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    Predefinito 5 maggio (30 aprile) - S. Pio V Papa

    Benchè in ritardo di un giorno, dedico questo thread al grande Papa domenicano S. Pio V, la cui festa quest'anno assume particolare rilievo celebrandosi il V centenario della nascita.
    W il Papa della Battaglia di Lepanto e della SS. Messa.
    E' anche famoso perchè da questo Papa in poi i Pontefici indosseranno sempre la tonaca bianca. Infatti, anche da Pontefice non abbandonò mai le lane bianche domenicane.

    Augustinus

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    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Pio V (Antonio Michele Ghislieri), Papa

    30 aprile - Memoria Facoltativa

    Bosco Marengo, Alessandria, 1504 - Roma, 1 maggio 1572

    (Papa dal 17/01/1566 al 01/05/1572)
    Antonio Michele Ghislieri, religioso domenicano, creato vescovo e cardinale, svolse compiti di alta responsabilità nella Chiesa. Divenuto papa col nome di Pio V, operò per la riforma della Chiesa in ogni settore, sulle linee tracciate dal Concilio tridentino. Pubblicò i nuovi testi del Messale (1570), del Breviario (1568) e del catechismo romano. (Mess. Rom.)

    Etimologia: Pio = devoto, religioso, pietoso (signif. Intuitivo)

    Emblema: Tiara, Camauro, Bastone Pastorale

    Martirologio Romano: San Pio V, papa, che, elevato dall’Ordine dei Predicatori alla cattedra di Pietro, rinnovò, secondo i decreti del Concilio di Trento, con grande pietà e apostolico vigore il culto divino, la dottrina cristiana e la disciplina ecclesistica e promosse la propagazione della fede. Il primo di maggio a Roma si addormentò nel Signore.
    (1 maggio: A Roma, anniversario della morte di san Pio V, papa, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).

    Martirologio tradizionale (5 maggio): San Pio quinto, dell'Ordine dei Predicatori, Papa e Confessore, che si riposò in Dio nel primo giorno di questo mese.

    (1° maggio): A Roma il natale di san Pio quinto, dell’Ordine dei Predicatori, Papa e Confessore, il quale, attendendo valorosamente e con felice successo a ristabilire la disciplina ecclesiastica, ad estirpare le eresie e ad abbattere i nemici del nome Cristiano, governò la Chiesa cattolica con santa vita e con sante leggi. La sua festa però si celebra il cinque di questo mese.

    E’ ricordato principalmente come il papa della vittoria di Lepanto, non perché fosse un uomo bellicoso, ma perchè con la sua autorità e col suo prestigio personale riuscì ad imporre una tregua nelle risse casalinghe degli Stati europei e a spingerli in "santa alleanza" per arginare la minacciosa avanzata dei Turchi. Il 7 ottobre del 1571 la flotta cristiana inflisse nelle acque di Lepanto una sconfitta definitiva a quella turca. Quel giorno stesso Pio V, che non disponeva dei rapidi mezzi di comunicazione attuali, ordinò di suonare le campane di Roma invitando i fedeli a ringraziare Dio per la vittoria ottenuta.
    Antonio Ghisleri, eletto papa nel 1566 col nome di Pio V, era nato a Bosco Marengo, in provincia di Alessandria, nel 1504. A 14 anni era entrato tra i domenicani. Dopo l'ordinazione sacerdotale, bruciò tutte le tappe di un'eccezionale carriera: professore, priore del convento, superiore provinciale, inquisitore a Corno e a Bergamo, vescovo di Sutri e Nepi, cardinale, grande inquisitore, vescovo di Mondovì, papa. Il titolo di inquisitore può renderlo antipatico agli occhi dell'uomo d'oggi, che dell'Inquisizione s'è fatto un concetto spesso deformato da racconti superficiali. In verità, Pio V fu un papa scomodo, come sono scomodi tutti i riformatori dei costumi. Ma è titolo di merito per lui di avere debellato la simonia della Curia romana e il nepotismo. Ai numerosi parenti accorsi a Roma con la speranza di qualche privilegio, Pio V disse che un parente del papa può considerarsi sufficientemente ricco se non conosce l'indigenza.
    Tra le riforme in campo pastorale, da lui promosse sulla scia del concilio di Trento, ricordiamo l'obbligo di residenza per i vescovi, la clausura dei religiosi, il celibato e la santità di vita dei sacerdoti, le visite pastorali dei vescovi, l'incremento delle missioni, la correzione dei libri liturgici, la censura sulle pubblicazioni. La rigida disciplina che il santo pontefice impose alla Chiesa fu norma costante della sua stessa vita. Prima come vescovo e cardinale, poi come papa, attuava l'ideale ascetico del frate mendicante.
    Accondiscendente con gli umili, paterno con la gente semplice, ma irriducibilmente severo con quanti compromettevano l'unità della Chiesa, non esitò a scomunicare e a decretare la destituzione della regina d'Inghilterra, Elisabetta I, ben sapendo quali conseguenze tragiche avrebbe avuto questo gesto per i cattolici inglesi. Pio V morì il I maggio 1572, a sessantotto anni. Fu canonizzato nel 1712. Il nuovo calendario ha fissato la sua memoria il 30 aprile. Precedentemente veniva celebrata il 5 maggio.

    Autore: Piero Bargellini

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    ALTRA BIOGRAFIA DALLO STESSO SITO:

    Tra le più grandi glorie del Piemonte rifulge il grande pontefice San Pio V, al secolo Antonio Michele Ghisleri, nativo di Bosco Marengo (Alessandria) ove vide la luce il 27 gennaio 1504 da una nobile famiglia. Per sopravvivere fece il pastore, finché all’età di quattordici anni entrò tra i Domenicani di Voghera. Nel 1519 professò i voti solenni a Vigevano, poi completò gli studi presso l’università di Bologna e nel 1528 ricevette l’ordinazione presbiterale a Genova. Per ben sedici anni insegnò filosofia e teologia e successivamente fu priore nei conventi di Vigevano e di Alba, rigorosissimo con sé stesso e con i confratelli nell’osservanza religiosa. Nominato poi inquisitore a Como, spiegò ogni sua forza per arrestare le dottrine protestanti che segretamente venivano introdotte in Lombardia. Il suo intelligente vigore non tardò ad attirare l’attenzione del cardinale Giampietro Carata, che ottenne la sua nomina a commissario generale del Sant’Uffizio. Quando egli divenne papa col nome di Paolo IV, elesse il Ghisleri prima vescovo di Sutri e Nepi, ed in seguito cardinale nel 1557, con l’incarico di inquisitore generale di tutta la cristianità.
    Dopo l’elezione di Pio IV, nel 1560 il Cardinal Ghisleri fu nominato vescovo di Mondovì, ma ben presto dovette far ritorno a Roma per occuparsi di otto vescovi francesi accusati di eresia. Non ebbe rapporti assai cordiali con il nuovo papa, del quale disapprovava con rude indipendenza l’indirizzo mondano e nepotista. Alla sua morte, proprio Ghisleri fu chiamato a succedergli, per suggerimento di San Carlo Borromeo, nipote del papa defunto. Il giorno dell’incoronazione, anziché far gettare monete al popolo come consuetudine, in novello Pio V preferì soccorrere a domicilio molti bisognosi della città di Roma. Anche da papa continuò a vestire il bianco saio domenicano, a riposare sopra un pagliericcio, a cibarsi di legumi e frutta, dedicando l’intera sua giornata al lavoro e alla preghiera.
    Poi V godette subito dell’ammirazione e del rispetto di tutti per la pietà, l’austerità e l’amore per la giustizia. Ritenendo opportuna i cardinali la presenza di un nipote del papa nel collegio dei Principi della Chiesa, convinsero il pontefice a conferire la porpora al domenicano Michele Bonelli, figlio di sua sorella, affinché lo aiutasse nel disbrigo degli affari. A un figlio di suo fratello concesse l’ingresso nella milizia pontificia, ma lo cacciò dal territorio dello Stato non appena seppe che coltivava illeciti amori. Colpì inoltre senza pietà gli abusi della corte pontificia, dimezzando le inutili bocche da sfamare e nominando un’apposita commissione per vigilare sulla cultura ed i costumi del clero, che a quel tempo lasciavano molto a desiderare. Nell’attuazione delle disposizioni impartite dal Concilio di Trento fu coadiuvato da Monsignor Niccolò Ornamelo, già braccio destro di San Carlo a Milano. Ai sacerdoti vennero interdetti la simonia, gli spettacoli, i giochi, i banchetti pubblici e l’accesso alle taverne. Ai vescovi fu imposto un previo esame di accertamento circa la loro idoneità, la residenza, pena la privazione del loro titolo, la fondazione dei seminari e l’erezione delle cosiddette Confraternite di catechismo.
    Nella curia Pio V organizzò la Penitenzieria, creò la Congregazione dell’Indice per l’esame dei libri contrari alla fede, intervenne personalmente alle sessioni del Tribunale dell’Inquisizione e talvolta concesse udienza al popolo per ben dieci ore consecutive. Le sue maggiori attenzioni erano rivolte ai poveri che ascoltava pazientemente e confortava anche con aiuti pecuniari. Il papa era compiaciuto di poter partecipare alle manifestazioni pubbliche della fede nonostante le torture della calcolosi, di far visita agli ospedali, di curare egli stesso i malati e di esortarli alla rassegnazione. Suggerì ai Fatebenefratelli di aprire un nuovo ospizio a Roma. Durante la carestia del 1566 e le epidemie che seguirono, fece distribuire ai bisognosi somme considerevoli ed organizzare i servizi sanitari. Al fine di reperire le ingenti somme necessarie, provvedette a sopprimere qualsiasi spesa superflua, addirittura facendo adattare alla sua statura gli abiti dei suoi predecessori. Con una simile austerità di vita il papa riuscì nonostante tutto ad imporsi sugli avversari e ad indurre gli altri prelati e dignitari della curia romana ad un maggiore spirito di devozione e penitenza.
    Per l’uniformità dell’insegnamento, secondo le indicazioni del Concilio Tridentino, che aveva richiesto fosse redatto un testo chiaro e completo della dottrina cristiana, Pio V ne affidò la redazione a tre domenicani e lo pubblicò nel 1566. L’anno seguente proclamò San Tommaso d’Aquino “Dottore della Chiesa”, obbligando le Università allo studio della Somma Teologica e facendo stampare nel 1570 un’edizione completa e accurata di tutte le opere teologiche del santo. In campo liturgico si deve alla lungimiranza di questo pontefice la pubblicazione del nuovo Breviario e del nuovo Messale, cioè il celebre rito della Messa ancor oggi conosciuto proprio con il nome di San Pio V. In ambito musicale inoltre nominò il Palestrina maestro della cappella pontificia. Suo merito fu anche quello di promuovere l’attività missionaria con l’invio di religiosi nelle “Indie orientali e occidentali” ed un pressante invito agli spagnoli a non scandalizzare gli indigeni nelle loro colonie.
    Al fine di contrastare l’immoralità dilagante fra il popolo romano, il pontefice punì l’accattonaggio e la bestemmia, vietò il combattimento di tori ed i festeggiamenti carnevaleschi, espulse da Roma parecchie cortigiane. Per sottrarre i cattolici alle usure degli ebrei favorì i cosiddetti Monti di Pietà, relegando gli ebrei in appositi quartieri della città. Pur non avendo una particolare attitudine per l’amministrazione dello stato, non trascurò il benessere dei suoi sudditi costruendo nuove strade ed acquedotti, favorendo l’agricoltura con bonifiche, adeguando le fortezze di difesa e curando assai gli ospedali. Contemporaneamente al lavoro di pubblica amministrazione, Pio V agiva con grande energia sul fronte della difesa della purezza della fede: sotto il suo pontificio infatti Antonio Paleario e Pietro Carnesecchi, già protonotari apostolici, subirono l’estremo supplizio per aver aderito al protestantesimo e gli Umiliati furono soppressi, poiché a Milano avversavano le riforme operate dal Borromeo. Inoltre scomunicò e “depose” la regina Elisabetta I d’Inghilterra, rea della morte della cugina Maria Stuart e di aver così aggravato l’oppressione dei cattolici inglesi. Inviò in Germania come legato pontificio Gian Francesco Commendone, tentando di impedire che l’imperatore Massimiliano II potesse sottrarsi alla giurisdizione della Santa Sede. Inviò in Francia proprie milizie contro gli Ugonotti tollerati dalla regina Caterina de’ Medici. Il re spagnolo Filippo II fu esortato da Pio V a reprimere il fanatismo anabattista nei Paesi Bassi. Michele Baio, professore all’Università di Lovanio e precursore del giansenismo, meritò la condanna delle proprie tesi eretiche. San Pietro Canisio, su incarico papale, confutò le Centurie di Magdeburgo, prima tendenziosa storia ecclesiastica redatta dai protestanti.
    Ma l’episodio più celebre della vita di questo grande pontefice, unico piemontese ad essere stato elevato al soglio di Pietro in duemila anni di cristianesimo, è sicuramente il suo intervento in favore della battaglia di Lepanto. Per stornare infatti la perpetua minaccia che i Turchi costituivano contro il mondo cristiano, il santo papa s’impegnò tenacemente per organizzare un lega di principi, in particolare dopo la presa di Famagosta eroicamente difesa dal veneziano Marcantonio Bragadin nel 1571 che, dopo la resa, fu scuoiato vivo. Alle flotte pontificie si unirono quelle spagnole e veneziane, sotto il supremo comando di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale dell’imperatore Carlo V. Il fatale scontro con i Turchi, allora all’apogeo della loro potenza, avvenne il 7 ottobre 1571 nel golfo di Lepanto, durò da mezzodì sino alle cinque pomeridiane e terminò con la vittoria dei cristiani. Alla stessa ora Pio V, preso da altri impegni, improvvisamente si affacciò alla finestra, rimase alcuni istanti in estasi con lo sguardo rivolto ad oriente, ed infine esclamò: “Non occupiamoci più di affari. Andiamo a ringraziare Dio perché la flotta veneziana ha riportato vittoria”. A ricordo del felice avvenimento che cambiò il corso della storia, fu introdotta la festa liturgica del Santo Rosario, al 7 ottobre, preghiera alla quale sarebbe stata attribuita dal papa la vittoria. Il senato veneto infatti fece dipingere la scena della battaglia nella sala delle adunanze con la scritta: “Non la forza, non le armi, non i comandanti, ma il Rosario di Maria ci ha resi vittoriosi!”.
    Pio V era però ormai spossato da una malattia, l’ipertrofia prostatica, di cui per pudicizia preferì non essere operato. Radunati i cardinali attorno al suo letto di morte, rivolse loro alcune raccomandazioni: “Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato! Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l’onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità”. Spirò così il 1° maggio 1572. La sua salma riposa ancora oggi nella patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. Papa Clemente X beatificò il suo predecessore cent’anni dopo, il 27 aprile 1672, e solo Clemente XI lo canonizzò poi il 22 maggio 1712.

    Autore: Fabio Arduino





    El Greco, San Pio V, Collezione Moussalli, Roma


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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 612-616

    5 MAGGIO

    SAN PIO V, PAPA E CONFESSORE

    Lotta contro l'eresia.


    Tutta la vita di Pio V è stata una lotta. Nei tempi agitati in cui ebbe a reggere la Chiesa, l'errore aveva invaso una grande porzione della cristianità e ne minacciava il resto. Astuto e accomodante nei luoghi ove non poteva sviluppare la sua audacia, esso agognava all'Italia; la sua ambizione sacrilega era di rovesciare la cattedra apostolica, e di trascinare senza scampo tutto il mondo cristiano nelle tenebre dell'eresia. Pio difese tutta la penisola minacciata con una dedizione inviolabile. Anche prima di essere innalzato agli onori del supremo Pontificato, espose spesso la sua vita per strappare le città alla seduzione. Imitatore fedele di Pietro Martire, non lo si vide mai indietreggiare di fronte al pericolo; e gli emissari dell'eresia ovunque fuggirono al suo avvicinarsi.

