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    Predefinito 5° Domenica di Quaresima - Domenica di Passione

    1,23. Oeuvres, trad. di J.Tourail, 1e, Desclée de Brouwer, 1981, 62.156-158. Cf. G. Vannucci, Filocalia, L.E.F., Firenze, 1978, vol. I, 175, 204 s.

    In tutto ciò che leggi nelle Scritture, procura di trovare il senso ultimo della parola, di penetrare nella profondità e nella santità dei sensi ch'essa presenta e di capirli con esattezza. Coloro la cui vita è guidata dalla grazia divina verso l'illuminazione, avvertono sempre che qualche raggio di luce interiore accompagna la parola scritta; essi sono capaci di distinguere dentro alle spoglie parole ciò che è detto con riposta intenzione per l'alimento dell'anima.

    Quando un uomo legge i versetti sacri con spirito di finezza, il suo cuore si affina e si acquieta. La potenza divina arreca un gusto soavissimo all'anima nella stupenda comprensione che le è data.

    Ogni creatura è naturalmente attratta da un'altra a lei somigliante. Così l'anima, resa viva dallo Spirito, assorbe con ardore il contenuto della Parola, appena sente l'energia spirituale in essa celata. Ma non a tutti è concesso di sapere fermarsi e stupire della Parola.

    Dio ha dato i vangeli perché il mondo intero possa conoscerlo e all'intelligenza di ogni generazione sia dischiuso il mistero dalla provvida potenza divina; perciò la tua mente scenda nelle profondità delle meraviglie divine.

    Codesta lettura ti aiuterà a raggiungere lo scopo della tua vita, purché tale lettura si svolga nel silenzio del deserto, lontano da ogni agitazione. Sii libero da ogni preoccupazione che viene dal corpo e dal tumulto della vita; così, quando la dolcezza del senso delle parole evangeliche giungerà, tu possa essere intimamente consapevole del suo soave sapore, più alto di ogni sensazione, e la tua anima ne fruisca.

    Ecco il segno che ti rivelerà come tu sia davvero entrato in tale comprensione: quando la grazia comincia ad aprirti gli occhi per farti contemplare le cose nella verità, una fontana di lacrime si dissigillerà in te. Allora la lotta dei sensi si placherà e la tua vita scorrerà con serenità di mente.

    La natura dell'anima è una realtà lieve e delicata. Quando essa prende lo slancio, può accaderle che brami di oltrepassare sé stessa e conoscere ciò che la supera.

    La lettura delle Scritture le dona spesso qualche lume, ma se l'anima lo paragona con la comprensione a cui si è appena accennato e con quella conoscenza in cui ha potuto penetrare, i suoi pensieri si rivestono di timore e tremore. Si ritrova così meschina e incapace che la paura la precipita nell'umiltà, poiché si è accorta di quanto fu impudente e audace a sfiorare le realtà spirituali che la superano.

    L'anima trema, perché quelle realtà sono tremende.

    Il discernimento consiglia all'intelletto di tacere, di restare pudico per non perdersi: occorre che non cerchi quanto lo supera e non sondi quello che è più alto di lei.

    Quando ti è concesso il potere di comprendere le Scritture, accettalo. Ma non aver la presunzione di volere scoprire da te quei misteri. Adora, glorifica e rendi grazie in silenzio.

    Non è bene scandagliare in modo eccessivo le parole di Dio, così come non è bene mangiare troppo miele. Rischiamo infatti di indebolire e ostacolare la nostra visione delle cose lontane cercando di scrutarle. quando non ne siamo ancora capaci a causa del cammino difficile che ci resta ancora da percorrere. Capita infatti che si vedano fantasmi al posto della verità. E d'altro canto, l'intelletto può stancarsi di dover cercare troppo, al punto da dimenticare la meta.

    Il sapiente Salomone ci ha avvisati: Una città smantellata o senza mura, tale è l'uomo che non sa dominare la collera (Prv 25,28). Purifica quindi il tuo cuore; svincolati dall'assillo di ciò che è fuori dalla portata della tua natura; cala il sipario della castità e dell'umiltà davanti ai tuoi pensieri e ai tuoi gesti. Troverai allora ciò che è insito alla tua natura, giacché agli umili sono rivelati i misteri.

