il documento, che prendeva il nome dalla città di San Luis de Potosì, dichiarava le elezioni del 1910 nulle e invitava la popolazione messicana a prendere le armi contro il governo del despota Díaz.

    I protagonisti della rivoluzione. Alla fine di novembre del 1910 scoppiarono numerose insurrezioni in tutto il Paese, ciascuna indipendente dall’altra e con un proprio piano. Tra tutti rivoluzionari si distinsero Emiliano Zapata e Francisco Pancho Villa.
    Francisco Pancho Villa (Durango, 1877 – Parral, 1923) in realtà si chiamava Doroteo Arango Arambula, ma preferiva utilizzare il nomignolo che gli amici gli avevano affibbiato, Pancho. Al suo cognome originario, Arango, preferì quello del nonno materno, Villa. Si racconta che un giorno scoprì il padrone della fattoria per la quale lavorava mentre tentava di violentare sua sorella. Così Pancho sparò e fuggì.
    Pancho Villa è ricordato come uno dei più grandi capi rivoluzionari messicani. A differenza di altri protagonisti della rivoluzione messicana, il suo passato è pieno di episodi di contrasto con le autorità locali per piccoli furti, ma anche di una lunga lista di mogli e figli (Villa “collezionò” venticinque mogli e venticinque figli). Questo ha pesato non poco sul giudizio storico del rivoluzionario. Attorno a Villa sono sorti vari tipi di leggenda, da quella che lo presenta come un donnaiolo e un bandito violento convertito alla rivoluzione, a quella che lo vede come vittima del dispotismo dei padroni, fino al quadretto che lo dipinge come un moderno Robin Hood. Pancho Villa prese parte alla rivoluzione messicana organizzando un esercito di contadini, che iniziò la rivolta attraverso la guerriglia nello Stato di Chihuaha.
    Emiliano Zapata (San Miguel Anenecuilco in Morelos, 1877 – Chinameca, 1919) è ricordato come uno dei più valorosi rivoluzionari della storia messicana. Grazie alla sua ferma richiesta di restituzione della terra agli indios, Zapata fu avvantaggiato dall’appoggio incondizionato da parte di queste popolazioni. Egli riuscì a reclutare un esercito di indios dai villaggi e dalle haciendas dello Stato di Morelos, unendosi alla rivoluzione guidata da Francisco Madero contro il regime di Porfirio Díaz. Due sono stati i suoi motti di battaglia: «Tierra y Libertad» e «La terra è di chi la lavora». Egli sosteneva caparbiamente che era «meglio morire in piedi che passare la vita in ginocchio».

    La révolución inizia. Il moto di rivolta contro il dittatore Diaz fu collettivo. Vi parteciparono tutti, dal ceto rurale ai settori privilegiati, anche quest’ultimi danneggiati dalle losche alleanze con le lobby straniere. Attorno a Madero, rientrato in Messico, si strinsero forze proletarie e contadine guidate anche da Venusiano Carranza (nello Stato di Coahuila), Emiliano Zapata (nello Stato di Morelos), Pascual Orozco e Francisco “Pancho” Villa (nello Stato di Chihuahua), Alvaro Obregón (nella regione di Sonora).
    La rivoluzione appena scoppiata non fu una lotta ben definita, ma un periodo in cui il sostegno popolare si spostava continuamente da uno all’altro dei vari leader che man mano si affacciavano sulla scena messicana. Il periodo rivoluzionario che si apre nel 1910 si suddivide in tre fasi. La prima è segnata dall’avvento al potere di Francisco Madero (1911-1913); la seconda è contraddistinta dalla guerra civile che scoppia in seguito al tentativo di abbattere il governo controrivoluzionario di Victoriano Huerta e sino al governo di Venusiano Carranza (1914-1920); la terza è caratterizzata da una guerra popolare cattolica contro i poteri liberali anticlericali (1920-1929).
    La storiografia classica non inserisce quest’ultimo periodo armato, preferendo fermarsi alla guerra civile rivoluzionaria vera e propria (1910-1920). A mio modesto parere, occorre inserire nel periodo rivoluzionario messicano anche la cosiddetta “Cristiada”, poiché comunque l’evento evidenziò uno dei motivi di coesione del popolo messicano, la religione cattolica e il culto della Vergine di Guadalupe. In ogni caso fu un evento di guerra civile rivoluzionaria che, partendo dalla minaccia (poi realizzata) di calpestare il sentimento religioso popolare, fece insorgere una vastissima parte della popolazione messicana. In più il numero delle vittime fu molto alto. Quindi, forse, è più appropriata la definizione di “Grande Ribellione” per identificare questo periodo della storia del Messico.
    Il 20 novembre era la data prevista per l’inizio della révolución. In questa data si verifica il primo intoppo alla corrente rivoluzionaria: lo zio di Madero, Catarino, aveva promesso al nipote di aspettare il suo rientro dagli Stati Uniti con quattrocento uomini, purtroppo si presentò all’appuntamento con solo dieci uomini. Ma la rivoluzione era già iniziata, molte insurrezioni nei vari Stati messicani erano cominciate. Madero si accontentò e iniziò la sua avventura rivoluzionaria.

    Una rivoluzione violenta. Pancho Villa aveva incendiato gli animi nello Stato di Chihuaha, mentre Emiliano Zapata aveva dato il via nello Stato di Morelos, ponendo all’ordine del giorno la necessità di una riforma agraria che restituisse la terra ai villaggi indigeni. Quest’ultimo stabilì il suo quartier generale in un ex mulino di riso. La rivoluzione proseguì con migliaia di morti da ambo le parti.
    Nel maggio del 1911 l’esercito rivoluzionario guidato da Madero conquistò la città di Ciudad Juárez, insediando un primo governo provvisorio sotto la sua guida. Nella battaglia per la presa di Ciudad, l’esercito rivoluzionario riuscì ad arrestare il generale Juan Navarro. Madero , fedele alla sua spiritualità mistica, lo voleva risparmiare; Villa, che si era troppo immedesimato nella figura del rivoluzionario giustiziere, lo voleva fucilare. Alla fine ebbe la meglio Madero, che fece imprigionare il generale. Le forze rivoluzionarie, dopo aspri combattimenti, costrinsero alle dimissioni Porfirio Diaz, che il 25 maggio 1911 lasciò la presidenza abbandonando poco dopo il Paese. Il 7 giugno dello stesso anno i rivoluzionari, in un clima di gioia popolare, entrarono vittoriosi nella capitale. La rivoluzione si fece governo.
    Il 1° ottobre Francisco Madero diventò il nuovo capo dello Stato Federale del Messico. Il presidente Madero, per i meriti ottenuti durante la guerra, nominò Zapata come capo della polizia rurale dello Stato di Morelos. Zapata, a sua volta, riuscì a strappare al nuovo presidente il formale impegno ad affrontare la questione agraria.
    L’eterogenea composizione dei rivoluzionari ben presto diede luogo a divisioni interne, causata dalla indecisione sulla politica da seguire e sulle riforme da adottare. Le continue interferenze statunitensi, irritati per la concorrenza inglese sull’estrazione del petrolio, complicarono ancor più la situazione. Inoltre, la borghesia messicana si opponeva fermamente alla presenza economica straniera, per questo spingeva per una “certa” monopolizzazione interna tutta messicana. In più Madero non riuscì a contenere la corruzione dilagante dei funzionari di governo e della burocrazia, soprattutto tradì le aspirazioni popolari che avevano scatenato la rivoluzione, non attuando le riforme sociali e politiche promesse. Per conservare il potere, il nuovo presidente si alleò con gli esponenti del vecchio regime porfirista, istituendo una tassa sulle compagnie straniere. Madero era proprietario di miniere di rame e di fonderie, per cui aveva tutto l’interesse ad appoggiare le rivendicazioni dei grandi proprietari, considerando ingombrante la presenza straniera.
    Sul fronte militare Zapata e Pancho Villa ripresero la lotta armata. Il 25 novembre 1911 i due rivoluzionari elaborarono un manifesto comune di un grande progetto di riforma agraria. Il “Plan de Ayala”, così si chiamava il progetto, servì per legittimare la continuazione della rivoluzione.

