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Discussione: II Domenica di Avvento

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 47-51

    SECONDA DOMENICA DI AVVENTO


    L'Ufficio di questa Domenica è tutto pieno dei sentimenti di speranza e di gaudio che dà all'anima fedele il lieto annunzio del prossimo arrivo di colui che è il Salvatore e lo Sposo. La Venuta interiore, quella che si opera nelle anime, è l'oggetto quasi esclusivo delle preghiere della Chiesa in questo giorno: apriamo dunque i nostri cuori, prepariamo le nostre lampade, aspettiamo nella letizia quel grido che si farà sentire nel mezzo della notte: Gloria a Dio! Pace agli uomini!

    La Chiesa Romana fa in questo giorno Stazione alla Basilica di S. Croce in Gerusalemme. In questa venerabile Chiesa, Costantino depose una parte considerevole della vera Croce, e il titolo che vi fu affisso per ordine di Pilato, e che proclamava la regalità del Salvatore degli uomini. Vi si conservano ancora quelle preziose reliquie; e, arricchita di sì glorioso deposito, la Basilica di S. Croce in Gerusalemme è considerata dalla Liturgia Romana, come Gerusalemme stessa, come si può vedere dalle allusioni che presentano le diverse Messe delle Stazioni che vi si celebrano. Nel linguaggio delle sacre Scritture e della Chiesa, Gerusalemme è il tipo dell'anima fedele; questo è anche il pensiero fondamentale che ha presieduto alla composizione dell'Ufficio e della Messa di questa Domenica. Ci dispiace di non poter svolgere qui tutto il magnifico argomento, e ci affrettiamo ad aprire il Profeta Isaia,e a leggervi, con la Chiesa, il passo da cui essa attinge oggi il motivo delle proprie speranze nel regno dolce e pacifico del Messia.

    ****

    Lettura del Profeta Isaia

    Il Messia sorge, animato dallo Spirito di Dio. Sua giustizia.

    Spunterà un rampollo dal trono di Jesse,
    e un pollone germoglierà dalle radici di lui.

    Si poserà sopra di esso lo spirito del Signore,
    spirito di saviezza e di discernimento,

    spirito di consiglio e di fortezza,
    spirito di conoscenza e timor di Dio
    e nel timor del Signore è la sua ispirazione.

    Non secondo l'apparenza farà giustizia,
    né darà sentenza secondo che sente dire,

    ma con equità farà giustizia ai miseri
    e sentenzierà con rettitudine per gli umili del paese;

    darà addosso al violento con la verga della sua bocca
    e col soffio delle sue labbra darà morte al malvagio.

    Avrà giustizia per cintura ai lombi
    e lealtà per fascia ai fianchi.

    Staranno insieme il lupo e l'agnello
    e il pardo accanto al capretto si metterà a giacere;

    il giovenco e il leoncello pascoleranno insieme
    e un piccol fanciullo li menerà;

    la vacca e l'orso si faranno compagnia
    e insieme si accovacceranno i loro nati,
    il leone e il bue del pari mangeranno paglia;

    il lattante si trastullerà alla buca dell'aspide
    e nel covo della vipera uno spoppato porrà la mano.

    Non faranno male né guasto alcuno
    in tutto il mio santo monte

    perché la conoscenza del Signore empierà la terra,
    come le acque ricopriranno il mare.

    In quel tempo al rampollo di Jesse, eretto a segnale per i popoli
    si volgeranno ansiose le genti
    e la sua sede sarà cinta di gloria.

    (Is 11,1-10)

    ****

    Quante cose in queste magnifiche parole del Profeta! Il Ramo; il Fiore che ne spunta; lo Spirito che si posa su quel fiore; i sette doni dello Spirito; la pace e la sicurezza ristabilite sulla terra; una fraternità universale nell'impero del Messia. San Girolamo, dal quale la Chiesa attinge oggi le parole nelle Lezioni del secondo Notturno, ci dice "che questo Ramo senza alcun nodo che spunta dal tronco di Jesse è la Vergine Maria, e che il Fiore è lo stesso Salvatore, il quale ha detto nel Cantico: Io sono il fiore dei campi e il giglio delle valli". Tutti i secoli cristiani hanno celebrato con trasporto il Ramo meraviglioso e il suo Fiore divino. Nel Medioevo, l'Albero di Jesse copriva con i suoi profetici rami il portale delle Cattedrali, scintillava sulle vetrate, si spandeva in ricami sugli ornamenti del santuario e la voce melodiosa dei sacerdoti cantava il dolce Responsorio composto da Fulberto di Chartres e messo in canto gregoriano dal pio re Roberto:

    R). Il tronco di Jesse ha prodotto un ramo, e il ramo un fiore; * E su questo fiore si è posato lo Spirito divino.

    V). La Vergine Madre di Dio è il ramo, e il suo figlio il fiore; * E su questo fiore si è posato lo Spirito divino.

    E il devoto san Bernardo, commentando tale Responsorio nella sua seconda Omelia sull'Avvento, diceva: "Il Figlio della Vergine è il fiore, fiore bianco e purpureo, scelto tra mille; fiore la cui vista allieta gli Angeli, e il cui odore ridona la vita ai morti; Fiore dei campi come lo chiama ella stessa, e non fiore dei giardini; perché il fiore dei campi sboccia da se stesso senza l'aiuto dell'uomo, senza i procedimenti dell'agricoltura. Così il seno della Vergine, come un campo eternamente verde, ha prodotto quel fiore divino la cui bellezza non si corrompe mai, e il cui splendore mai si oscurerà. O Vergine, ramo sublime, a quale altezza non sei tu salita? Tu arrivi fino a colui che è assiso sul Trono, fino al Signore della maestà. E io non ne stupisco; perché tu getti profondamente in terra le radici dell'umiltà. O pianta celeste, la più preziosa e la più santa di tutte! O vero albero di vita, che sei l'unica degna di portare il frutto della salvezza!".

    Parleremo noi dello Spirito Santo e dei suoi doni, che si effondono sul Messia solo per scendere quindi su di noi, che siamo gli unici ad aver bisogno di Sapienza e di intelletto, di Consiglio e di Forza, di Scienza, di Pietà e di Timor di Dio? Imploriamo con insistenza questo divino Spirito per opera del quale Gesù è stato formato nel seno di Maria, e chiediamogli di formarlo anche nel nostro cuore. Ma consoliamoci ancora sulle meravigliose descrizioni che ci fa il Profeta, della felicità, della concordia, della dolcezza che regnano sulla Montagna santa. Da tanti secoli il mondo aspettava la pace: essa viene finalmente. Il peccato aveva tutto diviso; la grazia riunirà tutto. Un tenero fanciullo sarà il legame dell'alleanza universale. L'hanno annunciato i Profeti, l'ha dichiarato la Sibilla, e nella stessa Roma ancora immersa nelle ombre del paganesimo, il principe dei poeti latini, facendosi eco delle tradizioni antiche, ha intonato il famoso canto nel quale dice: "L'ultima età, l'età predetta dalla Sibilla di Cuma sta per aprirsi; una nuova stirpe di uomini discende dal cielo. I greggi non avranno più da temere il furore dei leoni. Il serpente perirà; e l'erba ingannatrice che dà il veleno sarà annientata".