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    Predefinito Dalle «Lettere pasquali» di sant'Atanasio, vescovo (Lett. 14, 1-2; PG 26, 1419-1420)

    Il Verbo, Cristo Signore, datosi a noi interamente ci fa dono della sua visita. Egli promette di restarci ininterrottamente vicino. Per questo dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
    Egli è pastore, sommo sacerdote, via e porta e come tale si rende presente nella celebrazione della solennità. Viene fra noi colui che era atteso, colui del quale san Paolo dice: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1 Cor 5, 7). Si verifica anche ciò che dice il salmista: O mia esultanza, liberami da coloro che mi circondano (cfr. Sal 31, 7). Vera esultanza e vera solennità è quella che libera dai mali. Per conseguire questo bene ognuno si comporti santamente e dentro di sé mediti nella pace e nel timore di Dio.
    Così facevano anche i santi. Mentre erano in vita si sentivano nella gioia come in una continua festa. Uno di essi, il beato Davide, si alzava di notte non una volta sola ma sette volte e con la preghiera si rendeva propizio Dio. Un altro, il grande Mosè, esultava con inni, cantava lodi per la vittoria riportata sul faraone e su coloro che avevano oppresso gli Ebrei. E altri ancora, con gioia incessante attendevano al culto sacro, come Samuele ed il profeta Elia.
    Per questo loro stile di vita essi raggiunsero la libertà e ora fanno festa in cielo. Ripensano con gioia al loro pellegrinaggio terreno, capaci ormai di distinguere ciò che era figura e ciò che è divenuto finalmente realtà.
    Per prepararci, come si conviene, alla grande solennità che cosa dobbiamo fare? Chi dobbiamo seguire come guida? Nessun altro certamente, o miei cari, se non colui che voi stessi chiamate, come me, «Nostro Signore Gesù Cristo». Egli per l'appunto dice: «Io sono la via» (Gv 14, 6). Egli è colui che, al dire di san Giovanni, «toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29). Egli purifica le nostre anime, come afferma il profeta Geremia: «Fermatevi nelle strade e guardate, e state attenti a quale sia la via buona, e in essa troverete la rigenerazione delle vostre anime» (cfr. Ger 6, 16).
    Un tempo era il sangue dei capri e la cenere di un vitello ad aspergere quanti erano immondi. Serviva però solo a purificare il corpo. Ora invece, per la grazia del Verbo di Dio, ognuno viene purificato in modo completo nello spirito.
    Se seguiremo Cristo potremo sentirci già ora negli altri della Gerusalemme celeste e anticipare e pregustare anche la festa eterna. Così fecero gli apostoli, costituiti maestri della grazia per i loro coetanei ed anche per noi. Essi non fecero che seguire il Salvatore: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito »(Mt 19, 27).
    Seguiamo anche noi il Signore, cioè imitiamolo, e così avremo trovato il modo di celebrare la festa non soltanto esteriormente, ma nella maniera più fattiva, cioè non solo con le parole, ma anche con le opere.

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    Tintoretto, Cristo e la donna adultera, 1546-48, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

    Tintoretto, Cristo e la donna adultera, 1555 circa, Rijksmuseum, Amsterdam


    Harmenszoon van Rijn Rembrandt, Cristo e la donna adultera, 1644, National Gallery, Londra

    Lucas Cranach il Vecchio, Cristo e la donna adultera, 1532, Museum of Fine Arts, Budapest

    Lucas Cranach il Vecchio, Cristo e la donna adultera, 1540 circa, Metropolitan Art Museum, New York


    Pieter Aertsen, Cristo e la donna adultera, 1559, Städelsches Kunstinstitut, Francoforte

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    Andrea Celesti, Cristo e la donna adultera, Hermitage, San Pietroburgo

    Lorenzo Lotto, Cristo e la donna adultera, 1530-35, Musee du Louvre, Parigi

    Guercino, Cristo e la donna adultera, 1618-21, Dulwich Picture Gallery, Londra

    Nicolas Poussin, Cristo e la donna adultera, particolare, 1653, Museé National du Louvre, Parigi

    Orazio De Ferrari, Cristo e la donna adultera, 1650 circa, Boston College, Boston

    Leduc, Cristo e la donna adultera, 1877, Chiesa di S. Maria del Rosario in Prati, Roma

    Juan Cordero, Il Redentore e la donna adultera, 1853

    Gustave Doré, Cristo e la donna adultera

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 638-644

    PROPRIO DEL TEMPO

    DOMENICA DI PASSIONE


    Oggi, se udirete la voce del Signore, non indurite i vostri cuori.

    L'insegnamento della Liturgia.

