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    Predefinito 21 maggio - SS. e BB. Martiri Messicani (S. Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni)

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Santi e Beati Martiri Messicani (Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni)

    21 maggio - Memoria Facoltativa

    Messico, XX secolo

    Martirologio Romano: Santi Cristoforo Magallanes, sacerdote, e compagni, martiri, che in varie regioni del Messico, perseguitati in odio alla fede cristiana e alla Chiesa cattolica, per aver professato Cristo Re ottennero la corona del martirio.

    Nel 1917 venne promulgata in Messico una nuova Costituzione, ispirata a principi anticlericali, firmata dal presidente Don Venusiano Carranza. Da essa ebbe origine una fase di violenta persecuzione religiosa. L’episcopato messicano espresse la sua contrarietà alla nuova legge fondamentale della nazione, provocando però in tal modo una forte reazione da parte governativa.
    Dal 1926 in avanti, sotto la presidenza di Don Plutarco Elìas Calles, la persecuzione si fece ancor più violenta con l’espulsione dei sacerdoti stranieri, la chiusura delle scuole private e di alcune opere benefiche.
    I laici messicani costituirono un’organizzazione denominata Lega in Difesa della Libertà Religiosa, che proclamò: “Deploriamo la guerra, ma la nostra dignità oltraggiata e la nostra fede perseguitata ci obbliga a correre per difenderci sullo stesso campo su cui si sviluppa l’attacco”.
    Il popolo non poté resistere alle privazioni religiose che il boicottaggio portava, cosicché decise di difendere la propria libertà religiosa, senza il diretto intervento del clero, per mezzo delle armi. Ebbe così inizio la guerra civile, meglio conosciuta in Messico come “movimiento cristero”.
    Questo movimento non fu dunque promosso dalla gerarchia ecclesiastica, bensì dal mondo laicale, che cercò comunque l’appoggio dei propri pastori, anche se generalmente il clero accettò di sostenere esclusivamente la resistenza pacifica. Alcuni sacerdoti furono ostili al movimento, altri abbandonarono le parrocchie, qualcuno di essi furono invece attivamente favorevoli a questo e presero parte persino ai combattimenti.
    Infine, bisogna però dire che preferirono prodigarsi nella cura delle anime del gregge loro affidato, pur essendo ben consci di rischiare la vita: è questo il caso dei 25 martiri che furono canonizzati il 21 maggio 2000, in pieno anno giubiliare, da Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. Inoltre altri 14 vittime della medesima persecuzione soto state beatificate tra il 1988 ed il 2005 nel corso di tre cerimonie. Infine per altri 7 Servi di Dio è ancora in corso il processo per il riconoscimento del loro martirio.
    I 25 santi martiri messicani (Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni), per volontà di Giovanni Paolo II, entrarono subito dopo la canonizzazione nel Calendario Romano al 21 maggio con il grado di “memoria facoltativa”. Il Martyrologium Romanum commemora invece i diversi santi e beati separatamente, ciascuno nell’anniversario del martirio.

    Per maggiori informazioni sui singoli personaggi, rimandiamo alle singole schede loro dedicate nel giorno della festa:

    Canonizzazione del 21 maggio 2000:

    – Cristobal Magallanes Jara, Sacerdote, 25 maggio
    – Roman Adame Rosales, Sacerdote, 21 aprile
    – Rodrigo Aguilar Aleman, Sacerdote, 28 ottobre
    – Julio Alvarez Mendoza, Sacerdote, 30 marzo
    – Luis Batis Sainz, Sacerdote, 15 agosto
    – Agustin Caloca Cortes, Sacerdote, 25 maggio
    – Mateo Correa Magallanes, Sacerdote, 6 febbraio
    – Atilano Cruz Alvarado, Sacerdote, 1 luglio
    – Miguel De La Mora De La Mora, Sacerdote, 7 agosto
    – Pedro Esqueda Ramirez, Sacerdote, 22 novembre
    – Margarito Flores Garcia, Sacerdote, 12 novembre
    – Jose Isabel Flores Varela, Sacerdote, 21 giugno
    – David Galvan Bermudez, Sacerdote, 30 gennaio
    – Salvador Lara Puente, Laico, 15 agosto
    – Pedro de Jesus Maldonado Lucero, Sacerdote, 11 febbraio
    – Jesus Mendez Montoya, Sacerdote, 5 febbraio
    – Manuel Morales, Laico, 15 agosto
    – Justino Orona Madrigal, Sacerdote, 1 luglio
    – Sabas Reyes Salazar, Sacerdote, 13 aprile
    – Jose Maria Robles Hurtado, Sacerdote, 26 giugno
    – David Roldan Lara, Laico, 15 agosto
    – Toribio Romo Gonzalez, Sacerdote, 25 febbraio
    – Jenaro Sanchez Delgadillo, Sacerdote, 17 gennaio
    – David Uribe Velasco, Sacerdote, 12 aprile
    – Tranquilino Ubiarco Robles, Sacerdote, 5 ottobre

    Beatificazione del 25 settembre 1988:

    – Miguel Agustin Pro, Sacerdote, 23 novembre

    Beatificazione del 12 ottobre 1997:

    – Elia del Soccorso (Matteo Nieves), Sacerdote, 10 marzo

    Beatificazione del 20 novembre 2005:

    – Anacleto Gonzalez Flores, Laico, 1 aprile
    – José Dionisio Luis Padilla Gómez, Laico, 1 aprile
    – Jorge Ramon Vargas González, Laico, 1 aprile
    – Ramón Vicente Vargas González, Laico, 1 aprile
    – José Luciano Ezequiel Huerta Gutiérrez, Laico, 3 aprile
    – José Salvador Huerta Gutiérrez, Laico, 3 aprile
    – Miguel Gómez Loza, Laico, 21 marzo
    – Luis Magaña Servin, Laico, 9 febbraio
    – José Sanchez Del Rio, Laico, 10 febbraio
    – Andrés Sola Molist, Sacerdote, 25 aprile
    – José Trinitad Rangel Montano, Laico, 25 aprile
    – Leonardo Pérez Larios, Laico, 25 aprile
    - Dario Acosta Zurita, Sacerdote, 25 luglio

    Servi di Dio

    - Aurelio de la Vega Velazquez (Junipero) Sacerdote dei Frati Minori Francescani
    - Adrian Martinez Gil (Humilde) Sacerdote dei Frati Minori Francescani
    - David Perez Rojas (José) Sacerdote dei Frati Minori Francescani
    - Andrés Galindo Chierico dell’arcidiocesi di Guadalajara
    - Miguel Flores de la Cruz Diacono dell’arcidiocesi di Guadalajara
    - Rafael Encarnacion Acevedo Saavedra Laico sposato dell’arcidiocesi di Antequera
    - Jesus Vicente Acevedo Vega Seminarista della diocesi di Veracruz

    Autore: Fabio Arduino

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    I martiri di Cristo Re

    di Paolo Gulisano


    Sono i Cristeros, cattolici perseguitati che per affermare il loro diritto di vivere la fede si trovarono costretti a prendere le armi. Al grido di Viva Cristo Rey. In Messico, negli anni Venti del secolo scorso. Dominato dalla Massoneria.

    [Da "Il Timone", 2001, fasc. n. 14, Luglio/Agosto]

    Tra gli eventi che nel XX hanno visto per protagonisti quelli che Giovanni Paolo II chiama "i nuovi martiri", uno era finora sfuggito all’attenzione del grande pubblico: il martirio subito dalla Chiesa in Messico. Raccontiamo questa storia dimenticata, che diffficilmente si trova nei libri di storia, quella di una rivolta di coraggiosi, di contadini, maestri, impiegati, madri di famiglia, che insorsero in difesa della libertà concrete (di fede, di diritto ad un insegnamento libero, ad una socialità non soffocata dallo Stato), che combatterono contro il genocidio culturale: l’epopea dei Cristeros.

    Prima della celeberrima rivoluzione avvenuta agli inizi del XX secolo, il Messico aveva conosciuto, nello spazio di cinquant’anni, settantadue colpi di stato e trentasei costituzioni: la corsa al potere era continua e avveniva nel crepitio delle fucilate. Tra i vari litiganti chi seppe trarre profitto fu l’Amministrazione Statunitense, appoggiando di volta in volta gli ambiziosi contendenti e soffiando sul fuoco della discordia. Fin dai primi anni della loro indipendenza gli Stati Uniti rivolsero particolare attenzione alle ricchezze dell’ex-colonia spagnola. Ai primi dell’Ottocento incorporarono la Louisiana e la Florida, e oltre ai commerci vi impiantarono ben presto un’aggressiva attività missionaria protestante, allo scopo di "delatinizzare" quelle regioni la cui popolazione era quasi interamente cattolica. A metà del secolo, gli USA crearono un incidente diplomatico col Messico, a cui fece seguito una breve ed intensa guerra di annessione: a bandiera a stelle e strisce sventolò così in tre nuovi stati - il Texas, la California, il New Mexico - un territorio enorme e dalle immense risorse naturali. Fu sempre Washington ad appoggiare le rivolte che servivano a sbarazzarsi di uomini divenuti non graditi, sostituendoli con personaggi più malleabili, che appena giunti al potere si affrettavano a rilasciare concessioni minerarie a importanti compagnie americane per lo sfruttamento di oro, platino, mercurio, rame, ferro, carbone e argento.

    Per lo più, alla vigilia della prima Guerra Mondiale, una nuova scoperta, quella del petrolio, accentuò l’interesse nord-americano per i territori al di là del Rio Grande.

    Scoppiata la Rivoluzione nel 1910, una serie di ditattori si susseguì al potere: dapprima Carranza, autore nel 1917 di una Costituzione ferocemente anti-cattolica, e quindi Obregone Callas, eletti coi voti del 2% della popolazione.

    La Rivoluzione, inizialmente sostenuta dalla sollevazione dei peones, che sognavano una più equa riforma agraria e che erano animati da un profondo sentimento religioso, finì in realtà per porre a capo della nazione messicana una classe dirigente massonica che diede il via ad una massiccia opera di scristianizzazione della società. Il generale Plutarco Calles fu il principale protagonista dell’opera di persecuzione. Nato negli USA, fu l’esponente di quell’ideologia apparentemente contradditoria - un misto di liberismo e leninismo, di giacobinismo e autoritarismo pragmatico - che diede i fondamenti ideologici e pratici al "Partido Revolucionario lnstitutional". Il collante di tale composita ideologia fu l’appartenenza massonica dei suoi seguaci e un nemico da abbattere con odio determinato: la Cbiesa Cattolica. La persecuzione religiosa raggiunse il suo vertice con la "Legge Calles" del 14 giugno 1926, con la quale la Chiesa Cattolica, che rappresentava non solo la religione del popolo messicano, ma la sua stessa anima e identità culturale e nazionale, tu privata di tutti i diritti.

    I vescovi messicani, sostenuti da Papa Pio Xl, ordinarono di chiudere al culto le chiese, dal momento che ne andava della vita stessa dei sacerdoti e della libertà del popolo di Dio. Cominciò a scorrere il sangue dei martiri, I cattolici perseguitati trovarono il coraggio di manifestare pubblicamente la propria fede, affrontando dapprima la repressione poliziesca e quindi quella militare. Calles impose aqli impiegati cattolici una scelta: rinunciare a Cristo o perdere il posto. Su 400 maestri di Guadalajara, ben 389 preferirono essere destituiti piuttosto che rinnegare la fede. Mentre le prigioni andavano riempiendosi sempre più, i cattolici costituitisi nella "Lega per la difesa della libertà religiosa", continuarono la battaglia civile e non violenta con il boicottaggio nei confronti dello Stato: acquistare solo lo stretto necessario, disertare teatri e luoghi di divertimento, rinunciare a viaggi, ritirare i depositi dalle banche. Il boicottaggio venne propagandato dai giovani attivisti in vari modi e in ogni parte del paese e la risposta violentissima del regime non si fece attendere: le detenzioni vennero sostituite dalle esecuzioni sommarie. Il generale Gonzales, comandante delle truppe della regione di Michoacan, emise questo decreto in data 23 dicembre 1927: "Chiunque farà battezzare i propri figli, o farà matrimonio religioso, o si confesserà, sarà trattato da ribelle e fucilato".

    A Citta del Messico, in tutta risposta, convennero folle di pellegrini da ogni parte della nazione, a ricordo del primo Congresso Eucaristico Nazionale, tenutasi nel 1924 con grande successo, nonostante le restrizioni governative, e sulla cima del Cubilete, centro geografico della nazione, per la prima volta venne lanciato il grido fatidico, segnale di riscossa e di insorgenza, che doveva diventare il grido dei martiri davanti ai plotoni di esecuzione o alle forche di questa nuova Vandea: "Viva Cristo Re!". Ma dì fronte agli arresti, alle confische, ai campi di concentramento, agli stupri e agli eccidi, consumati nell’indifferenza internazionale, rotta solo dalle vibranti proteste del Vaticano, i cattolici si trovarono senza altra alternativa, dopo la testimonianza, il boicottaggio e la resistenza passiva, che prendere le armi: divennero soldati, soldati di Cristo Re o, come venivano sprezzantemente definiti dai nemici, "Cristeros".

    L’11 gennaio 1927 fu proclamato il Manifesto alla nazione detto "de los Altos" e nacque l’Esercito Nazionale dei Liberatori. Il programma politico prevedeva la restaurazione di tutte le libertà soppresse.

    L’esercito si organizzò disponendo unicamente del sostegno dei volontari e della popolazione civile. Le colonne si spostavano continuamente in una tattica di guerriglia.

    L’armata era composta di giovani, contadini e operai, studenti e impiegati, animati e uniti da uno spirito ammirevole: alla sera, prima di addormentarsi, i Cristeros cantavano l’inno "Tropas de Maria". Quando era possibile si conservava il Santissimo, e i soldati si davano il cambio ogni quarto d’ora per L’adorazione. I capi portavano la croce sul petto e i soldati l’immagine della Vergine di Guadalupe; prima di dare battaglia, tutti si facevano il segno della croce e poi si battevano al grido di "Viva Cristo Re". Lo spazio non ci consente di elencare i tanti protagonisti dell’eroica insurrezione, i valorosi e i martiri, alcuni dei quali, sotto il pontficato di Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria degli altari, come il gesuita Padre Miguel Agustin Pro, fucilato senza processo.

    Fu una Vandea, abbiamo detto, ma con una conclusione diversa: il desiderio di vedere cessare definitivamente le sofferenze del popolo messicano portò l’Episcopato a siglare accordi con il governo. Il 29 giugno 1929, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, le chiese del Messico si riaprirono al culto, e le campane tornarono a suonare nel paese: vennero celebrate Messe ovunque, tra l’entusiasmo della popolazione. I Cristeros deposero le armi: discesero dai monti, sciolsero i battaglioni che per tre anni avevano tenuto testa alle truppe governative, e tornarono ai loro villaggi e alle loro città. La gioia per il ritorno della pace si accompagnò però nei loro cuori all’amarezza per la mancata vittoria: i nemici di sempre rimanevano ai loro posti di comando e la tregua, così frettolosamente raggiunta. sapeva di compromesso.

    Molti esponenti dei Cristeros si sentirono traditi: non era stato firmato un accordo, ma una resa. Numerosi membri del clero e laici noti per il loro impegno antigovernativo vennero esiliati e molti Cristeros, appena deposte le armi, furono arrestati e fucilati. Non pochi paesi che avevano dato loro ospitalità vennero saccheggiati e i sacerdoti ritornati nelle loro parrocchie divennero bersagli dell’ostilità governativa.

    Prese il via un’opera più raffinata e meno cruenta di marginalizzazione dell’identità religiosa e culturale del popolo messicano.

    Secondo il filosofo argentino Alberto Caturelli, "il popolo messicano è il prototipo di una comunità martire, della cui testimonianza partecipano tutti i popoli della iberoamerica. Popolo di Cristo Re la cui epopea cristiana ha consacrato tanti messicani come testimoni del Testimone". Impossibile immaginare una gloria maggiore: a noi il dovere dl. non soccombere alla maledizione della dimenticanza.

    Bibliografia

    Paolo Gulisano, Viva Cristo Re! Cristeros: il martirio del Messico 1926-29. Il Cerchio, Rimini 1999.
    L. Zilliani, Messico Martire, Soc. Ed. S. Alessandrino, Bergamo 1935.
    Vandea e Messico, Edizioni Centro Grafico Stampa, Bergamo 1993.

    Cronologia

    · Dicembre 1916: attraverso elezioni manipolate, Carranza diventa Presidente del Messico. Egli si appoggia al liberalismo giacobino, al protestantesimo nordamericano e alla massoneria. Sì inaugura la serie di governi anticattolici che domineranno il Messico per tuffo il secolo XX.

    · 5 febbraio 1917: viene approvata la nuova Costituzione massonica. La Costituzione proibisce l’insegnamento religioso, spoglia la Chiesa di tutti i suoi beni, limita il numero dei sacerdoti e l’esercizio del loro ministero, nega alla Chiesa personalità giuridica, vieta ai sacerdoti di avere proprietà, di votare, ereditare, ma li obbliga al servizio militare. Nel biennio successivo, undici tra arcivescovi e vescovi vengono esiliati negli USA, due a Cuba, altri in Europa. Centinaia di sacerdoti e religiosi vengono cacciati e duemila scuole cattoliche vengono chiuse.