    Il colpo di Stato e la successiva rivolta. Il presidente Madero si ritrovò così a dover fronteggiare due rivolte scoppiate nel 1912. La prima, popolare, capeggiata da Zapata, al sud e da Pascual Orozco al nord; la seconda, militare, diretta dal nipote dell’ex dittatore, il generale Felix Díaz, nel nord del Paese. Il 9 febbraio del 1913, a queste due si aggiunse l’ammutinamento del presidio militare di Città del Messico.
    Madero diede il compito ai generali Victoriano Huerta, Felipe Angels e Juvencio Robles di soffocare a tutti i costi la rivoluzione. L’intervento militare fu durissimo, con massacri, incendi e deportazioni in campi specifici anche della popolazione civile in odore di ribellione.
    Di fronte alla minaccia di una degenerazione della rivolta contadina, nel febbraio del 1913, i latifondisti ricorsero al cuertelazo, un colpo di Stato controrivoluzionario, guidato dal capo dell’esercito, il generale Victoriano Huerta. Il generale fu un prosecutore della politica di Díaz, portavoce degli interessi più conservatori e della finanza statunitense e inglese. Huerta trovò subito un alleato nell’ambasciatore statunitense in Messico Henry Lane Wilson, ma anche simpatie politiche da parte di Gran Bretagna e Francia.
    Madero fu arrestato dall’esercito controrivoluzionario il 19 febbraio e, assieme al suo vicepresidente, fucilato a tradimento dopo tre giorni. Huerta prese il posto di Madero alla presidenza dello Stato. Il nuovo dittatore fu ancora più crudele dei precedenti, tanto da provocare una reazione anche da parte della bassa borghesia.
    Nel frattempo, ai rivoltosi guidati da Zapata e Orozco, si unirono altre forze rivoluzionarie: il battaglione rivoluzionario di Alvaro Obregón e i Dorados, i soldati della leggendaria “Divisione del Nord” di Francisco Pancho Villa. Alla testa del movimento insurrezionale si pose il “costituzionalista” Venustiano Carranza. In questo tragico quadro si inserirono anche le truppe statunitensi che, nell’aprile del 1914, adducendo a pretesto un incidente che aveva coinvolto la flotta americana ancorata al largo del Messico, occuparono nell’aprile del 1914 Vera Cruz, poi anche Chihuahua nel marzo del 1916. E’ chiaro che gli americani dovevano in qualche modo proteggere gli interessi e le proprietà Usa nella regione.
    La bravura di Villa nelle operazioni militari fu coronata da spettacolari successi che andarono a gonfiare numericamente il suo esercito, organizzato ora nella famosa Division del Norte, perno di tutta la campagna controrivoluzionaria. Man mano che l’Esercito del Nord avanzava verso la capitale, Villa confiscava i latifondi, promettendo ad ogni soldato della sua Division sessantadue acri i terra.
    Sconfitto militarmente e politicamente, il 20 luglio 1914 Huerta abbandonò il potere. Nel 1915 Huerta fu arrestato per l’assassinio di Madero e rinchiuso in carcere ad El Paso, nel Texas, dove a metà gennaio dell’anno dopo morì. Venustiano Carranza forte del carattere istituzionale della sua opposizione a Huerta si ritenne il capo legittimo del governo provvisorio. La revolución, ancora una volta, si fece governo.

    La presidenza di Venustiano Carranza. La vittoria riportò in primo piano le divisione interne al movimento rivoluzionario: Carranza non fu disposto a far proprie la riforma agraria proposta da Zapata. Una “Convenzione rivoluzionaria” riunita ad Aguascalientes nell’ottobre del 1914, cercò una qualche via d’intesa con il nuovo potere. Ma i rivoluzionari rivendicavano, a parte la riforma agraria prevista nel Plan de Ayala, anche il diritto allo sciopero e il riconoscimento dei sindacati. Villa e Zapata, che avevano proseguito la lotta armata, riuscirono a strappare al nuovo presidente la promessa di una riforma agraria e la nazionalizzazione delle imprese petrolifere straniere (cioè statunitensi).
    Divenuto presidente, Carranza promulgò l’ennesima Costituzione, fortemente centralistica e autoritaria, attirando ancora una volta il malcontento popolare. Il presidente Carranza fu subito riconosciuto come legittimo capo dagli Stati Uniti d’America. Con questo riconoscimento ufficiale, i nordamericani si attirarono le ire del rivoluzionario Pancho Villa, che riuscì a varcare il confine con gli Stati Uniti e ad attaccare la città di Columbus, nel Nuovo Messico.
    Il nuovo presidente inviò il generale Pablo Gonzales a combattere le milizie zapatiste nello Stato di Morelos. L’esercito di Gonzales fece rivivere i momenti crudeli che avevano preceduto la detronizzazione di Huerta: incendi, saccheggi, massacri indiscriminati, deportazioni.
    Carranza riuscì a liberarsi di Zapata grazie ad un’imboscata tesagli dal colonnello Jesùs Guajardo, che lo assassinò il 10 aprile del 1919 nell’hacienda Chinameca.
    Con la Costituzione promulgata nel 1917 Carranza istituzionalizzò la rivoluzione. La Carta Costituzionale, sebbene sanciva un sistema presidenziale forte con uno Stato a partito unico, era molto anticlericale e progressista. La Costituzione prevedeva il controllo messicano sulle sue risorse interne, soprattutto includeva l’obiettivo politico dell’integrazione indigena attraverso una modesta riforma agraria. Tutto questo procurò a Carranza dei pericolosi nemici: i latifondisti messicani e gli investitori stranieri.
    Subito il nuovo presidente diventò per la ricca borghesia una persona indesiderata. A Città del Messico ripresero gli scioperi contro il nuovo governo. I ricchi latifondisti individuarono allora nel generale Alvaro Obregón, in precedenza sul fronte opposto, il nuovo presidente messicano da designare. Il generale, sicuro di aver le spalle coperte, arrestò Carranza e lo giustiziò. Anche Pancho Villa, nel frattempo sfuggito alla spedizione punitiva statunitense guidata dal generale John Joseph Pershing, venne a patti con il presidente Obregón, ritirandosi a vita privata nella hacienda “La Purisima Concepcion” di El Canutillo ad El Parral, nello Stato di Chihuahua. Il 20 luglio 1923, nel paesetto di Hidalgo Parrai nel Chihuahua, Villa venne a morte. Quella mattina Pancho, dopo aver assistito al battesimo del figlio di un suo caro amico, salì sulla sua Dodge Brothers modello 1913 per far rientro a casa. Alle 8.30 fu raggiunto dai sicari che lo freddarono sulla sua auto.
    La leggenda di Francisco Pancho Villa è presente in molte ballate popolari latinoamericane. Molti non sanno che ancora tutt’oggi si balla una canzone divenuta famosa proprio da Pancho Villa: la famosa Cucaracha. Questa era una ballata che le truppe di Pancho Villa dedicarono a Venustiano Carranza, considerato appunto una Cucaracha, ossia uno “scarafaggio”.