    La santa Chiesa comincia oggi il Mattutino con queste gravi parole del Re Profeta. Una volta i fedeli si facevano un dovere d'assistere all'ufficiatura notturna, per lo meno le Domeniche e le Feste, perché ci tenevano a non perdere nessun insegnamento della Liturgia. Ma dopo tanti secoli la casa di Dio non fu più frequentata con quell'assiduità che formava la gioia dei nostri padri; e un po' alla volta anche il clero cessò di celebrare pubblicamente gli uffici che non erano più seguiti. All'infuori dei Capitoli e dei Monasteri, non si sente più risuonare il coro così armonioso della lode divina, e le meraviglie della Liturgia non sonò più conosciute dal popolo cristiano che in una maniera imperfetta.

    Lamento del Signore.

    Questo è un motivo per noi di presentare all'attenzione dei lettori alcuni tratti dell'Ufficio, che altrimenti sarebbero per loro come se non esistessero. Che cosa c'è oggi di più adatto a commuoverli dell'avvertimento che la Chiesa prende da David per rivolgerlo a noi, e che ripeterà ogni mattina fino al giorno della Cena del Signore? Peccatori, ci dice, oggi che cominciate a sentire la voce gemebonda del Redentore, non siate così nemici di voi stessi da lasciare i vostri cuori nell'ostinazione. Il Figlio di Dio sta per darvi l'ultima e più viva dimostrazione di quell'amore che lo portò dal cielo sulla terra; s'avvicina la sua morte; è pronto il legno per l'immolazione del nuovo Isacco; rientrate in voi stessi e non permettete che il vostro cuore, emozionato forse per un istante, ritorni alla sua consueta durezza. Sarebbe il più grande pericolo. Questi anniversari hanno l'efficacia di rinnovare le anime, le quali cooperano con la loro fedeltà alla grazia che ricevono; ma aumentano l'insensibilità di coloro che li lasciano passare senza convertirsi. "Se oggi dunque udrete la voce del Signore non indurite i vostri cuori" (Sal 94,8).

    Ultimi giorni della vita pubblica di Gesù.

    Durante le precedenti settimane abbiamo visto crescere ogni giorno più la malizia dei nemici del Salvatore. Li irrita la sua presenza e la sua stessa vista; si ha quasi la sensazione che l'odio ch'essi comprimono nei loro cuori non aspetti che il momento per esplodere. La bontà e la dolcezza di Gesù continuano ad avvicinare a lui le anime semplici e rette; mentre l'umiltà della sua vita e l'inflessibile purezza della sua dottrina allontanano sempre più il Giudeo superbo che sogna un Messia conquistatore, ed il Fariseo che non teme di travisare la legge per farla strumento delle sue passioni. Tuttavia Gesù continua l'opera dei miracoli; i suoi discorsi sono impressi di nuova forza ; con le profezie minaccia la città ed il famoso tempio del quale non rimarrà pietra su pietra. I dottori della legge, almeno, potrebbero riflettere, esaminare queste opere meravigliose che rendono testimonianza al Figlio di David, e rileggere tanti oracoli divini che si compirono in lui fino a questo momento con la massima fedeltà. Ahimè! anche questi oracoli stanno per compiersi fino all'ultimo iota. David ed Isaia non predissero un apice delle umiliazioni e dei dolori del Messia, che questi uomini accecati non s'affrettassero a realizzare.

    Ostinazione della sinagoga e del peccatore.

    In essi dunque si compì il detto: "Chi avrà sparlato contro il Figlio dell'Uomo sarà perdonato, ma chi avrà sparlato contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questa vita né in quella futura" (Mt 12, 32). La sinagoga corre verso la maledizione. Ostinata nel suo errore, non vuole ascoltare né vedere più niente; ha falsificato a suo piacimento la propria sentenza, ha spento in sé la luce dello Spirito Santo; e la vedremo scendere, di gradino in gradino, sulla china dell'aberrazione, fino all'abisso. Triste spettacolo al quale assistiamo spesso, anche ai nostri giorni, nei peccatori che, a forza di resistere alla luce di Dio, finiscono per assopirsi nelle tenebre! E non ci stupisce di ravvisare in altri uomini i tratti che osserviamo negli autori del dramma che sta per compiersi. La storia della Passione del Figlio, di Dio ci fornirà più d'una lezione sui segreti del cuore umano e delle sue passioni. Né potrebbe essere altrimenti: perché ciò che avviene a Gerusalemme si rinnova nel cuore dell'uomo peccatore. Questo cuore è un Calvario, sul quale, secondo l'espressione dell'Apostolo, Gesù Cristo è molte volte crocifisso. La stessa ingratitudine, lo stesso acciecamento, la stessa follia; con la differenza che il peccatore, quando è schiarito dai lumi della fede, sa chi mette in croce; mentre i Giudei, come dice anche San Paolo, non conoscevano come noi questo Re di gloria (1Cor 2,8) che fu confitto in croce. Seguendo perciò la narrazione dei fatti evangelici che giorno per giorno ci verranno messi sotto gli occhi, la nostra indignazione contro i Giudei si rivolga anche contro noi stessi e i nostri peccati. Piangiamo sui dolori della vittima, noi, che con le nostre colpe abbiamo reso necessario un tal sacrificio.

