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    Predefinito 26 maggio - S. Filippo Neri

    In occasione della festa di S. Filippo Neri, grande educatore, apro questo thread.

    Augustinus

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    dal sito SANTI E BEATI:

    San Filippo Neri Sacerdote

    26 maggio - Memoria

    Firenze, 1515 - Roma, 26 maggio 1595

    Fondò l'Oratorio che da lui ebbe il nome. Unì all'esperienza mistica, che ebbe le sue più alte espressioni specialmente nella celebrazione della Messa, una straordinaria capacità di contatto umano e popolare. Fu promotore di forme nuove di arte e di cultura. Catechista e guida spirituale di straordinario talento, diffondeva intorno a sè un senso di letizia che scaturiva dalla sua unione con Dio e dal suo buon umore. (Mess. Rom.)

    Patronato: Giovani

    Etimologia: Filippo = che ama i cavalli, dal greco

    Martirologio Romano: Memoria di san Filippo Neri, sacerdote, che, adoperandosi per allontanare i giovani dal male, fondò a Roma un oratorio, nel quale si eseguivano letture spirituali, canti e opere di carità; rifulse per il suo amore verso il prossimo, la semplicità evangelica, la letizia d’animo, lo zelo esemplare e il fervore nel servire Dio.

    Martirologio tradizionale (26 maggio): A Roma san Filippo Neri, Prete e Confessore, Fondatore della Congregazione dell'Oratorio, insigne per la verginità, per il dono della profezia e pei miracoli.

    L'uomo che sarebbe stato chiamato "l'Apostolo della città di Roma" era figlio di un notaio fiorentino di buona famiglia. Ricevette una buona istruzione e poi fece pratica dell'attività di suo padre; ma aveva subito l'influenza dei domenicani di san Marco, dove Savonarola era stato frate non molto tempo prima, e dei benedettini di Montecassino, e all'età di diciott'anni abbandonò gli affari e andò a Roma. Là visse come laico per diciassette anni e inizialmente si guadagnò da vivere facendo il precettore, scrisse poesie e studiò filosofia e teologia. A quel tempo la città era in uno stato di grande corruzione, e nel 1538 Filippo Neri cominciò a lavorare fra ? g?ovam della città e fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio e per dare aiuto ai pellegrini e ai convalescenti, e che gradualmente diedero vita al grande ospizio della Trinità. Filippo passava molto tempo in preghiera, specialmente di notte e nella catacomba di san Sebastiano, dove nel 1544 sperimentò un'estasi di amore divino che si crede abbia lasciato un effetto fisico permanente sul suo cuore. Nel 1551 Filippo Neri fu ordinato prete e andò a vivere nel convitto ecclesiastico di san Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore; gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ma la sua occupazione principale era ancora il lavoro tra i giovani.
    Sopra la chiesa fu costruito un oratorio in cui si tenevano conferenze religiose e discussioni e si organizzavano iniziative per il soccorso dei malati e dei bisognosi; là, inoltre, furono celebrate per la prima volta funzioni consistenti in composizioni musicali su temi biblici e religiosi cantate da solisti e da un coro (da qui il nome "oratorio"). San Filippo era assistito da altri giovani chierici, e nel 1575 li aveva organizzati nella Congregazione dell'Oratorio; per la sua società (i cui membri non emettono i voti che vincolano gli ordini religiosi e le congregazioni), costruì una nuova chiesa, la Chiesa Nuova, a santa Maria "in Vallicella". Diventò famoso in tutta la città e la sua influenza sui romani del tempo, a qualunque ceto appartenessero, fu incalcolabile.
    Ma san Filippo non sfuggì alle critiche e all'opposizione: alcuni furono scandalizzati dall'anticonvenzionalità dei suo discorsi, delle sue azioni e dei suoi metodi missionari. Egli cercava di restituire salute e vigore alla vita dei cristiani di Roma in modo tranquillo, agendo dall'interno; non aveva una mentalità clericale, e pensava che il sentiero della perfezione fosse aperto tanto ai laici quanto al clero, ai monaci e alle monache. Nelle sue prediche insisteva più sull'amore e sull'integrità spirituale che sulle austerità fisiche, e le virtù che risplendevano in lui venivano trasmesse agli altri: amore per Dio e per l'uomo, umiltà e senso delle proporzioni, gentilezza e gaiezza - "riso" è una parola che compare spesso quando si tratta di san Filippo Neri.

    Fonte: Vite dei Santi

    Autore anonimo, San Filippo Neri, Battistero della Basilica di S. Giovanni in Laterano, Roma








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    Predefinito Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

    Disc. 171, 1-3. 5, in PL 38, 933-935

    L'Apostolo ci comanda di rallegrarci, ma nel Signore, non nel mondo. «Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Gc 4, 4), come ci assicura la Scrittura. Come un uomo non può servire a due padroni, così nessuno può rallegrarsi contemporaneamente nel mondo e nel Signore.
    Quindi abbia il sopravvento la gioia nel Signore, finché non sia finita la gioia nel mondo. Cresca sempre più la gioia nel Signore, mentre la gioia nel mondo diminuisca sempre finché sia finita. E noi affermiamo questo, non perché non dobbiamo rallegrarci mentre siamo nel mondo, ma perché, pur vivendo in questo mondo, ci rallegriamo già nel Signore.
    Ma qualcuno potrebbe obiettare: Sono nel mondo, allora, se debbo gioire, gioisco là dove mi trovo. Ma che dici? Perché sei nel mondo, non sei forse nel Signore? Ascolta il medesimo Apostolo che parla agli Ateniesi e negli Atti degli Apostoli dice del Dio e Signore nostro creatore: «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28).
    Colui che è dappertutto, dove non è? Forse che non ci esortava a questo quando insegnava: «Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla»? (Fil 4, 5-6).
    E' una ineffabile realtà questa: ascese sopra tutti i cieli ed è vicinissimo a coloro che si trovano ancora sulla terra. Chi è costui, lontano e vicino al tempo stesso, se non colui che si è fatto prossimo a noi per la sua misericordia?
    Tutto il genere umano è quell'uomo che giaceva lungo la strada semivivo, abbandonato dai ladri. Il sacerdote e il levita, passando, lo disprezzarono, ma un samaritano di passaggio gli si accostò per curarlo e prestargli soccorso. Lontano da noi, immortale e giusto, egli discese fino a noi, che siamo mortali e peccatori, per diventare prossimo a noi.
    «Non ci tratta secondo i nostri peccati» (Sal 102, 10). Siamo infatti figli. E come proviamo questo? Morì per noi l'Unico, per non rimanere solo. Non volle essere solo, egli che è morto solo. L'unico Figlio di Dio generò molti figli di Dio. Si acquistò dei fratelli con il suo sangue. Rese giusti i reprobi. Donandosi, ci ha redenti; disonorato, ci onorò; ucciso, ci procurò la vita.
    Perciò, fratelli, rallegratevi nel Signore, non nel mondo; cioè rallegratevi nella verità, non nel peccato; rallegratevi nella speranza dell'eternità, non nei fiori della vanità. Così rallegratevi: e dovunque e per tutto il tempo che starete in questo mondo, «il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6).