    Conclusioni sulla prima parte. La rivoluzione costò al Messico oltre un milione di morti, con esigui risultati politici ed economici concreti. Questo periodo rivoluzionario messicano è considerato, non a torto, la prima fase rivoluzionaria sociale del Novecento, con il suo carattere popolare, agrario e nazionalista. Questa rivoluzione ha segnato il passaggio dallo Stato oligarchico, fondato sui privilegi del ceto latifondista, ad un ordinamento statale aperto al ruolo delle altre classi sociali, instaurando dei limiti all’azione dei capitali stranieri e delle grandi potenze. Tuttavia, le guerre civili e le rivoluzioni hanno cambiato ben poco, poiché il capitale straniero ha conservato il suo peso all’interno del Paese.
    (1 - Continua)

    BIBLIOGRAFIA

    Villa e Zapata. Una biografia della Rivoluzione messicana, di F. McLynn - Il Saggiatore, Milano, 2003.
    Pancho Villa e la Rivoluzione messicana, di M. Plana - Giunti Editore, Firenze, 1993.
    L’economia latinoamericana. Dalla conquista iberica alla rivoluzione cubana, di C. Furtado - Laterza, Roma-Bari, 1995.
    Il Messico insorge, di J. Reed - Einaudi, Torino, 1979.
    Il Messico. Villa, Zapata e la rivoluzione, di B. Oudin, Electa Gallimard, Torino, 1997.
    Messico rivoluzionario. Da Zapata al Chiapas, di A. Aruffo, Massari, 1995
    Villa e Zapata. La rivoluzione messicana, di M. De Orellana, Fenice 2000, 1993.

    Fonte: Storia in network, 2005, fasc. n. 100

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    La Cristiada, o rivolta dei Cristeros: un evento di grande importanza per la storia
    del Messico e che, stranamente, è pressoché ignorato da testi e manuali

    INSURREZIONE ARMATA PROTETTA DALLA MADONNA DI GUADALUPE

    di RENZO PATERNOSTER


    Gli anni della rivoluzione in Messico avevano messo a dura prova la popolazione, tutte le famiglie avevano perso almeno un parente nella sanguinosa rivolta, ovunque c’era povertà. Nonostante tutto i messicani avevano ancora la forza di far sentire la loro voce, soprattutto quando qualcuno minacciava di cancellare la loro anima cattolica e la figura della Madonna di Guadalupe.
    All’origine della nuova identità del Messico c’è l’avvenimento della Fede, materializzato nell’apparizione della Vergine di Gudadalupe (divenuta poi Patrona del Messico e delle Americhe). Il cattolicesimo rappresenta non solo la religione del popolo messicano, ma la sua stessa “nuova” anima che plasma l’identità culturale e nazionale del Messico.
    All’alba del 9 dicembre del 1531, sulla collina di Tepeyac (presso la Città di Messico), una Madonna di pelle scura apparve ad un indio, Juan Diego di Cuauhtlatóhuac, parlando il nuáhatl, il dialetto della regione. Questo evento, soprattutto l’uso di una lingua diversa da quella dei popoli dominatori, ma anche il colore della pelle della Madonna, divennero motivo per credere che Dio stesse dalla parte degli indios. La Madonna era venuta per dar fede al Nuovo Mondo. Gli spagnoli non erano venuti per caso, ma diventavano dei semplici strumenti della volontà divina. La Vergine di Guadalupe era venuta anche per rimproverare i metodi d’alcuni dominatori europei, per questo si negò a loro e apparve ad un semplice contadino indio.
    Le apparizioni furono cinque ed ebbero luogo fra il 9 e il 12 dicembre del 1531. Fu nella quinta apparizione che, con ogni probabilità, la Signora si presentò come La sempre Vergine santa Maria Coatlaxopeuh (la pronuncia in nuáhatl è “quatlasupe”), che foneticamente nella lingua spagnola si avvicina a “Guadalupe”. Il significato di Coatlaxopeuh è “Colei che calpesta il serpente”. Nella figura impressa sulla tilma di Juan Diego, si vede infatti la Madonna che calpesta un serpente. Il mantello di Juan Diego è stato sottoposto, in epoca recente, a diverse prove scientifiche; tutti gli scienziati concordano sull’origine soprannaturale dell’immagine.
    Gli spagnoli cercarono di appropriarsi dell’evento, per questo dedicarono l’apparizione alla Guadalupe dell’Estremadura, una Vergine adorata anche dal conquistatore Hernán Cortés.
    L’apparizione ebbe (ed ha) una grande importanza dal punto di vista sincretistico; essa divenne la più viva rappresentazione dell’identità religiosa della Nazione messicana che stava nascendo dalla fusione di due grandi civiltà, quella spagnola e quella azteca.
    Tant’è vero che nel 1810, gli slogan “Viva la Vergine di Guadalupe” o “Viva la Morenita” furono gridati dai rivoluzionari messicani della regione di Guanajauto, che, guidati dal parroco di Dolores – don Miguel Hidalgo y Costilla – si opposero ai dominatori europei.
    L’apparizione di Guadalupe non è un mito scaturito da un sincretismo, ma un evento che ha plasmato tutta la storia cattolica messicana.