    Il ritiro di Gesù.

    In questo momento, tutto c'invita alla tristezza. Perfino la croce sull'altare è nascosta dietro un velo, e le immagini dei Santi sono coperte; "la Chiesa è in attesa della più grande sciagura. Non attira più la nostra attenzione sulla penitenza dell'Uomo-Dio; solo trema al pensiero dei pericoli che lo circondano. Leggeremo fra poco nel Vangelo che il Figlio di Dio stava per essere lapidato come un bestemmiatore; ma non essendo ancora giunta l'ora sua, dovette fuggire e nascondersi. Un Dio nascondersi, per evitare la collera degli uomini! Quale capovolgimento! È forse debolezza, o timore della morte? Sarebbe una bestemmia il solo pensarlo, mentre presto lo vedremo manifestarsi apertamente dinanzi ai suoi nemici. Si sottrasse in quel momento alla rabbia dei Giudei, perché non s'era ancora adempiuto in lui tutto ciò ch'era stato predetto. Del resto, non è sotto una pioggia di pietre ch'egli dovrà spirare, ma sull'albero della maledizione, che d'ora in poi diventerà l'albero della vita.

    Adamo e Gesù.

    Umiliamoci nel vedere il Creatore del cielo e della terra sottrarsi alla vista degli uomini per non incorrere nella loro rabbia. Pensiamo al giorno del primo peccato, quando Adamo ed Eva colpevoli pure si nascosero nel vedersi nudi. Gesù è venuto per garantire loro il perdono; ed ecco che anche lui si nasconde, non perché sia nudo, Lui che per i Santi è la veste della santità e dell'immortalità, ma perché s'è fatto debole, per dare a noi la forza. I nostri progenitori si sottrassero agli sguardi di Dio; Gesù si nasconde agli occhi degli uomini; ma non sarà sempre così. Verrà il giorno in cui i peccatori, nel vedere chi oggi sembra fuggire, rivolgeranno le loro implorazioni alle rocce e alle montagne e le supplicheranno di cadere sopra di loro per scomparire dalla sua vista; ma questa loro brama rimarrà sterile, e loro malgrado "vedranno il Figlio dell'uomo venir sulle nubi del cielo con gran potenza e gloria" (Mt 24,30).

    Questa Domenica è chiamata Domenica di Passione, perché oggi la Chiesa comincia ad occuparsi espressamente dei patimenti del Redentore. È detta anche Domenica Iudica, dalla prima parola dell'Introito della Messa; e infine della Neomenia, cioè della nuova luna, perché la Pasqua cade sempre dopo la luna nuova, la quale serve a fissare tale festa.

    Nella Chiesa greca questa Domenica non ha altro nome che quello di Quinta Domenica dei santi digiuni.

    La Stazione, a Roma, è nella Basilica di S. Pietro. L'importanza di tale Domenica, che non cedeva a nessuna festa, per quanto solenne, esigeva che la funzione avesse luogo nel più augusto tempio della città eterna.

    MESSA

    EPISTOLA (Ebr 9,11-15). Fratelli; Cristo venuto come pontefice dei beni futuri, attraversando un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d'uomo, cioè non di questa creazione, non col sangue dei capri e dei vitelli, ma col proprio sangue entrò una volta per sempre nel Santuario, dopo aver ottenuta la redenzione eterna. Or se il sangue dei capri e dei tori e la cenere di vacca, aspergendo gl'immondi, li santifica quanto alla purità della carne, quanto più il sangue di Cristo che per lo Spirito Santo ha offerto se stesso immacolato a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, per servire a Dio vivo? E per questo Egli è mediatore d'una nuova alleanza, affinché, interposta la sua morte per redimere le prevaricazioni avvenute sotto la prima alleanza, i chiamati ricevano la promessa dell'eterna eredità di Gesù Cristo nostro Signore.

    La salvezza nel sangue d'un Dio.

