Ma la nostalgia non basta
di Ritanna Armeni
Molte cose sono cambiate a sinistra negli ultimi tempi e per la prima volta, dopo molti anni, questi cambiamenti non hanno un segno negativo. Vale la pena di segnalarlo senza trionfalismi, di rifletterci senza pregiudizi, di analizzarlo con partecipazione.
Il primo, che non si può non notare, si può chiamare "voglia di opposizione". E' una voglia che pareva sopita e che si è sviluppata in modo particolare negli ultimi mesi e di cui la mobilitazione del popolo dei girotondi è stata l'ultima evidente dimostrazione. Lo sarà probabilmente anche la prossima manifestazione dell'Ulivo.
E' la risposta immediata, spontanea, si potrebbe dire automatica ad un governo di centro destra che sta dando il peggio di sé. E' una forma di indignazione che muove dalle più vergognose ed evidenti lesioni alla legalità e decide di rispondervi, criticando e travolgendo coloro che si ritiene abbiano fatto una opposizione troppo debole ( il gruppo dirigente del centro sinistra) o che non l'abbiano fatta per nulla.
La voglia di opposizione contiene qualcosa di forte, quasi di primordiale. E una reazione prima che un'azione. Per questo in essa possono convivere spinte diverse: quella sociale accanto a quella giustizialista; quella pacifista accanto a quella apocalittica. Per questo essa é in grado di allargarsi, come in un sistema di cerchi concentrici da una questione all'altra, dal decreto Cirami alla legge sull'immigrazione, dal conflitto di interessi alla guerra.
Si tratta di una reazione che ha assunto connotati più incisivi perché non si è sviluppata nel vuoto. Il movimento dei movimenti su altri terreni, a cominciare da altre questioni, aveva seminato già dubbi e convinzioni sull'andamento delle cose nel mondo e in Italia, aveva lanciato messaggi di cambiamento. Il movimento sindacale cominciando dai metalmeccanici e poi allargandosi alla Cgil aveva già espresso un suo no alle controriforme sociali del governo Berlusconi. Su questo si è innestata e si è sviluppata la necessità di una reazione più radicale.
Il secondo sentimento che pare essere cresciuto in questi ultimi mesi credo possa essere denominato "nostalgia di sinistra". E' qualcosa di diverso dalla voglia di opposizione. Contiene qualcosa di più. E' la consapevolezza che le idee di sinistra sono ancora valide e che ad esse occorre ritornare. In questi mesi per la prima volta pare essersi esaurita a sinistra la sbornia degli anni 80, quella che ha portato gran parte della sinistra a dire che "privato è bello", che "il mercato ha sempre ragione" e che "le ragioni dell'impresa sono le ragioni del paese". Oggi la difesa dei diritti di chi lavora, la consapevolezza di dover difendere la scuola, la sanità e il sistema previdenziale pubblico sono meno deboli che nel passato. La sinistra ci ripensa, cerca di ritornare a se stessa, di ritrovarsi. Non si sente più retroguardia. E' un sentimento, pur nei suoi limiti, positivo. Non cancella ovviamente quel pensiero unico che ci ha dominato dagli anni 80 in poi, ma lo mette pesantemente in discussione, qualche volta decisamente sotto accusa.
Ci si deve chiedere a questo punto se la "voglia di opposizione" e la "nostalgia di sinistra", sentimenti importantissimi e da non sottovalutare, possano bastare a contrastare, a indebolire fino a rovesciare i governi di destra che oggi dominano in Europa. O se non occorra qualcosa di più che oggi, anche in un momento importate per la sinistra, manca. Quel qualcosa di più é un progetto e un percorso di cambiamento. Sia la voglia di opposizione, sia la nostalgia di sinistra alludono e si riferiscono esplicitamente a qualcosa (idee, cultura, forma di governo) che appartiene al passato. Crediamo davvero possibile che un ritorno al passato della sinistra possa essere propulsivo, possa essere la molla per rovesciare il sistema di cultura; di consensi che la destra ha creato? Non pare francamente possibile. La destra ha scavato nella società, ha saputo apparire nuova e moderna, ha cambiato la cultura e i comportamenti.
La strada, quindi, appare più lunga e più dura. Per questo non basta riproporre le vecchie idee di sinistra. E neppure i vecchi metodi o le vecchie formule. Non basta ad esempio dire "difendiamo i diritti". I diritti all'interno di questo sistema non possono essere difesi se non vengono allargati e non divengono collante di un nuovo protagonismo del mondo del lavoro globalizzato. L'opposizione alla guerra riesce a coinvolgere e a radicarsi nella società se diventa cultura e pratica della pace, se mette in discussione e capovolge ogni aspetto della violenza da quella statale a quella quotidiana.
L'opposizione agli aspetti di illegalità di questo governo deve partire dalla difesa delle garanzie dei più deboli e allargarle a tutti. La difesa del sistema radiotelevisivo pubblico oggi fortemente attraversato da spinte di regime non può riproporre la Rai di un altro sia pure più flebile regime, ma una revisione completa e radicale del modo di produrre informazione. Né basta, a proposito dei metodi, riproporre l'antico schema dell'unità della sinistra come unico modo per battere la destra, rifiutandosi di vedere le differenze, di farle vivere e di valorizzarle. E magari ricascando nei vecchi settarismi non appena si sente odore di elezioni. In poche parole, e abbandonando i molti esempi che si possono fare, é difficile che "la voglia di opposizione" e "la nostalgia di sinistra" possano sfociare in un reale cambiamento se l'orizzonte politico culturale e programmatico rimane il governo dell'Ulivo; se le spinte di questi mesi si traducono nella richiesta di un ritorno di Romano Prodi magari in tandem con Sergio Cofferati all'interno di una riconfermato sistema di alternanza. Bisogna pensare subito a qualcosa di più e di meglio.
Liberazione 17 settembre 2002
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