    La Costituzione messicana. Torniamo ai fatti della nostra rivoluzione. Il 31 gennaio 1917, sotto la presidenza di Venustiano Carranza, fu approvata la nuova Costitución de los Estados Unidos Mexicanos. La nuova Costituzione messicana, detta di Queretaro, fu una delle più avanzate del periodo dal punto di vista della legislazione sociale e del riconoscimento dei diritti delle classi lavoratrici.
    Gli articoli più innovatori della Carta, sono quelli relativi alla funzione sociale della proprietà e alla regolamentazione del lavoro. La Carta costituzionale infatti prevedeva l’abolizione del lavoro servile e l’istituzione delle otto ore lavorative, del salario minimo garantito, della tutela del lavoro minorile e femminile; ma anche il diritto all’istruzione e all’assistenza per malattia. La Costituzione messicana, tuttavia, minò i rapporti con due realtà fortemente presenti nel Paese: gli Stati Uniti d’America e la Chiesa di Roma.
    I vicini americani del Nord avevano rilevanti insediamenti produttivi in Messico, soprattutto nel campo dell’estrazione del petrolio. Le norme contenute nella Costituzione, che penalizzavano molto queste imprese, andavano dagli aumenti fiscali sull’esportazione del greggio alla richiesta dell’autorizzazione preventiva per nuove perforazioni. L’articolo 27 della Carta costituzionale infine dichiarava che le risorse del sottosuolo appartengono allo Stato. In questo modo si determinò un serio contrasto con le compagnie petrolifere, e con gli Usa, e il pericolo di un intervento militare da parte statunitense divenne reale.
    Gli articoli 3, 5, 24, 27 e 130 inasprirono invece i rapporti con la Chiesa cattolica. Tali articoli, infatti, concentravano tutti i poteri della società nelle mani dell’autorità politica, abbandonando l’antica collaborazione con la Chiesa. Il dettato costituzionale prevedeva appunto la separazione della Chiesa dallo Stato, la completa scristianizzazione di tutti i luoghi pubblici – dalle scuole agli ospedali – e limitazioni severissime nel campo della pastorale. Si proibiva formalmente alla Chiesa di gestire istituti di istruzione e ai sacerdoti d’insegnare nelle scuole materne elementari statali (art. 3), di far emettere o indurre a voti religiosi (art. 5). Altre disposizioni stabilivano la conversione in beni demaniali dei luoghi di culto (art. 27), il divieto di celebrare cerimonie religiose fuori dai luoghi di culto e quello di indossare l’abito talare in pubblico (art. 24). La Costituzione, al famigerato articolo 130, prevedeva anche la trasformazione del clero in un corpo di funzionari statali, negando ogni status legale alla Chiesa; il veto per i religiosi di ricevere lasciti o eredità, se non erano congiunti al testatore da parentela almeno di quarto grado. Non solo, i matrimoni religiosi perdevano l’efficacia civile, i singoli Stati della federazione potevano fissare un tetto al numero di sacerdoti presenti, che dovevano comunque essere messicani di nascita (nello Stato di Michoacan fu assegnato un sacerdote ogni 33.000 fedeli, in quello del Chiapas uno ogni 60.000, mentre in quello i Vera Cruz uno ogni 100.000 abitanti). Addirittura, il comma 9 dell’articolo 130, prevedeva la perdita dell’elettorato attivo e passivo da parte degli ecclesiastici, del diritto di associazione a fini politici, la pubblicazione di fogli a contenuto religioso. Anche la stampa cattolica fu colpita pesantemente. La Costituzione liberale si concludeva con l’annotazione che essa sarebbe comunque restata in vigore, anche nel caso di una rivolta.
    Questi articoli fortemente antiecclesiastici complicarono l’esistenza della Chiesa, al contempo minarono i rapporti tra la società civile e l’autorità governative.
    Una società che tradizionalmente si nutriva delle immagini sacre della Signora di Guadalupe e di Cristo, simboli di speranza e liberazione dalle ingiustizie, non poteva accettare che lo Stato sradicasse Dio dal Messico, decretando la morte spirituale di un intero popolo. In più la Carta costituzionale fu imposta ai messicani da un’Assemblea costituente praticamente autonominatasi, e quindi da deputati non eletti democraticamente, e non fu mai sottoposta alla ratifica del voto popolare.
    Il presidente Carranza, accortosi del malumore dei messicani e per timore di sommosse sociali, benché non potesse modificare la legislazione, fu in grado di moderare almeno la sua applicazione.

    Cronaca di una persecuzione. Il periodo 1914-1934 fu il più cruento della persecuzione religiosa in Messico, la Chiesa fu considerata come centro sovranazionale conservatore, ostacolo quindi alle riforme “rivoluzionarie istituzionali” (il partito del presidente Calles si autodefinì appunto “partito rivoluzionario istituzionale”).
    In Messico, governato da Porfirio Díaz, nonostante le leggi anti-ecclesiastiche, si tennero congressi sociali cattolici che organizzarono l’iniziativa cattolica nel campo sociale (a Puebla, a Morella, a Guadalajara, e a Oaxaca). Si discusse, ad esempio, del problema dell’istruzione scolastica e dell’analfabetismo dilagante nelle campagne, della situazione dei lavoratori e del reddito familiare basso, dell’aiuto agli anziani bisognosi, della gestione dei luoghi di cura. Si suggerì di istituire scuole serali per i lavoratori e l’esenzione delle tasse scolastiche per consentire alle famiglie disagiate l’accesso dei propri figli alla scuola. Per far fronte alla disoccupazione o al reddito modesto si prospettò, invece, d’istituire cooperative di consumo e piccole proprietà terriere. Si chiese infine ai cattolici più ricchi di finanziare una parte delle spese per la gestione dei luoghi di cura.
    Lo Stato non prese in considerazione le proposte di questi congressi. A seguito di questa opposizione si formarono associazioni cattoliche che avrebbero dovuto occuparsi dei problemi sociali: la Confederación Católica Obrera, la Sociedad de Obreros Católicos de la Sagrada Famiglia y Nuestra Señora de Guadalupe, l’Associación de los Operarios Guadalupanos. La creazione di riviste cattoliche, invece, contribuì alla divulgazione dei concetti cristiani per plasmare una coscienza sociale. Nacquero così i periodici Democrazia cristiana, El Operaio guadalupano, Restauración. Il nuovo Partido Católico Nacional, tentò di avvicinare i cattolici alla politica, per rivendicare il diritto di partecipare alla stesura delle leggi per il Paese.
    Nel 1920 i generali Plutarco Elías Calles, Alvaro Obregón e Adolfo de la Huerta organizzarono la “ribellione di Agua Prieta. Con questa rivolta i due generali deposero il presidente Carranza, il quale il 21 maggio fu ucciso durante un tentativo di fuga nel piccolo villaggio di Tlaxcalantongo. Sino alla fine di quell’anno il Paese fu retto da una giunta provvisoria guidata da De la Huerta. In seguito Alvaro Obregón prese le redini del Messico assumendo la presidenza. Nel 1924 il Paese passò sotto la guida del generale Plutarco Elías Calles. A partire da questa data l’anticattolicesimo assunse un carattere quasi apocalittico.
    Il nuovo presidente ordinò a tutti i governatori degli Stati federali messicani di emanare decreti volti a far applicare il dettato costituzionale in materia di disciplina religiosa. Molti governatori non aspettavano altro e misero subito in pratica le raccomandazioni presidenziali. Nello Stato del Tabasco, ad esempio, il governatore Tomás Garrido Canabal promulgò, il 28 febbraio 1824, una legge in cui si richiedeva per l’esercizio del ministero sacerdotale una serie di requisiti: essere tabascheno di nascita, avere più di 40 anni, aver studiato in scuole statali, non aver subito procedimenti giudiziari, essere sposato. Nel 1926 un’ordinanza presidenziale puniva con un ammenda e con la prigione chi faceva suonare le campane, chi distribuiva o conservava santini religiosi, chi indossava medagliette con figure sacre.