  3. #3
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    Predefinito

    Mario Balassi, L'apparizione della Vergine con il Bambino a S. Filippo Neri, 1660, Pinacoteca Coldirodi, Sanremo

    Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, S. Filippo Neri, XVII secolo, Museo di Stato, San Marino

    Guido Reni, Visione di S. Filippo Neri, Chiesa Nuova, Roma

    Paolo Domenico Finoglio, Messa di S. Filippo Neri, Abbazia di Montserrat, Spagna

    Bartolomeo Caravoglia, Vergine con Bambino con i SS. Michele arcangelo, Giovanni Battista, Francesco di Sales e Filippo Neri, Duomo, Torino

    Giovanni Battista Piazzetta, L'apparizione della Vergine con il Bambino a S. Filippo Neri, 1725, Santa Maria della Consolazione (Fava), Venezia

    Giovanni Battista Tiepolo, L'apparizione della Vergine con il Bambino a S. Filippo Neri, 1740, Museo Diocesano, Camerino

  4. #4
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    Predefinito MASSIME E RICORDI DI SAN FILIPPO NERI a cura di Davide Zeggio

    Uno dei massimi storici dell'Oratorio, il compianto padre Antonio Cistellini, d.O. di Firenze, scriveva che «sfortunatamente il biografo e l'agiografo potranno scarsamente giovarsi di suoi scritti [di san Filippo], come invece è accaduto per altri grandi: s. Ignazio, s. Carlo Borromeo, s. Francesco di Sales ad esempio. Filippo non fu un santo scrittore, e lui stesso confessò la quasi invincibile ritrosia a prender la penna in mano (oltre che a parlare di se stesso: Secretum meum mihi...)».

    Di san Filippo oggi abbiamo una trentina di lettere, alcuni scritti occasionali e tre sonetti, di cui due sono di dubbia attribuzione ma, senza togliere alcun valore spirituale e storico a questi importanti documenti, sono le sue massime e ricordi ad essere diventate, per così dire, le portavoci di san Filippo e dell'essenza della spiritualità oratoriana.

    Raccolte da testimonianze dirette dei suoi primi discepoli durante conversazioni e discorsi, le massime e i ricordi di san Filippo compensano l'esiguità dei suoi scritti e portano il lettore a comprendere meglio l'origine e i fondamenti dell'Oratorio.

    Le più antiche serie apparvero al processo di canonizzazione durante la seduta del 23 gennaio 1596 quando si recò a testimoniare padre Francesco Zazzara - che, assieme ai Padri Pompeo Pateri e Giuliano Giustiniani, ha curato una ricca raccolta di massime filippiane (Archivio dell'Oratorio di Roma, A.III.9) - e ancora nelle sedute del 18 aprile e del 13 maggio dello stesso anno, quando si recarono a deporre il cardinale Pietro Paolo Crescenzi e il prelato Marco Antonio Maffa.

    * * * * * *

    L'amore di Dio

    - Chi vuole altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia. Chi dimanda altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che dimanda. Chi opera e non per Cristo, non sa quello che si faccia.

    - L'anima che si dà tutta a Dio, è tutta di Dio.

    - Quanto amore si pone nelle creature, tanto se ne toglie a Dio.

    - All'acquisto dell'amor di Dio non c'è più vera e più breve strada che staccarsi dall'amore delle cose del mondo ancor piccole e di poco momento e dall'amor di se stesso, amando in noi più il volere e servizio di Dio, che la nostra soddisfazione e volere.

    - Come mai è possibile che un uomo il quale crede in Dio, possa amare altra cosa che Dio?

    - La grandezza dell'amor di Dio si riconosce dalla grandezza del desiderio che l'uomo ha di patire per amor suo.

    - A chi veramente ama Dio non può avvenire cosa di più gran dispiacere quanto non aver occasione di patire per Lui.

    - Ad uno il quale ama veramente il Signore non è cosa più grave, né più molesta quanto la vita.

    - I veri servi di Dio hanno la vita in pazienza e la morte in desiderio.

    - Un'anima veramente innamorata di Dio viene a tale che bisogna che dica: Signore, lasciatemi dormire: Signore, lasciatemi stare.

    Presenza in Dio e confidenza in Lui

    - Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli occhi.

    - Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi dopo morte.

    - Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.

    - Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.

    - Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.

    La volontà di Dio

    - Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.

    - Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene.

    - Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.

    - E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di quell'altro a domandar questa santa elemosina.

    - Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo; questo è il tuo Purgatorio.

    - A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore ti visiti.

    - Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.

    Desiderio di Perfezione

    - Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni.

    - Bisogna desiderare di far cose grandi per servizio di Dio, e non accontentarsi di una bontà mediocre, ma aver desiderio (se fosse possibile) di passare in santità ed in amore anche S. Pietro e S. Paolo: la qual cosa, benché l'uomo non sia per conseguire, si deve con tutto ciò desiderare, per fare almeno col desiderio quello che non possiamo colle opere.

    - Non è superbia il desiderare di passare in santità qualsivoglia Santo: perché il desiderare d'essere santo è desiderio di voler amare ed onorare Dio sopra tutte le cose: e questo desiderio, se si potesse, si dovrebbe stendere in infinito, perché Dio è degno d'infinito onore.

    - La santità sta tutta in tre dita di spazio, e si toccava la fronte, cioè nel mortificare la razionale, contrastando cioè a se stesso, all'amore proprio, al proprio giudizio.

    - La perfezione non consiste nelle cose esteriori, come in piangere ed altre cose simili, e le lacrime non sono segno che l'uomo sia in grazia di Dio.

    - Parlando il Santo di spirito e della perfezione diceva: Ubbidienza, Umiltà, Distacco!

    La Preghiera

    - L'uomo che non fa orazione è un animale senza ragione.

    - Il nemico della nostra salute di nessuna cosa più si contrista, e nessuna cosa cerca più impedire che l'orazione.

    - Non vi è cosa migliore per l'uomo che l'orazione, e senza di essa non si può durar molto nella vita dello spirito.

    - Per fare buona orazione deve l'anima prima profondissimamente umiliarsi e conoscersi indegna di stare innanzi a tanta maestà, qual è la maestà di Dio, e mostrare a Dio il suo bisogno e la sua impotenza, ed umiliata gettarsi in Dio, che Dio le insegnerà a fare orazione.

    - La vera preparazione all'orazione è l'esercitarsi nella mortificazione: perché il volersi dare alla orazione senza questa è come se un uccello avesse voluto incominciar a volare prima di metter le penne.

    - Ai giovani diceva: Non vi caricate di troppe devozioni, ma intraprendetene poche, e perseverate in esse. Non tante devozioni, ma tanta devozione.

    L'Umiltà

    - Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi.

    - Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri, acciò possiate diventar grandi negli occhi di Dio.

    - Dio sempre ha ricercato nei cuori degli uomini lo spirito d'umiltà, e un sentir basso di sè. Non vi è cosa che più dispiaccia a Dio che l'essere gonfiato della propria stima.

    - Non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare.