    Vieni dunque, o Messia, a ristabilire la primitiva armonia; ma degnati di ricordarti che tale armonia è stata spezzata soprattutto nel cuore dell'uomo; vieni a guarire questo cuore, a possedere questa Gerusalemme, indegno oggetto della tua predilezione. Troppo a lungo è stata nella cattività di Babilonia; riconducila via dalla terra straniera. Ricostruisci il suo tempio; e la gloria di questo secondo tempio sia maggiore di quella del primo, per l'onore che gli farai di abitarlo tu stesso, non più in figura, ma personalmente. L'angelo l'ha detto a Maria: Il Signore Dio tuo darà al tuo figliuolo il trono di Davide suo padre: ed egli regnerà per sempre nella casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà mai fine. Che altro possiamo fare, o Gesù, se non dire come il tuo discepolo prediletto, Giovanni, al termine della sua Profezia: Amen! Così sia! Vieni, Signore Gesù?

    MESSA.

    EPISTOLA (Rm 15,4-13). - Fratelli: Tutto ciò che è stato scritto, per nostro ammaestramento è stato scritto, affinché mediante la pazienza e la consolazione donata dalle scritture conserviamo la speranza. Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda d'aver il medesimo sentimento secondo Gesù Cristo: affinché d'un sol cuore, con una sola voce glorifichiate Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Accoglietevi dunque gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Gesù Cristo è stato ministro dei circoncisi per dimostrare la veracità di Dio e adempire le promesse fatte ai padri.

    I Gentili invece glorificano Dio a causa della sua misericordia, come sta scritto: Per questo ti loderò tra i Gentili, o Signore, e canterò al tuo nome. Dice ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo. E ancora: Gentili, lodate tutti il Signore; o popoli tutti, celebratelo.

    E anche Isaia dice: Apparirà la radice di Iesse, Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui i Gentili spereranno.

    Il Dio della speranza vi ricolmi adunque di tutta la gioia e di tutta la pace che è nella fede, affinché abbondiate nella speranza e nella virtù dello Spirito Santo.

    Abbiate dunque pazienza, o Cristiani; crescete nella speranza, e gusterete il Dio di pace che sta per venire in voi. Ma siate cordialmente uniti gli uni agli altri, poiché questo è il segno distintivo dei figli di Dio. Il Profeta ci annuncia che il Messia farà abitare insieme il lupo e l'agnello, ed ecco che l'Apostolo ce lo mostra nell'atto di riunire in una stessa famiglia l'Ebreo e il Gentile. Gloria a questo supremo Re, potente rampollo del tronco di Jesse, che ci ordina di sperare in lui!

    VANGELO (Mt 11,2-10). - In quel tempo: Giovanni, avendo udite nella prigione le opere di Cristo, mandò due dei suoi discepoli a dirgli: Sei tu quello che ha da venire, o dobbiamo aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate a riferire a Giovanni quel che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella; ed è beato chi non si sarà scandalizzato di me.

    Partiti quelli, Gesù incominciò a parlare alle turbe di Giovanni e a dire: Che siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? Ma che siete andati a vedere? Un uomo vestito mollemente? Ecco, quelli che portano quelle morbide vesti stanno nei palazzi dei re. Ma che siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco io mando innanzi a te il mio angelo per preparare la tua via dinanzi a te.

    Sei proprio tu, o Signore, che devi venire, e non dobbiamo aspettare un altro. Noi eravamo ciechi, e tu ci hai illuminati; camminavamo barcollando, e ci hai ristabiliti; la lebbra del peccato ci copriva, e ci hai guariti; eravamo sordi alla tua voce, e ci hai ridato l'udito; eravamo morti per le nostre iniquità, e ci hai tratti fuori dal sepolcro; eravamo infine poveri e abbandonati, e sei venuto a consolarci. Questi sono stati e questi saranno sempre i frutti della tua visita nelle nostre anime, o Gesù; della tua visita silenziosa, ma potente, di cui la carne e il sangue non conoscono il segreto, ma che si compie in un cuore commosso. Vieni così in me. o Salvatore! Il tuo abbassamento, la tua familiarità non mi scandalizzeranno, perché quello che operi nelle anime dimostra chiaramente che sei un Dio. Appunto perché le hai create, tu puoi anche guarirle.

    PREGHIAMO

    Scuoti, o Signore, i nostri cuori a preparare le vie del tuo Unigenito; affinché per la sua venuta meritiamo di servirti con animo purificato.

  2. #2
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    Predefinito Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo al Vangelo di Matteo

    In Mt. hom. XXXVII, 1.2, in PG 57, 419-421.

    Gesù aveva guidato a regola d'arte il dialogo con i discepoli di Giovanni. Essi se ne ritornarono saldamente convinti dei segni appena osservati. Non rimaneva che prendersi cura dell'opinione della folla. I discepoli del Battista non avevano avuto alcuna perplessità in ordine alle domande formulate dal Precursore. Ma la gente, che ignorava con quale intenzione Giovanni li avesse inviati, poteva abbandonarsi alle congetture più strane. È verosimile che la moltitudine ragionasse tra di sé dicendo: "Giovanni, che ha reso tante e tali testimonianze in favore di Gesù, forse ora ha cambiato parere? Egli esita. Ora non sa se colui che deve venire sia Gesù oppure un altro. Pone quelle domande perché è in disaccordo con lui? Forse l'esperienza del carcere l'ha reso più timoroso? Potrebbe anche darsi che quanto aveva detto in precedenza fosse vano e senza basi veridiche". È verosimile, dunque, che la gente congetturasse queste e altre simili supposizioni. Osserva perciò come Gesù corregga quelle opinioni infondate e spazzi via quei sospetti.