    Solo col sangue l'uomo può essere riscattato. La divina maestà offesa non si placherà che per lo sterminio della creatura ribelle, il cui sangue sparso sulla terra con la propria vita renderà testimonianza del suo pentimento della sua profonda umiliazione dinanzi a colui contro il quale s'è ribellata. Altrimenti la giustizia di Dio dovrà essere compensata con l'eterno supplizio del peccatore. Tutti i popoli lo hanno compreso, dal sangue degli agnelli di Abele fino a quello che colava a fiotti nelle ecatombi della Grecia e nelle innumerevoli immolazioni con le quali Salomone inaugurò la dedicazione del suo tempio. Nondimeno Dio disse: "Ascolta, o popolo mio, che vò, parlarti, o Israele, che ti ho da avvertire: Io sono Dio, il tuo Dio. Non ti rimprovererò per i tuoi sacrifici: i tuoi olocausti mi stan sempre davanti. Non ho bisogno di prendere i vitelli della tua casa, né dal tuo gregge i capri, perché mie son le fiere dei boschi, il bestiame che pascola sui monti e i bovi. Conosco tutti gli uccelli dell'aria, e la bellezza dei campi è la mia disposizione. Dato che avessi fame, non verrei a dirlo a te, perché mio è l'universo e tutto ciò che contiene. Mangerò forse carni di tori e berrò sangue di capri?" (Sal 49,7-13). Così Dio ordina sacrifici cruenti, ma dichiara che non sono niente ai suoi occhi. Vi è forse una contraddizione? No: Dio vuole che l'uomo comprenda che non può essere riscattato che col sangue, e che nello stesso tempo il sangue degli animali è troppo grossolano per operare un tale riscatto. Sarà allora il sangue dell'uomo a placare la divina giustizia? Non basta: perché il sangue dell'uomo è impuro e macchiato; ed anche se fosse puro, sarebbe impotente a risarcire l'oltraggio fatto a un Dio. Occorre il sangue d'un Dio; e Gesù viene a spargere il suo.

    In lui sta per realizzarsi la più grande figura dell'antica legge. Una volta l'anno, infatti, il pontefice entrava nel Santo dei Santi ad intercedere per il popolo. Penetrava oltre il velo, e si trovava al cospetto dell'Arca santa; ma gli era concesso tale favore solo a condizione d'entrare in quel sacro asilo recando fra le mani il sangue della vittima da lui immolata. In questi giorni il Figlio di Dio, il Pontefice per eccellenza, sta per fare ingresso in cielo, e noi pure vi entreremo dietro a lui; ma per far questo dovrà presentarsi col sangue nelle mani, e questo sangue non può essere che il suo. Così lo vedremo adempiere questa divina volontà. Apriamo dunque le nostre anime, affinché questo sangue, come ci ha detto l'Apostolo, "purifichi la nostra coscienza dalle opere di morte, per servire a Dio vivo".

    VANGELO (Gv 8,46-59). In quel tempo: Gesù diceva alla turba dei Giudei : Chi di voi mi potrà convincere di peccato? Se io dico la verità perché non mi credete? Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio. Replicarono i Giudei: Non diciamo con ragione che tu sei un Samaritano e indemoniato? Gesù rispose: Io non sono indemoniato, ma onoro il Padre mio e voi mi vituperate. Ma io non cerco la. mia gloria, c'è chi ne prende cura e ne giudica. In verità, vi dico: chi osserva i miei comandamenti non vedrà morte in eterno. Gli dissero allora i Giudei: Ora vediamo bene che tu sei posseduto da un demonio. Abramo è morto, così pure tutti i profeti e tu dici: Chi osserva i miei comandamenti non vedrà morte in eterno. Sei forse tu da più del padre nostro Abramo, il quale è morto? Ed anche i Profeti sono morti. Chi credi mai tu di essere? Gesù rispose: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla: vi è a glorificarmi il Padre mio, il quale voi dite che è il vostro Dio; ma non lo avete conosciuto. Io sì che lo conosco, e se dicessi che non lo conosco, sarei, come voi, bugiardo. Ma io lo conosco ed osservo le sue parole. Abramo, vostro padre, sospirò di vedere il mio giorno: lo vide e ne tripudiò. Gli opposero i Giudei: Non hai ancora cinquant'anni e hai veduto Abramo? Gesù rispose loro: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, io sono. Dettero allora di piglio alle pietre per tirarle contro di lui, ma Gesù si nascose, ed uscì dal tempio.

    Indurimento dei Giudei.

