Visto il bistrattamento cui è sottoposta la figura femminile ad opera di sedicenti "padanisti" in verità espressione di una sorta di pelasgico maschilismo teso a considerare la donna come un "bambinificio" ad emulazione di situazioni tipo la conigliera palestinese, e considerando il fatto che è chiaro che chi si permette di parlare in certi termini delle compagne, madri e mogli, delle nostre vite probabilmente non sa cosa dice (oppure non ha grande esperienza di relazioni con l'altro sesso...d'altronde il vecchio adagio che recita "sui forum leoni nella vita co***oni" è validissimo) ritengo utile proporre un ricordo e anche una riflessione su una figura di donna tipicamente padana quale era quella delle mondine.
Approfitto di un pezzo della Malaguti comparso sul giornalino delle "Donne Padane" che tratteggia in maniera interessante, anche se veloce, il profilo delle mondine (e da una mondina, mia nonna, mi onoro di discendere). Forse le prime donne "emancipate" della società moderna, lavoratrici doppie, nelle riasie e a casa con la famiglia, gente davvero semplice ma con grande dignità e soprattutto forza, per le battaglie sul lavoro e per tirare grandi i figli. Massimo rispetto a questa espressione di padanità dei tempi andati, ma ancora viva nei ricordi di qualcuno!
Ve lo ricordate quel 15 settembre
1996? Era il giorno della nascita della Padania. Nascita:
mamma, quindi donna. Padania: sostantivo singolare femminile. E infatti quel giorno venivano distribuiti a piene mani
dei simpatici adesivi raffiguranti
fiocchi rosa. Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora. E quante buone iniziative sono nate in seno proprio alla Padania...
Ma, più che rimarcare l’importanza di quanto di buono
è cresciuto e sta crescendo per iniziativa e volontà e fede di impegnatissime signore, signorine e mamme, in questa mia prima umile apparizione sulle colonne dedicate alle Donne Padane, vorrei andare un po’ più lontano nel tempo per ricordare - e forse questo è anche il senso di un modo di concepire l’impegno in rosa al di là del femminismo - la storia scritta dalle donne di Padania, alle quali tutti indistintamente dobbiamo davvero molto. A quelle donne che, oltre i proclami,
con lotta viva e anche nel silenzio, ci hanno lasciato dentro un segno indelebile. Sono figlia di una mondina. Ed è orgoglio inevitabile per me. Perché queste lavoratrici, per la maggior parte padane, hanno innescato e vinto la lotta contro lo sfruttamento. Indipendentemente dall’essere uomo o donna: le otto ore di lavoro - e non solo - epocale conquista, che dobbiamo solo a loro. Ma sono anche figlia di una madre, divenuta poi casalinga, che seppur apparentemente
“reclusa” in un nucleo patriarcale, ha saputo amministrare egregiamente - su preciso mandato e per fiducia del patriarca di casa - la famiglia: una madre come tante, nel secolo scorso e nel secolo che le ha precedute. Donne di cui il tempo e l’evolversi
frenetico della società hanno tentato invano di cancellare
ogni traccia, ma che vivono nei nostri cromosomi e inconsciamente ci hanno insegnato
a vivere secondo valori e principi che in questo millennio sembrano via via dissolversi in una nebbia schizofrenica. Un ritorno alle nobili origini, dunque. Credo sia questo il senso che, superando estetica e velleità, nell’effimero materialismo
dell’avere anziché dell’essere,
accomuna le donne padane. Perché questo è il motivo
per cui mi affaccio a loro, piuttosto che ad altri femminismi
più o meno forieri di verità. La pari dignità, certo. Le pari opportunità, anche. Ma la storia non si scrive solo tra le mura della politica, si scrive anche con ragionati gesti e intelligenza, il resto è solo superficie.
Penso, ad esempio, a Cristina Trivulzio di Belgioioso, alla Croce rossa e a quel suo gesto che ne gettò le sue fondamenta
quando durante i moti insurrezionali nel 1848, decise di contribuire soccorrendo i feriti, organizzando ospedali - come scrive Arrigo Petracco ne “La regina del Nord”, Cristina di Belgioioso organizzò e rese efficienti ben dodici ospedali in Roma. Cacciò i vecchi infermieri,
uomini rozzi, malviventi.. Chiamò a raccolta le donne di Roma - requisendo conventi per il ricovero dei militari, occupandosi
contemporaneamente di feriti, chirurghi e fornitori... A lei, per la prima volta nella storia, vennero affidati meritatamente
incarichi importanti. Ma penso anche a tutte quelle madri e quelle mogli che, nel silenzio, hanno saputo rendere grandi i loro uomini. Pascal insegna, e la storia non lo ha mai smentito! Dietro
a un grande uomo si cela “sempre” una grande donna.
Cristina MalagutiGiornalista del quotidiano “La Padania”