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    Predefinito III Domenica di Avvento o "Gaudete"

    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 62-66

    TERZA DOMENICA DI AVVENTO


    Il gaudio della Chiesa aumenta vieppiù in questa Domenica. Ella sospira sempre verso il Signore; ma sente che ormai è vicino, e crede di poter temperare l'austerità di questo periodo di penitenza con l'innocente letizia delle pompe religiose. Innanzi tutto, questa Domenica ha ricevuto il nome di Gaudete, dalla prima parola del suo Introito; ma, inoltre, vi si osservano le commoventi usanze che sono proprie della quarta Domenica di Quaresima chiamata Laetare. Alla Messa si suona l'organo; gli ornamenti sono di color rosa; il Diacono riprende la dalmatica, e il Suddiacono la tunicella; nelle Cattedrali, il Vescovo assiste, ornato della mitra preziosa. O mirabile condiscendenza della Chiesa, che sa unire così bene la severità delle credenze alla graziosa poesia delle forme liturgiche! Entriamo nel suo spirito, e rallegriamoci in questo giorno per l'avvicinarsi del Signore. Domani, i nostri sospiri riprenderanno il loro corso; poiché, per quanto egli non debba tardare, non sarà ancora venuto.

    La Stazione ha luogo nella Basilica di S. Pietro in Vaticano. Questo tempio augusto che ricopre la tomba del Principe degli Apostoli, è l'asilo universale del popolo cristiano; è quindi giusto che sia testimone delle gioie come delle tristezze della Chiesa.

    L'Ufficio della notte comincia con un nuovo Invitatorio, che è un grido di letizia per la Chiesa; tutti i giorni, fino alla Vigilia di Natale, essa apre i Notturni con queste belle parole:

    Il Signore è ormai vicino: venite, adoriamolo.

    Prendiamo ora il libro del Profeta, e leggiamo con la santa Chiesa:

    ****

    Lettura del Profeta Isaia

    Fiducia in Dio, Egli umilia i superbi.

    Allora si canterà questo cantico nella terra di Giuda:

    Città forte è la nostra;
    la salvezza vi ha messo mura e baluardo.

    Aprite le porte, che vi entri il popolo giusto, mantenitore della fede.

    Gente di saldo cuore, conserverai la pace,
    pace, perché in te è fiducia.

    Abbiate fiducia nel Signore sempre, in perpetuo,
    perché il Signore è rocca per secoli;

    perché ha avvallati gli abitatori delle altezze,
    la città sì elevata l'ha gettata giù,

    l'ha gettata giù sino a terra,
    l'ha rasa al suolo.

    Ora la calpestano i piedi dei miseri
    i passi dei tapini.

    Il giusto aspetta il regno della giustizia e rimane fedele a Dio.

    Piano è il cammino per il giusto,
    il sentiero del giusto Tu livelli o Signore.

    Sì, per la via dei tuoi giudizi noi Ti attendiamo,
    al tuo Nome, al tuo ricordo va l'anelito dell'anima.

    L'anima nostra a Te aspira di notte;
    ancora al mattino il nostro cuore Ti ricerca.

    (Is 26,1-9)

    ****

    O santa Chiesa Romana, nostra roccaforte, eccoci raccolti entro le tue mura, attorno alla tomba di quel pescatore le cui ceneri ti proteggono sulla terra, mentre la sua immutabile dottrina ti illumina dall'alto del cielo. Ma se tu sei forte, è per il Signore che sta per venire. Egli è il tuo baluardo, poiché è lui che abbraccia tutti i tuoi figli nella sua misericordia; egli è la tua fortezza invincibile poiché per lui le potenze dell'inferno non prevarranno contro di te. Apri le tue porte, affinché tutti i popoli facciano ressa nella tua cinta: poiché tu sei la maestra della santità, la custode della verità. Possa l'antico errore che si oppone alla fede cessare presto, e la pace stendersi su tutto il gregge! O santa Chiesa Romana, tu hai riposto per sempre la tua speranza nel Signore; ed egli a sua volta, fedele alla promessa, ha umiliato davanti a te le alture superbe, le roccaforti dell'orgoglio. Dove sono i Cesari, che credettero di averti annegata nel tuo stesso sangue? Dove sono gli IMperatori che vollero attentare all'inviolabile verginità della tua fede? Dove i settari che ogni secolo, per così dire, ha visto accanirsi l'uno dopo l'altro intorno agli articoli della tua dottrina? Dove sono i prìncipi ingrati che tentarono di asservirti dopo che tu stessa li avevi innalzati? Dov'è l'Impero della Mezzaluna che tante volte ruggì contro di te, allorché, disarmata, ricacciavi lontano l'orgoglio delle sue conquiste? Dove sono i Riformatori che pretesero di costituire un Cristianesimo senza di te? Dove sono quei sofisti moderni, ai cui occhi non eri più che un fantasma impotente e tarlato? Dove saranno, fra un secolo, quei re tiranni della Chiesa, quei popoli che cercano la libertà fuori della verità?