    Elevato alla cattedra di san Pietro, seppe infondere nei novatori un terrore salutare, risollevò il coraggio dei sovrani dell'Italia e, con moderato rigore, riuscì a rigettare al di là delle Alpi il flagello che avrebbe trascinato l'Europa alla distruzione del cristianesimo, se gli Stati del Mezzogiorno non vi avessero opposto una barriera invincibile. L'eresia si arrestò. Da allora il protestantesimo, ridotto a logorar se stesso, dette spettacolo di quella anarchia di dottrine che avrebbe portato alla desolazione il mondo intero, senza la vigilanza del Pastore che, sostenendo con indomabile zelo i difensori della verità in tutti gli stati ove essa regnava ancora, si oppose, come una parete di bronzo, al dilagarsi dell'errore nelle contrade ove comandava da padrone.

    ... contro l'Islam.

    Un altro nemico, approfittando delle divisioni religiose dell'Occidente, minaccia l'Europa in quei medesimi giorni; e l'Italia era destinata ad essere la prima preda. Uscita dal Bosforo, la flotta ottomana, si dirige contro la cristianità; sarebbe la fine, se l'energico Pontefice non vegliasse sulla salvezza di tutti. Getta l'allarme, chiama alle armi i prìncipi cristiani. L'Impero e la Francia, lacerate dalle fazioni che l'eresia vi ha generato, odono l'appello, ma restano immobili; la Spagna sola, con Venezia e la piccola flotta papale, rispondono alle istanze del Pontefice, e, ben presto la Croce e la mezzaluna si trovano di fronte nel golfo di Lepanto. La preghiera di Pio decide la vittoria in favore dei cristiani, le cui forze sono di molto inferiori a quelle dei Turchi. Noi ritroviamo questa felice memoria in ottobre, per la festa della Madonna del Rosario. Ma oggi bisogna ricordare la rivelazione fatta dal Santo Pontefice, la sera della grande giornata del 7 ottobre 1571. Dalle sei del mattino, fino all'approssimarsi della notte, la battaglia si svolse tra la flotta cristiana e quella musulmana. Improvvisamente, il Pontefice, spinto da un divino impulso, guarda fisso il cielo, resta in silenzio qualche istante, poi, volgendosi verso le persone presenti, dice loro: "Ringraziamo Iddio: la vittoria è dei cristiani". Ben presto la notizia giunse a Roma, ed in tutta la cristianità non si tardò a conoscere che ancora una volta il Papa aveva salvato l'Europa. La disfatta di Lepanto portò alla potenza ottomana un terribile colpo, dal quale non si risollevò mai più: l'era della sua decadenza data da quel giorno famoso.

    Il riformatore.

    L'opera di san Pio V per la rigenerazione del costume cristiano, per fissare la disciplina del concilio di Trento, per la pubblicazione del Breviario e del Messale sottoposti a riforma, ha fatto del suo pontificato, durato sei anni, una delle epoche maggiormente feconde della storia della Chiesa. Più d'una volta i protestanti si sono inchinati con ammirazione di fronte a questo avversario della loro pretesa riforma. "Mi meraviglio, diceva Bacone, che la Chiesa Romana non abbia ancora canonizzato quest'uomo illustre". Ed effettivamente Pio V non fu annoverato nel numero dei Santi che circa centotrent'anni dopo la sua morte, ciò che dimostra quanto sia grande l'imparzialità della Chiesa Romana nel rendere gli onori dell'apoteosi anche quando si tratta dei suoi capi maggiormente venerati.

    I miracoli.

    La gloria dei miracoli incoronò fin da questo mondo il santo Pontefice; ricorderemo qui due dei suoi prodigi più popolari. Un giorno, traversando insieme all'ambasciatore di Polonia la piazza del Vaticano, che si estende su quell'area dove una volta fu il circo di Nerone, si sente preso di entusiasmo per la gloria ed il coraggio dei martiri che ebbero a soffrire in quello stesso luogo, durante la prima persecuzione. Egli allora si china e raccoglie un pugno di polvere da quel campo di tormenti, calpestato da tante generazioni di fedeli, dopo la pace di Costantino. Versa quella polvere in una bianca tela che gli presenta l'ambasciatore; ma quando questo, rientrato a casa sua, fa per aprirlo, lo trova impregnato di un sangue vermiglio, che si sarebbe detto essere stato versato in quello stesso istante: la polvere era sparita. La fede del Pontefice aveva evocato il sangue dei martiri, e questo riappariva al suo richiamo per attestare, di fronte all'eresia, che la Chiesa Romana, nel XVI secolo, era sempre la stessa, per la quale quegli eroi, al tempo di Nerone, avevano dato la loro vita.

    La perfidia degli eretici tentò più di una volta di metter fine ad una vita che lasciava senza speranza di successo i loro progetti per la conquista dell'Italia. Con uno stratagemma, tanto vile quanto sacrilego, assecondati da un odioso tradimento, essi impregnarono di un sottile veleno i piedi del Crocifisso che il santo Pontefice aveva nel suo oratorio, e sul quale spesso poggiava le sue labbra. Pio V, nel fervore della preghiera, si apprestava a dare questo segno di amore, per mezzo della sua sacra immagine, al Salvatore degli uomini; ma d'un tratto, o prodigio! i piedi del Crocifisso si staccarono dalla croce e sembravano sfuggire ai rispettosi baci del vegliardo. Pio V comprese, allora, che la malvagità dei nemici aveva voluto trasformare per lui in strumento di morte anche quel legno che ci aveva reso la vita.

    Un ultimo avvenimento incoraggiò i fedeli, secondo l'esempio del grande Pontefice, a coltivare la santa Liturgia durante il tempo dell'anno in cui siamo. Sul letto di morte, gettando un estremo sguardo verso la Chiesa della terra, che abbandonava per quella del cielo, e volendo implorare ancora, per l'ultima volta, la bontà divina in favore di quel gregge che lasciava esposto a tanti pericoli, recitò con voce quasi spenta, questa strofa degli inni del tempo pasquale: "Creatore degli uomini, degnatevi in questi giorni colmi delle gioie della Pasqua, preservare il vostro popolo dagli assalti della morte". Terminate queste parole, si addormentò placidamente.

    VITA. - Michele Ghislieri nacque nel 1504, nella diocesi di Tortona. Entrato a 14 anni nell'Ordine dei Predicatori, fu mandato all'Università di Bologna per studiarvi la Teologia, che dopo insegnò per sedici anni. Poi fu nominato Inquisitore e Commissario generale del Santo Uffizio, nel 1551: mansione che gli valse molte persecuzioni, ma gli permise anche di ricondurre numerosi eretici alla verità cattolica. Le sue virtù lo designarono pure presso Paolo IV, che lo scelse per la sede episcopale di Nepi e di Sutri, poi per il Cardinalato. Tali onori non modificarono in nulla l'austerità della sua vita, ed il 7 gennaio 1566 divenne Papa, prendendo il nome di Pio V. Egli doveva illustrare la cattedra di san Pietro per il suo zelo nella propagazione della fede, il ristabilimento della disciplina ecclesiastica e la bellezza del culto divino, come per la sua devozione alla Madonna e la carità verso i poveri. Contro i Turchi allestì la flotta, che riportò la vittoria di Lepanto; stava preparando una nuova spedizione, quando morì nel 1572. Il suo corpo fu sepolto a S. Maria Maggiore.

    Lode.

    Pontefice del Dio vivo, tu sei stato sulla terra "il muro di bronzo, la colonna di ferro" (Ger 1,18) di cui parla il Profeta; e la tua indomabile costanza ha preservato dalla violenza e dalle insidie dei suoi numerosi nemici il gregge che ti era stato affidato. Ben lungi dal disperare, alla vista dei pericoli il tuo coraggio s'innalzava come una diga che si costruisce sempre più alta a misura che le acque dell'inondazione arrivano più minacciose. Per mezzo tuo gl'invadenti flutti dell'eresia si sono arrestati, l'invasione musulmana è stata respinta, e abbassato l'orgoglio della Mezzaluna. Il Signore ti fece l'onore di sceglierti per rivendicare la sua gloria ed essere il liberatore del popolo cristiano; ricevi, insieme al nostro atto di riconoscenza, l'omaggio delle nostre umili felicitazioni. Pure per tuo mezzo la Chiesa, che usciva da una terribile crisi, ritrovò la sua bellezza. La vera riforma, quella che si compie attraverso l'autorità, fu applicata senza debolezze dalle tue mani, altrettanto ferme che pure. Il culto divino, rinnovato dalla pubblicazione di libri Liturgici, ti deve il suo progresso, e la sua restaurazione; e nei sei anni del tuo breve ma laborioso pontificato, molte opere assai feconde furono compiute.