    · 1920: un colpo di Stato militare depone Carranza. lì generale Alvaro Obregòn (1880-1928) è il nuovo presidente.

    · 1924: Scaduto il mandato presidenziale di Obregòn, inizia la "staffetta" con Plutarco Elias Calles.

    · 21 aprile 1926: una lettera pastorale dei vescovi messicani accusa il governo di voler "annichilire il cattolicesimo", aprire le porte ai Protestanti e favorire la Massoneria.

    · 14 giugno 1926: viene emanata la "legge Calles", che restringe ancor di più la libertà religiosa.

    · 31 luglio 1926: per la prima volta, dopo più di 400 anni, i vescovi decidono di sospendere il culto pubblico in tutte le chiese del Messico. Si vive come in un lutto nazionale.

    · Agosto 1926: si contano sei rivolte in diverse zone del Paese e numerose proteste di piazza. La rivolta dei Cristeros è iniziata. Dopo un anno, i Cristeros in armi sono circa 25.000.

    · 18 novembre 1926: nell’Enciclica Iniquis afflictisque, Papa Pio Xl richiama l’attenzione della Chiesa universale sulla "paurosa situazione" dei cattolici messicani.

    · 21 giugno 1929: i vescovi Ruiz Flòres e Pascual Diaz firmano con il Presidente ad interim Emilio Portes Gil un modus vivendi che pone fine agli scontri. lì 29 giugno si riaprono le chiese. Ma la persecuzione continua. Nel 1935 si contano in Messico poco più di 300 sacerdoti, sugli oltre 4.000 presenti all’inizio della rivolta. In 17 Stati non si tollera la presenza di alcun sacerdote. La cristiada era costata la morte di 30.000 cristeros a cui vanno aggiunti 150.000 morti tra il popolo e quasi 40.000 caduti dell’esercito governativo.

    Fonte: Contro la leggenda nera

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    MARTIRI MESSICANI

    I martiri messicani non sono solo gloria della Chiesa messicana, ma soprattutto della Chiesa universale, perché hanno seguito le orme di Gesù morto in croce.

    Questi beati, sono prima di tutto sacerdoti, e sono stati uccisi a causa dell'esercizio del loro ministero, coscienti delle circostanze persecutorie contro la Chiesa del Messico.

    Ci sono anche tre giovani entusiasti e profondamente impegnati nel lavoro pastorale del loro parroco, che hanno accompagnato nell'esercizio del ministero della Parola durante la loro vita, e nel sacrificio supremo della morte.

    Nel 1926 ci fu in Messico una persecuzione scatenata contro la Chiesa e che si accanì contro i cattolici messicani e specialmente contro i loro sacerdoti.

    Non sono stati alcuni soltanto i difensori della Chiesa e della libertà, ma tutta la Nazione Messicana ha reso la testimonianza eloquente e silenziosa del suo sangue sparso per Cristo Re. Una delle condizioni poste dai Vescovi messicani per selezionare 25 tra i numerosi martiri messicani del 1926-1929 è stata quella di riconoscere che questi venticinque « non avevano nessuna implicazione nella difesa armata »; questa scelta è stata fatta per evitare delle difficoltà con il governo messicano, il quale aveva calpestato i diritti umani e religiosi dei cattolici, arrivando fino all'assassinio.

    Presentiamo in particolare la vita del Parroco D. Pedro Maldonado assieme al gruppo di 25 martiri, dei quali 22 furono presbi*teri diocesani e 3 generosi giovani della Gioventù dell'Azione Cattolica Messicana.

    Il motivo della pubblicazione di queste vite esemplari è quello di sentire che ci sono ancora delle persone che con grande spirito di carità offrono la vita per gli uomini e per Dio. La Chiesa e il mondo ha bisogno di santità, santità in tutti gli stati di vita e cioè i giovani, gli sposati, i religiosi ed i sacerdoti.

    Chiediamo al Signore per l'intercessione e l'esempio di questi martiri che ci aiuti ad affrontare con più gioia e fortezza le difficoltà della nostra vita, essendo ogni giorno più convinti che possiamo essere santi, che oggi ci sono dei santi.

    Cristóbal Magallanes Jara

    Nacque a Totaltiche, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara) il 30 luglio 1869. Parroco nella sua terra natale.

    Sacerdote dalla fede ardente, prudente direttore dei suoi fratelli sacerdoti e pastore pieno di zelo fu dedito al miglioramento umano e cristiano dei suoi fedeli. Missionario tra gli indigeni «huichole» e fervente divulgatore del Rosario a Maria, Vergine Santissima. Le vocazioni sacerdotali erano ciò a cui maggiormente si dedicava nel lavoro della sua vigna. Quando i persecutori della Chiesa chiusero il Seminario di Guadalajara, si offrì di fondare nella sua parrocchia un Seminario per proteggere, orientare e formare i futuri sacerdoti, ed ottenne un abbondante raccolto. Il 25 maggio 1927 venne fucilato a Colotlàn, Jalisco (Diocesi de Zacatecas, Zac.). Di fronte al carnefice ebbe la forza di confortare il suo ministro e compagno di martirio, Padre Agustín Caloca, dicendogli: «Stai tranquillo, figliolo, solo un momento e poi il cielo». Poi, rivolgendosi alla truppa, esclamò: «Io muoio innocente e chiedo a Dio che il mio sangue serva per l'unione dei miei fratelli messicani».

    Róman Adame Rosales

    Nacque a Teocaltiche, Jalisco (Diocesi di Aguascalientes) il 27 febbraio 1859. Parroco di Nochistlàn, Zacatecas (Arcidiocesi di Guadalajara). Sacerdote profondamente umile. Non si lamentò mai di fronte al dolore diceva con serenità: « Sia fatta la volontà di Dio ». Si occupò di catechesi, missioni popolari, costruzione di cappelle affinché i fedeli avessero vicino il Santissimo Sacramento. Aiutò gli ammalati e cercò di educare i bambini. Queste furono le principali attività del suo ministero parrocchiale. Durante la persecuzione, in segreto continuò ad amministrare i sacramenti. Fu individuato il suo nascondiglio e di notte venne fatto prigioniero. Giunto il momento dell'esecuzione, il giorno 21 aprile 1927, con un gesto di bontà cercò di salvare il soldato che, renitente, sarebbe stato anche lui fucilato. Poi deciso e irremovibile ma umilmente, consegnò la sua vita

    Rodrigo Aguilar Aleman

    Nacque a Sayula, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzmán) il 13 marzo 1875. Parroco di Unión de Tula, Jalisco (Diocesi di Autlán). Sacerdote e poeta molto sensibile sia di cuore che di fede. Consacrò il suo sacerdozio alla Santissima Vergine di Guadalupe. Con tutto i1 suo cuore implorò: «O Signore, da' a noi la grazia di patire in nome tuo, di confermare la nostra fede con il nostro sangue e coronare il nostro sacerdozio con i1 martirio "Fiat voluntas tuas!"». Per questo, quando dovette abbandonare la sua parrocchia e nascondersi nel paese di Ejutla, Jalisco e giunsero le truppe federali ad arrestarlo, il suo volto era splendente di pace e di gioia, e si accomiatò dicendo:

    «Ci vediamo in cielo». All'alba del 28 ottobre 1927 lo condussero sulla piazza di Ejutla. Agganciarono un cappio ad un grosso ramo di albero di mango e lo posero al collo del sacerdote. Poi vollero provare la sua forza e con arroganza gli chiesero: «Chi acclami?». La valorosa risposta fu: «Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe?». Allora la corda venne tirata con forza ed il signor parroco Aguilar restò appeso. Si fece nuovamente scendere e di nuovo gli chiesero: «Chi acclami?». E per la seconda volta, con voce sicura rispose: «Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!». Un nuovo identico supplizio e quindi, per la terza volta la stessa domanda: «Chi acclami?». Il martire agonizzante, sussurrando rispose: «Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!».

    Julio Álvarez Mendoza

    Nato a Guadalajara, Jalísco, il 20 dicembre 1866. Parroco di Mechoacanejo, Jalisco (Diocesi di Aguascalientes). In questo luogo trascorse tutta la vita sacerdotale. Parroco affettuoso, padre ed amico dei bambini, povero che visse tra i poveri, sacerdote semplice. Insegnò alcuni piccoli lavori affinché la gente potesse sopravvivere. Aveva imparato il mestiere di sarto e ciò gli servì per cucire vestiti a quanti erano in necessità. Amò come un figlio la Santissima Vergine di Guadalupe. Dedito al suo ministero di parroco di campagna, mentre percorreva una strada di campagna, fu riconosciuto come sacerdote e arrestato dai membri dell'esercito. A questo punto iniziò il suo cammino verso il martirio. Venne condotto tra mille difficoltà a Villa Hidalgo, Jalisco, a Aguascalientes, a León, Guanajuato ed infine a San Julián, Jalisco. Il 30 marzo 1927 fu posto su un cumulo di spazzatura per essere fucilato e disse dolcemente: «Sto per morire innocente. Non ho fatto nessun male. Il mio delitto è quello di essere ministro di Dio. Io vi perdono». Incrociò le braccia ed attese la scarica.

    Luis Batis Sáinz

    Nacque a San Miguel Mezquital, Zacatecas (Arcidiocesi di Durango) il 13 settembre 1870. Parroco di San Pedro Chalchihuites, Zacatecas (Arcidiocesi di Durango). Sacerdote zelante in tutte le sue attività ebbe una particolare attenzione verso i giovani. Per loro fu una guida ed un padre affettuoso che, in modi diversi, li faceva crescere sia spiritualmente che culturalmente e li aiutava a superare se stessi perfino in campo materiale. In modo speciale seppe infondere nella gioventù lo spirito dell'eroismo cristiano per professare la fede. Erano appena trascorsi quindici giorni dalla soppressione del culto pubblico, ordinata dai Vescovi, quando venne preso prigioniero. Quando gli venne comunicato che lo cercavano, disse: «Che si faccia la volontà di Dio, se Lui lo desidera io sarò uno dei martiri della Chiesa! ». Il giorno seguente, il 15 agosto 1926, fu condotto, insieme ai suoi più vicini collaboratori nell'apostolato, Manuel Morales, Salvador Lara y David Roldán, nella zona conosciuta come "Porto di Santa Teresa". Il Signor Parroco Batis e Manuel Morales furono portati in strada per essere fucilati. Allora il sacerdote intercedette per il suo compagno Manuel ricordando ai carnefici che aveva moglie e figli. Fu tutto inutile e il parroco, con il suo caratteristico sorriso buono, assolse il suo compagno e gli disse: «Arrivederci in cielo». Pochi secondi dopo si consumava il suo martirio nel giorno della festa della Assunzione della Vergine Santissima.

    Augustín Caloca Cortés

    Naque a San Juan Bautista de Teúl, Zacatecas (Arcidiocesi di Guadalajara), il 5 maggio 1898. Cooperatore nella parrocchia dì Totatiche e prefetto del Seminario Ausiliare sito nello stesso paese, fu un esempio di purezza sacerdotale. Dopo aver aiutato i seminaristi a fuggire, fu fatto prigioniero e condotto nella stessa prigione nella quale si trovava il suo parroco, il signor curato Magallanes. Un militare, commosso per 1a sua giovane età, gli offrì la libertà. Lui l'avrebbe accettata solo se veniva concessa anche al parroco. Di fronte al plotone di esecuzione, l'atteggiamento e le parole del suo parroco lo colmarono di forza, tanto che esclamò: « Grazie a Dio viviamo e per Lui moriamo». Il 25 maggio 1927 venne fucilato a Colotlán, Jalisco (Diocesi de Zacatecas, Zac.). Di fronte al carnefice ebbe la forza di confortare il suo ministro e compagno di martirio, che lo consolò, dicendogli: «Stai tranquillo, figliolo, solo un momento e poi il cielo». Dopo, rivolgendosi alla truppa, esclamò: «Io muoio innocente e chiedo a Dio che i1 mio sangue serva per l'unione dei miei fratelli messicani».

    Mateo Correa Magallanes

    Nacque a Tepechitlán, Zacatecas (Diocesi di Zacatecas) il 23 luglio 1866. Parroco di Valparaiso, Zacatecas, (Diocesi di Zacatecas). Il Padre Mateo svolse fedelmente tutti gli incarichi sacerdotali: evangelizzare e servire i poveri, ubbidire al suo Vescovo, unirsi a Cristo Sacerdote e Vittima, specialmente diventando martire a motivo del sigillo sacramentale. Continuamente perseguitato e imprigionato varie volte, fu catturato nuovamente mentre andava ad aiutare una persona ammalata. Lo tennero in carcere alcuni giorni a Fresnillo, Zacatecas, quindi venne condotto a Durango. Il generale gli chiese di confessare alcuni prigionieri e di riferire poi ciò che aveva appreso in confessione, altrimenti lo avrebbe ucciso. II signor Parroco Correa rispose con dignità: «Lei può farlo, ma sappia che un Sacerdote deve saper conservare il segreto della confessione.. Sono disposto a morire ». Fu fucilato in un campo, nei dintorni della città di Durango, il 16 febbraio 1927 e così quel parroco mite e pronto al sacrificio iniziò la sua vera vita.

    Atilano Cruz Alvarado

    Nacque ad Ahuetita de Abajo, appartenente alla parrocchia di Teocaltiche, Jalisco (Diocesi de Aguascalientes) il 5 ottobre 1901. Sacerdote al servizio della parrocchia di Cuquío, Jalisco. Venne ordinato sacerdote, quando questo era considerato il maggior delitto che poteva commettere un messicano. Ma lui, con una gioia che sprizzava da tutti i pori, stese le sue mani affinché fossero consacrate sotto il cielo azzurro dello Stato di Jalisco in un dirupo vicino al quale si nascondevano sia l' Arcivescovo che il Seminario. Undici mesi dopo il tranquillo ed allegro sacerdote, mentre esercitava, come poteva, il suo ministero, venne chiamato dal suo parroco il signor Curato Justino Orona. Obbediente si avviò verso il « Rancho de 1as Cruces », luogo che sarebbe stato il suo calvario. Poco prima aveva scritto: «Nostro Signore Gesù Cristo ci invita ad accompagnarlo nella passione». Mentre dormiva giunsero le forze militari e le autorità civili. Il Padre Atilano udendo la scarica che troncò la vita al suo superiore, si inginocchiò sul letto ed attese il momento del suo sacrificio. Lui venne fucilato, dando prova della sua fedeltà a Cristo Sacerdote, all'alba del 1° luglio 1928.

    Miguel De La Mora De La Mora

    Nacque a Tecalitlán, Jalisco (Diocesi di Colima) il 19 giugno 1878. Cappellano della Cattedrale di Colima. Sacerdote semplice, modesto, ordinato, puntuale, fu particolarmente caritatevole con i poveri e pronto a servire tutti. Colima fu il primo Stato della Repubblica Messicana che richiese l'iscrizione dei sacerdoti per poter svolgere il sacerdozio. Sia il Vescovo che i suoi sacerdoti protestarono ribadendo che avrebbero patito qualsiasi cosa prima di tradire la loro fede e la fedeltà alla Chiesa. La risposta del governo fu quella di processare ed allontanare tutti i sacerdoti. Padre Miguel, come altri, cercò di nascondersi per poter prestare aiuto ai fedeli. Fu scoperto e minacciato di essere imprigionato a vita se non apriva al culto la Cattedrale, contro le disposizioni del Vescovo. Di fronte alle pressioni del governo militare preferì andare via dalla città. Per la strada fu arrestato e condotto di fronte al generale, che lo condannò alla fucilazione. Camminò in silenzio fino al luogo indicatogli e, come proclama della sua fede e del suo amore a Maria Santissima, tirò fuori il suo rosario, iniziò a pregare e con questo in mano, cadde ucciso dai proiettili. Era mezzogiorno del 7 agosto 1927.

    Pedro Esqueda Ramírez

    Nacque a San Juan de los Lagos, Jalisco (Diocesi de San Juan de los Lagos) i1 29 aprile 1887. Vicario di San Juan de los Lagos. Si dedicò con particolare cura e con vera passione alla catechesi dei bambini. Fondò vari centri di studio ed una scuola per la formazione catechistica. Nutrì grande devozione al Santissimo Sacramento. Nel mezzo della persecuzione organizzò una veglia perenne a Gesù Sacramentato con le varie famiglie. Nel momento in cui fu incarcerato fu malmenato così duramente che gli si aprì una ferita sul volto. Un militare, dopo averlo colpito, gli disse: «Ora sarai pentito di esser stato sacerdote», ed a ciò rispose dolcemente Padre Pedro: «No, neppure un attimo, e mi manca poco per vedere il cielo». Il 22 novembre 1927 lo portarono fuori dal carcere per giustiziarlo; i bambini lo circondarono e il Padre Esqueda ripeté con insistenza ad un piccolo che camminava al suo fianco: «Non tralasciare di studiare il catechismo, né per alcun motivo tralascia 1a dottrina cristiana». Su un foglio di carta annotò le sue ultime raccomandazioni per le catechiste. Quando giunsero nella periferia del paese di Teocaltitlán, Jalisco, gli spararono tre colpi che cambiarono la sua vita terrena in eterna.