    La Riforma penale. Il 14 giugno 1926 fu introdotta la riforma al Codice penale messicano. Questa revisione prevedeva gravi sanzioni ai trasgressori degli articoli 3, 5, 24, 27 e 130 della Costituzione. In particolare diveniva reo di delitto chi esercitava il culto senza autorizzazione dell’autorità civile (art. 2) e senza essere di nazionalità messicana (art. 1), chi prendeva o induceva ai voti religiosi (artt. 6 e 7), chi indossava l’abito talare in pubblico (art. 18). Era previsto il carcere anche per chi commentava temi politici per stampa (art. 14); questa pena era prevista anche per gli ecclesiastici che abusavano del pulpito per criticare il governo (art. 10). Pene gravi venivano inflitte se nei luoghi di culto si tenevano riunioni a carattere politico (art. 16), se la Chiesa acquisiva o possedeva, per sé o per interposta persona, beni immobili o capitali (art. 21). L’articolo 22 del Codice penale riformato prevedeva anche la reclusione per chi distruggeva o procurava danni a chiese, seminari, case canoniche, conventi, perché ritenuti proprietà esclusiva dello Stato.
    Alla persecuzione istituzionale si affiancarono manifestazioni criminali. A metà maggio del 1921 sulle torri della cattedrale di Morella furono issate le bandiere socialiste rosso-nere, mentre nella chiesa fu pugnalata un’immagine della Vergine di Guadalupe. I cattolici risposero con una manifestazione di protesta pacifica, la quale fu sciolta dall’esercito perché considerata un atto di disubbidienza.
    Il 14 novembre dello stesso anno, una bomba di dinamite esplose all’interno della basilica di Nostra Signora di Guadalupe, ai piedi del quadro in cui c’era la tilma miracolosa con l’immagine della Vergine. La sacra immagine rimase intatta, nonostante la forte esplosione.
    Il 3 maggio del 1922, la sede dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (Acjm) fu attaccata e distrutta da giovani socialisti. Nonostante la gerarchia richiese di individuare i colpevoli, l’azione restò impunita.

    L’ostinazione dei cattolici messicani. Nel 1923 la cerimonia della posa della prima pietra del nuovo santuario dedicato a Cristo Re a Guanajauto, che doveva sostituire il precedente costruito nel 1920 di minori dimensioni, provocò non grossi problemi alla Chiesa messicana. Il delegato apostolico, monsignor Ernesto Filippi, che partecipò alla cerimonia d’inaugurazione dei lavori, fu dichiarato persona non grata e per questo gli fu imposto di lasciare il Paese entro settantadue ore.
    Nell’ottobre del 1924 il Congresso eucaristico della Città del Messico, dopo aver ottenuto tutti i permessi speciali dalle autorità politiche, stava per iniziare la riunione, quando il governo inviò ordini affinché lo stesso congresso fosse sospeso per il reato di violazione alle leggi di Riforma del Paese.
    Nel 1925 fu fondata dallo Stato anche la “Chiesa Cattolica Apostolica Messicana”. Sotto la guida di José Joaquín Péres, sacerdote subito considerato scismatico. La nuova Chiesa nazionale non raccolse consensi da parte della popolazione. Anzi, questo esperimento terminò quando, domenica 23 febbraio, un gruppo di cattolici fedeli a Roma impedì a padre Manuel Monje, un altro sacerdote scismatico, di celebrare la messa nella chiesa dedicata al Corpus Christi; lo stesso Péres riuscì a nascondersi alla folla inferocita. L’intervento dell’esercito soffocò la piccola sommossa. A questa Chiesa nazionale aderirono solo sei parrocchie e tredici sacerdoti, essa comunque ebbe una vita insignificante e breve.
    Nella prima metà del 1926, esasperati dalla difficile situazione, i vescovi messicani sottoscrissero una lettera pastorale in cui si accusava il governo di voler annientare il cattolicesimo, aprire il Messico ai protestanti, favorire la massoneria. Il presidente messicano subito accusò l’episcopato di congiura e tradimento contro lo Stato. Per ritorsione furono chiusi molti conventi e incarcerati sacerdoti e religiosi.
    Il colpo di grazia arrivò con la legge del 14 giugno 1926, esecutiva dal 31 luglio. Con tale normativa furono espulse tutte le congregazioni religiose e confiscati i loro beni, tutti gli ecclesiastici avrebbero assunto il titolo di dipendenti dello Stato. Il mondo cattolico reagì a questa campagna anticlericale e si organizzò in una “Lega Nazionale di Difesa della Libertà religiosa”.
    Quest’associazione iniziò a lavorare in sintonia con l’episcopato messicano; essa preparò una petizione nella quale si chiedevano l’abrogazione della Costituzione e delle leggi persecutrici contro la Chiesa cattolica. La petizione, che fu firmata da oltre due milioni di messicani, non sortì alcun effetto nei palazzi del potere.
    Papa Benedetto XV inviò in Messico un delegato apostolico, monsignor Ernesto Filippi, per intraprendere colloqui diplomatici con il nuovo presidente messicano Álvaro Obregón. Il presidente però, in seguito alla partecipazione del delegato all’inaugurazione dei lavori per la costruzione del nuovo santuario dedicato a Cristo Re, espulse dal Paese il rappresentante vaticano. Dopo trattative con una delegazione ecclesiastica di Washington, accettò un nuovo delegato pontificio. Quest’ultimo, l’ex generale dei francescani Serafino da Cimino, non arrivò ad alcuna conclusione con la controparte governativa.
    Nei riguardi del Messico, anche Pio XI intervenne in diverse occasioni: il 2 febbraio del 1926 con la lettera Paterna sane sollicitudo, il 18 novembre dello stesso anno con l’enciclica Iniquis afflictisque.
    In quest’ultimo documento, il pontefice affermò che «la legge più recente che è stata promulgata come interpretazione della Costituzione è di fatto peggiore della legge originale stessa e rende l’imposizione della Costituzione molto grave, se non quasi intollerabile». Elencando tutti gli atti promulgati dal governo contro la Chiesa, Pio aggiunse che «l’insulto si aggiunge alla persecuzione», in quanto ai cattolici non è permesso neanche rispondere a chi mette in cattiva luce la Chiesa, perché «gli è impedito di parlare» con fischi e insulti. Nel discorso natalizio del 1927, Pio ritornò a parlare della persecuzione in Messico, lamentando il silenzio della stampa, ma soprattutto della politica mondiale.
    Dinanzi all’applicazione delle Ley Calles, al tentativo di far nascere una Chiesa nazionale separata da Roma, e dopo frustanti negoziati da parte della gerarchia cattolica messicana con le autorità governative, in segno di protesta la Chiesa in Messico decise di attuare il boicottaggio economico (prima) e la sospensione del culto religioso (dopo).