    - Per fuggire ogni pericolo di vanagloria voleva il Santo che alcune devozioni particolari si facessero in camera, ed esortava che si fuggisse ogni singolarità. A proposito della vanagloria diceva: Vi sono tre sorta di vanagloria. La prima è Padrona e si ha quando questa va innanzi all'opera e l'opera si fa per il fine della vanagloria. La seconda è la Compagna e si ha quando l'uomo non fa l'opera per fine di vanagloria, ma nel farla sente compiacenza. La terza è Serva e si ha quando nel far l'opera sorge la vanagloria, ma la persona subito la reprime.

    - Per acquistare il dono dell'umiltà sono necessarie quattro cose: spernere mundum, spernere nullum, spernere seipsum, spernere se sperni: cioè disprezzare il mondo, non disprezzare alcuno, disprezzare se stesso, non far conto d'essere disprezzato. E soggiungeva, rispetto all'ultimo grado: A questo non sono arrivato: a questo vorrei arrivare.

    - Fuggiva con tutta la forza ogni sorta di dignità: Figliuoli miei, prendete in bene le mie parole, piuttosto pregherei Iddio che mi mandasse la morte, anzi una saetta, che il pensiero di simili dignità. Desidero bene lo spirito e la virtù dei Cardinali e dei Papi, ma non già le grandezze loro.

    La Mortificazione

    - Figliuoli, umiliate la mente, soggettate il giudizio.

    - Tutta l'importanza della vita cristiana consiste nel mortificare la razionale.

    - Molto più giova mortificare una propria passione per piccola che sia, che molte astinenze, digiuni e discipline.

    - Quando gli capitava qualche persona che avesse fama di santità, era solito provarla con mortificazioni spirituali e se la trovava mortificata e umile, ne teneva conto, altrimenti l'aveva per sospetta, dicendo: Ove non è gran mortificazione, non può esservi gran santità.

    - Le mortificazioni esteriori aiutano grandemente all'acquisto della mortificazione interiore e delle altre virtù.

    L'Obbedienza

    - L'obbedienza buona è quando si ubbidisce senza discorso e si tiene per certo quello che è comandato è la miglior cosa che si possa fare.

    - L'obbedienza è il vero olocausto che si sacrifica a Dio sull'altare del nostro cuore, e bisogna sforzarci d'obbedire anche nelle cose piccole, e che paiono di niun momento, poiché in questo modo la persona si rende facile ad essere obbediente nelle cose maggiori.

    - E' meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in camera a fare orazione.

    - A proposito di colui che comandava diceva: Chi vuol esser obbedito assai, comandi poco.

    La Gioia Cristiana

    - Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate allegri.

    - Non voglio scrupoli, non voglio malinconie. Scrupoli e malinconie, lontani da casa mia.

    - L'allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio, derivato dalla buona coscienza, mercé il disprezzo delle cose terrene, unito con la contemplazione delle celesti...Si oppone alla nostra allegrezza il peccato; anzi, chi è servo del peccato non può neanche assaporarla: le si oppone principalmente l'ambizione: le è nemico il senso, e molto altresì la vanità e la detrazione. La nostra allegrezza corre gran pericolo e spesso si perde col trattare cose mondane, col consorzio degli ambiziosi, col diletto degli spettacoli.

    - Ai giovani che facevano chiasso, a proposito di coloro che si lamentavano, diceva: Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono. Voi seguitate il fatto vostro, e state allegramente, perché altro non voglio da voi se non che non facciate peccati. E quando doveva frenare l'irrequietezza dei ragazzi diceva: State fermi, e, sotto voce, se potete.

    La Devozione a Maria

    - Figliuoli miei, siate devoti della Madonna: siate devoti a Maria.

    - Sappiate, figliuoli, e credete a me, che lo so: non vi è mezzo più potente ad ottenere le grazie da Dio che la Madonna Santissima.

    - Chiamava Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.

    - La Madonna Santissima ama coloro che la chiamano Vergine e Madre di Dio, e che nominano innanzi a Lei il nome santissimo di Gesù, il quale ha forza d'intenerire il cuore.

    La Confessione

    - La confessione frequente de' peccati è cagione di gran bene all'anima nostra, perché la purifica, la risana e la ferma nel servizio di Dio.

    - Nel confessarsi l'uomo si accusi prima de' peccati più gravi e de' quali ha maggior vergogna: perché così si viene a confondere più il demonio e cavar maggior frutto dalla confessione.

    La Tentazione

    - Le tentazioni del demonio, spirito superbissimo e tenebroso, non si vincono meglio che con l'umiltà del cuore, e col manifestare semplicemente e chiaramente senza coperta i peccati e le tentazioni al confessore.

    - Contro le tentazioni di fede invitava a dire: credo, credo, oppure che si recitasse il Credo.

    - La vera custodia della castità è l'umiltà: e però quando si sente la caduta di qualcuno, bisogna muoversi a compassione, e non a sdegno: perché il non aver pietà in simili casi, è segno manifesto di dover prestamente cadere.

    - Ai giovani dava cinque brevi ricordi: fuggire le cattive compagnie, non nutrire delicatamente il corpo, aborrire l'ozio, fare orazione, frequentare i Sacramenti spesso, e particolarmente la Confessione.

    Giaculatorie

    Padre Zazzara diceva che il Santo lodava molto le giaculatorie, ed in diversi tempi dell'anno gliele insegnava e ne faceva dire ogni giorno quando una, quando un'altra.

    - Per tenere vivo il pensiero della divina presenza ed eccitare la confidenza in Dio sono utilissime alcune orazioni brevi e quelle spesse volte lanciare verso il cielo tra il giorno, alzando la mente a Dio da questo fango del mondo: e chi le usa, ne ricaverà frutto incredibile con poca fatica.

    * * * * * *

    Bibliografia

    San Filippo Neri, Gli scritti e le massime (a cura di Antonio Cistellini d.O.), Editrice La Scuola, Brescia, 1994

    Congregazione dell'Oratorio di Vicenza (a cura di), Lo spirito di Filippo Neri nelle sue massime e ricordi, Vicenza, 1988

    FONTE

    Gaetano Lapis, Estasi di S. Filippo Neri, 1754

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    Giovanni Battista Maini, S. Filippo Neri, 1737, Basilica di S. Pietro, Vaticano

    Pietro da Cortona, S. Filippo Neri guarisce Clemente VIII dalla gotta, 1646

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    Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps Pascal, Paris-Poitiers, 1902, XII ediz., t. III, p. 538-550

    LE XXVI MAI.

    SAINT PHILIPPE NÉRI, CONFESSEUR.


    La joie est, ainsi que nous l'avons dit, le caractère principal du Temps pascal: joie surnaturelle, motivée à la fois par le triomphe si éclatant de notre Emmanuel et par le sentiment de notre heureuse délivrance des liens de la mort. Or, ce sentiment de l'allégresse intérieure a régné d'une manière caractéristique dans le grand serviteur de Dieu que nous honorons aujourd'hui; et c'est bien d'un tel homme, dont le cœur fut toujours dans la jubilation et dans l'enthousiasme des choses divines, que l'on peut dire, avec la sainte Ecriture, « que le cœur du juste est comme un festin continuel» (1). Un de ses derniers disciples, l'illustre Père Faber, fidèle aux doctrines de son maître, enseigne, dans son beau livre du Progrès spirituel, que la bonne humeur est l'un des principaux moyens d'avancement dans la perfection chrétienne. Nous accueillerons donc avec autant d'allégresse que de respect la figure radieuse et bienveillante de Philippe Néri, l'Apôtre de Rome et l'un des plus beaux fruits de la fécondité de l'Eglise au XVI° siècle.