    Preghiera.

    Adesso, Pontefice santo, ascolta i voti della Chiesa militante, i cui destini furono, per qualche tempo, affidati alle tue mani. Anche morendo, implorasti per lei, in nome del Salvatore risuscitato, la protezione contro i pericoli, ai quali era ancora esposta. Vedi come ai nostri giorni in quale stato ha ridotto quasi l'intera cristianità il dilagare dell'errore. Per far fronte a tutti i nemici che l'assediano, la Chiesa non ha più che le promesse del suo divin fondatore; gli appoggi visibili le mancano tutti assieme; non le restano più che i meriti della sofferenza e le risorse della preghiera. Unisci le tue suppliche alle sue, dimostrandoci, così, che sèguiti sempre ad amare il gregge del Maestro. Proteggi a Roma la cattedra del tuo successore, esposta agli attacchi più violenti ed astuti. Prìncipi e popoli cospirano contro il Signore e contro il suo Cristo. Allontana i flagelli che minacciano l'Europa, così ingrata verso la Madre sua, così indifferente agli attentati commessi contro colei a cui tutto deve. Illumina i ciechi, confondi i perversi; ottieni che la fede illumini finalmente tante intelligenze smarrite, che scambiano l'errore per la verità, le tenebre per la luce.

    In mezzo a questa notte così buia e così minacciosa, i nostri sguardi, o santo Pontefice, discernono le pecorelle fedeli: benedicile, sostienile e ne accresci il loro numero. Uniscile al tronco dell'albero che non può perire, affinché esse non siano disperse dalla tempesta. Rendile sempre più fedeli verso la fede e le tradizioni della santa Chiesa che è la loro unica forza, in mezzo a questo dilagare dell'errore che minaccia di tutto asportare. Conserva alla Chiesa il sacro Ordine nel quale tu fosti elevato a così alti destini; moltiplica nel suo seno quelle generazioni di uomini potenti in opere e parole, pieni di zelo per la fede e per la santificazione delle anime, quali noi ammiriamo nei suoi Annali, quali noi veneriamo sugli altari. Finalmente ricordati, o Pio, che sei stato il Padre del popolo cristiano, e seguita ad esercitare ancora questa prerogativa sulla terra, per mezzo della tua potente intercessione, fino a che sia completo il numero degli eletti.

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    MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
    IN OCCASIONE DELLE CELEBRAZIONI GIUBILARI
    PROMOSSE PER IL V CENTENARIO DELLA NASCITA DI SAN PIO V


    Al venerato Fratello
    Mons. FERNANDO CHARRIER
    Vescovo di Alessandria

    1. Mi è gradito inviarLe un cordiale saluto in occasione delle celebrazioni giubilari promosse per il V centenario della nascita del mio Predecessore, san Pio V. Estendo il mio affettuoso pensiero ai fedeli di codesta amata Diocesi, che giustamente ricorda, con gioia e gratitudine verso Dio, questo suo illustre figlio.

    Le varie manifestazioni indette per commemorare tale felice anniversario offrono l’opportunità di ravvivare la memoria di questo grande Pontefice, e di riflettere sulla ricca eredità di esempi e di insegnamenti, da lui lasciati, che sono quanto mai validi anche per i cristiani del nostro tempo.

    La ricorrenza del V centenario della sua nascita sia motivo di benedizione per tutta la Chiesa e, in maniera speciale, per l’amata Diocesi di Alessandria, come pure per la Comunità ecclesiale del Piemonte. L’intercessione di san Pio V e l’esempio delle sue virtù siano di stimolo per ciascuno a rendere più salda la fede, mantenendola incontaminata e in permanente contatto con le fonti della Rivelazione, e diffondendola nella società per edificare un’umanità aperta a Cristo e protesa alla costruzione della civiltà dell’amore.

    2. L’epoca in cui egli si trovò a vivere fu in verità ben differente dall’attuale e, tuttavia, non mancano tra esse singolari analogie. I due periodi storici hanno visto il consolidarsi di convergenti energie religiose e, al tempo stesso, hanno registrato crisi profonde nella società con scontri tra città e popoli che talora sono sfociati in dolorosi conflitti armati. In ambedue le epoche la Chiesa si è impegnata nel cercare vie nuove per ravvivare la fede e proporla in modo adeguato nelle mutate condizioni culturali e sociali, anche mediante la celebrazione del Concilio di Trento, allora, e del Concilio Ecumenico Vaticano II, nel secolo scorso. Ai rispettivi Concili è seguito lo sforzo, non sempre facile, di applicarne fedelmente gli insegnamenti, dando vita a processi di autentica riforma della Chiesa.

    In tale contesto storico e religioso, che ha caratterizzato il XVI secolo, si colloca la vicenda umana e spirituale di san Pio V, conclusasi il 1° maggio dell’anno 1572. Fin dall’infanzia, Michele Ghislieri ebbe a provare i disagi della povertà e dovette con il lavoro contribuire al sostentamento della sua famiglia. Attinse ai valori tipici della sua amata terra di Alessandria, alla quale restò sempre legato, sì da essere conosciuto, quando venne chiamato a far parte del Collegio cardinalizio, come il Cardinale Alessandrino.

    A 14 anni entrò nell’Ordine dei Predicatori e compì l’itinerario formativo nei conventi di Vigevano, Bologna e Genova, applicandosi senza tregua a percorrere il cammino della perfezione evangelica mediante la preghiera e lo studio, ed attingendo abbondantemente alle sorgenti della parola di Dio secondo il carisma domenicano.

    Manifestava già allora un gusto particolare per la Sacra Scrittura e per la dottrina dei Padri, appassionandosi anche allo studio delle opere di san Tommaso d’Aquino che egli stesso, divenuto Sommo Pontefice, annoverò nel numero dei Dottori della Chiesa. Fu ordinato sacerdote a Genova nel 1528.

    Incaricato dal Papa Paolo III di vigilare sulla purezza della fede nelle regioni di Padova, Pavia e Como si ispirò, come modelli e protettori, a san Domenico, a san Pietro martire di Verona, a san Vincenzo Ferrer e a sant’Antonino di Firenze, senza altra preoccupazione se non quella di ricercare sempre la maggior gloria di Dio e l’autentico bene dei fratelli, fedele al motto “camminare nella verità” che volle fare proprio. Proseguì con medesimo zelo quando fu nominato a Roma Commissario per la dottrina della fede, e negli altri incarichi affidatigli dai Papi Giulio III, Paolo IV e Pio IV. Eletto Vescovo di Nepi e Sutri nel 1556, fu creato Cardinale nel 1557, e nel 1560 divenne Vescovo di Mondovì.

    3. A 62 anni, nel gennaio del 1566, venne eletto Successore di Pietro e durante gli anni di Pontificato si dedicò a ravvivare la pratica della fede in ogni componente del Popolo di Dio, imprimendo alla Chiesa una provvidenziale spinta evangelizzatrice. Instancabile nel lavoro pastorale, cercava contatti diretti con tutti, senza tener conto della fragilità del suo stato di salute. Si preoccupò di applicare fedelmente le decisioni del Concilio di Trento: in campo liturgico, con la pubblicazione del Messale Romano rinnovato e del nuovo Breviario; nell’ambito catechetico, affidando soprattutto ai parroci il “Catechismo del Concilio di Trento”; in materia teologica, introducendo nelle Università la Summa di san Tommaso. Richiamò ai Vescovi il dovere di risiedere in Diocesi per un’attenta cura pastorale dei fedeli, ai religiosi l’opportunità della clausura e al clero l’importanza del celibato e della santità di vita.

    Consapevole della missione ricevuta da Cristo Buon Pastore, si dedicò a pascere il gregge affidatogli, invitando a far ricorso quotidiano alla preghiera, privilegiando la devozione a Maria, che contribuì ad incrementare notevolmente dando un forte impulso alla pratica del Rosario. Egli stesso lo recitava intero ogni giorno, pur preso da compiti gravosi e molteplici.