    Saranno passati con il rumore del torrente; e tu invece sarai sempre calma, sempre giovane, sempre senza rughe, o santa Chiesa Romana, assisa sulla pietra inamovibile. Il tuo cammino attraverso tanti secoli, sotto il sole che fuori di te illumina sole le variazioni dell'umanità. Donde ti viene questa solidità, se non da colui che è la Verità e la Giustizia? Gloria a lui in te! Ogni anno, egli ti visita; ogni anno, ti reca nuovi doni, per aiutarti a compiere il pellegrinaggio, e sino alla fine dei secoli, verrà sempre a visitarti, a rinnovarti, non solo mediante la potenza di quello sguardo con il quale rinnova Pietro, ma riempiendoti di se stesso, come riempì la Vergine gloriosa; l'oggetto del tuo più tenero amore, dopo quello che porti allo Sposo. Noi preghiamo con te, o Madre nostra, e diciamo: Vieni, Signore Gesù! Il tuo nome e il tuo ricordo sono il desiderio delle anime nostre; esse ti desiderano durante la notte, e i nostri intimi sospiri ti cercano.

    MESSA.

    EPISTOLA (Fil 4,4-7). - Fratelli, state sempre allegri nel Signore, lo ripeto, state allegri. La vostra modestia sia nota a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non vi affannate per niente, ma in ogni cosa siano le vostre petizioni presentate a Dio con preghiere e suppliche unite a rendimento di grazie. E la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodisca i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù Signor nostro.

    Dobbiamo dunque rallegrarci nel Signore, poiché il Profeta e l'Apostolo concordano nell'incoraggiare i nostri desideri verso il Signore: l'uno e l'altro ci annunciano la pace. Stiamo dunque tranquilli: Il Signore è vicino; è vicino alla sua Chiesa; è vicino a ciascuna delle nostre anime. Possiamo forse restare presso un fuoco così ardente, e rimanere freddi? Non le sentiamo forse venire, attraverso tutti gli ostacoli che la sua suprema elevazione, la nostra profonda bassezza e i nostri numerosi peccati gli suscitano? Egli supera tutto. Ancora un passo, e sarà in noi. Andiamogli incontro con le preghiere, le suppliche, i rendimenti di grazie di cui parla l'Apostolo. Raddoppiamo il fervore e lo zelo per unirci alla santa Chiesa, i cui sospiri verso colui che è la sua luce e il suo amore diventano ogni giorno più ardenti.

    VANGELO (Gv 1,19-28). - In quel tempo, i Giudei di Gerusalemme mandarono a Giovanni dei sacerdoti e dei leviti per domandargli: Tu chi sei? Ed egli confessò e non negò; e confessò: Non sono io il Cristo. Ed essi gli domandarono: Chi sei dunque? Sei Elia? Ed egli: No. Sei tu il profeta? No, rispose. Allora gli dissero: E chi sei, affinché possiamo rendere conto a chi ci ha mandati: che dici mai di te stesso? Rispose: Io sono la voce di colui che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia. Or quelli che erano stati inviati a lui erano dei Farisei; e l'interrogarono dicendo: Come dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta? Giovanni rispose loro: Io battezzo coll'acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete. Questi è colui che verrà dopo di me, ed a cui non son degno di sciogliere il legaccio dei calzari. Questo accadeva in Betania oltre il Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

    In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, dice san Giovanni Battista ai messi dei Giudei. Il Signore può dunque essere vicino; può anche essere venuto, e tuttavia rimanere ancora sconosciuto a molti. Questo divino Agnello è la consolazione del santo Precursore, il quale ritiene un grande onore l'essere la mera voce che grida agli uomini di preparare le vie del Redentore. San Giovanni è in questo il tipo della Chiesa e di tutte le anime che cercano Gesù Cristo. La sua gioia è completa per l'arrivo dello Sposo; ma è circondato da uomini per i quali il Divino Salvatore è come se non ci fosse. Ora, eccoci giunti alla terza domenica del sacro tempo dell'Avvento: sono scossi tutti i cuori alla voce del grande annunzio dell'arrivo del Messia? Quelli che non vogliono amarlo come Salvatore, pensano almeno a temerlo come Giudice? Le vie storte si raddrizzano? Le colline pensano ad abbassarsi? La cupidigia e la sensualità sono state seriamente attaccate nel cuore dei cristiani? Il tempo stringe: Il Signore è vicino! Se queste righe cadessero sotto gli occhi di qualcuno di quelli che dormono invece di vegliare nell'attesa del divino Bambino, lo scongiureremmo di aprire gli occhi e di non aspettare oltre a rendersi degno d'una visita che sarà per lui, nel tempo, l'oggetto d'una grande consolazione, e che lo rassicurerà contro tutti i terrori dell'ultimo giorno. O Gesù, manda la tua grazia con maggiore abbondanza; costringili ad entrare, affinché non sia detto del popolo cristiano quello che san Giovanni diceva della Sinagoga: In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.