    Margarito Flores García

    Nacque a Taxco, Guerrero (Diocesi di Chilapa) i1 22 febbraio 1899. Parroco di Atenango del Río, Guerrero (Diocesi di Chilapa). I tre anni trascorsi nel ministero furono sufficienti per conoscere la sua indole sacerdotale. Si trovava fuori della Diocesi, a causa della persecuzione, quando venne a conoscenza della morte eroica del signor Parroco David Uribe, e professò queste parole: «Mi ribolle l'anima, anch'io finirò con il dar la vita per Cristo; chiederò il permesso al Superiore ed inizierò il volo verso il martirio». Il Vicario generale della Diocesi lo nominò vicario con funzioni di parroco di Atenango del Río, Guerrero. Il Padre Margarito si mise all'opera. Fu scoperto e identificato come sacerdote, quando stava per giungere alla meta; fu imprigionato e condotto a Tulimán, Guerrero, luogo in cui venne dato l'ordine di fucilarlo. Il Padre Margarito chiese il permesso di pregare, si inginocchiò per qualche secondo, baciò il suolo e quindi, in piedi, attese gli spari che gli distrussero la testa e lo unirono per sempre a Cristo Sacerdote, il giorno 12 novembre 1927.

    José Isabel Flores Varela

    Nacque a Santa Maria de la Paz, della parrocchia di San Juan Bautista del Teúl, Zacatecas (Arcidiocesi di Guadalajara) il 28 novembre 1866. Cappellano di Matatlán, della parrocchia di Zapotlanejo, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara). Per 26 anni diffuse la carità del suo ministero in quella cappellania, mostrandosi a tutti come un padre affettuoso che li edificò con la sua abnegazione e con la sua povertà, il suo spirito di sacrificio, la sua pietà e la sua sapienza. Un vecchio compagno che era stato protetto da Padre Flores, lo denunciò al capo di Zapotlanejo e venne incarcerato il 18 giugno 1927, quando stava dirigendosi verso una fattoria per celebrare l'Eucaristia. Fu nascosto in un luogo sporco, tenuto prigioniero e maltrattato; il capo gli faceva ascoltare musica e gli diceva: «Ascolta questa bella musica; se firmi accettando le leggi, ti lascio libero». Senza scomporsi, il martire disse: «Io ascolterò una musica migliore in cielo ». Padre José Isabel ripeté più volte: «Preferisco morire piuttosto che deludere Dio». Il 21 giugno 1927 venne condotto, di notte, nel camposanto di Zapotlanejo per l'esecuzione. Cercarono di ucciderlo impiccandolo ma non vi riuscirono. Il capo ordinò di sparare, ma un soldato riconobbe in lui il sacerdote che lo aveva battezzato e non volle farlo; infuriato l'aguzzino assassinò il soldato. Misteriosamente le armi non spararono contro Padre Flores, e quindi, uno di quegli assassini tirò fuori un grosso coltello e recise la gola del valoroso martire.

    David Galván Bermudes

    Nacque a Guadalajara, Jalisco il 29 gennaio 1881. Professore nel Seminario di Guadalajara. La sua grande carità verso i poveri e gli operai lo spinsero ad organizzare ed aiutare il gruppo dei calzolai, lavoro che effettuò a fianco di suo padre. Strenuo difensore della santità del matrimonio aiutò una ragazza perseguitata da un militare, che, già coniugato, desiderava contrarre matrimonio con lei. Questo fatto procurò al Padre Galván l'inimicizia del tenente che, alla fine, divenne il suo giustiziere. Il 30 gennaio 1915 mentre cercava di aiutare spiritualmente i soldati feriti in un combattimento avvenuto a Guadalajara, fu fatto prigioniero. Mentre era in attesa dell'esecuzione il suo compagno di prigionia gli comunicò che non avevano fatto colazione ed il Padre Galván gli disse tranquillamente: «Oggi andremo a pranzare con Dio». E, di fronte a coloro che erano incaricati di giustiziarlo, mostrò il petto per ricevere le pallottole.

    Salvador Lara Puente

    Nacque nel paese di Berlín, Durango, appartenente alla parrocchia di Súchil (Arcidiocesi di Durango) il 13 agosto 1905. Salvatore era giovane, nel pieno degli anni, alto e robusto, dedito allo sport della «charrería»; educato e dai modi distinti con tutti; rispettoso ed affettuoso con sua madre che era vedova; onesto e responsabile come impiegato in una ditta mineraria. Viveva la sua fede con purezza e si dedicava all'apostolato come militante nell'Azione Cattolica della Gioventù Messicana. Quando giunsero i soldati per arrestarlo, insieme a Manuel e Davide, rispose quando venne chiamato: «Sono qui». Camminò sorridente, come sempre, insieme al suo compagno e cugino Davide fino al luogo indicatogli per essere fucilato. Si erano appena resi conto che il parroco, il signor Batis e il suo amico Manuel Morales erano stati fucilati. Pregando a voce bassa Salvador ricevette una scarica che gli causò delle ferite dalle quali uscì il suo sangue di martire e si scoprì la sua grandezza di cristiano.

    Jesús Méndez Montoya

    Nacque a Tarímbaro, Michoacán (Arcidiocesi di Morelia) il 10 giugno 1880. Vicario di Valtierrilla, Guanajuato (Arcidiacesi di Morelia). Fu un sacerdote che dedicò completamente se stesso agli altri, e non lesinò mezzi per intensificare la vita cristiana tra i suoi fedeli. Si sottopose a confessare per lunghe ore e da queste confessioni uscivano cristiani convertiti o anelanti a maggiore perfezione grazie ai suoi giusti consigli. Viveva con le famiglie povere, era un catechista ed una guida per gli operai e per i contadini; un solerte maestro di musica che riuscì ad organizzare un nutrito coro per le celebrazioni. Il 5 febbraio 1928 le forze federali cercarono di reprimere un gruppetto di praticanti e si diressero verso l'abitazione in cui si nascondeva il Padre Jesús, che cercò di salvare una pisside contenente Ostie consacrate. Notato dai soldati chiese loro che gli venisse concesso un attimo per poter consumare il Santissimo Sacramento; gli venne concesso. Successivamente con dolcezza si avvicinò ad una sorella e le disse: «È 1a volontà di Dio. Che si compia 1a sua volontà». I soldati lo condussero a pochi metri dal tempio, fuori dell'atrio, e lo sacrificarono con tre colpi d'arma da fuoco. Il sacerdote che seppe valorizzare le sue doti umane e la sua conoscenza di Dio per far amare Gesù Cristo, con il suo sangue proclamò il suo grande amore a Cristo Re.

    Manuel Morales

    Nacque a Mesillas, Zacatecas, appartenente alla parrocchia Sombrerete, Zacatecas (Arcidiocesi di Durango) il giorno 8 febbraio 1898. Cristiano di un solo pezzo: sposo fedele, padre affettuoso con i suoi tre figli piccoli, buon lavoratore, laico dedito all'apostolato della sua parrocchia e all'intensa vita spirituale alimentata dall'Eucaristia. Membro dell'Associazione Cattolica della Gioventù Messicana e presidente della Lega Nazionale in Difesa della Libertà Religiosa, associazione che, con mezzi pacifici, cercava di ottenere l'abolizione delle empie leggi. Il giorno 15 agosto 1926 quando venne a conoscenza che il signor Parroco Batis era stato incarcerato si mosse per andare ad intercedere per la sua libertà. Aveva appena riunito un gruppo di giovani per decidere sul da farsi, quando si presentò una truppa ed il capo gridò: «Manuel Morales!». Manuel fece un passo avanti e con molto garbo si presentò: «Sono io, a sua disposizione!». Lo insultarono ed iniziarono a colpirlo con ferocia. Fu portato fuori dalla città insieme al signor Parroco, e quando udì che questi chiedeva grazia per la sua vita, considerando che aveva famiglia, con audacia disse:

    «Signor Parroco, io muoio, ma Dio non muore. Lui si occuperà di mia moglie e dei miei figli». Poi si sollevò ed esclamò: «Viva Cristo Re e la Vergine di Guadalupe!». La testimonianza della sua vita restò firmata con il suo sangue di martire.

    Justino Orona Madrigal

    Nacque a Atoyac, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzmán) il 14 aprile 1877. Parroco di Cuquío, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara). Fondatore della Congregazione religiosa delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre si mantenne cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltà, con certezza possono salire al cielo». Quando la persecuzione divenne più pesante rimase tra i suoi fedeli dicendo: «Io resterò tra i miei, vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, Padre Atilano Cruz, una speciale azione pastorale, da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una casa del «Rancho de Las Cruces», vicino a Cuquío per riposare. All'alba del 1° luglio 1928 le forze federali ed il presidente municipale de Cuquío irruppero violentemente nel rancho e colpirono la porta della stanza in cui dormivano. Il signor Curato Orona aprì e con voce forte salutò il giustiziere: «Viva Cristo Re!». La risposta fu una pioggia di pallottole.

    Sabas Reyes Salazar

    Nacque a Cocula, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara) il 5 dicembre 1883. Vicario a Tototlán, Jalisco (Diocesi di San Juan de los Lagos). Semplice e fervente aveva una speciale devozione per la Santissima Trinità. Invocava frequentemente anche le anime del purgatorio. Si interessò molto della formazione dei bambini e dei giovani, tanto nella catechesi come nell'insegnamento delle scienze, arti e mestieri, soprattutto nella musica. Affabile e dedito al suo ministero. Esigeva molto rispetto per tutto ciò che si riferiva al culto e desiderava che si eseguissero prontamente tutti gli incarichi. Durante il periodo più pericoloso per i sacerdoti, quando gli si consigliava di lasciare Tototlán, lui replicava: «Mi hanno lasciato qui e qui attendo. Vediamo che cosa dispone Iddio». Nella Settimana Santa del 1927 giunsero le truppe federali e i proprietari di terre cercando il signor Parroco Francisco Vizcarra ed i suoi ministri. Trovarono solo Padre Reyes e su lui riversarono tutto il loro odio. Lo presero, lo legarono con forza ad una colonna del tempio parrocchiale, lo torturarono per tre giorni con la fame e la sete e, con inqualificabile sadismo, gli bruciarono le mani. Il 13 aprile 1927, Mercoledì Santo, venne condotto al cimitero. Finirono di ucciderlo, ma, prima di morire, più con l'anima che con la voce, il sacerdote martire riuscì a gridare: «Viva Cristo Re!».

    José María Robles Hurtado

    Nacque a Mascota, Jalisco (Diocesi di Tepic) il 3 maggio 1888. Parroco di Tecolotlán, Jalisco, e fondatore della Congregazione religiosa delle Sorelle del Cuore di Gesù Sacramentato. Fervido apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù, scrisse piccole opere divulgative. Poco prima di essere ucciso, scrisse in una poesia i suoi ultimi desideri:

    «Desidero amare il tuo Cuore, / Gesù mio, con partecipazione totale, / desidero amarlo con passione, / desidero amarlo fino al martirio. / Con l'anima ti benedico, / mio Sacro Cuore; / dimmi: Si arriva all'attimo / della felice ed eterna unione?».

    Nella sierra di Qui1a, Jalisco (Diocesi di Autlán), venne appeso ad un albero il 26 giugno 1927.

    David Roldán Lara

    Nacque a Chalchihuites, Zacatecas (Arcidiocesi di Durango) il 2 marzo 1902. Orfano di padre, quando era molto piccolo, fu per la madre un figlio buono ed affettuoso. Per i suoi fratelli fu come un padre. I suoi amici lo stimavano per la sua allegria e per la generosità; i suoi compagni di lavoro per la bontà e comprensione. Per il proprietario dell'impresa mineraria, in cui lavorava, fu impiegato attento, onesto e lavoratore. Per la sua fidanzata, fu giovane tutto di un pezzo e sincero. Condivideva con il suo Parroco, il signor Curato Batis, i problemi dell'apostolato, come membro dell'Azione Cattolica della Gioventù Messicana, le angustie della situazione in cui si trovava la Chiesa e le aspirazioni di essere fedele a Cristo fino al martirio. Dato che era unito dagli stessi ideali del suo amico Manuel Morales e di suo cugino Salvador Lara, fu con essi imprigionato e quindi giustiziato. A pochi metri dal luogo dove furono martirizzati il signor Curato Luis Batis e Manuel. Senza impaurirsi percorse serenamente gli ultimi passi sulla terra che lo separavano dal cielo e venne ucciso insieme al cugino Salvador. Quel 15 agosto 1926, il sole allo zenit, la vita in fiore e il supremo amore di Cristo si unirono nel martirio di David.

    Toribio Romo González

    Nacque a Santa Ana de Guadalupe, appartenente alla parrocchia di Jalostotitlán, Jalisco, (Diocesi di San Juan de los Lagos) il 16 aprile del 1900. Vicario con funzioni di parroco a Tequila, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara). Sacerdote dal cuore sensibile e di assidua orazione. Profondamente preso dal mistero dell'Eucaristia chiese molte volte: «Signore non mi lasciare nemmeno per un giorno senza dire la Messa, senza abbracciarti nella Comunione». In occasione di una Prima Comunione, tenendo l'Ostia Sacra nelle sue mani disse: «Signore, accetteresti il mio sangue che ti offro per la pace della Chiesa?». Mentre si trovava ad Aguascalientes, luogo vicino a Tequila, che serviva come rifugio e centro del suo apostolato, volle aggiornare i registri parrocchiali. Lavorò tutto il giorno del venerdì ed anche la notte. Alle cinque del mattino di sabato 25 febbraio 1928, volle celebrare l'Eucaristia ma, sentendosi molto stanco e con sonno, preferì dormire un poco per celebrare meglio. Si era appena addormentato quando un gruppo di contadini e soldati entrarono nella stanza e uno di questi lo indicò dicendo: «Quello è il sacerdote, uccidetelo». Il Padre Toribio si svegliò impaurito, si sollevò e lo colpirono. Ferito e vacillante camminò un po', ma una nuova scarica alle spalle gli tolse la vita ed il suo sangue generoso tinse di rosso la terra di questa zona di Jalisco.

    Jenaro Sánchez Delgadillo

    Nacque a Zapopan, Jalisco (Arcidiocesí di Guadalajara) i1 19 settembre 1886. Vicario di Tamazulita, della parrocchia di Tecolotlán, Jalisco (Diocesi di Autlán). Il suo parroco elogiava la sua obbedienza. I fedeli ammiravano la sua rettitudine, il suo fervore, la sua eloquenza nella predicazione ed accettavano facilmente la fermezza del Padre Jenaro quando chiedeva una buona preparazione per poter ricevere i sacramenti. I soldati ed alcuni coloni lo individuarono mentre insieme ad alcuni fedeli suoi amici andava per i campi. Vennero tutti lasciati liberi, mentre il Padre Jenaro venne condotto su un colle vicino a Tecolotlán e su un albero prepararono la forca. Padre Jenaro posto di fronte al plotone, con eroica serenità proferì le seguenti parole: «Paesani, mi impiccheranno; io ti perdono; che anche Iddio, mio Padre, ti perdoni e che sempre viva Cristo Re!». I carnefici tirarono la corda così forte che la testa del martire batté violentemente su un ramo dell'albero. Dopo poco morì in quella stessa notte del 17 gennaio 1927. L'astio dei soldati continuò e, tornati all'alba, fecero scendere il cadavere, gli spararono sulla spalla e una pugnalata quasi attraversò il corpo ormai inerte del testimone di Cristo.

    Tranquilino Ubiarco Robles

    Nacque a Zapotlán el Grande, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzmán) l'8 luglio 1899. Vicario con funzioni di parroco a Tepatitlán, Jalisco (Diocesi di San Juan de los Lagos). Fu uno degli instancabili ministri nei tempi difficili della persecuzione. Non veniva fermato da nulla. Pieno di carità, andava ad amministrare i sacramenti ed a sostenere la vita cristiana tra i fedeli portando l'Eucaristia nelle case. All'inizio del mese di ottobre del 1928 andò a Guadalajara a comprare quanto era necessario per il Sacrificio Eucaristico. Qualcuno gli fece notare che la sua zona pastorale era posta in uno dei luoghi di maggior pericolo: Los Altos de Jalisco. Allora il Padre Ubiarco con molta semplicità replicò: «Per ora ritorno alla mia parrocchia; vediamo che posso fare e se mi toccherà morire per Dio, sia benedetto». Una notte si stava preparando a celebrare l'Eucaristia ed a benedire un matrimonio, quando lo fecero prigioniero e lo condannarono a morire impiccato su un albero del viale, fuori città. Con fermezza cristiana benedisse la grossa fune, strumento del suo martirio, e ad un soldato che non volle partecipare al crimine, disse, ripetendo le parole del Maestro: «Oggi verrai con me in paradiso». Era la mattina del 5 ottobre 1928.