    Giovanni non è un uomo leggero e volubile - spiega il Signore - è una persona solida, tutta d'un pezzo, e, come tale, incapace di tradire la sua missione. Il Signore porta così i presenti a concludere in questi termini, non direttamente in virtù delle proprie affermazioni, ma partendo da quanto essi stessi prima avevano attestato. Gesù dimostra loro che non solo a parole ma con i fatti erano sempre stati certi della fermezza di Giovanni. Tant'è che dice loro: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Come a dire: Per quale motivo avete abbandonato le vostre città, le vostre case, per spingervi tutti nel deserto? Per andare a vedere un pover'uomo, un facilone? Non avrebbe senso. Non si giustificherebbe tutto quell'interesse e l'accorrere di tanti nel deserto. Mai tanta gente sarebbe affluita da città e campagne in quel deserto desolato, presso le rive del Giordano, se non avesse sperato di incontrare un uomo grande, meraviglioso, più saldo della roccia. No, non siete certo andati a vedere una canna sbattuta dal vento. Come canna al vento sono quei tipi accomodanti, facilmente suggestionabili, che ora dicono una cosa, ora un'altra, e non hanno nessuna consistenza.

    Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! Ecco quello che Gesù vuol dire. In sé Giovanni non era una persona senza spina dorsale. Lo avete dimostrato con il vostro zelo ad accorrere da lui. Neppure si può sostenere che Giovanni fosse stato saldo nel passato, ma poi si infiacchì cedendo alle comodità della vita. Certo, tra gli uomini alcuni nascono così, altri lo diventano. Questi è collerico per natura, quell'altro cade in una grave depressione e contrae tale disturbo. Ancora: vi sono tipi leggeri e accomodanti per temperamento, altri che lo diventano, schiavizzati dai piaceri e dalle mollezze della vita. Ma Giovanni - dice Gesù - non era affatto di tale natura, perché voi non siete andati a vedere una canna nel deserto. Neppure egli si è dato alla vita effeminata, fino a perdere quella tempra che tanto lo caratterizzava. No, non si è lasciato infiacchire: lo provano le sue vesti, il deserto e, ultimo, il carcere.

    Il Precursore viveva sulla terra come se già fosse in cielo, in una sfera superiore a tutte le contingenze della natura. Nel cammino che percorreva, si era dato a tempo pieno e ininterrotto alla preghiera e al canto degli inni. Lontano da ogni creatura umana, conversava continuamente da solo a solo con Dio. Non vedeva nessuno dei suoi simili, a nessuno si mostrava. Mai latte o formaggio per cibo, mai un giaciglio, mai un tetto; pubbliche piazze e affari di questo mondo non erano per lui. Eppure Giovanni sapeva essere mite e impetuoso a un tempo. Ascoltate con quale benevolenza parla ai suoi discepoli, con quale coraggio si rivolge al popolo dei Giudei, con che libertà discute con il re. Tutto questo Gesù espresse nella frase: Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista.

  3. #3
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    Predefinito Dal «Commento sul profeta Isaia» di Eusebio, vescovo di Cesarea.

    Cap. 40, vv. 3. 9; PG 24, 366-367

    Voce di uno che grida nel deserto: «Preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40, 3).
    Dichiara apertamente che le cose riferite nel vaticinio, e cioè l'avvento della gloria del Signore e la manifestazione a tutta l'umanità della salvezza di Dio, avverranno non in Gerusalemme, ma nel deserto. E questo si è realizzato storicamente e letteralmente quando Giovanni Battista predicò il salutare avvento di Dio nel deserto del Giordano, dove appunto si manifestò la salvezza di Dio. Infatti Cristo e la sua gloria apparvero chiaramente a tutti quando, dopo il suo battesimo, si aprirono i cieli e lo Spirito Santo, scendendo in forma di colomba, si posò su di lui e risuonò la voce del Padre che rendeva testimonianza al Figlio: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5).
    Ma tutto ciò va inteso anche in un senso allegorico. Dio stava per venire in quel deserto, da sempre impervio e inaccessibile, che era l'umanità. Questa infatti era un deserto completamente chiuso alla conoscenza di Dio e sbarrato a ogni giusto e profeta. Quella voce, però, impone di aprire una strada verso di esso al Verbo di Dio; comanda di appianare il terreno accidentato e scosceso che ad esso conduce, perché venendo possa entrarvi: Preparate la via del Signore (cfr. Ml 3, 1).
    Preparazione è l'evangelizzazione del mondo, è la grazia confortatrice. Esse comunicano all'umanità al conoscenza della salvezza di Dio.
    «Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme» (Is 40, 9).
    Prima si era parlato della voce risuonante nel deserto, ora, con queste espressioni, si fa allusione, in maniera piuttosto pittoresca, agli annunziatori più immediati della venuta di Dio e alla sua venuta stessa. Infatti prima si parla della profezia di Giovanni Battista e poi degli evangelizzatori.
    Ma qual è la Sion a cui si riferiscono quelle parole? Certo quella che prima si chiamava Gerusalemme. Anch'essa infatti era un monte, come afferma la Scrittura quando dice: «Il monte Sion, dove hai preso dimora» (Sal 73, 2); e l'Apostolo: «Vi siete accostati al monte di Sion» (Eb 12, 22). Ma in un senso superiore la Sion, che rende nota le venuta di Cristo, è il coro degli apostoli, scelto di mezzo al popolo della circoncisione.
    Si, questa, infatti, è la Sion e la Gerusalemme che accolse la salvezza di Dio e che è posta sopra il monte di Dio, è fondata, cioè, sull'unigenito Verbo del Padre. A lei comanda di salire prima su un monte sublime, e di annunziare, poi, la salvezza di Dio.
    Di chi è figura, infatti, colui che reca liete notizie se non della schiera degli evangelizzatori? E che cosa significa evangelizzare se non portare a tutti gli uomini, e anzitutto alle città di Giuda, il buon annunzio della venuta di Cristo in terra?

  4. #4
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    BENEDETTO XVI

    ANGELUS

    II Domenica di Avvento, 4 dicembre 2005


    Cari fratelli e sorelle!

    In questo tempo d’Avvento la Comunità ecclesiale, mentre si prepara a celebrare il grande mistero dell’Incarnazione, è invitata a riscoprire e approfondire la propria relazione personale con Dio. La parola latina "adventus" si riferisce alla venuta di Cristo e mette in primo piano il movimento di Dio verso l’umanità, al quale ciascuno è chiamato a rispondere con l’apertura, l’attesa, la ricerca, l’adesione. E come Dio è sovranamente libero nel rivelarsi e nel donarsi, perché mosso soltanto dall’amore, così anche la persona umana è libera nel dare il suo, pur doveroso, assenso: Dio attende una risposta d’amore. In questi giorni la liturgia ci presenta come modello perfetto di tale risposta la Vergine Maria, che giovedì prossimo 8 dicembre contempleremo nel mistero dell’Immacolata Concezione.