    PREGHIAMO

    Deh, Signore, volgi il tuo orecchio alle nostre preghiere e con la grazia della sua venuta rischiara le tenebre della nostra mente.

    Paolo de Matteis, S. Giovanni Battista come precursore, XVIII sec., Museo del Prado, Madrid

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    Predefinito Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

    Sermo 293, 3-4, in PL 1328-1329

    Giovanni è la voce. Del Signore invece si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio.
    Se alla voce togli la parola, che cosa resta? Dove non c'è senso intelligibile, ciò che rimane è semplicemente un vago suono. La voce senza parola colpisce bensì l'udito, ma non edifica il cuore.
    Vediamo in proposito qual è il procedimento che si verifica nella sfera della comunicazione del pensiero. Quando penso ciò che devo dire, nel cuore fiorisce subito la parola. Volendo parlare a te, cerco in qual modo posso fare entrare in te quella parola, che si trova dentro di me. Le do suono e così, mediante la voce, parlo a te. Il suono della voce ti reca il contenuto intellettuale della parola e dopo averti rivelato il suo significato svanisce. Ma la parola recata a te dal suono è ormai nel tuo cuore, senza peraltro essersi allontanata dal mio.
    Non ti pare, dunque, che il suono stesso che è stato latore della parola ti dica: «Egli deve crescere e io invece diminuire»? (Gv 3, 30). Il suono della voce si è fatto sentire a servizio dell'intelligenza, e poi se n'è andato quasi dicendo: «Questa mia gioia si è compiuta» (Gv 3, 29). Teniamo ben salda la parola, non perdiamo la parola concepita nel cuore.
    Vuoi constatare come la voce passa e la divinità del Verbo resta? Dov'è ora il battesimo di Giovanni? Lo impartì e poi se ne andò. Ma il battesimo di Gesù continua ad essere amministrato. Tutti crediamo in Cristo, speriamo la salvezza in Cristo: questo volle significare la voce.
    E siccome è difficile distinguere la parola dalla voce, lo stesso Giovanni fu ritenuto il Cristo. La voce fu creduta la Parola; ma la voce si riconobbe tale per non recare danno alla Parola. «Non sono io, disse, il Cristo, né Elia, né il profeta». Gli fu risposto: Ma tu allora chi sei? Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore (cfr. Gv 1, 20-23). Voce di chi grida nel deserto, voce di chi rompe il silenzio.
    «Preparate la strada» significa: Io risuono al fine di introdurre Lui nel cuore, ma Lui non si degna di venire dove voglio introdurlo, se non gli preparate la via.
    Che significa: Preparate la via, se non: chiedete come si deve? Che significa: Preparate la via, se non: siate umili di cuore? Prendete esempio dal Battista che, scambiato per il Cristo, dice di non essere colui che gli altri credono sia. Si guarda bene dallo sfruttare l'errore degli altri ai fini di una sua affermazione personale. Eppure se avesse detto di essere il Cristo, sarebbe stato facilmente creduto, poiché lo si credeva tale prima ancora che parlasse. Non lo disse, riconoscendo semplicemente quello che era. Precisò le debite differenze. Si mantenne nell'umiltà. Vide giusto dove trovare la salvezza. Comprese di non essere che una lucerna e temette di venire spenta dal vento della superbia.
    Tale era il disegno voluto da Dio: che a Cristo rendesse testimonianza un uomo dotato di tanta grazia da poter essere ritenuto, lui, il Cristo.
    Tra i nati di donna non è sorto nessuno più grande di Giovanni il Battista. Se nessuno è più grande di quest'uomo, chi è più grande di lui è più che uomo. Eccellente testimonianza di Cristo a se stesso, ma agli occhi cisposi e malati risulta debole la testimonianza di sé che dà la luce del giorno. Gli occhi malati hanno terrore della luce del giorno e tollerano la lucerna.
    Perciò, la luce del giorno, nell'imminenza del suo arrivo, si fece precedere dalla lucerna. Si fece precedere dalla lucerna nei cuori dei credenti a confusione della mentalità degli increduli. Ho preparato una lampada al mio Cristo. È Dio Padre a parlare in questa profezia: A colui che viene come Salvatore ho preparato un araldo, al Giudice venturo un precursore, per il futuro Sposo un amico.

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    Predefinito Dai “Discorsi" di Guerrico d'Igny”.