    David Uribe Velasco

    Nacque a Buenavista de Cuéllar, Guerrero (Diocesi di Chilapa) il 29 dicembre 1889. Parroco di Iguala, Guerrero (Diocesi di Chilapa). Esercitò in modo esemplare il suo ministero in una regione attaccata dalla massoneria, dal protestantesimo e dallo scisma. Il militare che lo catturò gli propose ampia libertà nel caso che avesse accettato le leggi e fosse diventato vescovo della chiesa scismatica creata dal governo della repubblica. Il Padre David, ribadì ciò che già aveva scritto, appena un mese prima, e che denota tutta la forza della sua fede e della sua fedeltà: «Se sono stato unto con l'olio santo che mi fa ministro dell'Altissimo, perché non essere unto con il mio sangue in difesa delle anime redente con il sangue di Cristo? Quale felicità morire in difesa dei diritti di Dio! Morire prima di rinnegare il Vicario di Cristo!». Ormai in carcere, scrisse le sue ultime parole: «Dichiaro di non aver commesso i delitti che mi vengono imputati. Sto nelle mani di Dio e della Vergine di Guadalupe. Domando a Dio perdono e perdono i miei nemici; chiedo perdono a tutti quelli che ho offeso». Condotto in un luogo vicino alla stazione di San José Vistahermosa, Morelos (Diocesi di Cuernavaca) fu sacrificato con un colpo alla nuca il 12 aprile 1927.

    MARTIRIO DEL PADRE MALDONADO

    DATI ANAGRAFICI DI NASCITA E DI MORTE


    Il P. Pedro de Jesùs Maldonado Lucero morì nella città di Chihuahua l'11 febbraio 1937. Fu sacerdote della diocesi di Chihuahua e fino al momento della sua morte aveva esercitato il suo ministero nella vasta parrocchia di Santa Isabel, municipio ribattezzato dai rivoluzionari col nome del General Trias. La causa della sua morte fu un brutale e selvaggio pestaggio che gli causò gravissime lesioni al cervello e ferite in diverse parti del corpo. Questa successe nella sede del municipio General Trias il 10 febbraio, festa di Nostra Signora di Lourdes per la liturgia della Chiesa ed anniversario della ordinazione sacerdotale del P. Maldonado. La sua morte fu registrata nel libro n. 177 del registro civile della Città di Chihuahua nella sezione corrispondente alle morti. Il certificato di morte n. 171 della pagina 229 del menzionato libro recita: « Il giorno giovedì 11 febbraio del 1937 morì il sacerdote Pedro Maldonado, originario della città di Chihuahua ed abitante in General Trias. Seconda la lettera del Primo Tribunale Penale n. 106, sottoscritta dal giudice Lic. Ignacio Lomelì Jàuregui, l'autopsia di legge fu portata a termine dai medici legali. Essa accertò che la causa della sua morte furono le lesioni al cranio. Il giudice supponeva si trattasse di un omicidio. Lo stesso giudice dispose la inumazione del cadavere alle ore diciotto nel cimitero di Dolores nella tomba di proprietà della famiglia Enriquez, e che fosse senza numero».

    Per il verdetto «post mortem» del giudice, basato sulla autopsia, fu un omicidio, un omicidio realizzato sotto la protezione della legge, come venne provato dai testimoni oculari e dai documenti relativi al caso.

    Per il popolo di Chihuahua, come anche per i suoi fratelli sacerdoti e per il Vescovo Don Antonio Guìzar Valencia, il P. Maldonado fu martire. Questa stessa convinzione persiste ancora oggi tra i cattolici di Chihuahua, per cui la Diocesi ne iniziò il processo di beatificazione.

    METODI BRUTALI DELL'ODIO RIVOLUZIONARIO

    Il P. Maldonado fu l'unico sacerdote sacrificato durante i lunghi e tortuosi anni della persecuzione religiosa in Chihuahua e per questa stessa ragione il suo caso merita una speciale attenzione.

    A parte la morte di Pancho Villa, l'assassinio del P. Maldonado commosse non solo il popolo di Chihuahua, ma anche molto più in là delle frontiere dello stato di Chihuahua e del Messico. Quel che più fece orrore alla gente furono i metodi bestiali e la brutalità senza misericordia impiegati nell'assassinio.

    Il P. Maldonado fu assassinato nel tempo in cui, in generale, la persecuzione religiosa in Messico stava per terminare sotto il governo di Làzzaro Càrdenas.

    In Chihuahua, alcuni mesi prima, Gustavo Talamantes era succeduto al dispotico Rodrigo M. Quevedo nella carica di Governatore dello Stato.

    La commozione, che provocò l'assassinio del P. Maldonado, non portò beneficio al recente governo avviato da Talamantes e provocò scetticismo riguardo agli sforzi e alla sincerità di Càrdenas nel pacificare il Messico.

    Elias Calles viveva in esilio negli Stati Uniti disonorando pubblicamente il Messico, dopo essere stato allontanato dal potere dal suo stesso figlio politico. Era accompagnato da Luís L. Leòn, ex governatore di Chihuahua e ministro del governo.

    L'ombra di Rodrigo M. Quevedo perseguitava il governo di Talamantes, per il quale il Sindaco di Ciudad Juarez, fratello di Quevedo, era diventato un vero grattacapo.

    I politici, che chiamavano se stessi «rivoluzionari», dalla notte al giorno diventarono ricchi, come anche i membri delle loro famiglie. La tortura e l'assassinio erano comuni nelle prigioni delle caserme di polizia, ugualmente come adesso. Le grida dei prigionieri erano soffocate dal rumore dei treni che passavano nel silenzio della notte nella città di Chihuahua.

    NASCITA DEL P. PEDRO - NOTIZIE SULLA FAMIGLIA

    Il libro n. 23 del registro civile delle nascite della Città di Chihuahua riporta la storia della nascita del P. Pedro Maldonado Lucero. Alla pagina 40 incontriamo il certificato n. 282 dal quale apprendiamo che il 15 giugno 1892 nacque un bambino a mezzogiorno nel rione San Nicolàs della Città di Chihuahua. Il padre del bambino era Apollinare Maldonado, operaio, nativo di Valle de Allende e la madre si chiamava Micaela Lucero, nativa di Parral, casalinga. I genitori diedero al bambino il nome di Pedro.

    Non sappiamo molto circa Apollinare Maldonado, padre del bambino, tranne che la sua famiglia una volta era proprietaria di terreni nella zona di Valle Allende e che fu sepolto nel cimitero di «La Regia» in Chihuahua. Incontriamo inoltre che sua madre, Micaela Lucero, morì il 20 di dicembre del 1927, per un attacco di cuore, nel medesimo paese di Santa Isabel, dove il figlio era allora parroco.

    La famiglia Maldonado Lucero era grande: Pedro ebbe molti fratelli e sorelle. Secondo il certificato di morte di Micaela, gli altri membri della famiglia furono: Jesùs, José Ramòn, Juan, Sofia, Josefa, Maria de la Luz e Florentina.

    Il certificato di morte del P. Maldonado menziona soltanto Florentina. Secondo il certificato di morte di Micaela, Ramòn morì quando era bambino, mentre Florentina morì in età adulta, probabilmente nel 1918, in San Nicolàs de Carretas (Gran Morelos) prima parrocchia del P. Maldonado, quando la grande influenza, conosciuta come « La Gripa », la quale, angelo della morte, si abbattè sulla popolazione.

    Si sa molto poco della famiglia, tranne che due cose: erano molto poveri ed erano cattolici praticanti. Il fratello maggiore di Pedro lavorò per un certo tempo come custode della Scuola Primaria nel paese di Aldama, vicino alla Città di Chihuahua. Luz,

    Maria de la Luz, accompagnò il fratello fino al momento della morte e ricevette maltrattamenti dagli aguzzini di suo fratello.

    Si suppone che gli altri membri della famiglia si siano sposati. Ugualmente si sa molto poco della infanzia e della fanciullezza del futuro sacerdote.

    Fu battezzato nella allora parrocchia del Sagrario, adesso Cattedrale di Chihuahua, il 29 giugno.

    SEMINARISTA

    Secondo l'unico biografo del P. Maldonado, Mons. Martin L. Quiñones, apprese con diligenza il catechismo e fece con fervore la sua Prima Comunione. Da ragazzo frequentò una delle scuole fondate dal gesuita P. Pedro Delgado. Più tardi, a 17 anni, entrò nel Seminario Diocesano, fondato dal primo Vescovo di Chihuahua Don José de Jesùs Ortiz.

    Le qualifiche del giovane seminarista erano buone e questi si guadagnò la stima dei suoi Superiori e dei suoi compagni per l'im*pegno, l'amabilità, l'allegria e la generosità.

    Fece parte della Congregazione Mariana nella quale coltivò la devozione alla SS. Vergine. Coltivò anche una forte e fervente devozione al SS. Sacramento, devozione che manifestò chiaramente da Sacerdote nell'impegno apostolico di estenderla tra i suoi fedeli. Gli anni 1913-1914 furono di sofferenza e di brutti ricordi per il popolo di Chihuahua. Furono gli anni in cui Pancho Villa regnò con il terrore nella città e nello Stato. Gli studi nel Seminario furono interrotti e i seminaristi fuggirono a El Paso. Pedro, l'entusiasta e coraggioso seminarista, rimase con la sua famiglia nella sua modesta casa, in Chihuahua, capitale dello Stato. Di notte studiava a lume di candela e pregava con gli altri membri della sua famiglia davanti al SS. Sacramento, tenuto nascostamente nella sua casa.

    ORDINAZIONE SACERDOTALE - PRIMI INCARICHI - ZELO PASTORALE

    Nel 1917 fu ordinato diacono in El Paso, Texas, perché il Vescovo Don Nicolàs Perez Gavilàn, come molti altri Vescovi messicani, stava assente dalla sua diocesi. L'anno seguente, febbraio 1918, ricevette la ordinazione sacerdotale dalle mani del Vescovo Jesùs Schuler in El Paso, Texas. Nel marzo 1918 prese possesso della parrocchia San Nicolàs de Carretas e più tardi gli fu affidata anche la cura pastorale delle parrocchie vicine: San Lorenzo (Belisario Domìnguez) e San Francisco de Borja.

    Subito dimostrò entusiasmo apostolico per la salvezza delle anime ed instancabile zelo nella amministrazione dei sacramenti durante la terribile influenza che flagellò la zona e tolse la vita a dozzine di suoi fedeli. Notte e giorno infatti si affannava nell'assistenza agli infermi.

    Come devoto della Vergine, si assunse il compito di costruire un santuario alla Vergine di Guadalupe, che sfortunate circostanze non permisero di portare a termine.

    Nel 1921 organizzò un pellegrinaggio da San Lorenzo a San Nicolàs de Carretas in riparazione della terribile offesa commessa contro la Vergine di Guadalupe, quando i nemici della Chiesa fecero porre una bomba sull'altare della Basilica in Città del Messico. Infuse nuova vita alle confraternite e alle pie associazioni, che già esistevano nelle sue parrocchie, e ne fondò di nuove.

    Le molteplici attività e le dure condizioni, nelle quali era costretto a vivere, presto reclamarono la loro parte e la sua salute cominciò a declinare. Anche da seminarista era stato di salute delicata.

    Nel dicembre 1922 fu trasferito alla parrocchia di Santa Rosa da Lima, nel centro minerario di Cusihuiriachi. Qui il suo zelo sa*cerdotale si adoperò per trarre fuori le sue pecorelle dal vizio della ubriachezza. In particolare mostrò amore e simpatia verso gli Indios Tarahumares, la cui presenza suscitava in lui molta commozione.

    Nell'ottobre del seguente anno fu trasferito alla parrocchia del Santo Cristo di Burgos in Jimenez. Là fu perseguitato con rabbia dai massoni e visse in grande povertà. Un giorno fu afferrato e trascinato fuori del suo confessionale dai massoni e brutalmente percosso a causa del suo zelo sacerdotale.

    Le battiture gli causarono problemi di salute e dovette essere di nuovo trasferito, dal Vescovo Don Antonio Guizar Valencia, alla parrocchia di San Nicolàs de Carretas.

    Dopo un periodo di due anni fu nominato parroco di Santa Isabel.

    SPLENDORE DI VITA APOSTOLICA A SANTA ISABEL

    Per tredici anni il P. Maldonado attese alle necessità spirituali dei nuovi parrocchiani. Furono anni difficili per la Chiesa Cattolica ed, in conseguenza, anche per i fedeli di Santa Isabel e per il P. Maldonado.

    Due grandi aspetti della sua vita rifulsero nel periodo del suo ministero sacerdotale in Santa Isabel: la sua vita di orazione ed il suo zelo apostolico.

    Il P. Maldonado passava lunghe ore in ginocchio in preghiera davanti al SS. Sacramento. Da queste lunghe ore di adorazione e meditazione prendeva energia, dinamismo e vigore per predicare, insegnare, amministrare i sacramenti e sostenere la scuola parrocchiale.

    Benché le sue attività apostoliche fossero molteplici e varie, tutte si incentravano in due temi principali: gli esercizi spirituali e la adorazione del SS. Sacramento. Organizzò esercizi spirituali per uomini, donne, ragazzi. Fomentò l'adorazione del SS. Sacramento tra uomini, donne e ragazzi fondando confraternite non solo nell'ambito della sua parrocchia, ma anche nelle parrocchie vicine di San Nicolàs de Carretas e di San Lorenzo. Così lo incontriamo nel fondare la Confraternita della Adorazione Notturna in Santa Isabel nel 1924 e nelle altre parrocchie nel maggio 1926.

    La sua personale devozione alla SS. Vergine lo spinse a formare la Confraternita di Nostra Signora del Carmelo e l'Associazione delle Figlie di Maria. Aveva anche speciale devozione al Bambino Gesù ed a Santa Teresina.

    Il P. Maldonado era sommamente sensibile alle necessità della sua gente. Soleva aiutare i poveri con denaro e vestiario ed egli stesso crebbe ed educò un povero orfano.

    Gli piaceva visitare i campi nel tempo della raccolta ed i contadini gli chiedevano qualche volta di benedire i campi improduttivi per le invasioni delle cavallette. Sono molti a testimoniare che più di una volta liberò campi da questo flagello.

    Ebbe interesse speciale per la educazione cattolica dei ragazzi, dei giovani, e degli adulti e spiegava loro la storia della salvezza servendosi di immagini luminose.

    Il P. Pedro de Jesùs Maldonado Lucero non fece mai passare una opportunità per portare consolazione ai moribondi. Nè il freddo più rigido, nè il caldo più torrido, nè la pioggia, nè le lunghe giornate di viaggio, tanto nocive alla sua salute, nè la necessità imperiosa del riposo poterono mai dissuaderlo dal fare una visita per portare aiuto spirituale a qualche persona che stava morendo. Arrivò a mettere a repentaglio la propria vita, nei mo*menti in cui la persecuzione religiosa era al suo culmine, per aiutare una persona in agonia.

    Il Venerdì Santo del 1936, mentre tornava al suo nascondiglio nella località chiamata «La Boquilla», circoscrizione parrocchiale di Santa Isabel, dopo una visita fatta ad una moribonda, nei pressi della stazione del treno del medesimo paese, subì una imboscata assieme ai suoi accompagnatori. Il giorno seguente si contarono nel luogo dell'imboscata più di duecento cartucce.

    NEL MIRINO DELLA POLIZIA

    I tre periodi della persecuzione religiosa videro il P. Maldonado fuggire continuamente dalla polizia e dagli agenti del governo. Quando era studente dovette fuggire dal Seminario e nascondersi nella umile e non sicura casa della sua famiglia. Il comportamento irreligioso delle truppe di Villa, l'eco delle cannonate, i lamenti dei moribondi e dei feriti, la distruzione degli edifici, l'emigrazione di famiglie intere, il regno del caos e del disordine lasciarono un profondo ed incancellabile ricordo nella sua mente.

    Tra il 1926 ed il 1929, come fosse una bestia pericolosa, gli fu data costantemente la caccia da Francisco Ponce, capo della polizia rurale del governatore dello Stato Francisco Orozco.

    Al P. Maldonado fu letteralmente impossibile rimanere nel distretto parrocchiale di Santa Isabel, dove viveva anche Ponce. Questi si diede alla caccia del Padre per le pianure di Ojo del Agua, per le montagne di Cusihuiriachi, per i colli di San Nicolàs de Carretas e di San Lorenzo.

    Il P. Maldonado fu sempre in movimento con Ponce e la sua polizia a cavallo alle calcagna. Si rifugiò nelle caverne, nelle capanne, nelle stalle, nei pozzi, in camere protette da doppia parete. In una occasione fu necessario nascondersi in una capanna nei pressi di un lago, nelle vicinanze del villaggio chiamato San Juan Bautista. Là passò tutta la notte e tutta la mattinata del giorno seguente, mentre fuori la polizia di Francisco Ponce sostava sulle sponde del lago. Dio non volle che ispezionassero la capanna. Con frequenza il P. Maldonado si incontrò con i suoi persecutori senza che essi lo riconoscessero. In altre occasioni poté scappare per un pelo.