    La Vergine è Colei che resta in ascolto, pronta sempre a compiere la volontà del Signore, ed è esempio per il credente che vive nella ricerca di Dio. A questo tema, come pure al rapporto tra verità e libertà, il Concilio Vaticano II ha dedicato un’attenta riflessione. In particolare, i Padri Conciliari hanno approvato, proprio quarant’anni or sono, una Dichiarazione concernente la questione della libertà religiosa, cioè il diritto delle persone e delle comunità a poter ricercare la verità e professare liberamente la loro fede. Le prime parole che danno il titolo a tale Documento sono "dignitatis humanae": la libertà religiosa deriva dalla singolare dignità dell’uomo che, fra tutte le creature di questa terra, è l’unica in grado di stabilire una relazione libera e consapevole con il suo Creatore. "A motivo della loro dignità – dice il Concilio – tutti gli uomini, in quanto sono persone, dotate di ragione e di libera volontà… sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione" (DH, 2). Il Vaticano II riafferma così la dottrina tradizionale cattolica per cui l’uomo, in quanto creatura spirituale, può conoscere la verità e, quindi, ha il dovere e il diritto di cercarla (cfr ivi, 3). Posto questo fondamento, il Concilio insiste ampiamente sulla libertà religiosa, che dev’essere garantita sia ai singoli che alle comunità, nel rispetto delle legittime esigenze dell’ordine pubblico. E questo insegnamento conciliare, dopo quarant’anni, resta ancora di grande attualità. Infatti la libertà religiosa è ben lontana dall’essere ovunque effettivamente assicurata: in alcuni casi essa è negata per motivi religiosi o ideologici; altre volte, pur riconosciuta sulla carta, viene ostacolata nei fatti dal potere politico oppure, in maniera più subdola, dal predominio culturale dell’agnosticismo e del relativismo.

    Preghiamo perché ogni uomo possa realizzare pienamente la vocazione religiosa che porta inscritta nel proprio essere. Ci aiuti Maria a riconoscere nel volto del Bambino di Betlemme, concepito nel suo seno verginale, il divino Redentore venuto nel mondo per rivelarci il volto autentico di Dio.

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    BENEDETTO XVI

    ANGELUS


    10 dicembre 2006

    Cari fratelli e sorelle!

    Questa mattina ho avuto la gioia di dedicare una nuova chiesa parrocchiale, intitolata a Maria Stella della Evangelizzazione, nel quartiere del Torrino Nord di Roma. E’ un avvenimento che, pur riguardando di per sé quel quartiere, acquista un significato simbolico all’interno del tempo liturgico dell’Avvento, mentre ci prepariamo a celebrare il Natale del Signore. In questi giorni la liturgia ci ricorda costantemente che "Dio viene" a visitare il suo popolo, per dimorare in mezzo agli uomini e formare con loro una comunione di amore e di vita, cioè una famiglia. Il Vangelo di Giovanni esprime così il mistero dell’Incarnazione: "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi"; letteralmente: "pose la sua tenda in mezzo a noi" (Gv 1,14). La costruzione di una chiesa fra le case di un paese o di un quartiere d’una città non evoca forse questo grande dono e mistero?

    La chiesa-edificio è segno concreto della Chiesa-comunità, formata dalle "pietre vive" che sono i credenti, immagine tanto cara agli Apostoli. San Pietro (1 Pt 2,4-5) e san Paolo (Ef 2,20-22) mettono in risalto come la "pietra angolare" di questo tempio spirituale sia Cristo e che, stretti a Lui e ben compatti, anche noi siamo chiamati a partecipare all’edificazione di questo tempio vivo. Se dunque è Dio che prende l’iniziativa di venire ad abitare in mezzo agli uomini, ed è sempre Lui l’artefice principale di questo progetto, è vero anche che Egli non vuole realizzarlo senza la nostra attiva collaborazione. Pertanto, prepararsi al Natale significa impegnarsi a costruire la "dimora di Dio con gli uomini". Nessuno è escluso; ciascuno può e deve contribuire a far sì che questa casa della comunione sia più spaziosa e bella. Alla fine dei tempi, essa sarà completata e sarà la "Gerusalemme celeste": "Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra – si legge nel Libro dell’Apocalisse – … Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo … Ecco la dimora di Dio con gli uomini!" (Ap 21,1-3). L’Avvento ci invita a volgere lo sguardo verso la "Gerusalemme celeste", che è il fine ultimo del nostro pellegrinaggio terreno. Al tempo stesso, ci esorta ad impegnarci con la preghiera, la conversione e le buone opere, ad accogliere Gesù nella nostra vita, per costruire insieme a Lui questo edificio spirituale del quale ognuno di noi - le nostre famiglie e le nostre comunità - è pietra preziosa.

    Tra tutte le pietre che formano la Gerusalemme celeste, sicuramente la più splendita e pregiata, perché di tutte più vicina a Cristo pietra angolare, è Maria Santissima. Per sua intercessione, preghiamo affinché questo Avvento sia per tutta la Chiesa un tempo di edificazione spirituale e così si affretti la venuta del Regno di Dio.

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    Paolo Veronese, Predica di S. Giovanni Battista, 1562 circa, Galleria Borghese, Roma

    Bacchiacca, Predica di S. Giovanni Battista, 1520 circa, Museum of Fine Arts, Budapest

    Domenico Ghirlandaio, Predica di S. Giovanni Battista, 1486-90, Cappella Tornabuoni, Basilica di S. Maria Novella, Firenze

    Giovanni Battista Tiepolo, Predica di S. Giovanni Battista, 1732-33, Cappella Colleoni, Bergamo

    Andrea del Sarto, Predica di S. Giovanni Battista, 1515, Chiostro allo Scalzo, Firenze

    Andrea Sacchi, Predica di S. Giovanni Battista, ciclo della vita di S. Giovanni Battista, 1641-49, Pinacoteca Vaticana, Vaticano, Roma

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    SERMONE II. - PER LA DOMENICA II. DELL'AVVENTO

    Dell'utilità delle tribolazioni.


    Ioannes autem cum audisset in vinculis opera Christi etc. (Matth 11.)

    Iddio nelle tribolazioni arricchisce le anime sue dilette delle maggiori sue grazie. Ecco s. Giovanni che tra le catene e nelle angustie della carcere impara a conoscere le opere di Gesù Cristo: Ioannes cum audisset in vinculis opera Christi. Troppo grande è l'utile che a noi apportano le tribolazioni; il Signore ce le manda, non già perché ci vuol male, ma perché ci vuol bene; onde bisogna abbracciarle quando vengono con ringraziamento, non solo rassegnandoci al suo divino volere, ma anche rallegrandoci che Dio ci tratti, come trattò Gesù suo Figlio, il quale in questa terra fece una vita sempre tribolata. Per tanto voglio oggi dimostrarvi:

    Nel punto I. Quanto a noi giovano le tribolazioni

    Nel punto II. Come nelle tribolazioni dobbiamo portarci.