    Preparate la strada del Signore! (Is 40, 3). Penso che dobbiamo, prima di tutto, riflettere sulla grazia della solitudine, sulla beatitudine del deserto, che fin dall'inizio dell'era salvifica meritò di essere consacrata all'esichia dei santi. Certo, la vita in solitudine fu santificata per noi dalla voce di colui che gridava nel deserto, cioè da Giovanni che vi predicò e vi conferì un battesimo di conversione. Già prima di lui i più santi dei profeti avevano sempre avuta la solitudine per amica perché mediatrice dello Spirito. Tuttavia, una grazia di santificazione incomparabilmente più alta, più divina fu connessa col deserto quando Gesù vi successe a Giovanni. Infatti anche il Signore, prima di cominciare la predicazione rivolta a quelli che volevano pentirsi, reputò di dover preparare un posto per riceverli; durante quaranta giorni visse nel deserto come per purificare e rinnovare quel luogo, consacrandolo a vita nuova. Là egli vinse il tiranno che se ne stava in agguato e smascherò tutte le sue malizie e scaltrezze; Cristo lo fece non tanto per sé quanto per i futuri abitanti del deserto. Se perciò sei fuggito lontano e ti sei fissato nel deserto, restaci e lì aspetta colui che ti salverà dalla depressione spirituale e dalla tempesta.

    Beato colui che, fuggito lontano dal tumulto del secolo, si è immerso così profondamente nel segreto e nella solitudine di una mente quieta, da meritare di udire non solo la voce del Verbo, ma il Verbo stesso: non più Giovanni, ma Gesù! Però prima di arrivare a tanto, ascoltiamo ciò che ci grida la voce del Verbo, per poter un giorno passare dalla voce al Verbo stesso: Preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri (Is 40, 3).
    Preparare la strada significa rivedere l'orientamento della propria vita, raddrizzare il sentiero è condurre un'esistenza più austera. Certo, una vita rettificata è la strada diritta per cui il Signore ci verrà incontro, lui che sempre, e pure qui, ci previene. Infatti è il Signore che dirige i passi dell'uomo; e questa nostra via diritta è talmente cara a lui, che la sceglie volentieri per venirci incontro e camminare costantemente con noi. Se Cristo, che è la Via, la Verità e la Vita, non è lui stesso a preparare la sua venuta verso di noi, non possiamo correggere la strada che battiamo secondo la regola della verità e neppure indirizzarla verso la vita eterna.

    Preparate la strada del Signore! (Is 40, 3). Questa via del Signore che ci viene comandato di tener pronta, la prepariamo camminando, e preparandola vi camminiamo. E quand'anche, fratelli, aveste già progredito d'un buon tratto, vi resta sempre da prepararla, affinché, dal punto a cui siete giunti, voi avanziate protesi verso ciò che sta oltre. Cosi ad ogni passo avanti, il Signore, per la cui venuta è preparata la via, vi verrà incontro sempre nuovo, in certo senso, e più grande di prima. Ha ragione perciò il giusto a pregare così: Indicami, Signore, la via dei tuoi precetti, e la seguirò sino alla fine (Sal 118, 33). Forse essa fu detta vita eterna, perché se la Provvidenza ha previsto la strada di ognuno e ha fissato un termine al suo progredire, tuttavia non conosce fine la natura della Bontà verso cui siamo in cammino. Perciò il viandante alacre e provveduto, quando sia giunto alla mèta, comincerà allora il viaggio; dimentico del passato, egli si dirà ogni nuovo giorno: Adesso comincio!

    Ma se tu sei sulla via giusta, abbi solo il timore di deviare e di offendere l'Altissimo, che per essa ti guida, giacché allora egli lascerà che tu vada errando per la strada del tuo proprio cuore. Ma oltre lui, non temere nessun'altra persona. E se accampi il motivo che è una strada eccessivamente stretta, alza lo sguardo verso la mèta a cui ti conduce. Se contempli l'approdo di ogni termine, immediatamente esclamerai: La tua legge non ha confini (Sal 118, 96). E qualora tu non possa scorgerlo, credi ad Isaia, il veggente, che è l'occhio del tuo corpo. Appunto perché egli vedeva ad un tempo l'angustia di questo cammino e il suo approdo, aggiungeva: Su questa via commineranno i redenti. Su di esso ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto (Is 35, 9-10). Colui che pone mente abbastanza a questo traguardo, penso che non solo rende la sua via spaziosa, ma addirittura prende le ali; invece di camminare, ormai vola. Fratelli, rammentatevi sempre della ricompensa finale; allora potrete correre sulla via dei comandamenti divini con la maggior facilità e prontezza. Attraverso questa via vi guidi e vi conduca fino al termine Colui che è la via di quelli che corrono e la palma di quelli che arrivano, il Cristo Gesù. A lui onore e gloria nei secoli eterni.

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    BENEDETTO XVI

    ANGELUS

    III Domenica d'Avvento, 11 dicembre 2005


    Cari fratelli e sorelle!

    Dopo aver celebrato la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, entriamo in questi giorni nel clima suggestivo della preparazione prossima al Santo Natale. Nell’odierna società dei consumi, questo periodo subisce purtroppo una sorta di "inquinamento" commerciale, che rischia di alterarne l’autentico spirito, caratterizzato dal raccoglimento, dalla sobrietà, da una gioia non esteriore ma intima. E’ dunque provvidenziale che, quasi come una porta d’ingresso al Natale, vi sia la festa di Colei che è la Madre di Gesù, e che meglio di chiunque altro può guidarci a conoscere, amare, adorare il Figlio di Dio fatto uomo. Lasciamo dunque che sia Lei ad accompagnarci; siano i suoi sentimenti ad animarci, perché ci predisponiamo con sincerità di cuore e apertura di spirito a riconoscere nel Bambino di Betlemme il Figlio di Dio venuto sulla terra per la nostra redenzione. Camminiamo insieme a Lei nella preghiera, e accogliamo il ripetuto invito che la liturgia dell’Avvento ci rivolge a restare nell’attesa, un’attesa vigilante e gioiosa perché il Signore non tarderà: Egli viene a liberare il suo popolo dal peccato.