    Nel 1927 fu accerchiato da Ponce e dai suoi uomini nella casa della famiglia Medina nel centro minerario di Cusihuiriachi. Il coraggio e la decisione di un «cristero» protesse la fuga del P. Maldonado. Ponce e i suoi uomini ebbero paura di scontrarsi col «cristero»; essi davano soltanto la caccia ai sacerdoti indifesi. Il P. Maldonado percorreva i colli tra Cusihuiriachi, San Lorenzo e San Nicolàs de Carretas, andando di villaggio in villaggio, celebrando la Messa nel silenzio e nella oscurità della notte, confessando, benedicendo nozze, battezzando, assistendo gli infermi e i moribondi.

    Fu un instancabile apostolo di Cristo. In San Lorenzo si na*scose nella casa della famiglia Trevizo ed in San Nicolàs de Carretas presso le signore Guadalupe Mendoza e Carmen Zubìa. Nel villaggio di Guadalupe, vicino a San Lorenzo, si rifugiò presso la famiglia Estrada ed altre volte in una vicina caverna. Gli toccò a volte di celebrare la Messa sulla roccia di un torrente o in una caverna.

    ARRIVANO GLI ACCORDI TRA IL GOVERNO CENTRALE E L'EPISCOPATO

    Gli « accordi» (arreglos) del 1929 sembrarono promettere una nuova era di libertà e di conciliazione tra la Chiesa e lo Stato in Messico. Il P. Maldonado tornò alla sua parrocchia di Santa Isabel e di nuovo assunse la direzione spirituale del suo gregge.

    Tuttavia, l'odio versa la Chiesa non cessò con gli «accordi», nè cessò l'odio verso il P. Maldonado. Le autorità locali non avevano dimenticato l'opposizione del loro parroco al «club culturale» fondato e diretto da José Gil, simpatizzante di Calles ed anticlericale, che allora era l'esattore delle tasse nel paese di Santa Isabel. Il P. Maldonado giudicò il club immorale ed un pericolo per la fede del popolo. Da pastore responsabile avvertì i suoi fedeli del pericolo che quel club nascondeva. Ancor meno gli « agraristi» dimenticarono le critiche del P. Maldonado ai metodi ed alle ingiustizie impiegati nella confisca delle terre. Il P. Maldonado, seguendo le istruzioni del suo Vescovo e fedele agli insegnamenti della Chiesa, insistette che venisse osservata l'elementare legge della giustizia.

    Quello che molestò gli «agraristi» e le autorità fu la critica che il pio sacerdote lanciava dal pulpito contro i mali del comu*nismo.

    Apparentemente «gli accordi» misero fine alle lunghe e pericolose giornate del Padre lungo sentieri di montagna e di torrenti e misero fine anche alla sua vita nelle caverne con il rosario come unico compagno. Le lacrime, sparse fuori della cappella della Vergine di Guadalupe, non completata perché era stata chiusa dal governo, furono sepolte nel passato dagli «accordi».

    Disgraziatamente i Vescovi furono ingannati dal governo. Calles aveva sete di altro sangue. Infedele alla parola, il governo, istigato dall'ebreo Elias Calles e dal comunista Morones, ricominciò la persecuzione contro la Chiesa. In Chihuahua il Congresso locale emise, il 7 dicembre 1931, un nuovo decreto per limitare a nove il numero dei sacerdoti col permesso di celebrare il culto nello Stato. Il decreto fu una doccia fredda per la Chiesa locale.

    Tra il 1932 ed il 1934 la Chiesa di Chihuahua godette di una certa libertà. Il P. Maldonado continuò il suo ministero apostolico senza essere eccessivamente molestato in Santa Isabel. Nel 1934 il governo di Rodrigo M. Quevedo aumentò la pressione contro la Chiesa. Fino allora il Padre aveva continuato ad amministrare i sacramenti ai suoi parrocchiani, a porte chiuse.

    Nel maggio di quell'anno, l'ispettore statale dei consigli municipali andò a Santa Isabel per assistere ad una sessione del Consiglio: il Governo dello Stato era stato informato che proprio in questo paese le leggi del culto venivano violate. Proprio durante la riunione del Consiglio le campane della chiesa suonarono per chia*mare il popolo ad una sacra celebrazione. Qualche giorno più tardi il capo della polizia della Stato, Raùl Mediolea, venne a Santa Isabel, alla sede del Municipio. Il P. Maldonado fu chiamato. I ragazzi della scuola primaria stavano giocando nella piazza antistante il Municipio. Videro con orrore come la polizia spinse violentemente il Padre dentro un furgone che aspettava a motore acceso. Il furgone subito accelerò strascinando sul selciato i piedi dello sfortunato sacerdote.

    Medialea chiuse il P. Maldonado nelle sordide prigioni della caserma della polizia in Chihuahua. Là stette isolato e fu sottomesso a lunghi e logoranti interrogatori. Mai gli fu data la facoltà di avere un avvocato difensore. Allora, la polizia non aveva alcun rispetto per i diritti della persona. La polizia, e specialmente il governo, erano la legge e gli unici che godessero di diritti.

    Mediolea sottomise il P. Maldonado a tortura psicologica. A mezzanotte portò il Sacerdote, con una camionetta, attraverso oscuri e solitari sentieri, ad un certo punto si fermò, lo obbligò a scendere dalla macchina, poi formò il plotone di guardie per la fucilazione del Padre. Il parroco di Santa Isabel, ad imitazione di Cristo, aprì le braccia in forma di croce ed aspettò che fosse dato l'ordine di sparare. L'ordine non partì. Mediolea ammirò il coraggio dell'umile sacerdote.

    Di seguito portò il Padre a Ciudad Juarez, al ponte di frontiera, e, commosso del suo lamentevole stato, gli diede alcune monete per il viaggio e la permanenza nell'esilio.

    I Cavalieri di Colombo ricevettero il sacerdote esiliato all'altro lato del ponte e lo sistemarono presso la famiglia Ramirez.

    IN ESILIO, MA PER POCO

    Il P. Maldonado cominciò una nuova vita come molti sacerdoti suoi compatrioti e come il suo Vescovo. Tutti erano stati obbligati a lasciare il paese per il medesimo motivo: erano sacerdoti e questo era un crimine in Messico.

    Il Padre però non poté facilmente adattarsi alla nuova vita in El Paso e rapidamente si ammalò. Aveva tanta nostalgia e stimava meno pericoloso vivere nella sua parrocchia che in El Paso. Pianse per il suo gregge di Santa Isabel, che, come pastore, amava profondamente. Il dolore per la separazione dai suoi fedeli era maggiore di quello fisico. Il santo sacerdote offrì a Cristo le sue sofferenze ed accettò con rassegnazione la volontà di Dio. Il Vescovo, Don Antonio Guìzar Valencia, comprendendo la sofferenza di quel buon sacerdote, gli concesse il permesso di tornare a Santa Isabel. Il P. Maldonado, travestito, passò il ponte che separava El Paso da Ciudad Juares. Una terribile febbre lo obbligò a rimanere a letto per tre settimane nel villaggio di Bobonoyaba, nei pressi di Satevò.

    Debole ed ancora convalescente, si trasferì nel rancho detto «El Pino», proprietà della famiglia Nevarez, nel nord dello stato di Chihuahua, nei pressi di Cuahutemoc. Là visse, convalescente, per nove mesi.

    Gli agenti del governo scoprirono il suo nascondiglio e col pretesto che c'era bisogno di un sacerdote per un ammalato, lo ingannarono e lo sequestrarono. Per la sua liberazione chiesero un riscatto di diecimila pesos, somma molto grande per allora. Per fortuna la famiglia Nevarez pagò il riscatto benché questo fosse un grande sacrificio per essa.

    DI NUOVO NEL DISTRETTO PARROCCHIALE

    In seguito, nel 1935, si trasferì nel villaggio chiamato «La Boquilla», dove visse presso la famiglia Loya. «La Boquilla» si trovava a poca distanza da Santa Isabel. Nella casa della signorina Margarita Loya il P. Maldonado amministrava i sacramenti. Là ebbe anche la possibilità di istituire una scuola per i bambini.

    Il P. Maldonado, che già aveva provocato il disgusto degli agraristi, diede ancor più fastidio alle autorità locali ed ai maestri di scuola per la sua opposizione alla educazione sessuale e socialista. Consigliò i padri a non inviare i bambini alla scuola pubblica, che descrisse come immorale. Perciò essi cominciarono ad inviare i loro figli alla scuola fondata dal parroco alla quale badavano le sorelle Loya.

    Nel marzo 1932 Francisco Ponce fu assassinato, assieme al genero Ramòn Dominguez Jr., mentre caricavano mais su un treno*merci. L'assassinio ebbe luogo nella oscurità della notte.

    La morte di Ponce e di suo genero, che era segretario del Municipio, lasciò la porta aperta ad Andrés Rivera, ex colonnello villista, quale unico ed indiscutibile uomo forte della regione di Santa Isabel. Leader agrario e politico astuto, Rivera dominò la politica locale con mano di ferro. Era lui che prendeva le decisioni dietro il paravento dei sindaci. La sua parola era legge a Santa Isabel.

    SINISTRI AVVERTIMENTI

    Il Venerdì Santo 1936 chiesero al P. Maldonado di far visita ad una donna malata, che apparteneva alla famiglia Coronel, la quale aveva la sua abitazione nei pressi della stazione ferroviaria, vicino alla casa di Andrés Rivera. Il Padre era accompagnato dall'ex seminarista Augustìn Urbina e da due ragazze. Improvvisamente l'auto che portava il sacerdote subì un'imboscata, essendo stata presa tra due fuochi. L'imboscata ebbe luogo tra il terreno di Rivera e quello del padre di Urbina.

    Il sacerdote stette fermo, mentre i suoi compagni tremavano di paura. Egli li tranquillizzò dicendo che non avrebbero sofferto alcun danno. Il giorno dopo il padre di Urbina contò duecento cartucce.

    Gustavo Talamantes si recò a Santa Isabel, durante la campagna elettorale, per preparare la sua successione a Rodrigo M. Quevedo come Governatore dello Stato di Chihuahua. La sua permanenza nel paese lasciò un sapore amaro nella bacca di P. Maldonado e delle sorelle Loya. Infatti un colonnello dell'esercito si presentò in casa di quelle sorelle e redarguì il sacerdote, che osava celebrare il culto senza licenza del governo, e gli fece una sinistra e tenebrosa avvertenza: Stia attenta che le può succedere qualcosa.

    Il P. Maldanado aveva chiesto a Dio il dono del martirio se con la sua morte avesse avuto fine la persecuzione religiosa: desiderava sacrificare la sua vita affinché la Chiesa potesse vivere libera.

    L'anno 1937 ebbe un inizio tragico in Santa Isabel. Durante un ballo, che si teneva in casa della famiglia Coronel, il figlio dell'uomo forte, Andrés Rivera Jr., fu assassinato da membri della suddetta famiglia. Gli assassini erano stati Margarito e Delfino Coronel. Andrés Rivera Jr. era membro del Consiglio Comunale; il padre bramava vendicarsi per la sua morte.

    IL LUNGO ATROCE MARTIRIO DEL P. MALDONADO

    Arrivò il giorno fatale del 10 febbraio. La notte precedente il Mercoledì delle Ceneri un'aula della scuola primaria comunale fu danneggiata dal fuoco. La mattina del giorno 10, Mercoledì delle Ceneri, il Padre celebrò la messa ed impose le ceneri ai fedeli, poi sedette a confessare e a pregare nell'Oratorio della casa delle sorelle Loya. Quei giorno non fece colazione, essendo giorno di digiuno ed astinenza e primo giorno di Quaresima.

    Quella mattina anche Tirso Trevizo, membro della Polizia Rurale locale, aveva assistito alla messa.

    Quella stessa mattinata del 10 febbraio un amico del P. Maldonado, Don Jesùs J. Ortega, il quale era stato costretto ad emigrare al villaggio di El Charco perché veniva continuamente molestata dalle autorità municipali per i suoi stretti legami col sacerdote, si era recata a General Trìas (Santa Isabel) per regolarizzare alcuni suoi affari privati. Nel pomeriggio, senza alcun ordine di arresto, fu messo in carcere dalla polizia del paese. Due ore più tardi un altro amico del P. Maldonado, Genaro Calderòn, fu ugualmente messo in carcere dalla polizia.

    I due furono portati alla sede del Municipio, dove Andrés Rivera suggerì loro di andare a casa delle sorelle Loya a « La Boquilla » per persuadere il P. Maldonado a presentarsi alla sede del Municipio essendoci un ordine di arresto per lui come sospettato autore dell'incendio avvenuto nella scuola locale.

    Furono portati in camionetta a «La Boquilla», al rifugio del P. Maldonado, accompagnati da Rafael Armendàriz capo della polizia rurale, da venti poliziotti a cavallo e da Antonio Marquez, capo di un'altra scorta di uomini. Alcuni degli uomini che stavano agli ordini di Armendàriz furono: Tirso Trevizo, Cipriano Corona, Ramòn Morales, Guillermo J. Làzaro, Jesùs Flores e Alberto Lopez. Molti di loro furono visti bere tequila lungo la strada e continuarono a bere, fino alle tarde ore di quel giorno, dentro la sede del Municipio.

    In casa delle sorelle Loya un gruppo di donne stava pregando nell'Oratorio quando la polizia, a cavallo e motorizzata, arrivò can Jesùs Ortega e Genaro Caldèron. Il sacerdote non stava solo dentro la casa, era presente infatti in quel momento un altro suo vecchio amico, Bonifacio Frescas, presidente dell’Adorazione Notturna. Genaro Calderòn era stato uno dei membri fondatori di questa confraternita nella parrocchia di Santa Isabel nel 1924.

    Ed ecco come Armendàriz e Marquez portarono a compimento l'ordine di arresto n. 108. Il sindaco Jesùs Salcido, che era un burattino nelle mani di Andrés Rivera, aveva redatto l'ordine di arresto del sacerdote Pedro de Jesùs Maldonado perché aveva violato le leggi del culto, avendo celebrato la cerimonia del Mercoledì delle Ceneri.

    La polizia arrivò e bussò alla porta di casa Loya. In quel momento P. Maldonado stava recitando l'Ufficio Divino. Le donne e le ragazze bloccarono l'entrata della casa, la qual cosa permise al sacerdote ed a Bonifacio Frescas di uscire dalla parte posteriore della casa e rifugiarsi nella stanza, usata come stalla, in fondo al giardino.

    I poliziotti si infuriarono perché le donne rifiutavano di consegnar loro il sacerdote. In quel momento entrò in scena la sorella del Padre, che aveva visto passare la polizia davanti la sua casa.

    I poliziotti, infuriati, proferirono una litania di insulti e bestemmie contro le donne, ma esse risposero con coraggio e mantennero la loro posizione.

    Intanto Tirso Trevizo, membro della polizia rurale, salito su un albero, osservava con attenzione tutta la casa, poi annunziò di avere visto il sacerdote entrare nella stalla.

    Immediatamente Rafael Armendàriz e i suoi poliziotti circondarono la stalla ed intimarono al sacerdote di uscire. Il sacerdote non obbedì, per cui Armendàriz, furioso come una bestia ferita, decise di spargere benzina attorno alla stalla e di appiccarvi il fuoco.

    Mentre questo avveniva, tre donne lasciavano il gruppo di corsa con l'intenzione di chiamare per telefono il Governatore. Prese a sassate dalla polizia, una di esse fu ferita leggermente ad una gamba.

    Jesùs Ortega, Genaro Calderòn e Luz Maldonado entrarono nella stalla per parlare col sacerdote e persuaderlo ad accompagnare i poliziotti alla sede municipale. Il Padre acconsentì, ma volle che la polizia si ritirasse dalla porta; poi domandò il suo cappello, si tolse la sottana e la consegnò a Bonifacio Frescas. Ugualmente chiese due teche per la comunione. Uscì quindi dalla stalla assieme a Genaro Calderòn, Jesùs Ortega e sua sorella. Fu arrestato assieme a Bonifacio Frescas.

    Ebbe inizio così il lungo e tortuoso calvario di tre chilometri verso la sede del Municipio. Nel frattempo Armendàriz e Màrques saccheggiarono la casa rubando la macchina da scrivere del sacerdote ed il suo vestiario.

    Intanto le linee telefoniche del rione Santa Sabina erano state tagliate per impedire le comunicazioni con Chihuahua. Le tre donne, che si erano staccate dal gruppo, non potendo usare il telefono, riuscirono a stento a trovare un mezzo di trasporto per Chihuahua, dove chiesero aiuto immediato al governatore Talamantes.

    I tre chilometri verso la sede del Municipio diventarono per il P. Maldonado una vera via crucis. Camminava scalzo sotto l'ardente sole del pomeriggio, fustigato continuamente dalla polizia, la quale tentava di fare affrettare il passo a lui e al gruppo di donne spingendo alla carica i cavalli su di loro.

    Il parroco recitava, come sempre, il rosario, suo compagno di tutti i viaggi; quelli della scorta mandavano maledizioni e si burlavano di lui.