    Il boicottaggio e la sospensione del culto. Il boicottaggio economico consistette nell’evitare completamente azioni per il quale il governo fosse beneficiato economicamente. Quindi si iniziò a non pagare le imposte, a ritirare i depositi dalle banche, a non comprare la benzina, ad astenersi in generale da acquistare o usare beni superflui, a disertare i luoghi di divertimento. Il sabotaggio economico, anche se portò al fallimento della Banca di Tampico e di quella inglese, assieme alla chiusura delle Camere di commercio del Paese, non ebbe alcun effetto benefico tangibile; anzi alcuni leader dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana, furono arrestati per congiura contro lo Stato. Il generale Gonzales, comandante della regione di Michoacan, per ritorsione al sabotaggio, emise un decreto in cui vietava il sacramento del battesimo e della confessione, pena la fucilazione immediata.
    In una lettera pastorale del 25 luglio, in sintonia con la segreteria di Stato vaticana, l’episcopato messicano decise la sospensione del culto i tutte le chiese del Messico, a partire dal primo agosto, giorno dell’entrata in vigore della legge di riforma di Calles.
    Sino al 31 luglio le chiese messicane furono assiepate di fedeli, tutti accorsero per ricevere la comunione, per battezzare i loro bambini, per sposarsi. Le chiese furono giorno e notte piene di fedeli, si presentò anche chi tradizionalmente si era dimostrato alieno ai sacramenti. Dalle campagne, nonostante fosse tempo di lavoro, arrivavano folle di contadini per comunicarsi con Dio. L’ultimo giorno prima della sospensione del culto, fu organizzata una santa messa, preceduta dall’esposizione dell’Eucarestia. Alle 23.30 le campane iniziarono a suonare e la gente assiepata nelle chiese iniziò a piangere. Probabilmente tutti avevano uno strano presentimento di quello che stava per accadere.
    I messicani, profondamente nutriti dai Sacri testi cristiani e da leggende bibliche, e vedendo la salute spirituale in pericolo, interpretarono la persecuzione come un flagello a cui occorreva reagire, anche con le armi. I primi a dare inizio alla lotta armata furono i messicani delle regioni di Colima e Jalisco, provocando, con un effetto domino, la rivolta in tutto il Paese.
    Migliaia di contadini degli Stati federali di Aguascalientes, Michoacán, Durango e Guanajauto, si riunirono a quelli di Jalisco e Colima e si ribellarono, inalberando il sempreverde vessillo della Vergine della Guadalupe e invocando Cristo Re. Tutti imbracciarono le armi per difendere la libertà religiosa. Per questo furono chiamati cristeros, mentre la rivoluzione è stata battezzata con il nome di Cristiada.
    La difesa della libertà, soprattutto religiosa: fu questo il senso iniziale della Cristiada. La rivolta nacque dunque come una difesa armata dai piani di distruzione della Chiesa in Messico. Solo in seguito si configurò come una vera e propria rivoluzione di liberazione. Il fattore religioso non fu l’unica causa che determinò la rivolta, ma sicuramente la più importante. Certo è, che senza la motivazione religiosa non ci sarebbe stata alcuna sollevazione armata.

    La guerra cristera ha inizio. La Cristiada è stata un movimento spontaneo di auto-difesa, che ha posto le ragioni di un popolo vittima dell’ingiustizia contro quelle di un potere corrotto, antidemocratico e sfruttatore. La guerra cristera che stava per scoppiare fu incredibilmente crudele e spietata da ambo le parti, gli aneddoti di atti di estrema crudeltà sono numerosi. La tattica prestabilita per i soldati dell’esercito federale, fu quella di spargere il terrore per acquietare i rivoltosi, mentre a tutti i prigionieri fu concessa la possibilità di scegliere tra l’abiura o la fucilazione. Il sacerdote Sabás Reyes Salazar, fu torturato per tre giorni e due notti, prima di essere fucilato (egli è stato canonizzato da Giovanni Paolo II nel 2000). Tutti i cristeros avevano scritto il proprio testamento di morte su di un pezzo di carta che portavano sempre con loro. Quando il giovanissimo José Sanchez, che aveva solo tredici anni, fu catturato dai federali, gli trovarono in tasca un biglietto con su scritto: “Alla mia prediletta Mamma. Sono un prigioniero e loro mi uccideranno. Io sono felice. L'unica cosa che mi tormenta è il tuo pianto. Non piangere mamma. Noi ci rincontreremo”. Firmato: “José, ucciso per Cristo il Re”.
    Per tre anni cristeros e federali combatterono una guerra crudele senza esclusione di colpi. Alcuni sacerdoti si unirono alla rivoluzione, la Santa Sede si oppose decisamente alla lotta armata, l’episcopato locale era diviso per questo non la promosse né l’appoggiò. Un’altra parte di messicani optò per la resistenza pacifica, appoggiati dalla Lega Nazionale di Difesa della Libertà religiosa. La controparte governativa non faceva distinzione tra rivoluzionari e chi opponeva resistenza legale, il risultato fu una lunga lista di martiri, particolarmente fra il clero. Tra questi ventuno sacerdoti diocesani e tre laici, canonizzati il 21 maggio 2000. Molti altri sono rimasti anonimi.
    I sacerdoti che si unirono alla rivolta furono una quarantina, di questi soltanto cinque furono combattenti, tutti gli altri assunsero la figura di cappellani delle milizie rivoluzionarie. Dei cinque sacerdoti combattenti, due arrivarono al grado di generale: padre Reyes Vega e padre Aristeo Pedroza. Molti vescovi decisero, invece, di abbandonare il Paese, tranne i più legati alla loro popolo come l’arcivescovo di Guadalajara, monsignor Francisco Orozcoy Jimenez.
    Nell’agosto del 1926 si riunì nella clandestinità il Congresso dei rappresentanti della Lega, che discusse un solo punto: l'insurrezione armata contro del governo. Accettata questa, si creò un “Consiglio Militare” e si designò provvisoriamente come capo a Bartolomé Ontiveros.
    L’11 gennaio 1927 fu proclamato il “manifesto alla nazione”, detto de los Altos e nacque “l’Esercito Nazionale dei Liberatori”. Di questo esercito facevano parte studenti, contadini, impiegati, maestri, professionisti e operai, tutti animati da una fede profonda nella Chiesa di Cristo e nella Madonna di Guadalupe. Nel 1927 i combattenti fecero un salto di qualità: nell’esercito cristero si aggiunse l’ex generale federale porfirista Enrique Velarde Gorostieta, che aderì più per spirito rivoluzionario e anticonformista che per convinzione religiosa. Più tardi fu formata anche una brigata paramilitare femminile, intitolata a santa Giovanna d’Arco.
    Nonostante l’esercito federale fosse ben equipaggiato, tra la fine del 1928 e gli inizi del 1929, cominciò a profilarsi la vittoria sul campo dell’esercito cristero. Gli Stati Uniti d’America ancora una volta intervennero, ma non direttamente. Questa volta finanziarono l’esercito federale con l’invio di armi e d’equipaggiamento. Scriveva nell’aprile del 1926 monsignor Curley, arcivescovo di Baltimora: «Carranza e Obregón hanno regnato sul Messico grazie all’appoggio di Washington. Le mitragliatrici che hanno aperto il fuoco, qualche settimana fa, contro il clero e i fedeli di San Luis Potosí, erano americane. I fucili utilizzati contro le donne a Città del Messico, per profanare la chiesa della Sacra Famiglia, provenivano dal nostro Paese. Siamo noi, per il tramite del nostro governo, che armiamo gli assassini professionisti di Calles, noi che li sosteniamo, in quest’abominevole piano ch’gli ha intrapreso di distruggere persino l’idea di Dio nel cuore di milioni di bambini messicani».