    In tante famiglie, seguendo una bella e consolidata tradizione, subito dopo la festa dell’Immacolata si inizia ad allestire il Presepe, quasi per rivivere insieme a Maria quei giorni pieni di trepidazione che precedettero la nascita di Gesù. Costruire il Presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il Presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell’amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme. San Francesco d’Assisi fu così preso dal mistero dell’Incarnazione che volle riproporlo a Greccio nel Presepe vivente, divenendo il tal modo iniziatore di una lunga tradizione popolare che ancor oggi conserva il suo valore per l’evangelizzazione. Il Presepe può infatti aiutarci a capire il segreto del vero Natale, perché parla dell’umiltà e della bontà misericordiosa di Cristo, il quale "da ricco che era, si è fatto povero" (2 Cor 8,9) per noi. La sua povertà arricchisce chi la abbraccia e il Natale reca gioia e pace a coloro che, come i pastori a Betlemme, accolgono le parole dell’angelo: "Questo per voi il segno: un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia" (Lc 2,12). Questo rimane il segno, anche per noi, uomini e donne del Duemila. Non c’è altro Natale.

    Come faceva l’amato Giovanni Paolo II, tra poco anch’io benedirò i Bambinelli che i ragazzi di Roma collocheranno nel Presepe delle loro case. Con questo gesto vorrei invocare l’aiuto del Signore perché tutte le famiglie cristiane si preparino a celebrare con fede le prossime feste natalizie. Ci aiuti Maria ad entrare nel vero spirito del Natale.

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    BENEDETTO XVI

    ANGELUS

    III Domenica d'Avvento, 17 dicembre 2006


    Cari fratelli e sorelle!

    Nell’odierna terza Domenica di Avvento la liturgia ci invita alla gioia dello spirito. Lo fa con la celebre antifona che riprende un’esortazione dell’apostolo Paolo: "Gaudete in Domino", "Rallegratevi nel Signore sempre … il Signore è vicino" (cfr Fil 4,4.5). Anche la prima Lettura biblica della Messa è un invito alla gioia. Il profeta Sofonìa, alla fine del VII secolo a.C., si rivolge alla città di Gerusalemme e alla sua popolazione con queste parole: "Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, / e rallégrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! / … Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente" (Sof 3,14.17). Dio stesso viene rappresentato con analoghi sentimenti: "Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, / si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa" (Sof 3,17-18a). Questa promessa si è pienamente realizzata nel mistero del Natale, che celebreremo tra una settimana, e che chiede di rinnovarsi nell’"oggi" della nostra vita e della storia.

    La gioia che la liturgia risveglia nei cuori dei cristiani, non è riservata a loro soli: è un annuncio profetico destinato all’umanità intera, in modo particolare ai più poveri, in questo caso ai più poveri di gioia! Pensiamo ai nostri fratelli e sorelle che, specialmente in Medio Oriente, in alcune zone dell’Africa ed in altre parti del mondo vivono il dramma della guerra: quale gioia possono vivere? Come sarà il loro Natale? Pensiamo a tanti ammalati e persone sole che, oltre ad essere provati nel fisico, lo sono anche nell’animo, perché non di rado si sentono abbandonati: come condividere con loro la gioia senza mancare di rispetto alla loro sofferenza? Ma pensiamo anche a coloro – specialmente ai giovani – che hanno smarrito il senso della vera gioia, e la cercano invano là dove è impossibile trovarla: nell’esasperata corsa verso l’autoaffermazione e il successo, nei falsi divertimenti, nel consumismo, nei momenti di ebbrezza, nei paradisi artificiali della droga e di ogni forma di alienazione. Non possiamo non mettere a confronto la liturgia di oggi e il suo "Rallegratevi!" con queste drammatiche realtà. Come ai tempi del profeta Sofonìa, è proprio a chi è nella prova, ai "feriti della vita ed orfani della gioia" che si rivolge in modo privilegiato la Parola del Signore. L’invito alla gioia non è un messaggio alienante, né uno sterile palliativo, ma, al contrario, é profezia di salvezza, appello ad un riscatto che parte dal rinnovamento interiore.

    Per trasformare il mondo, Dio ha scelto un’umile fanciulla di un villaggio della Galilea, Maria di Nazaret, e l’ha interpellata con questo saluto: "Rallégrati, piena di grazia, il Signore è con te". In quelle parole sta il segreto dell’autentico Natale. Dio le ripete alla Chiesa, a ciascuno di noi: Rallegratevi, il Signore è vicino! Con l’aiuto di Maria, offriamo noi stessi, con umiltà e coraggio, perché il mondo accolga Cristo, che è la sorgente della vera gioia.