    L'amour de Dieu, un amour ardent, et qui se communiquait comme invinciblement à tous ceux qui l'approchaient, fut le trait particulier de sa vie. Tous les saints ont aimé Dieu; car l'amour de Dieu est le premier et le plus grand commandement-, mais la vie de Philippe réalise ce divin précepte avec une plénitude, pour ainsi dire, incomparable. Son existence ne fut qu'un transport d'amour envers le souverain Seigneur de toutes choses; et sans un miracle de la puissance et de la bonté de Dieu, cet amour si ardent au cœur de Philippe eût consumé sa vie avant le temps. Il était arrivé à la vingt-neuvième année de son âge, lorsqu'un jour, dans l'Octave de la Pentecôte, le feu de la divine charité embrasa son cœur avec une telle impétuosité que deux côtes de sa poitrine éclatèrent, laissant au cœur l'espace nécessaire pour céder désormais sans péril aux transports qui l'agitaient. Cette fracture ne se répara jamais; la trace en était sensible par une proéminence visible à tout le monde; et grâce à ce soulagement miraculeux, Philippe put vivre cinquante années encore, en proie à toutes les ardeurs d'un amour qui tenait plus du ciel que de la terre.

    Ce séraphin dans un corps d'homme fut comme une réponse vivante aux insultes dont la prétendue Réforme poursuivait l'Eglise catholique. Luther et Calvin avaient appelé cette sainte Eglise l'infidèle et la prostituée de Babylone; et voici que cette même Eglise avait à montrer de tels enfants à ses amis et à ses ennemis: une Thérèse en Espagne, un Philippe Néri dans Rome. Mais le protestantisme s'inquiétait beaucoup de l'affranchissement du joug, et peu de l'amour. Au nom de la liberté des croyances, il opprima les faibles partout où il domina, il s'implanta par la force là même où il était repoussé; mais il ne revendiquait pas pour Dieu le droit qu'il a d'être aimé. Aussi vit-on disparaître des pays qu'il envahit ce dévouement qui produit le sacrifice à Dieu et au prochain. Un long intervalle de temps s'est écoulé depuis la prétendue Réforme, avant que celle-ci ait songé qu'il existe encore des infidèles sur la surface du globe; et si plus tard elle s'est fastueusement imposé l'œuvre des missions, on sait assez quels apôtres elle choisit pour organes de ses étranges sociétés bibliques. C'est donc après trois siècles qu'elle s'aperçoit que l'Eglise catholique n'a pas cessé de produire des corporations vouées aux œuvres de charité. Emue d'une telle découverte, elle essaie en quelques lieux ses diaconesses et ses infirmières. Quoi qu'il en soit du succès d'un effort si tardif, on peut croire raisonnablement qu'il ne prendra jamais de vastes proportions; et il est permis de penser que cet esprit de dévouement qui sommeilla trois siècles durant au cœur du protestantisme, n'est pas précisément l'essence de son caractère, quand on l'a vu, dans les contrées qu'il envahit, tarir jusqu'à la source de l'esprit de sacrifice, en arrêtant avec violence la pratique des conseils évangéliques qui n'ont leur raison d'être que dans l'amour de Dieu.

    Gloire donc à Philippe Néri, l'un des plus dignes représentants de la divine charité au XVI° siècle! Par son impulsion, Rome et bientôt la chrétienté reprirent une vie nouvelle dans la fréquentation des sacrements, dans les aspirations d'une piété plus fervente. Sa parole, sa vue même électrisaient le peuple chrétien dans la cité sainte; aujourd'hui encore la trace de ses pas n'est point effacée. Chaque année, le vingt-six mai, Rome célèbre avec transport la mémoire de son pacifique réformateur. Philippe partage avec les saints Apôtres les honneurs de Patron dans la ville de saint Pierre. Les travaux sont suspendus, et la population en habits de fête se presse dans les églises pour honorer le jour où Philippe naquit au ciel, après avoir sanctifié la terre. Le Pontife romain en personne se rend en pompe à l'église de Sainte-Marie in Vallicella, et vient acquitter la dette du Siège Apostolique envers l'homme qui releva si haut la dignité et la sainteté de la Mère commune.

    Philippe eut le don des miracles, et tandis qu'il ne cherchait que l'oubli et le mépris, il vit s'attacher à lui tout un peuple qui demandait et obtenait par ses prières la guérison des maux de la vie présente, en même temps que la réconciliation des âmes avec Dieu. La mort elle-même obéit à son commandement, témoin ce jeune prince Paul Massimo que Philippe rappela à la vie, lorsque l'on s'apprêtait déjà à lui rendre les soins funéraires. Au moment où cet adolescent rendait le dernier soupir, le serviteur de Dieu dont il avait réclamé l'assistance pour le dernier passage, célébrait le saint Sacrifice. A son entrée dans le palais, Philippe rencontre partout l'image du deuil: un père éploré, des sœurs en larmes, une famille consternée; tels sont les objets qui frappent ses regards. Le jeune homme venait de succomber après une maladie de soixante-cinq jours, qu'il avait supportée avec la plus rare patience. Philippe se jette à genoux, et après une ardente prière, il impose sa main sur la tête du défunt et l'appelle à haute voix par son nom. Paul, réveillé du sommeil de la mort par cette parole puissante, ouvre les yeux, et répond avec tendresse: «Mon Père!» Puis il ajoute: «Je voudrais seulement me confesser». Les assistants s'éloignent un moment, et Philippe reste seul avec cette conquête qu'il vient de faire sur la mort. Bientôt les parents sont rappelés, et Paul, en leur présence, s'entretient avec Philippe d'une mère et d'une sœur qu'il aimait tendrement, et que le trépas lui a ravies. Durant cette conversation, le visage du jeune homme, naguère défiguré par la fièvre, a repris ses couleurs et sa grâce d'autrefois. Jamais Paul n'avait semblé plus plein de vie. Le saint lui demande alors s'il mourrait volontiers de nouveau. — «Oh! oui, très volontiers, répond le jeune homme; car je verrai en paradis ma mère et ma sœur». — «Pars donc, répond Philippe; pars pour le bonheur, et prie le Seigneur pour moi». A ces mots, le jeune homme expire de nouveau, et entre dans les joies de l'éternité, laissant l'assistance saisie de regret et d'admiration.

    Tel était cet homme favorisé presque constamment des visites du Seigneur dans les ravissements et les extases, doué de l'esprit de prophétie, pénétrant d'un regard les consciences, répandant un parfum de vertu qui attirait les âmes par un charme irrésistible. La jeunesse romaine de toute condition se pressait autour de lui. Aux uns il faisait éviter les écueils; aux autres il tendait la main dans le naufrage. Les pauvres, les malades, étaient à toute heure l'objet de sa sollicitude. Il se multipliait dans Rome, employant toutes les formes du zèle, et ayant laissé après lui une impulsion pour les bonnes œuvres qui ne s'est pas ralentie.