    Gli Arreglos. I primi incontri tra le parti in lotta iniziarono già dal 25 agosto. Il presidente Calles, attraverso la mediazione del generale Obregón, incontrò i vescovi Pascual Díaz e Leopoldo Ruiz y Flores. Altri colloqui si tennero grazie alla mediazione di alcuni membri cattolici dell’elite politica: Alberto Pani, Simón Ortega, Eduardo Mestre, Nemesio Oliera. Il generale Obregón, il 23 marzo del 1927, incontrò nel castello di Chapultepec il vescovo Manuel Fulcheri. In tutti questi incontri l’unico dato rilevante fu la conferma della distanza ideologica che separava il governo dalla Chiesa.
    Il 17 luglio 1928, un giovane pittore cattolico, José de León Toral, partecipò a una festa in onore del generale Obregón. Il giovane si avvicinò al generale per donargli dei ritratti, un attimo dopo scaricò l’intero caricatore della sua pistola nella testa di Obregón, risolvendo in questo modo i problemi di alternanza al potere e decretando la fine politica del suo compagno Calles, messo da parte dal più astuto Lazaro Cardenas.
    Nel 1929 iniziarono nuovi colloqui diplomatici. Agli incontri parteciparono i vescovi Leopoldo Ruiz y Flores e Pascual Díaz, il gesuita Edmund Wlash (dell’Università di Goergetown nello Stato di Washington), Miguel Cruchanga (un ex diplomatico messicano) e padre John Burke (segretario della National Catholic Welfare Conference degli Usa). L’ambasciatore americano in Messico Dwight Whitney Morrow, un finanziere del potente gruppo bancario Morgan, risultò essere il mediatore tra le parti. Il 22 giugno di quell’anno, il nuovo presidente messicano Emilio Portes Gil e i vescovi Ruiz e Díaz, fissarono un accordo di pace: gli arreglos. Tale accordo implicò la sospensione delle disposizioni antiecclesiastiche emanate dal regime di Calles, ad eccezione dell’obbligo di registrazione per i sacerdoti e l’interdizione da ogni attività politica da parte degli ecclesiastici. Gli arreglos tuttavia non abrogarono questi leggi e, peggio ancora, non contenevano nessuna garanzia a salvaguardia di quella parte di popolazione che aveva appoggiato la rivolta. Gli accordi furono in definitiva una pace di compromesso, che esporrà i combattenti rivoluzionari a rappresaglie di ogni genere che dureranno decenni.
    Gli arreglos lasciarono i nemici delle libertà al loro posto. I cattolici e la gerarchia ecclesiastica si illusero di aver riacquistato la libertà di professare il culto. Calles e i suoi uomini prepararono in segreto la vendetta e il tradimento.
    Politicamente però fu Calles a perdere la partita: egli, negoziando la pace con i vescovi, di fatto riconobbe l’esistenza della Chiesa. I veri vincitori furono gli stati Uniti d’America. Grazie alla mediazione dell’ambasciatore americano in Messico, Dwight Whitney Morrow, si aprì a Città del Messico una filiale del Banco di New York, ma cosa più gradita al governo di Washington, fu la modifica dell’articolo 27 della Costituzione: gli statunitensi ottenevano per novantanove anni la cessione del sottosuolo messicano per l’estrazione e lo sfruttamento del petrolio.

    La Segunda e le proteste di Pio XI. In occasione delle celebrazioni per il quarto centenario dell’apparizione di Nostra Signora di Guadalupe, il governo prese severe misure contro chi aveva partecipato alle cerimonie religiose. La Chiesa indubbiamente continuò a subire vessazioni e, fra il 1934 e il 1938, i cristeros ripresero una Segunda revolución.
    Il pontefice protestò contro la violazione degli accordi con una lettera enciclica, la Acerba anima del 25 settembre 1932. Scriveva Pio XI: «Mentre altri governi in tempi recenti sono stati impazienti di rinnovare accordi con la Santa Sede, quello del Messico ha frustato ogni tentativo di arrivare a un compromesso. Al contrario, molto inaspettatamente ha rotto le promesse fatte […]. Un’applicazione molto rigorosa è stata così data all’articolo 130 della Costituzione […]. Pesanti sanzioni sono state quindi emanate contro i trasgressori di questo articolo deplorabile; e, come un nuovo affronto alla gerarchia della Chiesa, è stato stabilito che ogni Stato della Confederazione dovrebbe determinare il numero di sacerdoti autorizzati a esercitare il ministero sacro, in pubblico o in privato».
    Il pontefice continuava nella lettera, ricordando alla gerarchia ecclesiastica messicana il lavoro che la Santa Sede aveva intrapreso per mitigare la persecuzione in Messico, sino ad esortare «i governi con cui abbiamo relazioni diplomatiche a prendere a cuore la condizione anomala e dolorosa». Pio ha ricordato che la sospensione del culto pubblico «era stata una protesta efficace contro l’interferenza arbitraria del governo; tuttavia la sua continuazione avrebbe potuto pregiudicare seriamente l’ordine civile e religioso». Ora, se l’attuazione dell’accordo è risultato «contrario allo spirito» per il quale è stato sottoscritto, continua il pontefice, allora «sarà necessario per i vescovi, per il clero e i laici cattolici continuare a protestare con tutta la loro energia contro tale violazione, utilizzando ogni mezzo legittimo. Perché anche se queste proteste non hanno alcun effetto su quelli che governano il Paese, saranno efficaci nel convincere il fedele […] che lo Stato attacca la libertà della Chiesa, a quale libertà la Chiesa non può mai rinunciare, qualunque potrebbe essere la violenza dei persecutori. Pio XI conclude la sua enciclica elogiando i messicani che, mantenendosi ubbidienti alla Chiesa romana, «hanno scritto una pagina gloriosa della storia del Messico».
    Per tutta risposta, il presidente denunciò il documento pontificio come una gravissima ingerenza “criminale” di Roma negli affari interni dello Stato messicano, minacciando gravi reazioni se l’evento si ripeteva.
    Il nuovo presidente messicano, Lázaro Cardenás, inizialmente adottò severe misure contro la Chiesa, in seguito si rese conto che occorreva mitigare la persecuzione per favorire la pace nel Paese.