    PUNTO I. Quanto a noi giovano le tribolazioni.


    Qui non est tentatus, quid scit? Vir in multis expertus, cogitabit multa et qui multa didicit enarrabit intellectum (Eccl. 34, 9). Chi vive nella prosperità e non ha sperienza delle cose avverse, non sa niente dello stato dell'anima sua. La tribolazione

    per 1. ci fa aprire gli occhi che la prosperità ci tiene racchiusi. S. Paolo restando acciecato, quando gli apparve Gesù Cristo, allora conobbe gli errori nei quali viveva. Il re Manasse, stando nella carcere in Babilonia, ricorse a Dio, conobbe i suoi peccati, e ne fece penitenza: Postquam coangustatus est, oravit Dominum... et egit poenitentiam valde coram Deo (2 Paral. 33, 12). Il figlio prodigo, trovandosi ridotto a guardare i porci ed afflitto dalla fame, disse: Surgam et ibo ad patrem meum (Luc. 15).

    Per 2. La tribolazione ci distacca dagli affetti alle cose della terra. La madre quando vuole slattare il suo bambino, mette fiele alle poppe, acciocché il figlio le abborrisca, e s'induca a prender cibo migliore. Così fa Iddio con noi per distaccarci dai beni terreni, mette fiele alle cose terrene, fa che noi, assaggiandovi amarezze, le abborriamo, e mettiamo affetto a' beni celesti. Dice s. Agostino: Ideo Deus felicitatibus terrenis amaritudines miscet, ut alia quaeratur felicitas, cuius dulcedo non fallat (Serm 29. de verb. Dom.).

    Per 3. quei che vivono nelle prosperità, sono molestati da molte tenzioni di superbia, di vanagloria, d'ingordigia di acquistare più ricchezze, più onori e più piaceri. Da queste tentazioni ci liberano le tribolazioni, e ci rendono umili e contenti dello stato in cui ci pone il Signore. Onde scrisse l'apostolo: A Domino corripimur, ut non cum hoc mundo damnemur (1 Cor. 32).

    Per 4. Elle ci fan soddisfare per i peccati commessi, assai meglio che le penitenze volontariamente da noi fatte: Intellige, dice s. Agostino, medicum esse Deum, et tribulationem medicamentum esse ad salutem. Oh che gran rimedio sono le tribolazioni per guarire le piaghe che ci han fatte i peccati! Quindi il santo riprende il peccatore che si lamenta di Dio che lo tribola: Unde plangis? quod pateris medicina est, non poena (S. Aug. in Ps. 55). Giobbe chiama beato chi vien corretto da Dio colle tribolazioni, poiché Dio con le stesse mani con cui lo percuote e ferisce, con quelle lo sana: Beatus homo qui corripitur a Deo, quia ipse vulnerat et medetur, percutit et manus eius sanabunt (Iob. 5, 18). Quindi s. Paolo si gloriava in vedersi tribolato: Gloriamur in tribulationibus (Rom. 5, 3).

    Per 5. Le tribolazioni ci fanno ricordare di Dio, e ci obbligano di ricorrere alla sua misericordia, vedendo ch'egli solo può e vuole sollevarci dalle nostre miserie: In tribulatione sua mane consurgent ad me (Oseae 6, 1). Onde poi disse il Signore, parlando a' tribolati: Venite ad me omnes, così egli ci fa animo, qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos (Matth. 11, 28). Quindi si fa chiamare: Adiutor in tribulationibus. Scrisse Davide: Cum occideret eos, quaerebant eum, et revertebantur ad eum (Ps. 77, 34). Gli ebrei, vedendosi tribolati, e che i nemici ne faceano strage, si ricordavano di Dio e ritornavano a lui.

    Per 6. Le tribolazioni ci fan guadagnare grandi meriti appresso Dio, con darci occasione di esercitare le virtù a lui più care, come sono l'umiltà, la pazienza e l'uniformità ai divini voleri. Diceva il ven.p. Giovanni d'Avila: «Vale più un benedetto sia Dio nelle cose contrarie, che mille ringraziamenti nelle cose prospere». Dice s. Ambrogio (In Luc. c. 4): Tolle martyrum certamina, tulisti coronam; Togli a' martiri il patire, e toglierai loro la corona. Oh che tesoro di meriti acquista una persona con soffrire pazientemente i disprezzi, la povertà e le infermità! I disprezzi che si ricevono dagli uomini sono i veri desiderj de' santi che anelano di esser disprezzati per amore di Gesù Cristo, per così rendersi simili a lui.

    Di più, quanto si guadagna nel sopportare gl'incomodi della povertà! Deus meus et omnia, dicea s. Francesco d'Assisi, e così dicendo si trovava più ricco che tutti i grandi della terra. Troppo è vero quel che scrisse s. Teresa: «Quanto meno avremo di qua, tanto più godremo di là». Oh beato chi può dire di cuore: Gesù mio, tu solo mi basti. Se poi ti stimi infelice, perché sei povero, dice s. Gio. Grisostomo, ben sei infelice e degno di lagrime; non già perché sei povero, ma perché essendo povero non abbracci la tua povertà e ti stimi infelice: Sane dignus es lacrymis ob hoc, quod miserum te existimas, non ideo quod pauper es (S. Ioan. Chrysost. Serm. 2. ep. ad Philip.).

    Di più col soffrire pazientemente i patimenti delle infermità si compisce una gran parte e forse la maggior parte della corona che ci sta preparata in cielo. Si lamenta alcun infermo che stando così non può far niente; ma erra, perché stando così può far tutto, accettando con pace e rassegnazione quanto patisce. Scrisse il Grisostomo: Crux Christi clavis est paradisi (Homil. in Luc. de Vir.).

    Dicea s. Francesco di Sales: «Questa è la scienza de' santi; soffrir costantemente per Gesù, e così diverremo presto santi». Così prova Dio i suoi servi, e li ritrova degni di sé: Deus tentavit eos, et invenit illos dignos se (Sap. 3, 5). Scrive l'apostolo: Quem enim diligit Dominus, castigat, flagellat autem omnem filium quem recipit (Hebr. 12, 6).