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    SERMONE III. - PER LA DOMENICA III. DELL'AVVENTO

    Dei mezzi necessarj alla salute.


    Ego vox clamantis in deserto: Dirigite viam Domini.(Ioan. 1, 23)

    Tutti vorrebbero salvarsi ed andare a godere in paradiso; ma per giungere al paradiso bisogna prendere la via diritta che conduce al paradiso. Questa via diritta è l'osservanza de' divini precetti. Quindi il Battista predicava: Dirigite viam Domini. Acciocché poi possiamo sempre camminare per questa via del Signore senza torcere a destra o a sinistra, dobbiamo prendere i mezzi. I mezzi sono:

    I. Diffidenza di noi stessi,

    II. Confidenza in Dio,

    III. Resistenza alle tentazioni.

    MEZZO I. Diffidenza di noi stessi.


    Dice l'Apostolo: Cum metu et tremore vestram salutem operamini (Phil. 2, 12). Per acquistar la vita eterna bisogna che sempre temiamo, anzi tremiamo di noi stessi (cum metu et tremore) diffidando affatto delle nostre proprie forze; giacché noi senza la divina grazia niente possiamo fare: Sine me, disse Gesù Cristo, nihil potestis facere: niente possiamo fare di bene per le anime nostre. Dice s. Paolo che noi da per noi non siamo capaci neppure di fare un buon pensiero.

    Non quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis quasi ex nobis, sed sufficientia nostra ex Deo est (2 Cor. 3, 5). Non possiamo neppure nominar Gesù utilmente con merito, senza l'aiuto dello Spirito santo: Et nemo potest dicere: Dominus Iesus, nisi in Spiritu sancto (1 Cor. 12, 3).

    Misero chi nella via di Dio confida in se stesso! Questa disgrazia ben la sperimentò s. Pietro, allorché Gesù Cristo, predicendogli che in quella notte l'avrebbe negato: In hac nocte, antequam gallus cantet, ter me negabis (Matth. 26, 34): egli confidando nelle sue proprie forze e nella sua buona volontà, rispose: Etiam si oportuerit me mori tecum, non te negabo (Ibid. v. 35). Ma che avvenne? Quando si trovò dopo la cattura di Gesù Cristo in quella notte nel cortile di Caifas, appena che fu ivi rimproverato di esser egli uno de' discepoli del Salvatore, preso dal timore rinnegò tre volte il suo Maestro, attestando che non l'avea mai conosciuto. Gran cosa! E tanto necessario a noi l'essere umili e diffidare di noi stessi, che Iddio si contenta più presto di permettere alle volte che noi cadiamo in qualche peccato, affinché così acquistiamo quest'umiltà e cognizione della nostra debolezza. Questa disgrazia avvenne anche a Davide, e perciò egli dopo il suo peccato confessa: Priusquam humiliarer, ego deliqui (Ps. 118, 67).

    Quindi lo Spirito santo chiama beato quell'uomo che sempre teme: Beatus homo qui semper est pavidus (Prov. 28, 14). Chi teme di cadere, diffidando delle proprie forze, fugge quanto può le occasioni pericolose, si raccomanda spesso a Dio, e così si mantiene libero da' peccati. Ma chi non teme e confida in se stesso, facilmente si espone ai pericoli di cadere, poco si raccomanda a Dio e così cade. Figuriamoci che taluno stesse sulla cima di un monte, appeso ad una fune tenuta da un altro sopra d'un gran precipizio. Ora vedendosi costui in tal pericolo, non farebbe altro che pregare e dire a chi lo sostiene colla fune: Tieni, tieni forte per carità, non lasciare. Così sta ognuno di noi nel pericolo di cadere nell'abisso di tutte le scelleraggini, se Dio non ci sostiene colla sua mano. Perciò continuamente dobbiamo pregarlo che non ci tolga le mani da sopra e ci soccorra in tutti i pericoli.

    S. Filippo Neri ogni mattina in levarsi diceva a Dio: Signore, tieni le mani oggi sopra Filippo, perché se no, Filippo ti tradisce. Ed un giorno, come si narra nella sua vita, camminando il santo per la città di Roma, e considerando la sua miseria, andava dicendo: son disperato, son disperato. Fu inteso ciò dire da un certo religioso, il quale, credendo ch'egli fosse veramente tentato di disperazione, lo corresse e l'animò a sperare nella divina bontà, ma il santo rispose allora: Io son disperato di me stesso, ma confido in Dio. Così bisogna che ancor noi passiamo questa vita, in cui troviamo tanti pericoli di perdere Dio, bisogna che viviamo sempre disperati di noi stessi, ma confidati in Dio.

    MEZZO II. Della confidenza in Dio.