    4. Venerato Fratello, lo zelo apostolico, la costante tensione alla santità, l’amore alla Vergine, che caratterizzarono l’esistenza di san Pio V siano per tutti stimolo a vivere con più intenso impegno la propria vocazione cristiana. In modo speciale, vorrei invitare a imitarlo nella filiale devozione mariana, riscoprendo la semplice e profonda preghiera del Rosario che, come ho voluto ricordare nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, aiuta a contemplare il mistero di Cristo: “Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio… Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all’esperienza della profondità del suo amore” (n. 1).

    Grazie alla recita fervorosa del Rosario, si possono ottenere grazie straordinarie per l’intercessione della celeste Madre del Signore. Di questo era ben persuaso san Pio V che, dopo la vittoria di Lepanto, volle istituire un’apposita festa della Madonna del Rosario.

    A Maria, Regina del santo Rosario, in questo inizio del Terzo Millennio, ho affidato con la recita del Rosario il bene prezioso della pace e il rafforzamento dell’istituto familiare. Rinnovo questo fiducioso affidamento per intercessione del grande devoto di Maria che fu san Pio V.

    5. Assicuro un particolare ricordo nella preghiera per Lei, Venerato Fratello, per i Vescovi che presenzieranno alla chiusura del centenario, per i Comitati Nazionali e di Onore, per le Autorità della Regione, della Provincia e dei Comuni del territorio alessandrino, per il clero, i religiosi e gli amati fedeli e per quanti prenderanno parte alla santa Messa del 5 maggio, a conclusione delle celebrazioni giubilari nella chiesa del monastero della Santa Croce a Boscomarengo.

    A tutti invio di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

    Dal Vaticano, 1 Maggio 2004

    GIOVANNI PAOLO II

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    Constitutione Apostolica

    QUO PRIMUM

    EX DECRETO SACROSANCTI CONCILII TRIDENTINI RESTITUTUM SANCTI PII V. PONTIFICIS MAXIMI IUSSU EDITUM. QUO PERIMUM

    PIUS EPÍSCOPUS SERVUS SERVÓRUM DEI
    AD PERPÉTUAM REI MEMÓRIAM


    QUO PRIMUM tempore ad Apostolatus apicem assumpti fuimus, ad ea libenter animum, viresque nostras intendimus, et cogitationes omnes direximus, quae ad Ecclesiasticum purum retinendum cultum pertinerent, eaque parare, et Deo ipso adjuvante, omni adhibito studio efficere contendimus.

    Cumque inter alia sacri Tridentini Concilii decreta, Nobis statuendum esset de sacris libris, Catechismo, Missali et Breviario edendis atque emendandis: edito jam, Deo ipso annuente, ad populi eruditionem Catechismo, et ad debitas Deo persolvendas laudes Breviario castigato, omnino, ut Breviario Missale responderet, ut congruum est et conveniens (cum unum in Ecclesia Dei psallendi modum, unum Missae celebrandae ritum esse maxime deceat), necesse jam videbatur, ut, quod reliquum in hac parte esset, de ipso nempe Missali edendo, quam primum cogitaremus.

    Quare eruditis delectis viris onus hoc demandandum duximus: qui quidem, diligenter collatis omnibus cum vetustis Nostrae Vaticanae Bibliothecae, aliisque undique conquisitis, emendatis atque incorruptis codicibus; necnon veterum consultis ac probatorum auctorum scriptis, qui de sacro eorumdem rituum instituto monumenta Nobis reliquerunt, ad pristinam Missale ipsum sanctorum Patrum normam ac ritum restituerunt.

    Quod recognitum jam et castigatum, matura adhibita consideratione, ut ex hoc instituto, coeptoque labore, fructus omnes percipiant, Romae quam primum imprimi, atque impressum edi mandavimus: nempe ut sacerdotes intelligant, quibus precibus uti, quos ritus, quasve caeremonias in Missarum celebratione retinere posthac debeant.

    Ut autem a sacrosancta Romana Ecclesia, ceterarum ecclesiarum matre et magistra, tradita ubique amplectantur omnes et observent, ne in posterum perpetuis futuris temporibus in omnibus Christiani orbis Provinciarum Patriarchalibus, Cathedralibus, Collegiatis et Parochialibus, saecularibus, et quorumvis Ordinum, monasteriorum, tam virorum, quam mulierum, etiam militiarum regularibus, ac sine cura Ecclesiis vel Capellis, in quibus Missa conventualis alta voce cum Choro, aut demissa, celebrari juxta Romanae Ecclesiae ritum consuevit vel debet alias quam juxta Missalis a nobis editi formulam decantetur, aut recitetur, etiamsi eaedem Ecclesiae quovis modo exenptae, Apostolicae Sedis indulto, consuetudine, privilegio, etiam juramento, confirmatione Apostolica, vel aliis quibusvis facultatibus munitae sint; nisi ab ipsa prima institutione a Sede Apostolica adprobata, vel consuetudine, quae, vel ipsa institutio super ducentos annos Missarum celebrandarum in eisdem Ecclesiis assidue observata sit: a quibus, ut praefatam celebrandi constitutionem vel consuetudinem nequaquam auferimus; sic si Missale hoc, quod nunc in lucem edi curavimus, iisdem magis placeret, de Episcopi, vel Praelati. Capitulique universi consensu, ut quibusvis non obstantibus, juxta illud Missas celebrare possint, permittimus; ex aliis vero omnibus Ecclesiis praefatis eorumdem Missalium usum tollendo, illaque penitus et omnio rejiciendo, ac huic Missali nostro nuper editio, nihil unquam addendum, detrahendum, aut immutandum esse decernendo, sub indignationis nostrae poena, hac nostra perpetuo valitura constitutione statuimus et ordinamus.

    Mandantes ac districte omnibus et singulis Ecclesiarum praedictarum Patriarchis, Administratoribus, aliisque personis quacumque Ecclesiastica dignitate fulgentibus, etiamsi Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinales, aut cujusvis alterius gradus et praeeminentiae fuerint, illis in virtute sanctae obedientiae praecipientes, ut ceteris omnibus rationibus et ritibus ex aliis Missalibus quantumvis vetustis hactenus observari consuetis, in posterum penitus omissis, ac plane rejectis, Missam juxta ritum, modum, ac normam, quae per Missale hoc a Nobis nunc traditur, de antent ac legant; neque in Missae celebratione alias caelemonias, vel preces, quam quae hoc Missali continentur, addere vel recitare praesumant.

    Atque ut hoc ipsum Missale in Missa decantanda, aut recitanda in quibusvis Ecclesiis absque ullo conscientiae scrupulo, aut aliquarum poenarum, sententiarum et censurarum incursu, posthac omnino sequantur, eoque libere et licite uti possint et valeant, auctoritate Apostoloca, tenore praesentium, etiam perpetuo concedimus et indulgemus.

    Neve Praesules, Administratores, Canonici, Capellani et alii quocumque nomine nuncupati Presbyteri saeculares, aut cujusvis Ordinis regulares, ad Missam aliter quam a nobis statutum est, celebrandam teneantur: neque ad Missale hoc immutandum a quolibet cogi et compelli, praesentesve litterae ullo unquam tempore revocari, aut moderari possint, sed firmae semper et validae in suo exsistant robore, similiter statuimus et declaramus. Non obstantibus praemissis, ac constitutionibus, et ordinationibus Apostolicis, ac in Provincialibus et Synodalibus Conciliis editis generalibus, vel specialibus constitutionibus, et ordinationibus, nec non Ecclesiarum praedictarum usu, longissima et immemorabili praescriptione, non tamen supra ducento annos, roborato, statutis et consuetudinibus contrariis quibuscumque.

    Volumus autem et eadem auctoritate decernimus, ut post hujus nostrae constitutionis, ac Missalis editionem, qui in Romana adsunt Curia Presbyteri post mensem; qui vero intra montes, post tres; et qui ultra montes incolunt, post sex menses, aut cum primum illis Missale hoc venale propositum fuerit, juxta illud Missam decantare, vel legere teneantur.