    Onde Gesù Cristo disse un giorno a s. Teresa: «Sappi che le anime più care al mio Padre sono quelle che sono afflitte da' patimenti più grandi». Ciò facea dire a Giobbe: Si bona suscepimus de manu Dei, mala quare non suscipiamus (Iob. 2, 10)? Se noi, diceva, abbiam volentieri ricevuti da Dio i beni, cioè le prosperità di questa terra, perché non riceveremo poi con maggior gaudio i mali, cioè le tribolazioni che ci sono assai più utili che le prosperità? Dice s. Gregorio (Ep. 25) che siccome cresce la fiamma quando si preme col vento, così l'anima si perfeziona, quando è premuta colle tribolazioni: Ignis flatu premitur, ut crescat.

    Le tribolazioni poi più tormentose alle anime buone sono le tentazioni, con cui il demonio ci spinge ad offendere Dio: ma chi le discaccia e le soffre con pazienza ricorrendo a Dio, con quelle farà grande acquisto di meriti: Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum, ut possitis sustinere (1 Cor. 10, 13). Ed a questo fine Iddio permette che ci molestino le tentazioni, acciocché noi con discacciarle acquistiamo più meriti: Beati qui lugent, dice il Signore, quoniam ipsi consolabuntur (Matth. 5, 5). Beati, mentre scrive l'apostolo che le nostre tribolazioni sono momentanee e molto leggiere, a rispetto della grandezza della gloria ch'elle ci acquisteranno eternamente nel cielo: Quod in praesenti est momentaneum et leve tribulationis nostrae, supra modum in sublimitate aeternum gloriae pondus operatur in nobis (2 Cor. 4, 17).

    È necessario dunque, dice s. Gio. Grisostomo, soffrir con pace le tribolazioni, perché se le accetti con rassegnazione, magna lucraberis, guadagnerai grandi cose; ma se le prenderai di mala voglia, non diminuirai la tua miseria, ma l'accrescerai; si vero aegre feres, neque calamitatem minorem facies, et maiorem reddes procellam (Hom. 64. ad Pop.). Non vi è rimedio se vogliamo salvarci: Per multas tribulationes oportet introire in regnum Dei (Actor. 14, 21). Diceva un gran servo di Dio che il paradiso è il luogo de' poveri, de' perseguitati, degli umiliati ed afflitti; tali sono stati i martiri e tutti i santi. Onde conclude s. Paolo: Patientia enim vobis necessaria est, ut voluntatem Dei facientes, reportetis repromissionem (Heb. 10, 36). Ma dice s. Cipriano, parlando delle tribolazioni de' santi: Quid haec ad Dei servos, quos paradisus invitat (Epist. ad Demetr.)? Ma che gran cosa, dice il santo, è l'abbracciare le brevi afflizioni di questa vita a coloro, a cui stan promessi i beni eterni del paradiso?

    In somma i flagelli che Iddio ci manda, non vengono per nostro danno, ma per nostro bene: Flagella Domini, quibus quasi servi corripimur, ad emendationem et non ad perditionem nostram evenisse credamus (Iudith. 8, 27). Dice s. Agostino (In ps. 89): Deus irascitur, quem peccantem non flagellat. Quando si vede un peccatore tribolato in questa vita, è segno che Dio vuole averne misericordia nell'altra, cambiando il castigo eterno col temporale che è infinitamente minore. Misero all'incontro è quel peccatore che in questa terra non è castigato da Dio! È segno che il Signore conserva contro di esso lo sdegno, e gli tiene riserbato il castigo nell'eternità.

    Il profeta Geremia dimanda a Dio: Quare via impiorum prosperatur (Ier. 12, 1)? Signore, perché i peccatori son prosperati? Risponde a ciò lo stesso Geremia, e dice: Congrega eos quasi gregem ad victimam, et sanctifica eos in die occisionis (Ib. v. 3). Siccome nel giorno del sacrificio vengono congregate le pecore destinate alla morte, così gli empj sono destinati alla morte eterna, come vittime dell'ira divina: Destina eos ut victimas furoris tui in die sacrificii, così commenta il testo citato il Du-Hamel.

    Quando dunque ci vediamo tribolati da Dio, diciamo con Giobbe: Peccavi, et vere deliqui, et ut eram dignus, non recepi (Iob. 33, 27). Signore, i miei peccati meritano castigo assai più grande di quello che voi mi date. Anzi dobbiamo pregare Dio con s. Agostino: Hic ure, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas. Troppo grande è il castigo di quel peccatore, per cui dice il Signore: Misereamur impio, et non discet iustitiam (Is. 26, 10). Lasciamo di castigare l'empio, mentre vive sulla terra; egli seguirà a vivere in peccato, e così sarà punito col castigo eterno; onde scrive s. Bernardo, considerando il suddetto passo: Misericordiam hanc nolo, super omnem iram miseratio ista (Serm. 42, in Cant.). Signore, non voglio questa misericordia, la quale è un castigo sopra ogni castigo.

    Sicché colui che si vede tribolato da Dio in questa terra ha un segno eerto di esser caro a Dio: Et quia acceptus eras Deo, disse l'angelo a Tobia, necesse fuit ut tentatio probaret te (Tob. 12, 13). Onde da s. Giacomo è chiamato beato l'uomo che è tribolato, poiché dopo che sarà stato provato colle afflizioni, riceverà la corona della vita eterna: Beatus vir qui suffert tentationem, quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae (Iac. 1, 12).

    Chi vuol essere glorificato insieme coi santi, bisogna che patisca in questa vita, come han patito i santi; de' quali niuno è stato ben voluto e ben trattato dal mondo, ma tutti mal voluti e perseguitati, essendo pur troppo vero quel che scrisse lo stesso apostolo: Omnes qui volunt pie vivere in Christo Iesu, persecutionem patientur (2 Tim. 3, 12). Onde scrisse s. Agostino che chi non vuole persecuzioni, non ha cominciato ancora ad esser cristiano: Si putas non habere persecutiones, nondum coepisti esse christianus (In psal. 55). Quando siamo tribolati, ci basti la consolazione di sapere che allora il Signore sta vicino e ci accompagna: Iuxta est Dominus iis qui tribulato sunt corde (Psal. 33, 10). Cum ipso sum in tribulatione (Psal. 90, 15).

    PUNTO II. Come dobbiamo portarci nelle tribolazioni.

    Chi si vede tribolato in questo mondo, prima di tutto bisogna che lasci il peccato, e cerchi di mettersi in grazia di Dio: altrimenti tutto quel che patisce, stando in peccato, tutto per lui è perduto. Dicea s. Paolo: Si tradidero corpus meum, ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest (1 Cor. 13, 3). Se uno patisse tutti i tormenti de' martiri sino a morir bruciato, ma fosse privo della divina grazia, niente gli gioverebbe.