    La fine della persecuzione. Nell’enciclica del 28 marzo 1937 Nos es muy conocida (conosciuta anche come Firmissimam constantiam), Pio XI si rivolse nuovamente ai cattolici del Messico: «E’ a Noi ben nota» e «gran motivo di consolazione, la costanza vostra […] nel resistere alle imposizioni di coloro che, ignorando la divina eccellenza della religione di Gesù Cristo e conoscendola solo attraverso le calunnie dei suoi nemici, si illudono di non poter compiere riforme a bene del popolo se non combattendo la religione della grande maggioranza». Nel documento il pontefice invitò a promuovere l’Azione cattolica nel Paese, a lavorare per risolvere la questione sociale, auspicò la libertà di religione nel Paese. Pio invitò anche a tutelare i diritti dei cattolici con mezzi legali, tuttavia:«può occorrere talvolta di denunciare e biasimare arditamente condizioni di vita ingiuste e indegne; nello stesso tempo però bisognerà guardarsi, sia dal legittimare la violenza col pretesto di portare rimedio ai mali del popolo, sia dall’ammettere e favorire quelle rapide e violente mutazioni di condizioni secolari della società, che possono portare a effetti più funesti del male stesso al quale si voleva porre riparo».
    Pio XI quindi nell’enciclica Nos es muy conocida legittimò il diritto di rivolta, anche armata, aggiungendo però alcune raccomandazioni:
    «1) che queste rivendicazioni hanno ragione di mezzo, o di fine relativo, non di fine ultimo ed assoluto;
    2) che, in ragione di mezzo, devono essere azioni lecite e non intrinsecamente cattive;
    3) che, se vogliono essere mezzi proporzionati al fine, devono usarsi solo nella misura in cui servono ad ottenere o rendere possibile in tutto o in parte, il fine, ed in modo da non recar alla comunità danni maggiori di quelli che si vorrebbero riparare;
    4) che l’uso di tali mezzi e l’esercizio dei diritti civili e politici nella loro pienezza, abbracciando anche problemi di ordine puramente materiale e tecnico, o di difesa violenta, non entra in alcun modo nei compiti del clero e dell’Azione Cattolica come tali, benché ad essi appartenga preparare ai cattolici a far retto uso dei loro diritti ed a propugnarli per tutte le vie legittime, secondo l’esigenza del bene comune;
    5) il clero e l’Azione Cattolica […] devono contribuire alla prosperità della Nazione, specialmente fomentando l’unione dei cittadini e delle classi e collaborando a tutte le iniziative sociali, che non siano in contrasto con il dogma o la legge morale cristiani».
    La situazione cattolica in Messico si rasserenò ulteriormente a partire dal 1940, con l’insediamento del nuovo presidente Avila Camacho.
    (2 - Fine)

    BIBLIOGRAFIA

    Villa e Zapata. Una biografia della Rivoluzione messicana, di F. McLynn - Il Saggiatore, Milano, 2003.
    L’economia latinoamericana. Dalla conquista iberica alla rivoluzione cubana, di C. Furtado - Laterza, Roma-Bari, 1995.
    Messico rivoluzionario. Da Zapata al Chiapas, di A. Aruffo - Massari, 1995.
    Messico martire, di F. Gonzáles Fernández - in Litterae Communionis, anno XX, marzo 1993, pp. 48-50.
    Guadalupe. La tilma della Morenita, di C. Perfetti - San Paolo, Cinisello Balsamo, 1988.
    Les Cristeros, di H. Kéraly - Ed. Dominique Martin Morin, Bouère, 1986.
    Il Messico insorge, di J. Reed - Einaudi, Torino, 1979.
    La Cristera, di Luis Miguel Peña - dall’Apostoloteca del sito web della Diócesis de San Juan de los Lagos, Jalisco, Messico: www.mensajero.org (in spagnolo)

    Fonte: Storia in network, 2005, fasc. n. 101

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    Citazione Originariamente Scritto da Lepanto Visualizza Messaggio
    Si costituì allora un esercito di popolo, i “cristeros”, i quali combattevano al grido di “Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe! Viva il Messico!”. Con le stesse parole sulle labbra versavano il loro sangue in quella terra anche numerose schiere di martiri, mentre i loro carnefici esclamavano, riempiendo ceste di vimini con le teste mozzate dei cattolici, “Viva Satana nostro padre”. Si trattò di un vero “olocausto” passato sotto silenzio ed ignorato. Alcuni dei valorosi martiri cristiani messicani, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II
    Per approfondire:
    Regalo per la festa di Maria Regina


    Cari amici,
    il 22 agosto la Chiesa festeggia la beata Vergine Maria con il titolo di Regina. Totus Tuus Network è lieta di offrivi in dono un libro di storia:

    CRISTEROS: MESSICO MARTIRE

    Presentazione: La guerra dei cristeros, gloriosa e sfortunata, costata dalle settanta alle ottantacinquemila vite umane, sembra essere considerata tanto dalla Chiesa quanto dallo Stato messicani un malaugurato incidente di percorso nel processo di avvicinamento fra Chiesa e mondo moderno. Sul piano storico, siamo di fronte a un episodio dello scontro plurisecolare, nella sua versione armata e popolare, fra la Modernità, con i suoi processi di secolarizzazione delle culture e delle istituzioni politiche a fondamento religioso, e tali culture, pur residualmente di stampo sacrale tradizionale. Sul piano politico, la "lezione messicana" contribuisce all'elaborazione di una nuova strategia anti cattolica nei confronti dei credenti, quella della "mano tesa".

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