    Il Padre quel giorno non aveva preso neppure un boccone e chiese qualcosa da mangiare a un parrocchiano per mezzo. di sua sorella.

    Arrivando alla sede del Municipio il sacerdote ebbe paura ed esitò ad entrare. Fu spinto con violenza dalla polizia ed entrò accompagnato dalle donne, dai bambini e da alcuni uomini.

    La signorina Crescencia Venzor, Luz Maldonado, Jesùs J. Ortega, Merced Ortega, Juan Ortega e la vedova Josefa Venzor narrarono quello che successe là dentro.

    Vicino alla scala che conduceva al primo piano, il P. Maldonado fu avvicinato dal sindaco Jesùs Salcido, dall'uomo forte locale Andrés Rivera e dal poliziotto Francisco Frescas. Rivera afferrò il sacerdote per i capelli strappandone un ciuffo, mentre gli diceva: Così volevamo afferrarti!

    Luz Maldonado protestò contro il comportamento di Rivera, il quale, per tutta risposta, la schiaffeggiò. Luz cadde a terra svenuta. Allora P. Pedro intervenne per proteggere la sorella dai colpi, ma Rivera, Salcido e Frescas si lanciarono contro l'indifeso sacerdote e lo colpirono ripetutamente alla testa con le loro pistole. Il sangue cominciò a sgorgare in abbondanza dalle ferite. Il sacerdote, così gravemente ferito, cadde a terra.

    Le donne volevano risparmiare altre percosse al P. Maldonado, ma, nel tentativo di intervenire, anche esse furono percosse ed alcune rimasero ferite. Quindi furono buttate fuori della casa municipale. Restarono dentro soltanto una ragazzina ed il custode dello stabile. Essi furono i testimoni oculari di quello che seguì. Frescas prese una corda e la legò al collo del sacerdote, che stava a terra gravemente ferito e semicosciente, poi lo strascinò fino al primo piano.

    Di nuovo nella camera, che adesso è la biblioteca del Municipio, Rivera, Salcido e Frescas ed altri ancora, pieni di odio, continuarono la tortura spappolando il cervello del Padre can i medesimi continui colpi di pistola mentre imprecavano contro di lui e se ne burlavano sadicamente.

    Il sacerdote fu lasciato a giacere, con la bocca all'insù, ad affogarsi nel proprio sangue. Aveva un braccio rotto e l'occhio sinistro sprofondato dentro il cranio, gli avevano rotto anche vari denti e le labbra erano rimaste tumefatte. In tutto il corpo aveva lividure e ferite.

    Gli assassini del P. Maldanado passarono il resto del giorno e della notte ad ubriacarsi.

    Per evitare che il sacerdote morisse soffocato dal suo stesso sangue, il custode dello stabile lo rivoltò a bocca in giù. Un lago di sangue immediatamente coprì il pavimento di legno e le macchie stanno ancora lì come muti testimoni.

    Caduta la notte, una camionetta della polizia arrivò da Chihuahua per trasferire il prigioniere alla capitale. Gli agenti di polizia inviati rimasero sorpresi al vedere il lamentevole stato in cui si trovava il prigioniero. Temendo che morisse durante il viaggio, esigettero un documento firmato dalle autorità locali a conferma della delicata condizione del parroco.

    Il P. Maldonado fu ricoverato nell'ospedale civile dello Stato. Il Vescovo, Don Antonio Guìzar Valencia, fu informato ed immediatamente mandò due sacerdoti, Francisco Espino Porras e Sisto Gutierrez, per investigare sul fatto ed assistere il ferito. Il P. Sisto Gutierrez rimase col P. Maldonado tutta la notte fino alla sua morte, avvenuta alle prime ore del giorno seguente: era l'11 febbraio 1937.



    IL TRIONFO DEL MARTIRE

    Questo 11 di febbraio fu un giorno triste per i cattolici di Chihuahua ed al tempo stesso un giorno di gloria.

    Dopo l'autopsia il giudice del registro civile redasse il certi*ficato di morte e autorizzò il seppellimento per le ore 6,00 del pomeriggio nel cimitero di Dolores, nella tomba della famiglia Enriquez.

    Il corteo funebre accompagnò il feretro dalla residenza del Vescovo fino al cimitero. Migliaia di cattolici lo accompagnarono gridando «Viva Cristo Re » e recitando il rosario. La gente, scossa e addolorata per l'attacco barbaro e brutale, di cui era rimasto vittima il sacerdote, si fermò a cantare inni alla Vergine davanti la tomba.

    Lo stesso giorno Don Antonio Guìzar Valencia, che aveva sofferto sulla sua pelle le ansietà della persecuzione, esclamò davanti ai suoi sacerdoti: «Quanti martiri ancora mi regalerà Dio tra voi?».

    L'ODIO DEI NEMICI NON DISARMA

    Intanto i carnefici del Padre ostentavano pubblicamente il loro sadismo. Andrés Rivera si compiaceva nel mostrare l'orologio del sacerdote morto; Antonio Màrquez si vantava di usare la sua sciarpa ed il suo cappotto; il maestro Miramontes, della scuola arimaria, si impadroniva della macchina da scrivere, mentre il sindaco ed i suoi collaboratori dividevano tra loro il suo vestiario.

    Presto si ebbero le reazioni di diversi settori della società. Il governatore dello Stato, Gustava Talamantes, giustificò l'assassinio in una intervista, rilasciata per il periodico Catholic Post di El Paso Texas, affermando che il P. Maldonado era colpevole di avere violato la legge del culto. H. Laborde, capo del partito comunista, si congratulò con gli aggressori, qualificò come eroico il loro crimine e li chiamò « camerati ».

    La stampa nazionale parlò dell'assassinio nelle prime pagine dei periodici, riportando le fotografie del sacerdote morto e mettendo in evidenza la maniera terrificante dell'assassinio.

    CHIHUAHUA CATTOLICA RIPRENDE IL SUO CORAGGIO

    Il 14 febbraio la popolazione cattolica di Chihuahua manifestò il suo disgusto e la sua disapprovazione con una marcia. Era Domenica. Le autorità municipali negarono il permesso della marcia di protesta adducendo come ragione che il sindacato dei ferrovieri aveva in programma una marcia per lo stesso giorno. - I ferrovieri in verità non tennero la loro manifestazione fino alla domenica seguente. - Gli organizzatori cattolici però ricorsero al governatore Talamantes. La risposta fu ancora negativa per la marcia, ma egli permise che la gente si riunisse nel parco Lerdo, con la condizione che l'assemblea dovesse essere sciolta entro le ore 12,30.

    La moltitudine, calcolata tra le cinquanta e le centomila persone, non poteva essere contenuta nei limiti angusti del parco Lerdo.

    Alle ore 11,00 a.m. la gente intraprese la marcia spontanea*mente. Dal parco Lerdo la folla dilagò lungo la Avenida Independencia ed arrivò fino alla Plaza de la Constituciòn (Plaza de Armas). Là, davanti al Palazzo Municipale, vari oratori arringarono l'immensa folla. La signorina Isabel Torres e Antonio Leòn assicurarono la folla che il Governatore non aveva avuto nulla a che vedere col crimine commesso in General Trias (Santa Isabel), però esigevano giustizia col castigo dei responsabili. Nello stesso tempo chiedevano il ripristino del culto pubblico nello Stato.

    La marcia continuò nonostante gli sforzi per impedirla da parte della polizia locale, montata a cavallo. Il sindaco Manuél Lòpez Dàvila fu informato che proprio sua moglie era una dei capi della marcia di protesta.

    Vedendo l'impressionante grandezza del corteo, le autorità statali e municipali preferirono abbandonare la città.

    I manifestanti imboccarono la Calle Libertad e la Vicente Guerrero fino alla Plaza Hidalgo. Là, davanti al Palazzo Federale, Alfonso Arronte, Luìs Batista e Benjamìn Elias parlarono ai cattolici. Tutti gli oratori erano membri dell'Azione Cattolica. Il discorso più accalorato fu quello di Benjamìn Elìas, il quale esortò le autorità a soddisfare le lamentele della popolazione cattolica. Ricordò alla moltitudine che essa esprimeva i sentimenti della maggior parte del popolo di Chihuahua e lamentò che le campane delle chiese dello Stato, specialmente quelle della Cattedrale, che avevano suonato per celebrare la vittoria dell'esercito messicano sui francesi, adesso restassero mute.

    Le parole di Elìas provocarono nella moltitudine un sentimento di irrefrenabile entusiasmo, per cui tutti in massa si diressero verso la Cattedrale per suonare le campane; altri piccoli gruppi si diressero verso altre chiese con lo stesso scopo.

    Mentre le campane della Cattedrale suonavano per la prima volta dopo tre anni, la moltitudine cantava l'inno nazionale.

    Il giorno seguente il Sindaco chiamò rozzi e ignoranti cattolici e li accusò di avere impiegato la violenza, di avere calpestato la polizia e la guardia rurale, che cercavano di bloccare la marcia. Si operarono vari arresti per aver violato la legge sul suono delle campane e per avere disobbedito alle autorità. Gli arresati furono: Antonio Leòn, Alfonso Arronte, Luìs Batista, Anastasio Olmedo, Benito Flores, Conrado Aguirre, Jesùs Rìos, Carlos Castaneda, J. Flores, Eugenio Gardea, Antonio Elizalde, Manuel Cerna, Reynaldo Lechuga, Alejandro Calderòn, José C. Lara, José G. Gandarilla e Susana Martinez. Tutti furono multati.

    A causa della pressione popolare, il Governo dello Stato ordinò una inchiesta giudiziale circa la morte del P. Maldonado. L'inchiesta avvenne nella sala del primo tribunale penale, dove furono convocati tutti quelli che vi erano coinvolti: assassini e testimoni. Ai primi di marzo l'agente del ministero pubblico, Victoriano Gonzalez Amaya, inviò il risultato dell'inchiesta al Procuratore Generale dello Stato. Tutto si fermò qui. Gli assassini del P. Maldonado non ebbero mai un processo, come era richiesto dalla legge, anzi continuarono a seminare terrore nel General Trias (Santa lsabel) e nelle zone intorno sotto la protezione della legge medesima. Il Governatore dello Stato dichiarò alla stampa nord-americana che il P. Maldonado aveva ricevuto quello che aveva meritato e che gli uomini coinvolti nella sua morte. non erano assassini.

    Gustavo Talamantes premiò Andrés Rivera e Jesùs Salcido nominandoli membri del comitato per la scuola di General Trias. Gli stessi assassini batterono selvaggiamente un umile operaio, di soprannome El Pàjaro, solo perché era stato amico del sacerdote assassinato. Lo frustarono fino a farlo sanguinare. Potevano fare qualunque cosa perché non erano sottoposti alla legge, certi che mai sarebbero stati processati secondo la legge, come in realtà mai lo furono: essi erano la legge in General Trias.

    FECONDITÀ DEL SANGUE DEL MARTIRE

    In vita il P. Maldonado aveva espresso il desiderio del martirio se con esso fosse terminata la persecuzione religiosa. Ambedue i desideri furono esauditi. Sparse il sangue e sacrificò la sua vita adempiendo ai suoi obblighi sacerdotali nell'amministrazione dei sacramenti e nella celebrazione del culto, come disse l'allora Procuratore Generale dello Stato all'incaricato del Governo, Francisco R. Almada. Tutto quello che fece fu eseguire quello che gli era stato ordinato, affermò il Vescovo nel 1936 quando gli era stato chiesto di ritirare il P. Maldonado dalla parrocchia di Santa Isabel.

    Il suo sacrificio non fu vano.

    Il 26 aprile 1937, il Governatore Gustavo Talamantes fir*mò la richiesta con la quale si autorizzava il Vescovo Don Antonio Guìzar Valencia a celebrare il culto nello Stato di Chihuahua. Il 1° maggio le campane della Cattedrale suonarono di nuovo per chiamare i fedeli alla Messa, senza nessuna obiezione da parte del Consiglio Municipale e del Sindaco.

    Lo stesso mese di maggio, il giorno 4, la Suprema Corte della Nazione ratificò la protezione concessa a tre sacerdoti in Ciudad Juarez e nel medesimo tempo concesse protezione contro gli atti del Congresso locale, contro il Governatore e contro il Sindaco di Ciudad Juarez, José Queveda, fratello del nefasto Radrigo M. Quevedo: Il decreto n. 183 del 1936 fu dichiarato anticostituzionale.

    Il 15 luglio (1937) in Ciudad Juarez le campane suonarono annunciando l'inizio del culto pubblico. Due giorni prima, il 13, il Governatore dello Stato aveva presentato al Congresso locale un nuovo decreto, il 91, che annullava i precedenti decreti ed elevava di cinque il numero dei ministri che potevano esercitare il culto nello Stato. Questo decreto è ancora vigente nello Stata di Chihuahua.

    Nella relazione di quell'anno al Congresso locale, la prima del suo periodo di governatorato, Talamantes evitò ogni genere di aggressività, di insulti e di attacchi alla Chiesa e al clero. Evitò anche ogni accenno alla morte del P. Maldonado,

    Alla data del primo anniversario della morte del sacerdote, il culto pubblico era già stato reintrodotto in tutta lo Stato di Chihuahua ed era evidente che le autorità rinunciavano ad ogni violenta persecuzione nei riguardi della Chiesa Cattolica.

    MISERANDA FINE DEGLI ASSASSINI

    Il colonnello Andrés Rivera fu la personalità di spicco tra gli assassini del P. Maldonado. Prima del 1910 scorazzava per le montagne e i campi di Chihuahua in compagnia di Pancho Villa rubando bestiame e saccheggiando. Trascorse quegli anni sfuggendo alla legge. La rivoluzione del 1910 permise a lui, come anche a Villa, di rifarsi una verginità morale per la sua qualità di rivoluzionario ed ebbe il grado militare di colonnello.

    Rivera era un ambizioso ed era geloso di Villa. Questi gli aveva affidato la custodia delle armi, delle munizioni e del denaro. Tradì Villa rubando il denaro, le armi e le munizioni e fuggendo poi negli U.S.A., da dove non fece ritorno fino alla morte del guerrigliero.

    Al suo ritorno possedeva una certa ricchezza, che gli permise di comprare terre in Santa Isabel e di convertirsi in un agricoltore influente in quella regione.

    Da politico opportunista appoggiò Calles durante la rivoluzione di Escobar e questo gli aprì le porte al Consiglio Comunale e alla carica di Sindaco nel 1927.

    Nel 1932 fu delegato e sottosegretario al Congresso agrario. Negli anni successivi il suo potere fu illimitato e di nuovo occupò la carica di Sindaco nel 1941. Tra la gente del luogo (Santa Isabel) rimase famoso per i suoi metodi brutali ed era temuto da tutti quelli che lo conoscevano. Gli si attribuì l'assassinio di molti oppositori politici.

    Durante la campagna presidenziale di Avila Camacho si allineò col candidato del partito ufficiale e perseguitò ferocemente quelli che appoggiavano Almazàn, il candidato della opposizione. Di fatto in General Trias (Santa Isabel) furono assassinate varie persone del partito di Almazàn.

    Spirò nel 1917. La sua morte fu indescrivibilmente dolorosa e orribile. Lasciò questa mondo nella solitudine e nell'abbandono perfino dei propri familiari.

    Anche Jesùs Salcido ebbe una triste fine. Un toro, che era ritenuto domato, gli infilò le corna dentro la testa spargendo attorno le sue cervella.

    Antonio Màrquez, che era stato sindaco di Trias nel 1928, ebbe ugualmente una fine violenta.

    José de Jesùs Jàquez, altro torturatore del P. Maldonado, spirò tra orribili sofferenze.

    FONTE

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    Jalisco, 1927: esecuzione di Padre Francisco Vera colpevole di aver celebrato una Messa pubblica

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    I martiri di Cristo Re

    di Paolo GULISANO


    tratto da Il Timone, 2001, fasc. n. 14, luglio/agosto, p. 18 s.

    Sono i Cristeros, cattolici perseguitati che per affermare il loro diritto di vivere la fede si trovarono costretti a prendere le armi. Al grido di Viva Cristo Rey. In Messico, negli anni Venti del secolo scorso. Dominato dalla Massoneria.

    Tra gli eventi che nel XX hanno visto per protagonisti quelli che Giovanni Paolo II chiama "i nuovi martiri", uno era finora sfuggito all'attenzione del grande pubblico: il martirio subito dalla Chiesa in Messico. Raccontiamo questa storia dimenticata, che diffficilmente si trova nei libri di storia, quella di una rivolta di coraggiosi, di contadini, maestri, impiegati, madri di famiglia, che insorsero in difesa delle libertà concrete (di fede, di diritto ad un insegnamento libero, ad una socialità non soffocata dallo Stato), che combatterono contro il genocidio culturale: l'epopea dei Cristeros.