    All'incontro chi patisce e patisce con Dio e per Dio con rassegnazione, tutto il patire gli si converte in consolazione ed allegrezza: Tristitia vestra vertetur in gaudium (Ioan. 16, 20). E perciò gli apostoli dopo essere stati ingiuriati e battuti dai giudei, partirono dal concilio pieni di gioia, per essere stati cosi maltrattati per amore di Gesù Cristo: Ibant gaudentes a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Iesu contumeliam pati (Act. 5, 41). Sicché quando Dio ci visita con qualche tribolazione, bisogna che diciamo con Gesù Cristo: Calicem quem dedit mihi Pater, non bibam illum (Ioan. 18, 11)? Avvertendo che ogni tribolazione, benché ci venga per mezzo degli uomini, sempre ci viene da Dio, e Dio è quegli che ce la manda.

    Inoltre, quando ci vediamo tribolati da tutte le parti, e non sappiamo che farci, bisogna che ci voltiamo a Dio che solo può consolarci. Così diceva il re Giosafatte parlando col Signore: Cum ignoremus quid agere debeamus, hoc solum agemus residui, ut oculos nostros dirigamus ad te (2 Paral. 20, 12). Così facea Davide quando era tribolato, ricorreva a Dio, e Dio lo consolava: Ad Dominum cum tribularer clamavi, et exaudivit me (Psal. 119, 1). Dobbiamo ricorrere a Dio e pregarlo, e non lasciar di pregarlo finché non ci esaudisce: Sicut oculi ancillae, dice lo stesso profeta, in manibus dominae suae, ita oculi nostri ad dominum Deum nostrum, donec misereatur nostri (Psal. 122, 2). Bisogna non levare gli occhi da Dio, e seguire a pregarlo, fintanto ch'egli non si muova a compassione di noi. Bisogna aver confidenza grande nel cuore di Gesù Cristo, ch'è pieno di misericordia, e non fare come fanno alcuni, che appena avendo cominciato a pregare, e non vedendosi esauditi, subito si perdono d'animo. A costoro va detto quel che il Salvatore disse a s. Pietro: Modicae fidei quare dubitasti (Matth. 14, 31)? Quando le grazie che cerchiamo sono spirituali, o possono conferire al bene delle anime nostre, dobbiamo star sicuri che Dio ci esaudirà sempre che noi siamo costanti a pregare, e non perdiamo la confidenza: Omnia quaecumque orantes petitis, credite quia accipietis, et evenient vobis (Marc. 11, 24). Nelle tribolazioni dunque è necessario che non lasciamo mai di confidare, che la divina pietà abbia a consolarci, e quando la tribolazione persiste, bisogna dire con Giobbe: Etiam si occiderit me, in ipso sperabo (Iob. 13, 15).

    Le anime di poca fede, allorché si vedono tribolate, invece di ricorrere a Dio, ricorrono a mezzi umani, e così sdegnano Dio, e restano deluse nelle loro miserie: Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt, qui aedificant eam. Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam (Psal. 126, 1). S. Agostino su questo testo scrive: ipse aedificat, ipse intellectum aperit, ipse ad finem applicat sensum vestrum; et tamen laboramus et nos tanquam operarii, sed nisi Dominus custodierit civitatem etc. Ogni bene, ogni aiuto ha da venire da Dio, altrimenti le creature niente possono aiutarci.

    Di ciò si lamenta il Signore dicendo: Numquid Dominus non est in Sion?... Quare ergo me ad iracundiam concitaverunt in sculptilibus suis?... Numquid resina non est in Galaad? aut medicus non est ibi?

    Quare igitur non est obducta cicatrix filiae populi mei (Ier. 8, 19 et 22)? Forse non vi son io in Sionne, dice Dio, che gli uomini vogliono provocarmi a sdegno con ricorrere alle creature che fan diventare i loro idoli, mettendo in essi tutta la loro speranza? Cercano rimedio a' loro mali? E perché non lo cercano in Galaad, monte dell'Arabia pieno di aromi balsamici, per cui vien significata la misericordia divina, dove posson trovare il medico e la medicina di tutti i loro mali? Perché dunque, dice Dio, restano aperte le vostre piaghe senza guarirsi? Perché voi volete ricorrere e confidare nelle creature, e non in me.

    In altro luogo dice il Signore: Numquid solitudo factus sum Israeli, aut terra serotina? Quare ergo dixit populus meus: Recessimus, non veniemus ultra ad te?... Populus vero meus oblitus est mei diebus innumeris (Ier. 2, 31. et 32). Si lamenta Iddio e dice: perché dite, figli miei, che non volete più ricorrere a me? Forse io son divenuto per voi terra sterile che non dà frutto o lo dà molto tardi, e perciò da tanto tempo vi siete scordati di me. Con queste parole egli ci dà ad intendere il suo desiderio che noi ricorriamo a lui, acciocché possa dispensarci le sue grazie. Ed insieme ci fa sapere che quando noi lo preghiamo egli non è tardo, ma subito comincia a soccorrerci.

    No che non dorme il Signore, dice Davide, quando noi ricorriamo alla sua bontà, e gli cerchiamo grazie che sono utili alle anime nostre: allora ben egli ci ode, avendo gran cura del nostro bene: Non dormitabit neque dormiet, qui custodit Israel (Psal. 120, 4). E quando sono grazie temporali, dice s. Bernardo: Aut dabit quod petimus, aut utilius. O ci concederà la grazia bramata, sempre che sarà profittevole all'anima, o ci donerà una grazia più utile, che sarà la grazia di rassegnarci alla divina volontà, e di soffrire con pazienza quella tribolazione, che ci accrescerà un gran merito per il paradiso.

    (Atto di pentimento, proposito e preghiera a Gesù e Maria.)

    Fonte: S. Alfonso M. De' Liguori, Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell'anno, Sermone sulla 1° Domenica di Avvento, Napoli, 1771, ora in OPERE ASCETICHE, in “Opere di S. Alfonso Maria de Liguori”, a cura di Pier Giacinto Marietti, Vol. III, Torino, 1880, pp. 348-353

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    BENEDETTO XVI

    ANGELUS


    9 dicembre 2007

    Cari fratelli e sorelle!

    Ieri, solennità dell’Immacolata Concezione, la liturgia ci ha invitato a volgere lo sguardo verso Maria, madre di Gesù e madre nostra, Stella di speranza per ogni uomo. Oggi, seconda domenica di Avvento, ci presenta l’austera figura del Precursore, che l’evangelista Matteo introduce così: "In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!»" (Mt 3,1-2). La sua missione è stata quella di preparare e spianare la via davanti al Messia, chiamando il popolo d’Israele a pentirsi dei propri peccati e a correggere ogni iniquità. Con parole esigenti Giovanni Battista annunciava il giudizio imminente: "Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco" (Mt 3,10). Metteva in guardia soprattutto dall’ipocrisia di chi si sentiva al sicuro per il solo fatto di appartenere al popolo eletto: davanti a Dio – diceva – nessuno ha titoli da vantare, ma deve portare "frutti degni di conversione" (Mt 3,8).