    Quod ut ubique terrarum incorruptum, ac mendis et erroribus purgatum praeservetur, omnibus in nostro et Sanctae Ecclesiae Romanae Domino mediate, vel immeditate subjecto commorantibus impressoribus, sub amissionis librorum, ac centum ducatorum auri Camerae Apostoliae ipso facto applicandorum: aliis vero in quacumque orbis parte consistentibus, sub excommunicationis latae sententiae, et aliis arbitrari nostri poenis, ne sine nostra vel speciali ad id Apostolici Commissarii in eisdem partibus a nobis constituendi, licentia, ac nisi per eumdem Commissarium eidem impresspri Missalis exemplum, ex quo aliorum imprimendorum ab ipso impressore erit accipienda norma, cum Missali in Urbe secundum magnum impressionem impresso collatum fuisse, et concordare, nec in ullo penitus discrepare prius plena fides facta fuerit, imprimere, vel proponere, vel recipere ullo modo audeant, vel praesumant, auctoritate Apostolica et tenore praesentium similibus inhibemus.

    Verum, quia difficile esset praesentes litteras ad quaeque Christiani orbis loca deferri, ac primo quoque tempore in omnium notitiam perferri, illas ad Basilicae Principis Apostolorum, ac Cancellariae Apostolicae, et in acie Campi Florae de more publicari et affigi, ac earumdem litterarum exemplis etiam impressis, ac manu alicujus publici tabellionis subscriptis, nec non sigillo personae in dignitate Ecclesiastica constitutae munitis, eamdem prorsus indubitatam fidem ubique gentium et locorum, haberi praecipimus, quae praesentibus haberetur, si ostenderentur vel exhiberentur.

    Nulli ergo omnio hominum liceat hanc paginam nostrae permissionis, statuti, ordinationis, mandati, praecepti, concessionis, indulti, declarationis, voluntatis, decreti et inhibitionis infringere, vel ei ausu temeratio contraire.

    Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei, ac beatorum Patri et Pauli Apostolorum ejus se noverit incursurum.

    Datum Romae apud S. Petrum, anno Incarnationis Dominicae millesimo quingentesimo septuagesimo, pridie Idus Julii, Pontificatus nostri anno quinto.

    H. Cumin Caesar Glorierius

    Anno a Nativitate Domini 1570, Indict. 13, die vero 19 mensis Julii, Pontificatus sanctissimi in Christo Patris et D. N. Pii divina providentia Papae V anno ejus quinto, retroscriptae litterae publicatae et affixae fuerunt ad valvas Basilicae Principis Apostolorum, ac Cancellariae Apostolicae, et in acie Campi Florae, ut moris est, per nos Joannem Andream Rogerium et Philibertum Cappuis Cursores.

    Scipio de Octavianis,
    Magister Cursorum.

  6. #6
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    Predefinito Traduzione

    I
    Fin dal tempo della Nostra elevazione al sommo vertice dell'Apostolato, abbiamo rivolto l'animo, i pensieri e tutte le Nostre forze alle cose riguardanti il Culto della Chiesa, per conservarlo puro, e, a tal fine, ci siamo adoperati con tutto lo zelo possibile a preparare e, con l'aiuto di Dio, mandare ad effetto i provvedimenti opportuni. E poiché, tra gli altri Decreti del sacro Concilio di Trento, ci incombeva di eseguire quelli di curare l'edizione emendata dei Libri Santi, del Messale, del Breviario e del Catechismo, avendo già, con l'approvazione divina, pubblicato il Catechismo, destinato all'istruzione del popolo, e corretto il Breviario, perché siano rese a Dio le lodi dovutegli, ormai era assolutamente necessario che pensassimo quanto prima a ciò che restava ancora da fare in questa materia, cioè pubblicare il Messale, e in tal modo che rispondesse al Breviario: cosa opportuna e conveniente, poiché come nella Chiesa di Dio uno solo è il modo di salmodiare, cosí sommamente conviene che uno solo sia il rito per celebrare la Messa.

    II
    Per la qual cosa abbiamo giudicato di dover affidare questa difficile incombenza a uomini di eletta dottrina. E questi, infatti, dopo aver diligentemente collazionato tutti i codici raccomandabili per la loro castigatezza ed integrità - quelli vetusti della Nostra Biblioteca Vaticana e altri ricercati da ogni luogo - e avendo inoltre consultato gli scritti di antichi e provati autori, che ci hanno lasciato memorie sul sacro ordinamento dei medesimi riti, hanno infine restituito il Messale stesso nella sua antica forma secondo la norma e il rito dei santi Padri.

    III
    Pertanto, dopo matura considerazione, abbiamo ordinato che questo Messale, già cosí riveduto e corretto, venisse quanto prima stampato a Roma, e, stampato che fosse, pubblicato, affinché da una tale intrapresa e da un tale lavoro tutti ne ricavino frutto: naturalmente, perché i sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare.

    IV
    Perciò, affinché tutti e dovunque adottino e osservino le tradizioni della santa Chiesa Romana, Madre e Maestra delle altre Chiese, ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'orbe Cristiano: - nelle Patriarcali, Cattedrali, Collegiate e Parrocchiali del clero secolare, come in quelle dei Regolari di qualsiasi Ordine e Monastero, maschile e femminile, nonché in quelle degli Ordini militari, nelle private o cappelle - dove a norma di diritto o per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa, sia quella Conventuale cantata presente il coro, sia quella semplicemente letta a bassa voce, non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale da Noi pubblicato; e ciò, anche se le summenzionate Chiese, comunque esenti, usufruissero di uno speciale indulto della Sede Apostolica, di una legittima consuetudine, di un privilegio fondato su dichiarazione giurata e confermato dall'Autorità Apostolica, e di qualsivoglia altra facoltà.

    V
    Non intendiamo tuttavia, in alcun modo, privare del loro ordinamento quelle tra le summenzionate Chiese che, o dal tempo della loro istituzione, approvata dalla Sede Apostolica, o in forza di una consuetudine, possono dimostrare un proprio rito ininterrottamente osservato per oltre duecento anni. Tuttavia, se anche queste Chiese preferissero far uso del Messale che abbiamo ora pubblicato, Noi permettiamo che esse possano celebrare le Messe secondo il suo ordinamento alla sola condizione che si ottenga il consenso del Vescovo o dell'Ordinario, e di tutto il Capitolo.

    VI
    Invece, mentre con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo, priviamo tutte le summenzionate Chiese dell'uso dei loro Messali, che ripudiamo in modo totale e assoluto, stabiliamo e comandiamo, sotto pena della Nostra indignazione, che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato, nulla mai possa venir aggiunto, detratto, cambiato. Dunque, ordiniamo a tutti e singoli i Patriarchi e Amministratori delle suddette Chiese, e a tutti gli ecclesiastici, rivestiti di qualsiasi dignità, grado e preminenza, non esclusi i Cardinali di Santa Romana Chiesa, facendone loro severo obbligo in virtú di santa obbedienza, che, in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri Messali, per quanto antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggano la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che Noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo Messale.

    VII
    Anzi, in virtú dell'Autorità Apostolica, Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l'Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: cosí che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta, né, d'altra parte, possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale.

    VIII
    Similmente decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò, non ostanti: precedenti costituzioni e decreti Apostolici; costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concilii sia Provinciali che Sinodali; qualunque statuto e consuetudine in contrario, nonché l'uso delle predette Chiese, fosse pur sostenuto da prescrizione lunghissima e immemorabile, ma non superiore ai duecento anni.

    IX
    Inoltre, vogliamo e, con la medesima Autorità, decretiamo che, avvenuta la promulgazione della presente Costituzione, e seguita l'edizione di questo Messale, tutti siano tenuti a conformarvisi nella celebrazione della Messa cantata e letta: i Sacerdoti della Curia Romana, dopo un mese; quelli che sono di qua dei monti, dopo tre mesi; quelli che sono di là dei monti, dopo sei mesi o appena sarà loro proposto in vendita.

    X
    Affinché poi questo Messale sia ovunque in tutta la terra preservato incorrotto e intatto da mende ed errori, ingiungiamo a tutti gli stampatori di non osare o presumere di stamparlo, metterlo in vendita o riceverlo in deposito, senza la Nostra autorizzazione o la speciale licenza del Commissario Apostolico, che Noi nomineremo espressamente nei diversi luoghi a questo scopo: cioè, se prima detto Commissario non avrà fatta all'editore piena fede che l'esemplare, che deve servire di norma per imprimere gli altri, è stato collazionato con il Messale stampato in Roma secondo la grande edizione, e che gli è conforme e in nulla ne discorda; sotto pena, in caso contrario, della perdita dei libri e dell'ammenda di duecento ducati d'oro da devolversi ipso facto alla Camera Apostolica, per gli editori che sono nel Nostro territorio e in quello direttamente o indirettamente soggetto a Santa Romana Chiesa: della scomunica latæ sententiæ e di altre pene a Nostro arbitrio, per quelli che risiedono in qualsiasi altra parte della terra.