    Come si vede, la rabbia dei Giudei è giunta al colmo, e Gesù è costretto a dileguarsi davanti a loro. Fra poco lo faranno morire; ma come è differente la loro sorte dalla sua! Per obbedienza ai decreti del Padre celeste, e per amore degli uomini, egli si darà nelle loro mani, ed essi lo metteranno a morte ; ma uscirà vittorioso dalla tomba, salirà al cielo e andrà a sedersi alla destra del Padre. Essi invece, sfogata la loro rabbia, s'addormenteranno senza rimorso fino al terribile risveglio che sarà loro preparato. Naturalmente è fatale la condanna di questi uomini. Guardate con quale severità parla loro Gesù : "Voi non ascoltate la parola di Dio, perché non siete da Dio". Ma vi fu un tempo ch'essi erano da Dio: perché il Signore da a tutti la sua grazia; ma essi frustarono questa grazia, ed ora si agitano fra le tenebre, e non vedranno più la luce che hanno disprezzata.

    "Voi dite che il Padre è vostro Dio; ma non lo avete conosciuto". Misconoscendo il Messia, la sinagoga è arrivata al punto di non conoscere più lo stesso Dio unico e sovrano, del cui culto andava così fiera; se infatti conoscesse il Padre, non rigetterebbe il Figlio. Mosè, i Salmi, i Profeti sono per lei lettera morta; perciò questi libri divini passeranno presto nelle mani d'altri popoli, che sapranno leggerli e comprenderli. "Se dicessi di non conoscere il Padre, sarei, come voi, bugiardo". Nella durezza del linguaggio di Gesù s'intravide già l'ira del giudice che verrà nell'ultimo giorno a fracassare a terra la testa dei peccatori. Gerusalemme non ha conosciuto il tempo della sua visita; il Figlio di Dio è venuto da lei, ed essa osa dirlo "posseduto dal demonio". Rinfaccia al Figlio di Dio, al Verbo eterno che dimostra la sua origine divina coi più strepitosi miracoli, che Abramo ed i Profeti sono da più di lui. Incredibile accecamento che proviene dalla superbia e dalla durezza del cuore! Venuta la Pasqua, questi uomini mangeranno religiosamente l'agnello figurativo; e sanno che quest'agnello è simbolo che si deve realizzare. Il vero agnello sarà immolato proprio dalle loro mani sacrileghe, e non lo riconosceranno; il sangue sparso per loro perciò non li salverà. La loro sventura ci porta col pensiero a tanti peccatori induriti, per i quali la Pasqua di quest'anno sarà sterile di conversione come quella degli anni precedenti. Raddoppiarne le nostre preghiere per loro e domandiamo che il sangue divino ch'essi mettono sotto i piedi non gridi un giorno contro di loro dinanzi al trono del Padre celeste.

    PREGHIAMO

    Riguarda propizio, o Dio onnipotente, la tua famiglia; affinché sia sostenuta nel corpo per tua bontà e sia custodita nell'anima per la tua grazia.

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    Predefinito Omelia dai Trattati di sant'Agostino sul vangelo di Giovanni.

    In Jo tr. XLIII, 15-18, in PL 35, 1711-1712.1713.

    Cristo Signore chiamò suo Padre colui che i giudei chiamavano loro Dio, però senza conoscerlo; se l'avessero conosciuto avrebbero accolto suo Figlio. Io invece lo conosco, dice il Signore. Ad essi che giudicavano secondo la carne, l'affermazione poté sembrare presuntuosa.
    Guardate però che cosa segue: E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore. Non deve succedere che, per evitare la taccia di presuntuosi, si abbandoni la verità.
    Ma lo conosco e osservo la sua parola. In quanto Figlio, egli proferiva la parola del Padre: ed egli stesso era il Verbo del Padre che parlava agli uomini.

    Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò. Magnifica testimonianza resa ad Abramo dal discendente di Abramo, dal Creatore di Abramo. Abramo esultò - egli dice - nella speranza di vedere il mio giorno. Non ebbe timore, ma esultò. Era in lui la carità che caccia via la paura. Non dice che esultò perché lo vide; ma che esultò nella speranza di vederlo. Credendo in lui, esultò nella speranza, in attesa di poterlo vedere con la mente.
    Lo vide. Cosa poteva o cosa doveva dire di più il Signore Gesù? Lo vide e se ne rallegrò. Chi potrà esprimere questo gaudio, fratelli miei? Se tanto gioirono coloro ai quali il Signore aprì gli occhi del corpo, quale fu il gaudio di chi poté vedere con gli occhi del cuore, la luce ineffabile, il Verbo che permane? Egli è lo splendore che rifulge nelle anime dei fedeli, la sapienza indefettibile, colui che come Dio dimora presso il Padre e che, senza abbandonare il seno del Padre, sarebbe venuto un giorno nella carne. Tutto questo vide Abramo.