    Mentre prosegue il cammino dell’Avvento, mentre ci prepariamo a celebrare il Natale di Cristo, risuona nelle nostre comunità questo richiamo di Giovanni Battista alla conversione. E’ un invito pressante ad aprire il cuore e ad accogliere il Figlio di Dio che viene in mezzo a noi per rendere manifesto il giudizio divino. Il Padre – scrive l’evangelista Giovanni – non giudica nessuno, ma ha affidato al Figlio il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo (cfr Gv 5,22.27). Ed è oggi, nel presente, che si gioca il nostro destino futuro; è con il concreto comportamento che teniamo in questa vita che decidiamo della nostra sorte eterna. Al tramonto dei nostri giorni sulla terra, al momento della morte, saremo valutati in base alla nostra somiglianza o meno con il Bambino che sta per nascere nella povera grotta di Betlemme, poiché è Lui il criterio di misura che Dio ha dato all’umanità. Il Padre celeste, che nella nascita del suo Unigenito Figlio ci ha manifestato il suo amore misericordioso, ci chiama a seguirne le orme facendo, come Lui, delle nostre esistenze un dono di amore. E i frutti dell’amore sono quei "degni frutti di conversione" a cui fa riferimento san Giovanni Battista, mentre con parole sferzanti si rivolge ai farisei e ai sadducei accorsi, tra la folla, al suo battesimo.

    Mediante il Vangelo, Giovanni Battista continua a parlare attraverso i secoli, ad ogni generazione. Le sue chiare e dure parole risultano quanto mai salutari per noi, uomini e le donne del nostro tempo, in cui anche il modo di vivere e percepire il Natale risente purtroppo, assai spesso, di una mentalità materialistica. La "voce" del grande profeta ci chiede di preparare la via al Signore che viene, nei deserti di oggi, deserti esteriori ed interiori, assetati dell’acqua viva che è Cristo. Ci guidi la Vergine Maria ad una vera conversione del cuore, perché possiamo compiere le scelte necessarie per sintonizzare le nostre mentalità con il Vangelo.

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    DOMINICA SECUNDA ADVENTUS

    II classis

    Semiduplex

    Statio ad S. Crucem in Jerusalem

    Introitus

    Is. 30, 30

    P
    ÓPULUS Sion, ecce Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri. Ps. 79, 2. Qui regis Israël inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph. V/. Glória Patri. Pópulus.

    Oratio

    E
    XCITA, Dómine, corda nostra ad præparándas Unigéniti tui vias: ut, per ejus advéntum, purificátis tibi méntibus servíre mereámur: Qui tecum.

    Orationes pro diversitate Temporum assignatæ, ut habentur post Dominicam Primam Adventus.

    Lectio Epístolæ beáti Páuli Apóstoli ad Romános

    Rom. 15, 4-13

    F
    RATRES: Quæcúmque scripta sunt, ad nostram doctrínam scripta sunt: ut per patiéntiam, et consolatiónem Scripturárum, spem habeámus. Deus autem patiéntiæ, et solátii, det vobis idípsum sápere in altérutrum secúndum Jesum Christum: ut unánimes, uno ore honorificétis Deum et Patrem Dómini nostri Jesu Christi. Propter quod suscípite invicem, sicut et Christus suscépit vos in honórem Dei. Dico enim Christum Jesum minístrum fuísse circumcisiónis propter veritátem Dei, ad confirmándas promissiónes patrum: gentes autem super misericórdia honoráre Deum, sicut scriptum est: Proptérea confitébor tibi in géntibus, Dómine, et nómini tuo cantábo. Et íterum dicit: Lætámini, gentes, cum plebe ejus. Et íterum: Laudáte, omnes gentes, Dóminum: et magnificáte eum, omnes pópuli. Et rursus Isaías ait: Erit radix Jesse, et qui exsúrget régere gentes, in eum gentes sperábunt. Deus autem spei répleat vos omni gáudio, et pace in credéndo; ut abundétis in spe, et virtúte Spíritus Sancti.

    Graduale. Ps. 49, 2-3 et 5. Ex Sion spécies decóris ejus: Deus maniféste véniet. V/. Congregáte illi sanctos ejus, qui ordinavérunt testaméntum ejus super sacrifícia.

    Allelúja, allelúja. V/. Ps. 121, 1. Lætátus sum in his, quae dicta sunt mihi : in domum Dómini íbimus. Allelúja

    Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaéum

    Matth. 11, 2-10

    I
    N ILLO témpore: Cum audísset Joánnes in vínculis ópera Christi, mittens duos de discípulis suis, ait illi: Tu es, qui ventúrus es, an álium exspectámus? Et respóndens Jesus, ait illis: Eúntes renuntiáte Joánni, quæ audístis, et vidístis. Cæci vident, claudi ámbulant, leprósi mundántur, surdi áudiunt, mórtui resúrgunt, páuperes evangelizántur: et beátus est, qui non fúerit scandalizátus in me. Illis autem abeúntibus, cœpit Jesus dícere ad turbas de Joánne: Quid exístis in desértum vidére? arúndinem vento agitátam? Sed quid exístis vidére? hóminem móllibus vestítum? Ecce qui móllibus vestiúntur, in dómibus regum sunt. Sed quid exístis vidére? prophétam? Etiam dico vobis, et plus quam prophétam. Hic est enim, de quo scriptum est: Ecce ego mitto Angelum meum ante fáciem tuam, qui præparábit viam tuam ante te.

    Credo.

    Offertorium. Ps. 84, 7-8. Deus, tu convérsus vivificábis nos, et plebs tua lætábitur in te: osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam, et salutáre tuum da nobis.

    Secreta

    P
    LACÁRE, quaésumus, Dómine, humilitátis nostræ précibus et hóstiis: et ubi nulla súppetunt suffrágia meritórun, tuis nobis succúrre præsídiis. Per Dóminum.

    Aliæ Secretæ.

    Præfatio de Ssma Trinitate.

    Communio. Bar. 5, 5; 4, 36.
    Jerúsalem, surge, et sta in excélso, et vide jucunditátem, quæ véniet tibi a Deo tuo.

    Postcommunio

    R
    EPLÉTI cibo spirituális alimóniæ, súpplices te, Dómine, deprecámur: ut, hújus participatióne mystérii, dóceas nos terréna despícere et amáre cæléstia. Per Dóminum.

    Aliæ Postcommuniones.


    FONTE

 

 

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