    Prima della celeberrima rivoluzione avvenuta agli inizi del XX secolo, il Messico aveva conosciuto, nello spazio di cinquant'anni, settantadue colpi di stato e trentasei costituzioni: la corsa al potere era continua e avveniva nel crepitio delle fucilate. Tra i vari litiganti chi seppe trarre profitto fu l'Amministrazione Statunitense, appoggiando di volta in volta gli ambiziosi contendenti e soffiando sul fuoco della discordia. Fin dai primi anni della loro indipendenza gli Stati Uniti rivolsero particolare attenzione alle ricchezze dell'ex-colonia spagnola. Ai primi dell'Ottocento incorporarono la Louisiana e la Florida, e oltre ai commerci vi impiantarono ben presto un'aggressiva attività missionaria protestante, allo scopo di "delatinizzare" quelle regioni la cui popolazione era quasi interamente cattolica. A metà del secolo, gli USA crearono un incidente diplomatico col Messico, a cui fece seguito una breve ed intensa guerra di annessione: la bandiera a stelle e strisce sventolò così in tre nuovi stati - il Texas, la California, il New Mexico - un territorio enorme e dalle immense risorse naturali. Fu sempre Washington ad appoggiare le rivolte che servivano a sbarazzarsi di uomini divenuti non graditi, sostituendoli con personaggi più malleabili, che appena giunti al potere si affrettavano a rilasciare concessioni minerarie a importanti compagnie americane per lo sfruttamento di oro, platino, mercurio, rame, ferro, carbone e argento.

    Per lo più, alla vigilia della prima Guerra Mondiale, una nuova scoperta, quella del petrolio, accentuò l'interesse nord-americano per i territori al di là del Rio Grande.

    Scoppiata la Rivoluzione nel 1910, una serie di ditattori si susseguì al potere: dapprima Carranza, autore nel 1917 di una Costituzione ferocemente anti-cattolica, e quindi Obregone Callas, eletti coi voti del 2% della popolazione.

    La Rivoluzione, inizialmente sostenuta dalla sollevazione dei peones, che sognavano una più equa riforma agraria e che erano animati da un profondo sentimento religioso, finì in realtà per porre a capo della nazione messicana una classe dirigente massonica che diede il via ad una massiccia opera di scristianizzazione della società. Il generale Plutarco Calles fu il principale protagonista dell'opera di persecuzione. Nato negli USA, fu l'esponente di quell'ideologia apparentemente contradditoria - un misto di liberismo e leninismo, di giacobinismo e autoritarismo pragmatico - che diede i fondamenti ideologici e pratici al "Partido Revolucionario Institutional". Il collante di tale composita ideologia fu l'appartenenza massonica dei suoi seguaci e un nemico da abbattere con odio determinato: la Chiesa Cattolica. La persecuzione religiosa raggiunse il suo vertice con la "Legge Calles" del 14 giugno 1926, con la quale la Chiesa Cattolica, che rappresentava non solo la religione del popolo messicano, ma la sua stessa anima e identità culturale e nazionale, fu privata di tutti i diritti.

    I vescovi messicani, sostenuti da Papa Pio Xl, ordinarono di chiudere al culto le chiese, dal momento che ne andava della vita stessa dei sacerdoti e della libertà del popolo di Dio. Cominciò a scorrere il sangue dei martiri. I cattolici perseguitati trovarono il coraggio di manifestare pubblicamente la propria fede, affrontando dapprima la repressione poliziesca e quindi quella militare. Calles impose agli impiegati cattolici una scelta: rinunciare a Cristo o perdere il posto. Su 400 maestri di Guadalajara, ben 389 preferirono essere destituiti piuttosto che rinnegare la fede. Mentre le prigioni andavano riempiendosi sempre più, i cattolici costituitisi nella "Lega per la difesa della libertà religiosa", continuarono la battaglia civile e non violenta con il boicottaggio nei confronti dello Stato: acquistare solo lo stretto necessario, disertare teatri e luoghi di divertimento, rinunciare a viaggi, ritirare i depositi dalle banche. Il boicottaggio venne propagandato dai giovani attivisti in vari modi e in ogni parte del paese e la risposta violentissima del regime non si fece attendere: le detenzioni vennero sostituite dalle esecuzioni sommarie. Il generale Gonzales, comandante delle truppe della regione di Michoacan, emise questo decreto in data 23 dicembre 1927: "Chiunque farà battezzare i propri figli, o farà matrimonio religioso, o si confesserà, sarà trattato da ribelle e fucilato".

    A Città del Messico, in tutta risposta, convennero folle di pellegrini da ogni parte della nazione, a ricordo del primo Congresso Eucaristico Nazionale, tenutasi nel 1924 con grande successo, nonostante le restrizioni governative, e sulla cima del Cubilete, centro geografico della nazione, per la prima volta venne lanciato il grido fatidico, segnale di riscossa e di insorgenza, che doveva diventare il grido dei martiri davanti ai plotoni di esecuzione o alle forche di questa nuova Vandea: "Viva Cristo Re!". Ma di fronte agli arresti, alle confische, ai campi di concentramento, agli stupri e agli eccidi, consumati nell'indifferenza internazionale, rotta solo dalle vibranti proteste del Vaticano, i cattolici si trovarono senza altra alternativa, dopo la testimonianza, il boicottaggio e la resistenza passiva, che prendere le armi: divennero soldati, soldati di Cristo Re o, come venivano sprezzantemente definiti dai nemici, "Cristeros".

    L'11 gennaio 1927 fu proclamato il Manifesto alla nazione detto "de los Altos" e nacque l'Esercito Nazionale dei Liberatori. Il programma politico prevedeva la restaurazione di tutte le libertà soppresse.

    L'esercito si organizzò disponendo unicamente del sostegno dei volontari e della popolazione civile. Le colonne si spostavano continuamente in una tattica di guerriglia.

    L'armata era composta di giovani, contadini e operai, studenti e impiegati, animati e uniti da uno spirito ammirevole: alla sera, prima di addormentarsi, i Cristeros cantavano l'inno "Tropas de Maria". Quando era possibile si conservava il Santissimo, e i soldati si davano il cambio ogni quarto d'ora per l'adorazione. I capi portavano la croce sul petto e i soldati l'immagine della Vergine di Guadalupe; prima di dare battaglia, tutti si facevano il segno della croce e poi si battevano al grido di "Viva Cristo Re". Lo spazio non ci consente di elencare i tanti protagonisti dell'eroica insurrezione, i valorosi e i martiri, alcuni dei quali, sotto il pontficato di Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria degli altari, come il gesuita padre Miguel Agustin Pro, fucilato senza processo.

    Fu una Vandea, abbiamo detto, ma con una conclusione diversa: il desiderio di vedere cessare definitivamente le sofferenze del popolo messicano portò l'Episcopato a siglare accordi con il governo. Il 29 giugno 1929, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, le chiese del Messico si riaprirono al culto, e le campane tornarono a suonare nel paese: vennero celebrate Messe ovunque, tra l'entusiasmo della popolazione. I Cristeros deposero le armi: discesero dai monti, sciolsero i battaglioni che per tre anni avevano tenuto testa alle truppe governative, e tornarono ai loro villaggi e alle loro città. La gioia per il ritorno della pace si accompagnò però nei loro cuori all'amarezza per la mancata vittoria: i nemici di sempre rimanevano ai loro posti di comando e la tregua, così frettolosamente raggiunta, sapeva di compromesso.

    Molti esponenti dei Cristeros si sentirono traditi: non era stato firmato un accordo, ma una resa. Numerosi membri del clero e laici noti per il loro impegno antigovernativo vennero esiliati e molti Cristeros, appena deposte le armi, furono arrestati e fucilati. Non pochi paesi che avevano dato loro ospitalità vennero saccheggiati e i sacerdoti ritornati nelle loro parrocchie divennero bersagli dell'ostilità governativa.

    Prese il via un'opera più raffinata e meno cruenta di marginalizzazione dell'identità religiosa e culturale del popolo messicano.

    Secondo il filosofo argentino Alberto Caturelli, "il popolo messicano è il prototipo di una comunità martire, della cui testimonianza partecipano tutti i popoli della iberoamerica. Popolo di Cristo Re la cui epopea cristiana ha consacrato tanti messicani come testimoni del Testimone". Impossibile immaginare una gloria maggiore: a noi il dovere di non soccombere alla maledizione della dimenticanza.

    Fonte: Storia libera

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    José Sánchez del Río aveva solo 14 anni quando fu martirizzato

    GUADALAJARA, domenica, 20 novembre 2005 (ZENIT.org-El Observador).- Questa domenica, festa di Cristo Re, sono stati beatificati 13 martiri messicani della persecuzione religiosa (1926-1929), conosciuta anche come “guerra cristera”, tra i quali spicca il giovanissimo martire José Sánchez del Río, assassinato per odio alla fede all’età di 14 anni.

    Nato il 28 marzo 1913 a Sahuayo, Michoacán, José era il terzo dei quattro figli di Macario Sánchez Sánchez e María del Río.

    Quando scoppiò “la Cristiada”, i suoi due fratelli maggiori, Macario e Miguel, si schierarono in difesa della libertà religiosa nella regione di Sahuayo, mentre José non fu ammesso per la sua giovane età.

    Durante un pellegrinaggio compiuto da José sulla tomba di Anacleto González, anch’egli beatificato questa domenica, chiese per sua intercessione la grazia del martirio. In seguito continuò a cercare di schierarsi con le forze “cristeras”. Sua madre si opponeva, ma José le rispose: “Mamma, mai come ora è facile guadagnarsi il Cielo”.

    Si recò a Cotija – nel suo Stato natale – per incontrare il generale “cristero” Prudencio Mendoza. Gli disse che se non aveva abbastanza forza per caricare il fucile poteva comunque aiutare i soldati a prepararsi, lubrificare le armi, preparare i pasti e prendersi cura dei cavalli. Il generale lo accettò.

    Oltre a servire la truppa, José ne divenne presto il trombettiere e portabandiera.

    In seguito, poiché il Governo perseguitava i familiari dei “cristeros”, al fine di proteggere la sua famiglia che era conosciuta e benestante, fece sì che tutti i suoi compagni lo chiamassero José Luis.

    In uno scontro con i federali, il 6 febbraio 1928, fu quasi arrestato il generale Guízar Morfín, al quale uccisero il cavallo; José, però, scese dal suo e glielo offrì dicendo: “Mio generale, prenda lei il mio cavallo e si salvi; lei è più necessario e serve di più alla causa di me”. Il generale riuscì a fuggire, ma i federali arrestarono José e lo portarono nel carcere di Cotija, dove scrisse a sua madre, che in qualche modo riuscì a ricevere la lettera.

    Il giorno dopo, il 7 febbraio, fu trasferito a Sahuayo e messo a disposizione del deputato federale Rafael Picazo Sánchez, che gli assegnò come carcere la parrocchia.

    Picazo gli presentò varie possibilità di mettersi in salvo: gli offrì del denaro perché se ne andasse all’estero, e poi propose di mandarlo al Collegio Militare. José rifiutò senza esitazioni.

    Picazo sapeva che i Sánchez del Río erano benestanti perché era stato loro vicino, per cui chiese loro cinquemila pesos in oro per riscattare José. Macario Sánchez cercò subito di racimolare la somma, ma quando José lo seppe chiese alla famiglia di non pagare il riscatto perché aveva già offerto la propria vita a Dio.

    Quella prima notte di prigione nella parrocchia vide come il tempio veniva profanato: i soldati si macchiavano di peccati di ogni sorta, la chiesa fungeva da stalla per il cavallo di Picazo e il presbiterio era il recinto per i suoi galli da combattimento. José riuscì a liberarsi, uccise i galli, accecò il cavallo e tornò nel suo cantuccio.

    Il giorno successivo Picazo affrontò José, che gli rispose: “La casa di Dio è un luogo in cui venire a pregare, non un rifugio di animali”. Dopo essere stato minacciato, José rispose: “Sono disposto a tutto. Mi fucili, perché io sia subito davanti a Nostro Signore e gli chieda di confonderla!”.
    Di fronte a questa risposta, uno degli aiutanti colpì José alla bocca rompendogli i denti.

    Venerdì 10 febbraio venne trasferito al Mesón del Refugio, dove gli annunciarono che sarebbe stato ucciso. Scrisse a sua zia Magdalena perché gli portasse il Viatico. Alle undici di sera gli spellarono i piedi con un coltello, lo portarono via e lo costrinsero a camminare fino al cimitero. I vicini lo sentivano gridare lungo la strada “Viva Cristo Re!”.

    Una volta nel cimitero, il capo della scorta ordinò di pugnalarlo. Ad ogni ferita José continuava a gridare “Viva Cristo Re!”.

    Per crudeltà gli chiesero se voleva inviare un messaggio a suo padre. José rispose: “Ci vedremo in Cielo! Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe!”. Per farlo tacere, il capo tirò fuori la pistola e gli sparò in testa. José cadde in una pozza di sangue. Erano le undici e mezza di sera di venerdì 10 febbraio 1928.

    Una delle testimonianze del martirio è la lettera che José inviò a sua madre il 6 febbraio, in cui scrisse:

    “Mia cara mamma: oggi sono stato fatto prigioniero in combattimento. Credo che morirò, ma non importa, mamma. Rassegnati alla volontà di Dio; muoio molto contento perché muoio al fianco di Nostro Signore. Non ti affliggere per la mia morte, che è ciò che mi mortifica. Dì ai miei fratelli di seguire l’esempio del più piccolo, e tu fai la volontà del nostro Dio. Sii forte e mandami la tua benedizione insieme a quella di mio padre. Salutami tutti per l’ultima volta e ricevi il cuore di tuo figlio che ti vuole tanto bene e desiderava vederti prima di morire”.

    Fonte: Zenit, 20.11.2005

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    Parla un testimone del martirio di José Sánchez del Río, beatificato questa domenica (I)

    Intervista con padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo e del movimento “Regnum Christi”


    ROMA, domenica, 20 novembre 2005 (ZENIT.org).- Tra i testimoni del martirio di José Sánchez del Río, un ragazzo messicano di quattordici anni beatificato questa domenica a Guadalajara, c’era Marcial Maciel, un bambino che non aveva ancora compiuto otto anni e che in seguito sarebbe diventato fondatore della congregazione dei Legionari di Cristo e del movimento “Regnum Christi”.

    La Legione di Cristo ha circa 650 sacerdoti e 2.500 seminaristi, mentre il movimento di apostolato “Regnum Christi” è composto da circa 65.000 membri, secolari – uomini e donne –, diaconi e sacerdoti, presenti in tutti i continenti.

    In questa intervista concessa a ZENIT, padre Maciel, che ha 85 anni, ricorda il martirio del suo amico.

    Lei è stato testimone del martirio di José Sánchez del Río in Messico. Dopo quasi ottant’anni cosa ricorda di quei momenti? Come aveva conosciuto José Sánchez?

    Padre Maciel: José Luis – come lo chiamavamo noi suoi amici – era di Sahuayo, Michoacán, un villaggio non lontano da Cotija, il mio paese natale. La mia nonna materna, Maura Guízar Valencia, abitava lì e andavamo spesso a trovarla. Io ero più piccolo di sei anni rispetto a José Luis. Gli piaceva organizzare giochi per i bambini, ci parlava di Gesù, ricordo che mi portava a visitare il Santissimo, era molto buono.

    Quando iniziò la persecuzione religiosa volle unirsi ai cristeros per difendere la fede; chiese varie volte il permesso finché alla fine venne ammesso. Nel febbraio 1928 – io avevo sette anni, quasi otto – mi trovavo a Sahuayo quando sapemmo che José Luis era stato arrestato e che lo avevano rinchiuso nel battistero della parrocchia.

    Una finestra dava sulla strada e da lì lo sentivamo cantare “Al Cielo, al Cielo, al Cielo voglio andare”, mentre aspettava la sentenza. I federali stavano usando la parrocchia come carcere e anche come recinto per gli animali. Rafael Picazo, che comandava il villaggio di Sahuayo, poneva come condizione per la sua liberazione che rinnegasse la sua fede davanti a lui e ai suoi soldati.

    Lo sapevamo ed eravamo molto preoccupati, in uno stato di emozione e tristezza tremendo. Noi suoi amici ci riunivamo per pregare per lui. Piangevamo molto, chiedendo alla Santissima Vergine che non lo uccidessero, ma allo stesso tempo che non rinnegasse la sua fede. José Luis, del resto, non voleva saperne.

    Dopo due giorni, di pomeriggio, sapemmo che lo avevano portato al mesón del Refugio . Quella sera gli spellarono le piante dei piedi e lo obbligarono a camminare scalzo fino al cimitero, che si trovava a vari isolati di distanza. Noi – pochi parenti, amici, conoscenti del villaggio – lo seguivamo da lontano. Ricordo le macchie di sangue che lasciava al suo passaggio; procedeva con le mani legate dietro la schiena e ricordo i federali che lo spingevano, insultandolo e ordinandogli di smettere di gridare “Via Cristo Re!”. La sua risposta era sempre il grido “Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!”. A noi hanno permesso di arrivare solo fino alle mura del cimitero. Lo hanno portato vicino alla fossa. Dicono che lo hanno pugnalato varie volte e che continuavano a ordinargli di abiurare la fede, ma rispondeva “Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!”. Suo padre non era con noi, non era presente. Gli hanno chiesto sbeffeggiandolo “Che mandi a dire a tuo padre?”, e lui ha risposto “Che ci vedremo in cielo”.