    Philippe avait senti que la conservation des mœurs chrétiennes dépendait principalement d'une heureuse dispensation de la parole de Dieu, et nul ne se montra plus empressé à procurer aux fidèles des apôtres capables de les attirer par une prédication solide et attrayante. Il fonda sous le nom d'Oratoire une institution qui dure encore, et dont le but est de ranimer et de maintenir la piété dans les populations. Cette institution, qu'il ne faut pas confondre avec l'Oratoire de France, a pour but d'utiliser le zèle et les talents des prêtres que la vocation divine n'appelle pas à la vie du cloître, et qui, en associant leurs efforts, arrivent cependant à produire d'abondants fruits de sanctification.

    En fondant l'Oratoire sans lier les membres de cette association par les vœux de la religion, Philippe s'accommodait au genre de vocation que ceux-ci avaient reçu du ciel, et leur assurait du moins les avantages d'une règle commune, avec le secours de l'exemple si puissant pour soutenir l'âme dans le service de Dieu et dans la pratique des œuvres du zèle. Mais le saint apôtre était trop attaché à la foi de l'Eglise pour ne pas estimer la vie religieuse comme l'état de la perfection. Durant toute sa longue carrière, il ne cessa de diriger vers le cloître les âmes qui lui semblèrent appelées à la profession des vœux. Par lui les divers ordres religieux se recrutèrent d'un nombre immense de sujets qu'il avait discernes et éprouvés: en sorte que saint Ignace de Loyola, ami intime de Philippe et son admirateur, le comparaît agréablement à la cloche qui convoque les fidèles à l'Eglise, bien qu'elle n'y entre pas elle-même.

    La crise terrible qui agita la chrétienté au XVIe siècle, et enleva à l'Eglise catholique un si grand nombre de ses provinces, affecta douloureusement Philippe durant toute sa longue vie. Il souffrait cruellement de voir tant de peuples aller s'engloutir les uns après les autres dans le gouffre de l'hérésie. Les efforts tentés par le zèle pour reconquérir les âmes séduites par la prétendue Réforme faisaient battre son cœur, en même temps qu'il suivait d'un œil attentif les manœuvres à l'aide desquelles le protestantisme travaillait à maintenir son influence. Les Centuries de Magdebourg. vaste compilation historique destinée à donner le change aux lecteurs, en leur persuadant, à l'aide de passages falsifiés, de faits dénaturés et souvent même inventés, que l'Eglise Romaine avait abandonné l'antique croyance et substitué la superstition aux pratiques primitives; cet ouvrage sembla à Philippe d'une si dangereuse portée, qu'un travail supérieur en érudition, puisé aux véritables sources, pouvait seul assurer le triomphe de l'Eglise catholique. Il avait deviné le génie de César Baronius, l'un de ses compagnons à l’Oratoire. Prenant en main la cause de la foi, il commanda à ce savant homme d'entrer tout aussitôt dans la lice, et de poursuivre l'ennemi de la vraie foi en s'établissant sur le terrain de l'histoire. Les Annales ecclésiastiques furent le fruit de cette grande pensée de Philippe; et Baronius lui-même en rend le plus touchant témoignage en tète de son huitième livre. Trois siècles se sont écoulés sur ce grand œuvre. Avec les moyens de la science dont nous disposons aujourd'hui, il est aise d'en signaler les imperfections; mais jamais l'histoire de l'Eglise n'a été racontée avec une dignité, une éloquence et une impartialité supérieures à celles qui règnent dans ce noble et savant récit dont le parcours est de douze siècles. L'hérésie sentit le coup; l'érudition malsaine et infidèle des Centuriateurs s'éclipsa en présence de cette narration loyale des faits, et l'on peut affirmer que le flot montant du protestantisme s'arrêta devant les Annales de Baronius, dans lesquelles l'Eglise apparaissait enfin telle qu'elle a été toujours, «la colonne et l'appui de la vérité» (2). La sainteté de Philippe et le génie de Baronius avaient décidé la victoire; de nombreux retours à la foi romaine vinrent consoler les catholiques si tristement décimés; et si de nos jours d'innombrables abjurations annoncent la ruine prochaine du protestantisme, il est juste de l'attribuer en grande partie au succès de la méthode historique inaugurée dans les Annales. Mais il est temps de lire le récit liturgique des vertus et des saintes œuvres de l'apôtre de Rome au XVI° siècle.

    Philippe Néri naquit à Florence de parents honnêtes et pieux, et dès son enfance il donna des marques visibles de sa future sainteté. Arrivé à l'adolescence, il abandonna une riche succession qui lui venait d'un oncle paternel, et se rendit à Rome où il étudia la philosophie et la théologie, et se consacra entièrement à Jésus-Christ. Son abstinence était telle, que souvent il passait jusqu'à trois jours sans nourriture. Adonné à la veille et à la prière, il visitait fréquemment les sept Eglises de Rome, et il avait coutume de passer la nuit au Cimetière de Calliste dans la contemplation des choses célestes

    Ayant reçu par obéissance le sacerdoce, il s'appliqua tout entier au service des âmes, et continua jusqu'au dernier jour de sa vie d entendre les confessions. Il donna à Jésus-Christ un nombre d'enfants presque innombrable; et afin de les soutenir par la nourriture quotidienne de la parole de Dieu, la fréquentation des sacrements, l'assiduité à l'oraison, et par d'autres exercices de piété, il institua la congrégation de l'Oratoire.

    L'amour de Dieu dont il portait la blessure le jetait dans une continuelle langueur, et l'ardeur qui l'embrasait était si grande, que son cœur se trouvant trop resserré dans les bornes naturelles, le Seigneur lui élargit miraculeusement la poitrine par la rupture et l'élévation de deux côtes. Quelquefois Philippe, célébrant la Messe, ou priant avec une plus grande ferveur, était élevé de terre, et paraissait tout environné d'une lumière éclatante. Il rendait aux pauvres et à ceux qui étaient dans quelque besoin tous les soins que peut inspirer la charité, et il mérita qu'un ange vînt recevoir de lui l'aumône sous la figure d'un mendiant. Une autre fois, comme il portait du pain la nuit aux indigents, étant tombé dans une fosse, le secours d'un autre ange l'en fit sortir sain et sauf. Voué à l'humilité, il eut toujours le plus grand éloignement pour les honneurs, et refusa plus d'une fois les premières dignités de l'Eglise qui lui étaient offertes.