    L'espressione il mio giorno può riferirsi al giorno temporale del Signore in cui egli sarebbe venuto nella carne; oppure al giorno del Signore che non ha aurora e non conosce tramonto. Ma io sono certo che il padre Abramo conosceva l'uno e l'altro giorno. E come lo provo? Dobbiamo accontentarci della testimonianza di nostro Signore Gesù Cristo. Credo sia molto difficile, se non impossibile, precisare in che senso Abramo esultò nella speranza di vedere il giorno di Cristo e in che senso lo vide. Ammettiamo pure l'ipotesi che non si riesca a trovare un passo dove risulti chiaro, dovremo concludere che la Verità ha mentito? Noi crediamo alla Verità e non dubitiamo minimamente dei meriti di Abramo.
    Adirati i Giudei risposero: Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo? Allora Gesù dichiara solennemente: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse Io Sono. Pesa le parole e intendi il mistero. Prima che Abramo fosse: fosse si riferisce alla creatura umana: Sono si riferisce all'essenza divina. Fosse, perché Abramo era una creatura. Non disse il Signore: Prima che Abramo esistesse, io ero; ma disse: Prima che Abramo fosse - e non poté esser fatto se non per mezzo di me - Io Sono.

    Gesù non disse: Prima che Abramo fosse fatto, io sono stato creato. In principio, infatti, Dio creò il cielo e la terra. E in principio era il Verbo. Quindi, prima che Abramo fosse, Io Sono. Riconoscete il Creatore, non confondetelo con la creatura. Colui che parlava era discendente di Abramo; ma perché potesse chiamare Abramo all'esistenza, doveva esistere prima di lui.
    Crebbe il loro furore come se apertamente il Signore avesse insultato Abramo. L'affermazione di Cristo Signore per cui si dichiarava prima di Abramo per loro suonò come bestemmia. Perciò raccolgono sassi per tirarglieli. Tanta durezza a che cosa poteva ricorrere se non ai sassi, ad essi somiglianti?
    Ma Gesù reagì come uomo, secondo la sua forma di servo, secondo la sua umiltà, come chi avrebbe dovuto patire, morire e redimerci con il suo sangue; non come colui che è, ossia non come Verbo che era in principio e Verbo presso Dio.
    Quando quelli presero i sassi per scagliarglieli contro, che meraviglia se la terra immediatamente si fosse aperta per inghiottirli, sicché invece dei sassi, avessero trovato l'inferno? Ciò non sarebbe costato molto a Dio, ma era sua intenzione manifestare piuttosto la pazienza che la potenza.
    Gesù dunque si nascose per non essere lapidato.

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    Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1608-09, Museo Nazionale, Messina

    Duccio di Buoninsegna, Resurrezione di Lazzaro, 1308-11, Kimbell Art Museum, Forth Worth

    Nicolas Froment, Resurrezione di Lazzaro, 1461, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Jans Geertgen Tot Sint, Resurrezione di Lazzaro, 1480 circa, Musée du Louvre, Parigi

    Giotto di Bondone, Resurrezione di Lazzaro, 1304-06, Cappella Scrovegni (Cappella Arena), Padova

    Giotto di Bondone, Resurrezione di Lazzaro, 1320 circa, Cappella della Maddalena, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

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    Predefinito

    Guercino, Resurrezione di Lazzaro, 1619 circa, Musée du Louvre, Parigi

    Juan de Flandes, Resurrezione di Lazzaro, Museo del Prado, Madrid

    Albert van Ouwater, Resurrezione di Lazzaro, 1455 circa, Staatliche Museen, Berlino

    Mattia Preti, Resurrezione di Lazzaro, 1650 circa, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

    Harmenszoon van Rijn Rembrandt, Resurrezione di Lazzaro, 1630 circa, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

    Sebastiano del Piombo, Resurrezione di Lazzaro, 1517-19, National Gallery, Londra

    Jan Cornelisz Vermeyen, Trittico della Famiglia Micault , Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles

    Abraham Bloemaert, La resurrezione di Lazzaro, 1600-05, Manchester Art Gallery, Manchester

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    Predefinito Dalle "Omelie sul vangelo" di san Gregorio Magno.