    Scrive s. Francesco di Sales che se noi non attendessimo che a diffidare di noi, guardando solamente la nostra debolezza, ciò non servirebbe ad altro, che a renderci pusillanimi con gran pericolo di abbandonarci alla vita rilassata, oppure alla disperazione. Quanto più diffidiamo delle nostre forze, tanto più bisogna che confidiamo nella divina misericordia. Questa è una bilancia, dice il medesimo santo, nella quale quanto più s'innalza la coppa della confidenza in Dio, tanto più discende la coppa della diffidenza di noi stessi.

    Uditemi, peccatori, che per vostra disgrazia per lo passato avete offeso Dio, e siete stati condannati all'inferno: se il demonio vi dice che poca speranza vi è per voi della vostra eterna salute, rispondetegli che la sacra scrittura dice: Nullus speravit in Domino et confusus est (Eccl. 2, 11): niun peccatore mai ha confidato nel Signore e si è perduto. E così voi abbiate fermo proposito di non più peccare, abbandonatevi nelle braccia della bontà di Dio, e non dubitate che Dio avrà pietà di voi, e vi salverà dall'inferno: Iacta super Dominum curam tuam, et ipse te enutriet (Ps. 54, 23). Disse un giorno il Signore a s. Geltrude, come scrive Blosio: «Chi confida in me, mi fa tanta violenza, ch'io non posso far di meno di esaudirlo in ciò che mi domanda».

    Dice il profeta Isaia: Qui autem sperant in Domino, mutabunt fortitudinem, assument pennas sicut aquilae, current, et non laborabunt, ambulabunt, et non deficient (Isa. 40, 31): quei che pongono la loro confidenza in Dio, muteranno fortezza, lascieranno la debolezza propria, ed acquisteranno la fortezza divina, voleranno nella via del Signore come aquile, senza affaticarsi e senza mai mancare. Dice di più Davide: Sperantem autem in Domino misericordia circumdabit (Ps. 31, 10). Chi spera nel Signore, sarà circondato talmente dalla sua misericordia, che da quella non potrà mai restare abbandonato.

    Scrive s. Cipriano che la misericordia divina è una fonte d'infinita grandezza: chi vi porta un vaso più grande di confidenza, quegli ne riporta più grazie. Onde disse il profeta reale: Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te (Ps. 32, v.22). Quando dunque il demonio ci spaventa col porci davanti gli occhi tante difficoltà nel perseverare in grazia di Dio in mezzo a tante occasioni e pericoli che vi sono in questa vita, senza rispondergli, alziamo gli occhi a Dio, e speriamo nella sua bontà, che certamente da lui ci verrà l'aiuto per resistere ad ogni insulto: Levavi oculos meos in montes, unde veniet auxilium mihi (Ps. 120, 1). E quando il nemico ci rappresenta la nostra debolezza, diciamo coll'Apostolo: Omnia possum in eo qui me confortat (Phil. 4, 13). Io per me non posso nulla, ma confido in Dio, che colla sua grazia potrò tutto.

    Perciò in mezzo a tanti pericoli, in cui ci troviamo di perderci, dobbiamo continuamente star rivolti a Gesù Cristo, con abbandonarci nelle mani di colui che ci ha redenti colla sua morte, e con dirgli: In manus tuas commendo spiritum meum: redemisti me, Domine Deus veritatis (Ps. 30, 6). E dicendo così, dobbiamo conservare una gran confidenza di giungere alla vita eterna, soggiungendo: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum (Ibid. v. 1).

    MEZZO III. Della resistenza alle tentazioni.

    È troppo vero che nelle occasioni pericolose, quando con confidenza ricorriamo a Dio egli ci soccorre; ma talvolta in certe occasioni più istiganti vorrà il Signore che ci mettiamo anche la parte nostra con farci violenza a resistere. Non basterà allora che una o due volte ricorriamo a Dio, ma bisognerà che replichiamo le preghiere, con andare più volte a gemere davanti la beata Vergine ed a' piedi del crocifisso, esclamando con lagrime: Madre mia, Maria, aiutatemi: Gesù mio Salvatore, salvatemi; per pietà non mi abbandonate, non permettete ch'io vi abbia da perdere.

    Ricordiamoci del vangelo che dice: Quam angusta porta, et arcta via est, quae ducit ad vitam! et pauci sunt, qui inveniunt eam (Matth. 7, 14). La via del paradiso è stretta; come suol dirsi, non vi passa la carrozza; chi vuole andarvi in carrozza, non vi potrà entrare; e perciò pochi giungono al paradiso, perché pochi voglion farsi forza a resistere alle tentazioni: Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud (Matth. 11, 12). Il regno de' cieli vim patitur, spiega un autore, vi quaeritur, invaditur, occupatur; bisogna cercarlo, ed acquistarlo con farsi violenza; chi vuole acquistarlo senza incomodo, con menare una vita sciolta e molle, non l'acquisterà e ne resterà escluso.