    Alla fine gli hanno sparato alla tempia. Ho sentito lo sparo che ha posto fine alla sua vita. Si può immaginare l’impressione profonda che questo fatto ha lasciato in noi, soprattutto nei bambini. Ho un ricordo molto bello, affettuoso, di questo mio amico che ha dato la propria vita per Cristo, per me è stato sempre una testimonianza di ciò che significa l’autentico amore per Gesù. Lo ricordo anche con nostalgia, perché io dicevo a Nostro Signore: “Perché hai scelto lui come martire e non me?”.

    Come ha influito quella testimonianza di martirio sulla sua vita personale e sull’opera alla quale avrebbe poi dato vita, la fondazione della Legione di Cristo e del “Regnum Christi”?

    Padre Maciel: Il martirio di José Luis ha lasciato una traccia profonda, incancellabile dentro di me: la sua morte ha contribuito a seminare in me la certezza che la fede vale più della vita stessa, mi parlava del valore eterno di una vita totalmente dedicata all’amore per Cristo, ha seminato in me un anelito all’eternità… ma non solo José Luis.

    Nel mio villaggio di Cotija, durante la guerra cristera, vedevamo spesso gli impiccati nella piazza e assistevamo alle fucilazioni di cristeros che erano morti gridando “Viva Cristo Re!”. Lasciavano forse una famiglia, dei figli, una madre – quante incoraggiavano i loro figli a non rinnegare la loro fede!

    Ho assistito al martirio di Antonio Ibarra, un musicista del mio villaggio, di Leonardo e di vari altri; ho ancora scolpiti nella mente alcuni di quei volti e di quelle scene, soprattutto quella in cui hanno tirato giù Antonio dalla forca e lo hanno deposto tra le braccia della madre, Isabel Ibarra. Nei villaggi del Messico sono state martirizzate persone di ogni tipo: bambini, giovani e adulti, uomini e donne, ricchi e poveri, sacerdoti e fedeli laici.

    Credo che questa testimonianza del martirio di tanti cristiani, che hanno preferito versare il proprio sangue anziché tradire Gesù Cristo, abbia influito molto sulla mia vita e sulla mia missione di fondatore, perché era una testimonianza che, per così dire, faceva rivivere la fede eroica dei primi cristiani.

    Questa testimonianza mi ha aiutato a capire che la vita cristiana, per essere coerente, deve essere pienamente impegnata con Gesù. Un cristianesimo a metà, di compromesso, che “accende una candela a Dio e un’altra al diavolo” (come dice il proverbio popolare), non è cristianesimo.

    A me sarebbe piaciuto dare la vita, come ha fatto José Luis Sánchez del Río, come hanno fatto le centinaia e migliaia di martiri cristeros, ma ho capito che a me Dio chiedeva un altro tipo di martirio, quello di vivere il Vangelo fino alle ultime conseguenze; ed è questo, in fin dei conti, che sta dietro alla fondazione della Legione di Cristo e del Movimento “Regnum Christi”: aiutare a far sì che anche altri uomini si impegnino a conoscere, vivere e trasmettere l’amore di Gesù Cristo.

    Quando è arrivato il momento di scegliere un nome per la congregazione che lo Spirito Santo mi ha ispirato a fondare, ho vagliato vari nomi, e il ricordo della testimonianza dei cristeros è stato un elemento che mi ha aiutato a capire che il nome che avrebbe potuto indicare meglio la nostra missione era quello di Legionari di Cristo: uomini che lottano per il Regno di Cristo senza riservare nulla per sé, disposti a donare la propria vita.

    Fonte: Zenit, 20.11.2005

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    Parla un testimone del martirio di José Sánchez del Río, beatificato questa domenica (II)

    Intervista con il fondatore dei Legionari di Cristo e del movimento “Regnum Christi”


    ROMA, lunedì, 21 novembre 2005 (ZENIT.org).- Tra i testimoni del martirio di José Sánchez del Río, un ragazzo messicano di quattordici anni beatificato questa domenica a Guadalajara, c’era Marcial Maciel, un bambino che non aveva ancora compiuto otto anni e che in seguito sarebbe diventato fondatore della congregazione dei Legionari di Cristo e del movimento “Regnum Christi”.

    La Legione di Cristo ha circa 650 sacerdoti e 2.500 seminaristi, mentre il movimento di apostolato “Regnum Christi” è composto da circa 65.000 membri, secolari – uomini e donne –, diaconi e sacerdoti, presenti in tutti i continenti.

    Nella seconda parte di questa intervista concessa a ZENIT, padre Maciel, che ha 85 anni, ricorda il martirio del suo amico.

    La prima parte è stata pubblicata il 20 novembre 2005.

    José è stato assassinato e il movimento cristero che sosteneva è fallito. E’ stata una morte inutile?

    Padre Maciel: Nel 1929 i cristeros hanno deposto le armi obbedendo al mandato di Sua Santità Papa Pio XI. I governanti di allora non hanno rispettato gli accordi con la Chiesa e con i cristeros e molti cristeros disarmati sono stati poi assassinati. Tutto è finito nel nulla. Sembrerebbe un fallimento, ma come diceva Tertulliano il sangue dei martiri è fonte di cristiani. Giovanni Paolo II è stato testimone, durante il suo primo viaggio in Messico nel 1979 – il primo dei suoi viaggi come pellegrino nel mondo – dell’entusiasmo e della vita di fede che si respira in Messico, senz’altro favoriti dal sangue dei suoi martiri.

    Un martirio non solo non sarà mai una morte inutile, ma sarà piuttosto una morte feconda, redentrice. E’ la morte del discepolo che si associa alla croce del suo Maestro, e che con Lui offre la propria vita per la salvezza di molti uomini, anche i suoi aguzzini. E’ come con Gesù: la sua morte sembra a prima vista un fallimento, ma è una testimonianza luminosa della resurrezione e della vita eterna che attende tutti noi.

    E’ il trionfo sull’odio e la vittoria della vita sulla morte. Ho potuto constatare varie volte come dalla morte di José Luis fino ad oggi molti visitino la sua tomba, portino fiori, accendano candele e si fermino lì a pregare, chiedendo la sua intercessione. Come diceva Gesù, Dio “non è Dio dei morti, ma dei vivi”. Quando preghiamo i santi, sappiamo che parliamo con persone che vivono, che hanno trionfato definitivamente e hanno raggiunto la felicità con Dio verso la quale peregriniamo durante questa vita e alla quale siamo tutti chiamati.

    Un giovane, a quindici anni, è capace di donare la sua vita per Cristo? Può un ragazzo di 15 anni riconoscere chiaramente la sua vocazione?

    Padre Maciel: Mi chiede se un adolescente di 15 anni è capace di dare la sua vita per Cristo? Lo stesso contesto di questa intervista, il martirio di José Sánchez del Río, un ragazzo di 14 anni, è in sé una risposta. Nella sua seconda domanda, lei stabilisce un bel rapporto, che racchiude una grande verità. Il martirio è una chiamata di Dio a donare la propria vita per Cristo in pochi minuti. Anche la vocazione è una chiamata a dare la propria vita per Cristo, ma giorno per giorno, minuto per minuto. Non possiamo dimenticare che è Dio che ci chiama, ed Egli sceglie il momento per farlo. E’ Dio che semina. Egli può far nascere la vocazione sacerdotale nel cuore di un bambino, come in quello di un giovane, o di un adulto; quando gli sembra il momento opportuno sa trovare il modo di far sentire dentro di loro in modo nitido il suo invito a seguirLo.

    E’ chiaro che, come accade con ogni processo di maturazione nella vita di un bambino e di un ragazzo, con il tempo questo seme deve crescere, e la chiamata sarà studiata e avrà tempo per essere ponderata e verificata. Il cammino verso il sacerdozio o la vita consacrata passerà per varie tappe di formazione e la Chiesa ammetterà quanti saranno idonei. Ciò che conta è poter offrire a questi bambini e adolescenti che in giovane età sperimentano dentro di sé la chiamata di Dio uno spazio di libertà e un ambiente propizio, una “terra buona”, il sole, l’acqua, l’aria perché il seme possa crescere a suo tempo; questo è ciò che cerchiamo di fare nei centri vocazionali della Legione e del “Regnum Christi”.

    Qusta è stata anche la mia esperienza personale: ho ricevuto la chiamata al sacerdozio a 14 anni, sono uscito di casa per andare in seminario a 15; non ho mai dubitato della mia vocazione, sono stato e sono pienamente felice del mio sacerdozio e ho già 85 anni...

    Sa che anche il fondatore di un’altra congregazione religiosa nata in Messico è stato testimone di quel martirio?

    Padre Maciel: Suppongo che si riferisca a padre Enrique Amezcua Medina, fondatore della Confraternita Sacerdotale degli Operai del Regno di Cristo. E’ di Colima. Non saprei dirle se sia stato o meno testimone del martirio, mi sembra di no, ma so che la sua vocazione sacerdotale è dovuta a José Luis Sánchez, che ha incontrato nel 1927, in piena guerra cristera. Raccontava che, quando aveva 9 anni e si era avvicinato a José per conoscerlo, questi stringeva al petto la bandiera di Cristo Re e parlava con molto fervore della Santissima Vergine ad un giovane cristero scoraggiato… Padre Enrique – il bambino Enrique – gli si avvicinò e gli disse che voleva essere come lui, soldato di Cristo Re. José gli sorrise e gli disse che era ancora molto piccolo, ma ciò che doveva fare era pregare molto per lui e per tutti i cristeros. Padre Enrique ricordava il modo in cui lo guardava e le sue parole: forse Dio ti vorrà come sacerdote. E se tu diventerai sacerdote potrai fare molte cose che né io né noi potremo realizzare. Per cui non ti devi affliggere.

    Si misero d’accordo per pregare sempre l’uno per l’altro, e sigillarono il patto con una stretta di mano. José Luis si congedò da lui dicendo: “Fino a ciò che Dio vorrà: a presto o arrivederci in Cielo…”.

    Cosa chiede lei a José Luis?

    Padre Maciel: Quello che gli chiedo sempre: che Dio ci doni attraverso di lui la grazia di essere fedeli alla nostra fede e al nostro amore incondizionato per Cristo fino alla morte. Gli affido tutti i bambini e gli adolescenti. Mi sembra che, come lo è stato per me, José sarà per tutti loro un eccellente modello di amicizia con Cristo e di fedeltà e coerenza cristiana.

    Fonte: Zenit, 21.11.2005

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    Vittorio MESSORI

    Leggenda nera: La Cristiada


    tratto da Vittorio MESSORI, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell'avventura umana, Ed. Paoline, Milano 1992, p. 658-660.

    Il Paese iberico, si sa, fu invaso da Napoleone e (malgrado quella tenace, invincibile resistenza popolare che fu il primo segno della fine per l'impero francese), dovette abbandonare a se stessi gli immensi territori americani.

    Quando la stella napoleonica si eclissò e la Spagna riebbe il suo governo, era ormai troppo tardi per ristabilire oltre Oceano lo statu quo: furono inutili i tentativi di domare la rivolta dei "creoli", cioè della borghesia bianca ormai radicata in quei luoghi. Quei borghesi benestanti erano coloro che da sempre avevano relazioni tese con la Corona e il governo della Madrepatria, accusati di "difendere troppo" gli indigeni e di impedirne lo sfruttamento. Soprattutto, l'ostilità creola si dirigeva contro la Chiesa e in particolare contro gli ordini religiosi perché non solo vegliavano affinché fossero rispettate le leggi di Madrid a tutela degli indios ma anche perché (a partire da subito, prima ancora di Las Casas: la prima denuncia contro i Conquistadores risuonò nell'Avvento del 1511 in una chiesa dal tetto di paglia a Santo Domingo e la pronunciò padre Antonio de Montesinos) sempre si erano battuti affinché quella legislazione fosse continuamente migliorata. Si è forse dimenticato che le spedizioni armate per distruggere le reducciones dei gesuiti erano state organizzate dai proprietari spagnoli e portoghesi, quegli stessi che fecero pesanti pressioni sulle rispettive Corti e governi perché la Compagnia di Gesù fosse definitivamente soppressa?

    Anche a causa di questa opposizione alla Chiesa, vista come alleata degli indigeni, l'élite creola che guidò la rivolta contro la Madrepatria era inquinata in profondità dal Credo massonico che diede ai moti di indipendenza il carattere di duro anticlericalismo - se non di anticristianesimo - che è continuato sino ai giorni nostri. Sino - ad esempio - al martirio dei cattolici nel Messico della prima metà del nostro secolo. I «Libertadores», i capi della insurrezione contro la Spagna, furono tutti alti esponenti delle Logge: del resto, proprio da quelle parti si formò alla ideologia liberomuratoria Giuseppe Garibaldi, destinato a diventare Gran Maestro di tutte le massonerie. Un'occhiata alle bandiere e ai simboli statali dell'America Latina rivela l'abbondanza di stelle a cinque punte, triangoli, piramidi, squadre e di tutto l'armamentario del simbolismo dei "fratelli".

    Sta di fatto che, proprio in nome dei principi di fratellanza universale massonica e dei "diritti dell'uomo" di giacobina memoria, i creoli, non appena liberati dall'impaccio delle autorità spagnole e della Chiesa, poterono disfarsi anche dell'impaccio delle leggi di tutela per gli indios. Quasi nessuno dice l'amara verità: dopo il primissimo periodo (fatalmente duro per l'incontro-scontro di culture tanto diverse) della colonizzazione iberica, nessun altro periodo fu tanto disastroso per gli autoctoni sudamericani come quello che inizia agli albori del XIX secolo, con l'assunzione del potere da parte della borghesia sedicente "illuminata".

    Al contrario di quanto vuol far credere la "leggenda nera" protestante e illuminista, l'oppressione senza limiti, il tentativo di distruzione delle culture indigene inizia con l'uscita di scena della Corona e della Chiesa. E' da allora, ad esempio (già ne parlammo nel frammento 205), che si inizia un'opera sistematica di distruzione delle lingue locali, per sostituirle con il castigliano, idioma dei nuovi dominatori che pur proclamavano di avere assunto il potere "in nome del popolo". Ma era un "popolo" costituito in realtà solo dalla esigua classe dei proprietari terrieri di origine europea.

    Fu da allora che spuntarono quei provvedimenti, che mai erano stati presi durante il periodo "coloniale", per impedire il "meticciamento", la mescolanza razziale e culturale. Mentre la Chiesa approvava e incoraggiava i matrimoni misti, i governi "liberali" li contrastarono e spesso li vietarono del tutto. Si cominciò, cioè, a seguire l'esempio così poco evangelico delle colonie anglosassoni al Nord: anche qui, non a caso, era stata la massoneria a guidare la lotta per l'indipendenza. Si crea allora un fronte comune tra Logge dell'America Settentrionale e di quella Meridionale, prima per battere la Corona di Spagna e poi la Chiesa cattolica. Nasce anche così la dipendenza - che contrassegnerà tutta la storia che continua sino ad ora - del Sud nei riguardi del Nord. E' curioso: quei "progressisti" che inveiscono contro le colpe della colonizzazione cattolica spagnola e denunciano al contempo la sudditanza dell'America latina verso quella yankee, non sono evidentemente consapevoli che questa loro duplice protesta è contraddittoria: re di Spagna e papi furono, finché poterono, i grandi difensori dell'identità religiosa, sociale, economica delle zone "cattoliche". Il "protettorato" nordamericano è stato determinato anche dai criollos, i creoli, «i ricchi coloni che vollero scrollarsi di dosso autorità spagnole e religiosi per poter far meglio i loro comodi e i loro affari». Così Franco Cardini, il quale, a proposito dei nordamericani chiamati a soccorso (spesso occulto) dei "fratelli" in lotta contro Corona e Chiesa, aggiunge: «Si pensi alle porcherie che hanno accompagnato l'egemonizzazione dell'area panamense e la guerra di Cuba alla fine del XIX secolo; si pensi al costante appoggio americano offerto al governo laicista messicano, che da decenni mantiene una Costituzione che, nel suo dettato più che anticlericale, anticattolico, umilia e offende i sentimenti della maggior parte del popolo del Messico: e gli Usa hanno appoggiato banditi come Venustiano Carranza quando si è profilata la possibilità che qualcosa potesse cambiare. E non hanno mosso un dito durante la sanguinosa persecuzione anticattolica degli anni Venti». Oggi, si sa, il governo americano favorisce e finanzia il proselitismo di sette protestanti che, sradicando il popolo dalle sue tradizioni di quasi mezzo millennio, costituisce una grave violenza anche culturale.

    Gli sforzi "razzisti" del dopo Spagna sono tragicamente simboleggiati dall'arte: mentre le due culture, prima, si erano meravigliosamente intrecciate, dando vita al capolavoro del barroco mestizo, il "barocco meticcio", si divisero di nuovo con l'arrivo al potere degli illuministi. Alla architettura straordinaria delle città coloniali e delle missioni si sostituì l'architettura solo di imitazione europea delle nuove città borghesi, dove per i poveri indios non c'era più alcun posto.

    Fonte: Storia libera

 

 

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