    Rendu illustre par le don de prophétie, il fut remarquable aussi par la pénétration des pensées les plus secrètes. Il garda toute sa vie la plus entière virginité, et il avait reçu le don de distinguer à la bonne ou à la mauvaise odeur ceux qui étaient chastes et ceux qui ne l'étaient pas. Il apparaissait quelquefois à des personnes éloignées du lieu où il se trouvait, et les secourait dans le danger. Il rétablit en santé un grand nombre de malades, et même des moribonds. Il rappela un mort à la vie. Honore souvent de l'apparition des esprits célestes et même de la Vierge Mère de Dieu, il vit les âmes de plusieurs personnes monter au ciel brillantes de lumière. Enfin l'an du salut mil cinq cent quatre-vingt-quinze, le huit es calendes de juin, jour auquel tombait la fête du Saint-Sacrement, après avoir célébré le Sacrifice dans les transports d'une pieuse joie, et avoir exerce les autres fonctions ordinaires, il s'endormit dans le Seigneur âgé de quatre-vingts ans, un peu après minuit, à l'heure même qu'il avait prédite. Après sa mort il éclata encore par ses miracles, et fut mis au nombre des Saints par Grégoire XV.

    Vous avez aimé le Seigneur Jésus, ô Philippe, et votre vie tout entière n'a été qu'un acte continu d'amour; mais vous n'avez pas voulu jouir seul du souverain bien. Tous vos efforts ont tendu à le faire connaître de tous les hommes, afin que tous l'aimassent avec vous et parvinssent à leur fin suprême. Durant quarante années, vous fûtes l'apôtre infatigable de la ville sainte, et nul ne pouvait se soustraire à l'action du feu divin qui brûlait en vous. Nous qui sommes la postérité de ceux qui entendirent votre parole et admirèrent les dons célestes qui étaient en vous, nous osons vous prier de jeter aussi les regards sur nous. Enseignez-nous à aimer notre Jésus ressuscité. Il ne nous suffit pas de l'adorer et de nous réjouir de son triomphe; il nous faut l'aimer: car la suite de ses mystères depuis son incarnation jusqu'à sa résurrection, n'a d'autre but que de nous révéler, dans une lumière toujours croissante, ses divines amabilités. C'est en l'aimant toujours plus que nous parviendrons à nous élever jusqu'au mystère de sa résurrection, qui achève de nous révéler toutes les richesses de son cœur. Plus il s'élève dans la vie nouvelle qu'il a prise en sortant du tombeau, plus il apparaît rempli d'amour pour nous, plus il sollicite notre cœur de s'attacher à lui. Priez, ô Philippe, et demandez que «notre cœur et notre chair tressaillent pour le Dieu vivant» (3). Après le mystère delà Pâque, introduisez-nous dans celui de l'Ascension; disposez nos âmes à recevoir le divin Esprit de la Pentecôte; et lorsque l'auguste mystère de l'Eucharistie brillera à nos regards de tous ses feux dans la solennité qui approche, vous, ô Philippe, qui l'ayant fêté une dernière fois ici-bas, êtes monté à la fin de la journée au séjour éternel où Jésus se montre sans voiles, préparez nos âmes à recevoir et à goûter « ce pain vivant qui donne la vie au monde» (4).

    La sainteté qui éclata en vous, ô Philippe, eut pour caractère l'élan de votre âme vers Dieu, et tous ceux qui vous approchaient participaient bientôt à cette disposition, qui seule peut répondre à l'appel du divin Rédempteur. Vous saviez vous emparer des âmes, et les conduire à la perfection par la voie de la confiance et la générosité du cœur. Dans ce grand œuvre votre méthode fut de n'en pas avoir, imitant les Apôtres et les anciens Pères, et vous confiant dans la vertu propre de la parole de Dieu. Par vous la fréquentation fervente des sacrements reparut comme le plus sûr indice de la vie chrétienne. Priez pour le peuple fidèle, et venez au secours de tant d'âmes qui s'agitent et s'épuisent dans des voies que la main de l'homme a tracées, et qui trop souvent retardent ou empêchent l'union intime du créateur et de la créature.

    Vous avez aimé ardemment l'Eglise, ô Philippe; et cet amour de l'Eglise est le signe indispensable de la sainteté. Votre contemplation si élevée ne vous distrayait pas du sort douloureux de cette sainte Epouse du Christ, si éprouvée dans le siècle qui vous vit naître et mourir. Les efforts de l'hérésie triomphante en tant de pays stimulaient le zèle dans votre cœur: obtenez-nous de l'Esprit-Saint cette vive sympathie pour la vérité catholique qui nous rendra sensibles à ses défaites et à ses victoires. Il ne nous suffit pas de sauver nos âmes; nous devons désirer avec ardeur et aider de tous nos moyens l'avancement du règne de Dieu sur la terre, l'extirpation de l'hérésie et l'exaltation de notre mère la sainte Eglise: c'est à cette condition que nous sommes enfants de Dieu Inspirez-nous par vos exemples, ô Philippe, cette ardeur avec laquelle nous devons nous associer en tout aux intérêts sacrés de la Mère commune. Priez aussi pour cette Eglise militante qui vous a compté dans ses rangs comme un de ses meilleurs soldats. Servez vaillamment la cause de cette Rome qui se fait honneur de vous être redevable de tant de services. Vous l'avez sanctifiée durant votre vie mortelle; sanctifiez-la encore et défendez-la du haut du ciel.

    -----------------------------------------------------------------------
    NOTE

    1. Prov. XV, 15.

    2. I Tim III, 15.

    3. Psalm. LXXXIII, 2.

    4. Johan. VI, 33.

  9. #9
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    St. Philip Romolo Neri

    THE APOSTLE OF ROME.


    Born at Florence, Italy, 22 July, 1515; died 27 May, 1595. Philip's family originally came from Castelfranco but had lived for many generations in Florence, where not a few of its members had practised the learned professions, and therefore took rank with the Tuscan nobility. Among these was Philip's own father, Francesco Neri, who eked out an insufficient private fortune with what he earned as a notary. A circumstance which had no small influence on the life of the saint was Francesco's friendship with the Dominicans; for it was from the friars of S. Marco, amid the memories of Savonarola, that Philip received many of his early religious impressions. Besides a younger brother, who died in early childhood, Philip had two younger sisters, Caterina and Elisabetta. It was with them that "the good Pippo", as he soon began to be called, committed his only known fault. He gave a slight push to Caterina, because she kept interrupting him and Elisabetta, while they were reciting psalms together, a practice of which, as a boy, he was remakably fond. One incident of his childhood is dear to his early biographers as the first visible intervention of Providence on his behalf, and perhaps dearer still to his modern disciples, because it reveals the human characteristics of a boy amid the supernatural graces of a saint. When about eight years old he was left alone in a courtyard to amuse himself; seeing a donkey laden with fruit, he jumped on its back; the beast bolted, and both tumbled into a deep cellar. His parents hastened to the spot and extricated the child, not dead, as they feared, but entirely uninjured.