    I santi per salvarsi sono andati chi a vivere in un chiostro, chi ad intanarsi in una grotta, chi ad abbracciare i tormenti e la morte, come hanno fatto i santi martiri: Violenti rapiunt illud. Alcuni si lamentano che non hanno confidenza in Dio; ma non si avvedono che la loro poca confidenza nasce dalla loro poca risoluzione di servire a Dio. Dicea s. Teresa: Di anime irresolute non ha paura il demonio. E scrisse il Savio: Desideria occidunt pigrum (Prov. 21, 25). Alcuni vorrebbero salvarsi, vorrebbero farsi santi, ma non mai si risolvono a pigliarne i mezzi, la meditazione, la frequenza dei sacramenti, il distacco dalle creature; oppure pigliano e lasciano. Si pascono in somma di desiderj inefficaci, e frattanto seguono a vivere in disgrazia di Dio, oppure nella loro tepidezza, che finalmente li porta a perdere Dio, e così si avvera che desideria occidunt pigrum.

    Se dunque vogliamo salvarci e farci santi, bisogna che facciamo una forte risoluzione, non solo in generale di darci a Dio, ma anche in particolare di prendere i mezzi opportuni; e dopo averli presi di non tralasciarli; e perciò bisogna che non lasciamo mai di pregare Gesù Cristo e la sua ss. madre, affinché ci ottengano la s. perseveranza.

    Fonte: S. Alfonso M. De' Liguori, Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell'anno, Sermone sulla 3° Domenica di Avvento, Napoli, 1771, ora in OPERE ASCETICHE, in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, a cura di Pier Giacinto Marietti, Vol. III, Torino, 1880, pp. 353-356

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    BENEDETTO XVI

    ANGELUS

    III Domenica d'Avvento, 16 dicembre 2007


    Cari fratelli e sorelle!

    "Gaudete in Domino semper – Rallegratevi nel Signore sempre" (Fil 4,4). Con queste parole di san Paolo si apre la santa Messa della III Domenica di Avvento, che perciò è chiamata domenica "gaudete". L’Apostolo esorta i cristiani a gioire perché la venuta del Signore, cioè il suo ritorno glorioso, è sicuro e non tarderà. La Chiesa fa proprio questo invito, mentre si prepara a celebrare il Natale e il suo sguardo si dirige sempre più verso Betlemme. In effetti, noi attendiamo con speranza certa la seconda venuta di Cristo, perché abbiamo conosciuto la prima. Il mistero di Betlemme ci rivela il Dio-con-noi, il Dio a noi prossimo, non semplicemente in senso spaziale e temporale; Egli ci è vicino perché ha "sposato", per così dire, la nostra umanità; ha preso su di sé la nostra condizione, scegliendo di essere in tutto come noi, tranne che nel peccato, per farci diventare come Lui. La gioia cristiana scaturisce pertanto da questa certezza: Dio è vicino, è con me, è con noi, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, come amico e sposo fedele. E questa gioia rimane anche nella prova, nella stessa sofferenza, e rimane non in superficie, bensì nel profondo della persona che a Dio si affida e in Lui confida.

    Alcuni si domandano: ma è ancora possibile oggi questa gioia? La risposta la danno, con la loro vita, uomini e donne di ogni età e condizione sociale, felici di consacrare la loro esistenza agli altri! La beata Madre Teresa di Calcutta non è stata forse, nei nostri tempi, una testimone indimenticabile della vera gioia evangelica? Viveva quotidianamente a contatto con la miseria, il degrado umano, la morte. La sua anima ha conosciuto la prova della notte oscura della fede, eppure ha donato a tutti il sorriso di Dio. Leggiamo in un suo scritto: "Noi aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c’è Dio, ma è in nostro potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento. Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui, dare come Lui, servire come Lui" (La gioia di darsi agli altri, Ed. Paoline, 1987, p. 143). Sì, la gioia entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio prende dimora, e l’anima è nella gioia. Se invece si fa della felicità un idolo, si sbaglia strada ed è veramente difficile trovare la gioia di cui parla Gesù. E’ questa, purtroppo, la proposta delle culture che pongono la felicità individuale al posto di Dio, mentalità che trova un suo effetto emblematico nella ricerca del piacere ad ogni costo, nel diffondersi dell’uso di droghe come fuga, come rifugio in paradisi artificiali, che si rivelano poi del tutto illusori.

    Cari fratelli e sorelle, anche a Natale si può sbagliare strada, scambiare la vera festa con quella che non apre il cuore alla gioia di Cristo. La Vergine Maria aiuti tutti i cristiani, e gli uomini in cerca di Dio, a giungere fino a Betlemme, per incontrare il Bambino che è nato per noi, per la salvezza e la felicità di tutti gli uomini.

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    Jan Gossaert, Cristo tra la Vergine Maria e S. Giovanni Battista, 1510-15, museo del Prado, Madrid

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    Hans Holbein il giovane, Allegoria dell'Antico e del Nuovo Testamento, 1532-35, National Gallery of Scotland, Edinburgo

 

 
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