    XI
    Data però la difficoltà di trasmettere le presenti Lettere nei varii luoghi dell'orbe Cristiano, e di portarle alla conoscenza di tutti il piú presto possibile, Noi prescriviamo che esse vengano affisse e pubblicate come di consueto alle porte della Basilica del Principe degli Apostoli e della Cancelleria Apostolica, e in piazza di Campo dei Fiori, dichiarando che sia nel mondo intero accordata pari e indubitata fede agli esemplari delle medesime, anche stampati, purché sottoscritti per mano di pubblico notaio e muniti del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, come se queste stesse Lettere fossero mostrate ed esibite.

    XII
    Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno diciannove di luglio dell'anno millecinquecentosettanta, quinto del nostro pontificato.

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    Predefinito Bolla Romanus Pontifex del 27 agosto 1569

    Constitutio

    ROMANUS PONTIFEX

    qui Cosmus Medices Reipublicae Florentinae Dux, ejusque successores Magni Duces Etruriae creantur.

    PIUS EPISCOPUS
    SERVUS SERVORUM DEI
    Ad perpetuam rei memoriam.


    Romanus Pontifex in excelso militantis Ecclesiae Throno disponente Domino super gentes & Regna constitutus , post perlustratas suae indefessae mentis acie Orbis Christiani Provincias, circumspecta sua providentia praeclaros, ac principes viros, qui de Sancta Sede Apostolica , fideque Catholica benemereri videntur, singulari suae benignitatis clementia, quantum sibi ex alto conceditur, augere, eosque insignibus, ornamentis, ac speciosis honorum titulis decorare, atque illustrare consuevit, necnon alias disponit, prout temporum, locorum, & personarum qualitate pensata, conspicit in Domino salubriter expedire.

    §. 1. Sane cum Nos his nostris luctuosissimae tempestatis diebus, animo nostro diu multumque gravissimo cum dolore versaremus, quot & quantae pestiferarum haeresum sectae quotidie undique erumperunt, diraque & exitiosa perditorum hominum a fide Catholica aberrantium semina passim serperent, & usquequaque propagarentur, omnia Italiae loca circumspicientes, Etruria Provincia nobilitatis decore, & antiquitatis nomine a majoribus celebrata, cujus maxima pars, quae Nobis, & ipsi Apostolicae Sedi subiecta non est, ab omnibus fere lateirubs ditioni nostrae Ecclesiasticae contermina atque conjuncta existit, Nobis praecipue occurrit, quam divinae primum bonitatis gratia solicitudineque ac vigilantia nostra, deinde praestantissimi, ac Religiosissimi ejus Principis virtute, consilio, diligentia, prae ceteris intactam, & incorruptam, ab hujusmodique perniciosa labe & contagione, sarctam tectam conservatam esse conspicimus.

    §.2. Huc accedit , quod profecto magnopere Nos movet, Sedem Aposlolicam, cum ob regionis vicinitatem , tam propter loci opportunitatern gratissima plerumque obsequia, atque etiam commoda subministratis ab Estruscis auxiliss a multis jam ante saeculis recepisse, idque complures Romanos Pontifices Predecessores nostros , & praesertmn fel. rec. Innocentium Quartum, Clementem etiam Quartum, Gregorium Decimum , Benedicium Undecimum, Martinum Quintum, & Leonem Decimum luculenter testatos fuisse, adeo ut tam eamdem Provinciam, quam ejus Rectores, & Magistratus ob perculiarem eorum erga Romanam Ecclesiam devotionem, & observantiam, propenso paternoque affectu, variis gratiis, honoribus, ac privilegiis jure cohonestandos, atque ornandos esse duxerint.

    §.3. Quibus rebus dicta meditatione mature consideratis, attendentes quoque in primis, quod dilectus filius nobilis vir Cosmus Medices Reipublicae Florentinae Dux , majorem in dies suae eximiae virtutis splendorem, ferventioremque Catholicae Religionis cultum , & in administranda justitia praecellens studium, ex eo tempore, quo imperare coepit, nusquam praetermissum, laudabiliter praeseserre non cessat. Quod omnibus in occasionibus, Nobis, ac Praedecessoribus nostris, & Apostolicae Sedi, prompto, ac libenti animo obsequi semper studuerit. Quod Nos, & eamdem Sedem ab ipso nostri Pontificatus initio continuato debitae reverentiae honore coluerit, mandatis nostris filiali obedientia paruerit, honestis nostris petitionibus obsequentissime morem gesserit. Quoad a Nobis requisitus, coepta nostra pecuniis, peditatu, equitatuque alacriter juverit, praesertim pro ferendo aucilio Carissimo in Christo filio nostro Carolo Francorum Regi Christianissimo, adversus ejus rebelles, & haereticos, centum etiam aureorum millia, ultra alia, illi mutuando hortatu nostro id fecerit. Quod majora, si usus venerit, ad Catholicae fidei defensionem, & incrementum se praestaturum ultro pollicetur.

    §.4. Quod pro inclyta eius in Deum pietate, superioribus annis , Militiam Sancti Stephani , ad sanctae Fidei exaltationern, ac propagationem instituerit,bonis ditaverit , & ampliaverit.

    §.5. Quod universae prope Provinciae Etruscae imperscrutabili Dei judicio ad summae dignitatis potestatem civium Florentinorum assensu vocatus felicissime praesit, ac dominetur. Quod delatum sibi admirabiliter Principatum admirabilius regat, & moderetur, illumque incomparabili prudentia, ac sapientia, in pacis ac justitiae amoenitate, ab ineunte ejus astate diligentissime contineat, & conservet.

    §.6. Quod terra mirique praepotens existat. Quod Piratis,facinorosis, sicariis, quietis, & ocii turbatoribus, necnon Nostris, & hujus Sanctae Sedis rebellibus, & adversariis hostis acerrimus, scelerumque & delictorum severus vindex sit, quod numerosa ac frequenti populorum ei subditorum Deo benedicente multitudine, copiosis grandibus redditibus, & amplissimis proventibus gaudeat, & fruatur. Quod validus peditum, & equitum numerus in omnes usus ei praetio semper esse possit. Quod quamplures florentissimas Urbes, tam Cathedralium, quam earum nonnullas Metropoliticarum Ecclesiarum dignitate insignes, ac Studiorum generalium universitatibus ornatas, munitissimos portus, validissimas arces, loca tutissima, triremium classem paratam, & instructam, tam ad Tyrrheni sui maris, quam etiam ad nostrae orae maritimae tutelam habeat. Quod rerum omnium copia, ditionis amplitudine, locorum ubertate, continua viate felicitate, demumque gentis celebris admodum, & opulentae viribus firmissime subnixus urgeat. Quod cuncta haec ipsa bona per immensam Dei Omnipotentis benignitatem sibi elargita, ad divinum honorem, & gloriam paratissima semper fore profiteatur.

    §.7. Quod absoluta potestate ratione liberi, & directi dominiii Florentiniii nemini sit subjectus, ita ut juxta distinctionem piae memoriae Pelagii similiter Romani Pontificis Praedecessoris nostri, uti Rex, & Magnus Dux ac Princeps merito existat, & inter ceteros Magnos Duces, ac Principes, re ipsa esse, censeri, & connumerari possit, & debeat .