    From the first it was evident that Philip's career would run on no conventional lines; when shown his family pedigree he tore it up, and the burning of his father's house left him unconcerned. Having studied the humanities under the best scholars of a scholarly generation, at the age of sixteen he was sent to help his father's cousin in business at S. Germano, near Monte Cassino. He applied himself with diligence, and his kinsman soon determined to make him his heir. But he would often withdraw for prayer to a little mountain chapel belonging to the Benedictines of Monte Cassino, built above the harbour of Gaeta in a cleft of rock which tradition says was among those rent at the hour of Our Lord's death. It was here that his vocation became definite: he was called to be the Apostle of Rome. In 1533 he arrived in Rome without any money. He had not informed his father of the step he was taking, and he had deliberately cut himself off from his kinsman's patronage. He was, however, at once befriended by Galeotto Caccia, a Florentine resident, who gave him a room in his house and an allowance of flour, in return for which he undertook the education of his two sons. For seventeen years Philip lived as a layman in Rome, probably without thinking of becoming a priest. It was perhaps while tutor to the boys, that he wrote most of the poetry which he composed both in Latin and in Italian. Before his death he burned all his writings, and only a few of his sonnets have come down to us. He spent some three years, beginning about 1535, in the study of philosophy at the Sapienza, and of theology in the school of the Augustinians. When he considered that he had learnt enough, he sold his books, and gave the price to the poor. Though he never again made study his regular occupation, whenever he was called upon to cast aside his habitual reticence, he would surprise the most learned with the depth and clearness of his theological knowledge.

    He now devoted himself entirely to the sanctification of his own soul and the good of his neighbour. His active apostolate began with solitary and unobtrusive visits to the hospitals. Next he induced others to accompany him. Then he began to frequent the shops, warehouses, banks, and public places of Rome, melting the hearts of those whom he chanced to meet, and exhorting them to serve God. In 1544, or later, he became the friend of St. Ignatius. Many of his disciples tried and found their vocations in the infant Society of Jesus; but the majority remained in the world, and formed the nucleus of what afterwards became the Brotherhood of the Little Oratory. Though he "appeared not fasting to men", his private life was that of a hermit. His single daily meal was of bread and water, to which a few herbs were sometimes added, the furniture of his room consisted of a bed, to which he usually preferred the floor, a table, a few chairs, and a rope to hang his clothes on; and he disciplined himself frequently with small chains. Tried by fierce temptations, diabolical as well as human, he passed through them all unscathed, and the purity of his soul manifested itself in certain striking physical traits. He prayed at first mostly in the church of S. Eustachio, hard by Caccia's house. Next he took to visiting the Seven Churches. But it was in the catacomb of S. Sebastiano -- confounded by early biographers with that of S. Callisto -- that he kept the longest vigils and received the most abundant consolations. In this catacomb, a few days before Pentecost in 1544, the well-known miracle of his heart took place. Bacci describes it thus: "While he was with the greatest earnestness asking of the Holy Ghost His gifts, there appeared to him a globe of fire, which entered into his mouth and lodged in his breast; and thereupon he was suddenly surprised with such a fire of love, that, unable to bear it, he threw himself on the ground, and, like one trying to cool himself, bared his breast to temper in some measure the flame which he felt. When he had remained so for some time, and was a little recovered, he rose up full of unwonted joy, and immediately all his body began to shake with a violent tremour; and putting his hand to his bosom, he felt by the side of his heart, a swelling about as big as a man's fist, but neither then nor afterwards was it attended with the slightest pain or wound." The cause of this swelling was discovered by the doctors who examined his body after death. The saint's heart had been dilated under the sudden impulse of love, and in order that it might have sufficient room to move, two ribs had been broken, and curved in the form of an arch. From the time of the miracle till his death, his heart would palpitate violently whenever he performed any spiritual action.

    During his last years as a layman, Philip's apostolate spread rapidly. In 1548, together with his confessor, Persiano Rosa, he founded the Confraternity of the Most Holy Trinity for looking after pilgrims and convalescents. Its members met for Communion, prayer, and other spiritual exercises in the church of S. Salvatore, and the saint himself introduced exposition of the Blessed Sacrament once a month (see FORTY HOURS' DEVOTION). At these devotions Philip preached, though still a layman, and we learn that on one occasion alone he converted no less than thirty dissolute youths. In 1550 a doubt occurred to him as to whether he should not discontinue his active work and retire into absolute solitude. His perplexity was set at rest by a vision of St. John the Baptist, and by another vision of two souls in glory, one of whom was eating a roll of bread, signifying God's will that he should live in Rome for the good of souls as though he were in a desert, abstaining as far as possible from the use of meat.

    In 1551, however, he received a true vocation from God. At the bidding of his confessor -- nothing short of this would overcome his humility -- he entered the priesthood, and went to live at S. Girolamo, where a staff of chaplains was supported by the Confraternity of Charity. Each priest had two rooms assigned to him, in which he lived, slept, and ate, under no rule save that of living in charity with his brethren. Among Philip's new companions, besides Persiano Rosa, was Buonsignore Cacciaguerra (see "A Precursor of St. Philip" by Lady Amabel Kerr, London), a remarkable penitent, who was at that time carrying on a vigorous propaganda in favour of frequent Communion. Philip, who as a layman had been quietly encouraging the frequent reception of the sacraments, expended the whole of his priestly energy in promoting the same cause; but unlike his precursor, he recommended the young especially to confess more often than they communicated. The church of S. Girolamo was much frequented even before the coming of Philip, and his confessional there soon became the centre of a mighty apostolate. He stayed in church, hearing confessions or ready to hear them, from daybreak till nearly midday, and not content with this, he usually confessed some forty persons in his room before dawn. Thus he laboured untiringly throughout his long priesthood. As a physician of souls he received marvellous gifts from God. He would sometimes tell a penitent his most secret sins without his confessing them; and once he converted a young nobleman by showing him a vision of hell. Shortly before noon he would leave his confessional to say Mass. His devotion to the Blessed Sacrament, like the miracle of his heart, is one of those manifestations of sanctity which are peculiarly his own. So great was the fervour of his charity, that, instead of recollecting himself before Mass, he had to use deliberate means of distraction in order to attend to the external rite. During the last five years of his life he had permission to celebrate privately in a little chapel close to his room. At the "Agnus Dei" the server went out, locked the doors, and hung up a notice: "Silence, the Father is saying Mass". When he returned in two hours or more, the saint was so absorbed in God that he seemed to be at the point of death.

    Philip devoted his afternoons to men and boys, inviting them to informal meetings in his room, taking them to visit churches, interesting himself in their amusements, hallowing with his sweet influence every department of their lives. At one time he had a longing desire to follow the example of St. Francis Xavier, and go to India. With this end in view, he hastened the ordination of some of his companions. But in 1557 he sought the counsel of a Cistercian at Tre Fontane; and as on a former occasion he had been told to make Rome his desert, so now the monk communicated to him a revelation he had had from St. John the Evangelist, that Rome was to be his India. Philip at once abandoned the idea of going abroad, and in the following year the informal meetings in his room developed into regular spiritual exercises in an oratory, which he built over the church. At these exercises laymen preached and the excellence of the discourses, the high quality of the music, and the charm of Philip's personality attracted not only the humble and lowly, but men of the highest rank and distinction in Church and State. Of these, in 1590, Cardinal Nicolo Sfondrato, became Pope Gregory XIV, and the extreme reluctance of the saint alone prevented the pontiff from forcing him to accept the cardinalate. In 1559, Philip began to organize regular visits to the Seven Churches, in company with crowds of men, priests and religious, and laymen of every rank and condition. These visits were the occasion of a short but sharp persecution on the part of a certain malicious faction, who denounced him as "a setter-up of new sects". The cardinal vicar himself summoned him, and without listening to his defence, rebuked him in the harshest terms. For a fortnight the saint was suspended from hearing confessions; but at the end of that time he made his defence, and cleared himself before the ecclesiastical authorities. In 1562, the Florentines in Rome begged him to accept the office of rector of their church, S. Giovanni dei Fiorentini, but he was reluctant to leave S. Girolamo. At length the matter was brought before Pius IV, and a compromise was arrived at (1564). While remaining himself at S. Girolamo, Philip became rector of S. Giovanni, and sent five priests, one of whom was Baronius, to represent him there. They lived in community under Philip as their superior, taking their meals together, and regularly attending the exercises at S. Girolamo. In 1574, however, the exercises began to be held in an oratory at S. Giovanni. Meanwhile the community was increasing in size, and in 1575 it was formally recognised by Gregory XIII as the Congregation of the Oratory, and given the church of S. Maria in Vallicella. The fathers came to live there in 1577, in which year they opened the Chiesa Nuova, built on the site of the old S. Maria, and transferred the exercises to a new oratory. Philip himself remained at S. Girolamo till 1583, and it was only in obedience to Gregory XIII that he then left his old home and came to live at the Vallicella.

