da "Il Gazzettino" del 05\05\2005
articolo di Laura Lorenzini

«E adesso voglio un risarcimento. Per l'ictus, per il tumore, per l'invalidità all'85 per cento, per mia moglie che è morta in dicembre per le sofferenze. E credo sarà miliardario». Si definisce una vittima. Come i familiari dei 17 morti e degli 87 feriti della strage di Piazza Fontana, che ora esprimono nausea e disgusto per l'azzeramento di trent'anni di indagini. Però per lui, il veneziano Carlo Maria Maggi , la sentenza di due giorni fa della Cassazione che ha prosciolto lui, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni non è lo sfacelo della giustizia, ma il trionfo: «Ho sofferto dieci anni come un cane. Ma adesso ha vinto la verità».

Maggi , medico in pensione, 71 anni, ex capo di Ordine Nuovo nel Triveneto, il giorno dopo la sentenza è nella sua vecchia casa della Giudecca, a guardare una partita di tennis, con la gatta Esmeralda accanto in poltrona e la porta finestra aperta sul giardino. È elegante, giacca cammello e cravatta sgargiante, per accogliere i giornalisti. Cammina a fatica, ma sembra sereno.

Maggi , Zorzi ha pianto quando ha saputo della sentenza. E lei?

«Piango solo se alla tv vedo qualche film commovente. No, non ho pianto. Ma ieri notte, per la prima volta, non ho preso il Lexotan per dormire».

Quando ha saputo che era stato prosciolto?

«Martedì alle otto di sera, me l'ha detto un giornalista. Ho avuto molta paura, lo confesso. La camera di consiglio era in corso da otto ore. Ho pensato: se dura così a lungo, va a finire male. È la fine di un incubo. Anche se mi rimane molta amarezza».

Perché?

«Stento a capire come dei giudici possano credere a un racconta-frottole come il pentito Carlo Digilio. È sul suo castello di menzogne che sono state montate le accuse contro di noi. Disse che fui io a prestare l'auto a Zorzi, per portare la bomba da Venezia a Padova. Io, che per cambiare la lampadina devo chiamare l'elettricista. Io che non sono un violento, che ho fatto a pugni solo per la Juventus. Io che ho visto piazza Fontana la prima volta, l'anno scorso, quando sono andato a Milano».

Perché Digilio la accusò?

«Perché eravamo amici, militavamo in ordine Nuovo. Lui venne arrestato negli anni '90, in seguito a traffici d'armi e poi a una fuga all'estero. Lo fece per uscire dai guai e perché gli offrirono soldi. Noi? Eravamo dei facili capri espiatori».

Guido Calvi, l'avvocato di Valpreda, dice che la verità è stata accertata: la matrice era quella della cellula eversiva veneta, in collusione con i servizi deviati.

«Non è vero, nulla è mai stato accertato. Solo la Corte d'Appello ha parlato di possibili colpe di Freda. Che però è stato assolto».

Allora chi ha messo la bomba il 15 dicembre del 1969?

«Io, di sicuro, no. Azzardo un parere: i giudici forse hanno mollato troppo presto la pista anarchica. Con questo, per carità, non voglio riesumare il fantasma di Valpreda».

I familiari delle vittime gridano alla beffa: dopo 36 anni non sanno chi è il colpevole e dovranno pagare le spese processuali.

«È un'ingiustizia, è vero. Le spese dovrebbero pagarle gli avvocati. Alcuni sono stati delle jene».

Potesse dire qualcosa ai parenti dei morti?

«Direi che mi dispiace. Ma non ci sono solo loro, il mondo è pieno di vittime: gli africani, i ceceni. Tanto dolore, per il quale non basterebbero neanche le lacrime di un'intera giornata».

Nulla di cui pentirsi, di quegli anni di militanza nera?

«Mi pento di avere trascurato la famiglia. Lavoravo come medico e il tempo libero era tutto per Ordine Nuovo, per i miei ideali di ex balilla».

Ora restano aperte le pagine delle bombe in piazza della Loggia e della questura di Milano, per le quali è stato tirato in ballo da Digilio.

«Il mio avvocato dice che Piazza Fontana è madre di tutti i processi. Risolto questo, si dissolveranno anche gli altri».

Dovesse ricominciare un altro processo?

«Allora non prenderei più le medicine. Mi lascerei morire. In tribunale o dietro le sbarre non ci voglio andare più. Sono innocente».