    Ecco che il Signore insultato non si adira, non risponde con insolenze. Se avesse voluto dire: L'avete voi il demonio, avrebbe detto solo la verità. Perché se non fossero stati spinti da forze diaboliche, non avrebbero potuto parlare così male di Dio. Ma la Verità, ricevuta l'offesa, non volle neppure dire quello che era vero. Se no, poteva sembrare che parlasse non per dire la verità, ma per ricambiare l'ingiuria. Ecco quindi l'insegnamento per noi. Quando il prossimo ci calunnia, dobbiamo tacere le sue colpe palesi, per non far degenerare il servizio della giusta correzione in un'arma che scarica il nostro risentimento.
    Ma chi agisce mosso da amore per Dio è disprezzato dai malvagi. Per questo il Signore ci offre l'esempio della pazienza dicendo: Onoro il Padre e voi mi disonorate. E caratterizza pure il comportamento evangelico quando afferma: Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca e giudica. Ora noi sappiamo che la Scrittura afferma come il Padre ha dato ogni giudizio al Figlio. Eppure, ecco che íl Figlio, ricevendo le ingiurie, non cerca la gloria sua.

    Ma le menti degli ascoltatori non si sollevano più in su della carne, pensano solo all'età della carne di Cristo e fanno dire: Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo? . Richiamandoli allora, dalla sua umanità alla contemplazione della sua natura divina, il Redentore esclama: Prima che Abramo fosse, io sono. Prima significa il tempo passato; Sono indica il presente. E siccome la divinità non ha né futuro né passato, ma ha sempre l'essere, il Signore non dice: Prima di Abramo io fui; dice invece: Prima di Abramo io sono. Anche a Mosè Dio si autodefinì: Io sono colui che sono. E poi: Dirai agli Israeliti: Io-sono mi ha mandato a Voi (Es 3, 14). Il Signore dunque, fu prima e dopo di Abramo, il quale poté venire in questo mondo visibilmente e allontanarsene, dopo il corso della sua esistenza. Ma la Verità ha sempre l'essere. Non ha avuto mai principio e non deve avere fine. Gli infedeli, però, non potendo sopportare queste parole di eternità, corrono a prendere pietre, per lapidare colui che non riescono a capire.

    Che cosa fece il Signore di fronte al furore di quei forsennati? Il testo dice: Gesù si nascose e uscì dal tempio. E' strano che Cristo sfugga ai persecutori nascondendosi. Strano, perché se avesse voluto esercitare la potenza della sua divinità, con il solo atto della volontà li avrebbe inchiodati, impedendo di colpire o li avrebbe fatti stramazzare a terra stecchiti. Ma venuto per patire, non volle esercitare nessun giudizio. Certo nel tempo della sua passione, dimostrò quanto era grande la sua potenza; eppure si assoggettò a patire. I persecutori lo cercavano ed egli disse: Sono io! (Gv 18, 5). Con quella sola parola frustò la loro superbia e li fece piombare al suolo.

    Perché Cristo si nascose quando poteva sfuggire ai suoi persecutori anche senza scomparire? Per questo: il Redentore, fattosi uomo tra gli uomini, ci insegna ora con le parole, ora attraverso gli esempi. In questo caso, con il suo atteggiamento mansueto, ci segnala di ritirarci in umiltà davanti all'ira dei superbi, anche quando potremmo opporre resistenza.
    Dice bene perciò san Paolo: Lasciate fare all'ira divina (cf. Sal 40, 10). Di fronte all'esempio dì Dio che si arrende al furore di uomini invasati dall'ira e se ne va, valuta il cuore umile che devi avere tu per non reagire contro l'aggressività del prossimo. Nessuno si levi contro le offese che può ricevere. Nessuno ricambi ingiuria per ingiuria. E' più glorioso, ad imitazione di Gesù, fuggire l'insulto col tacere che vincerlo ribattendo. Eppure la superbia si rivolta in fondo al cuore e ribatte: E' vergognoso ricevere un insulto e star zitto. Se ti vedono tacere quando sei oltraggiato non penseranno che stai praticando la pazienza ma piuttosto che ti riconoscì colpevole. Eppure da dove prende origine questa voce nel nostro cuore? Non forse dal fatto che concentriamo l'attenzione sulle realtà terrene? Cerchiamo la gloria di quaggiù "e non ci curiamo affatto di piacere a colui che ci guarda dall'alto".
    Sicché quando uno ci offende, lasciamo che divenga in noi realtà vissuta questa parola di Dio: Io non cerco la mia gloria: vi è chi la cerca e giudica.

  10. #10

 

 
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