    The last years of his life were marked by alternate sickness and recovery. In 1593, he showed the true greatness of one who knows the limits of his own endurance, and resigned the office of superior which had been conferred on him for life. In 1594, when he was in an agony of pain, the Blessed Virgin appeared to him, and cured him. At the end of March, 1595, he had a severe attack of fever, which lasted throughout April; but in answer to his special prayer God gave him strength to say Mass on 1 May in honour of SS. Philip and James. On the following 12 May he was seized with a violent haemorrhage, and Cardinal Baronius, who had succeeded him as superior, gave him Extreme Unction. After that he seemed to revive a little and his friend Cardinal Frederick Borromeo brought him the Viaticum, which he received with loud protestations of his own unworthiness. On the next day he was perfectly well, and till the actual day of his death went about his usual duties, even reciting the Divine Office, from which he was dispensed. But on 15 May he predicted that he had only ten more days to live. On 25 May, the feast of Corpus Christi, he went to say Mass in his little chapel, two hours earlier than usual. "At the beginning of his Mass", writes Bacci, "he remained for some time looking fixedly at the hill of S. Onofrio, which was visible from the chapel, just as if he saw some great vision. On coming to the Gloria in Excelsis he began to sing, which was an unusual thing for him, and sang the whole of it with the greatest joy and devotion, and all the rest of the Mass he said with extraordinary exultation, and as if singing." He was in perfect health for the rest of that day, and made his usual night prayer; but when in bed, he predicted the hour of the night at which he would die. About an hour after midnight Father Antonio Gallonio, who slept under him, heard him walking up and down, and went to his room. He found him lying on the bed, suffering from another haemorrhage. "Antonio, I am going", he said; Gallonio thereupon fetched the medical men and the fathers of the congregation. Cardinal Baronius made the commendation of his soul, and asked him to give the fathers his final blessing. The saint raised his hand slightly, and looked up to heaven. Then inclining his head towards the fathers, he breathed his last. Philip was beatified by Paul V in 1615, and canonized by Gregory XV in 1622.

    It is perhaps by the method of contrast that the distinctive characteristics of St. Philip and his work are brought home to us most forcibly (see Newman, "Sermons on Various Occasions", n. xii; "Historical Sketches", III, end of ch. vii). We hail him as the patient reformer, who leaves outward things alone and works from within, depending rather on the hidden might of sacrament and prayer than on drastic policies of external improvement; the director of souls who attaches more value to mortification of the reason than to bodily austerities, protests that men may become saints in the world no less than in the cloister, dwells on the importance of serving God in a cheerful spirit, and gives a quaintly humorous turn to the maxims of ascetical theology; the silent watcher of the times, who takes no active part in ecclesiastical controversies and is yet a motive force in their development, now encouraging the use of ecclesiastical history as a bulwark against Protestantism, now insisting on the absolution of a monarch, whom other counsellors would fain exclude from the sacraments (see BARONIUS), now praying that God may avert a threatened condemnation (see SAVONAROLA) and receiving a miraculous assurance that his prayer is heard (see Letter of Ercolani referred to by Capecelatro); the founder of a Congregation, which relies more on personal influence than on disciplinary organization, and prefers the spontaneous practice of counsels of perfection to their enforcement by means of vows; above all, the saint of God, who is so irresistibly attractive, so eminently lovable in himself, as to win the title of the "Amabile santo".

    Bibliography

    GALLONIO, companion of the saint was the first to produce a Life of St. Philip, published in Latin (1600) and in Italian (1601), written with great precision, and following a strictly chronological order. Several medical treatises were written on the saint's palpitation and fractured ribs, e. g. ANGELO DA BAGNAREA's Medica disputatio de palpitatione cordis, fractura costarum, aliisque affectionibus B. Philippi Nerii. . .qua ostenditur praedictas affectiones fuisse supra naturam, dedicated to Card. Frederick Borromeo (Rome, 1613). BACCI wrote an Italian Life and dedicated it to Gregory XV (1622). His work is the outcome of a minute examination of the processes of canonization, and contains important matter not found in GALLONIO. BROCCHI's Life of St. Philip, contained in his Vite de' santi e beati Fiorentini (Florence, 1742), includes the saint's pedigree, and gives the Florentine tradition of his early years; for certain chronological discrepancies between GALLONIO, BACCI, and BROCCHI, see notes on the chronology in ANTROBUS' ed. of BACCI. Other Lives are by RICCI (Rome, 1670), whose work was an enlargement of BACCI, and includes his own Lives of the Companions of St. Philip; MARCIANO (1693); SONZONIO (1727); BERNABEI (d. 1662), whose work is published for the first time by the BOLLANDISTS (Acta SS., May, VII); RAMIREZ, who adapts the language of Scripture to St. Philip in a Latin work called the Via lactea, dedicated to Innocent XI (Valencia, 1682); and BAYLE (1859). GEOTHE at the end of his Italien. Reise (Italian Journey) gives a sketch of the saint, entitled Filippo Neri, der humoristische Heilige. The most important modern Life is that of CAPECELATRO (1879), treating fully of the saint's relations with the persons and events of his time. There is an English Life by HOPE (London, New York, Cincinnati, Chicago). An abridged English translation of BACCI appeared in penal times (Paris, 1656), a fact which shows our Catholic forefathers' continued remembrance of the saint, who used to greet the English College students with the words, "Salvete, flores martyrum." FABER's Modern Saints (1847) includes translations of an enlarged ed. of BACCI, and of RICCI's Lives of the Companions. Of the former there is a new and revised edition by ANTROBUS (London, 1902). CAPECELATRO's work has been translated by POPE (London, 1882). English renderings of two of St. Philip's sonnets by RYDER are published at the end of the recent editions of BACCI and CAPECELATRO, together with translations of St. Philip's letters. These were originally published in BISCONI's Raccolta di lettere di santi e beati Fiorentini (Florence, 1737); but since that time twelve other letters have come to light.

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XII, 1911, New York

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