    §.8. Nos igitur tot ac tantis rationabilibus, dignisque de causis, clarissimis in quoque ipsius Cosmi Ducis erga Nos, & Sedem eamdem meritorum, & Officiorum monumentis inducti, firmaque spe freti, quod is, & ejus successores, collati nostri in eos beneficii memores debitam Nobis, futurisque Romanis Pontificibus grato animo fidei, ac devotionis sinceritatem, perpetuo exhibere, conservareque studebunt. Attendentes etiam, quod sane plurimi facimus, dictum Cosmum Ducem, ac dilectum filium nobilem virum Franciscum ejus filium primogenitum arctis admodum affinitatis, sanguinis, & necessitudinis vinculis cum carissimo in Christo filio nostro Maximiliano in Imperatorem electo, & maximis Christiani nominis Regibus conjunctos esse, eosque a nobilissima stirpe Medicea multis honoribus & titulis decorata, & ea qua tot illustres proceres, ac tres Romani Pontifices prodierunt, ortum habere. Proptera eumdem Cosmum Ducem specialibus favoribus, & gratiis paterne benigneque prosequi volentes, ipsumque a quibusvis excommunicationis, suspensionis & interdicti, aliisqu. Ecclesiasticis sententiis, censuris & poenis a jure, vel ab homine quavis occasione, vel causa latis, si quibus quomodolibet innodatus existit, ad effectum praesentium dumtaxat conseq., harum ferie absolventes, & absolutum fore censentes, Motu proprio, non ad ipsius Cosmi Ducis, seu alterius pro eo Nobis super hoc oblatae petitionis instantiam, sed ex certa scientia, maturaq. deliberatione, & mera liberalitate nostris, ac de supremae nostrae Apostolicae potestatis plenitudine, tam dictorum Praedecessorum, quam etiam Alexandri III. & Innocenti pariter III. ac Pauli IV. similiter Praedecessorum nostrorum, qui Portugalliae, & Bulgarorum, ac Blancorum, necnon Hiberniae Reges, & ut tunc Dux Bohemiae, Rex in suis literis nominari possit, respective crearunt, constituerunt, & concesserunt, aliorumq. Romanorum Pontific. erga diversos Principes, exempla sequentes, vestigiique inhaerentes, ut potissimum ceteri Principes hoc exemplo invitati ad bene de Sancta hac Sede promerendum incitentur, eumdem Cosmum Ducem ejusque Successores pro tempore existentes Duces, perpetuis futuris temporibus in Magnos Duces, & Principes Provinciae Etruriae sibi pro maxima illius parte subiectae, & in ipsa Provincia respective Auctoritate Apostolica tenore praesentium creamus, constituimus, pronunciamus, declaramus, Magnorumque Ducum Etruriae Provinciae, ut praefertur, ejus subjectae nomine, titulo, & denominatione extollimus, & amplificamus, necnon eos dictae Etruriae Provinciae eis subjectae Magnos Duces, & Principes ab omnibus appellari, inscribi, dici, haberi, censeri, & tractari debere volumus, praecipimus, ac mandamus, atque Cosmum Magnum Ducem, ejusque Successores praefatos omnibus, & singulis exemptionibus, immunitatibus, libertatibus, favoribus, praeeminentiis, praerogativis, indultis, privilegiis, aliisque alii vere liberi, & directi Domini, ac Magni Duces, & Principes etiam Ducali, aut alia quavis etiam majori dignitate praefulgentes, ac quacumque libera, & absoluta potestate fungentes, in genere vel in specie, in quibuscumque locis, pompis, sessionibus, celebritatibus, caeremoniis, & actibus publicis vel privatis, tam de jure, quam de consuetudine, etiam in Aula nostra Vaticana, & ubique Terrarum, etiam si alii Magni, & Similes Duces, & Principes praesentes fuerint, quoquo modo utuntur, fruuntur, potiuntur, & guadent, seu uti, frui, potiri, & gaudere in fiturum quomodolibet poterunt, & soliti sunt, non quidem ad illorum instar, sed pariformiter, & absque ulla prorsus differentia uti, frui, potiri, & gaudere posse, ac debere.

    §.9. Et insuper in evidens clarumque propensae noftrae voluntatis erga dictum Cosmum Magnum Ducem testimonium, certamque dilectionis significationem, eum amplioris quoque gratiae, & favoris praerogativa, maxime dignum censentes, ut juxta sententiam Clementis Quarti Praedecessori nostri praedicti, ex majori decore ornatuum, majoritas appareat dignitatis, ispum Cosmum Magnum Ducem, & ejus Successores hujusmodi Regali Corona, ut inferius depingi mandavimus, quae super eorum gentilibus insignibus, ad illustrius nobiliusque ipsorum decus, & ornamentum, uti, eamque portare, ferre, & gestare, depngique, & insculpi facere libere, & licite possint, & valeant, motu, scientia, ac potestatis plenitudine similibus decoramus, exornamus, & insignimus, decoratosque, exornatos, & insignitos fore, & esse.

    §. 10. Praesentesque litteras de subreptionis, vel obreptionis vitio, aut intentionis nostrae, seu quocumque alio defectu ex quavis etiam quantumlibet justissima, & urgentissima, rationabilique causa nullo umquam tempore a quoquam notari, vel impugnari posse, sed illas validas, & efficaces perpetuo fore, & esse, suosque plenarios, totales, & omnimodo effectus sortiri posse, ac debere in omnibus, & per omnia, ac si consistorialiter, & de Fratrum nostroum consilio factae, & in ipso Consistorio nostro secreto lectae fuissen.

    §. 11. Sicque per quoscumque Judices etiam Imperiali, Regia, Ducali, vel quavis alia excellentia, & dignitate praeditos, & alios Commissarios qualibet auctoritate fungentes, etiam causarum Sacri Palatii nostri Auditores, & Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinales, sublata eis, & eorum cuilibet quavis aliter judicandi, sententiandi, definiendi, & interpretandi facultate, & auctoritate, judicari, definiri, & interpretari debere, ac quicquid secus super his a quoquam quavis auctoritate scienter vel ignoranter contingerit attentari, irritum, & inane decernimus, & declaramus.

    §.12. Non obstantibus quibusvis Constitutionibus, & Ordinationibus Apostolicis, ac Provinciarum Civitatum, & locorum quorumlibet statutis, & consuetudinibus, etiam juramento, confirmatione Apostolica, vel quavis firimitate alia roboratis, privilegiis quoque indultis, & literis Apostolicis, illis, & quibusvis aliis personis, etiam Ducibus, quibus forsan per Sedem Apostolicam concessum sit, quod privilegiis, praeeminentiis, favoribus, indultis, & gratiis ad instar Magnorum Ducum, perinde ac si ipsi Magni Duces realiter, & cum effectu essent, uti, & guadere possint in genere, vel in specie, sub quibuscunque tenoribus, & formis, ac cum quibusvis etiam derogatoriarum derogatoriis, & quantumcumque efficacissimis clausulis, & decretis quomodolibet con cessis, confirmatis, & innovatis (quibus omnibus etiam si de illis, eorumque totis tenoribus specialis, specifica, & expressa, & individua, ac de verbo ad verbum mentio, seu quaevis alia expressio habenda, aut aliqua exquisita forma ad hoc servanda esset, eorum omnium tenorem praesentibus pro sufficienter expressis habentes, illis alias in suo robore permansuris, hac vice dumtaxat ad effectum praesentium specialiter, & expresse derogamus, totaliterque, & latissime derogatum esse volumus & decernimus) ceterisque cojntrariis quibuscumque.

    §.13. Salva nihilominus in nostris dictae Provinciae, Civitatibus, & locis, nostra & Romanae Ecclesiae auctoritate, jurisdictione, & potestate, necnon Imperatoris, & Regum superioritate, jurisdictione, ac quibusvis juribus respective in locis mediate, vel immediate eis subjectis, ac citra aliquod praejudicium Civitatum, Terrarum, & locorum in eadem Etruriae Provincia consistentium, quae non sunt ditiones dicti Cosmi Ducis, nec ei quomodolibet subjecta sunt, neque aliquo modo obediunt.

    §.14. Nulli ergo omnino hominum &c.

    Datum Romae apud S. Petrum, Anno Incarnationis Domincae 1569., sexto Kal. Sept. Pontificatus [=27. Augusti] nostri Anno IV.

    Fonte: Magnum Bullarium Romanum, tom. 4, par. 3, p. 74-76. 1746.

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    Grazio Cossali, S. Pio V attribuisce alla Madonna del Rosario il merito della vittoria di Lepanto, 1597, Chiesa di Santa Croce di Bosco Marengo

    Lazzaro Baldi, S. Pio V ha la visione della vittoria di Lepanto, 1673, Collegio Ghislieri, Pavia, nel quale S.Pio aveva insegnato teologia

    Anonimo Lombardo del XVII secolo, S. Pio V


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