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Discussione: Il muro degli....

  1. #1
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    Predefinito Il muro degli....

    ...israeliani

    Roma. Gli israeliani non lo chiamano “copà”, muro, ma “gader”, recinzione, e vorrebbero che tutti avessero bene in mente la differenza.
    Battaglia persa, almeno per ora, visto che da quando è stata intrapresa la costruzione della barriera tra Israele e territori palestinesi in Cisgiordania, non passa giorno senza che venga rinfacciato a Gerusalemme di aver voluto un nuovo “muro di Berlino”. Ora, con l’approvazione della risoluzione Onu (sia pure non vincolante) contro il “muro” e per lo smantellamento della parte già edificata, quel parallelo indigeribile si trova ad avere una sorta di implicito avallo, e si candida a trovare nuovi sostenitori. Tra i quali, con lo stile che gli è proprio, si è segnalato José Saramago.
    Il Nobel per la letteratura ha dichiarato infatti che la decisione di Israele “ci obbliga a ricordare i ghetti in cui gli stessi ebrei erano costretti a vivere”.
    Ma ben più delle esternazioni di Saramago, appare impressionante l’unanimità europea, espressa senza tentennamenti nella condanna di quello che nasce come un sistema di difesa dalle incursioni dei kamikaze, deciso dopo una infinita catena di stragi. E’ un mondo smemorato, quello che assimila lo sbarramento in Cisgiordania al “muro della vergogna”.

    Dimenticando, tra l’altro, che l’idea della barriera di separazione non è un parto del falco Sharon, ma nasce in casa progressista.
    Il copyright dell’idea (“l’unica è uscire dai territori, senza aspettare un accordo che non arriva mai, e tirare su una barriera senza tanti complimenti, un muro, insomma un confine che sia netto e insuperabile”) appartiene infatti allo scrittore Abraham B. Yehoshua, campione del partito del dialogo.
    Oggi Yehoshua sottolinea che c’è differenza tra la sua idea e l’operazione avviata da Sharon, che non prevede lo smantellamento degli insediamenti e penetra anche nelle zone destinate al futuro Stato palestinese.
    Ma neanche per un momento rinnega la necessità del “gader”, della recinzione, prima di tutto sistema non violento di difesa. Subito approvato con entusiasmo dall’ex premier laburista Ehud Barak, così come da una parte importante del suo partito. E che tuttora, pur turbata dalla riprovazione internazionale, continua a pensare che il “gader” sia l’unica risposta adeguata alle emergenze del presente.
    A differenza di quanto avviene per alcuni esponenti del Likud e per tutti i partiti religiosi, che temono che la demarcazione tagli fuori una parte degli insediamenti e contribuisca a disegnare i confini di un possibile futuro Stato palestinese.

    L’America non ci casca
    Dopo la condanna all’Onu, il vicepremier israeliano Ehud Olmert ha dichiarato che non cambia nulla: “La recinzione continuerà a essere eretta, e noi continueremo a prenderci cura della sicurezza dei cittadini di Israele”. Gli europei smemorati, invece, dovrebbero almeno rileggersi un intervento di Yehoshua sulla Stampa dell’11 agosto scorso, in cui lo scrittore puntualizza che il muro di Berlino e “il confine tra la Germania orientale e quella occidentale eretti dall’impero sovietico dividevano un popolo con una lingua, una cultura e un passato comune.
    I tedeschi occidentali non volevano compiere attentati terroristici nella Germania dell’est e il confine non intendeva quindi proteggere i cittadini dalla violenza ma evitare che gli uni si ricongiungessero agli altri sotto un regime democratico”. E aggiunge: “Gli europei, che fino a pochi decenni fa si sono combattuti, hanno abbattuto vecchi confini e ne hanno fissato dei nuovi, hanno versato il sangue di decine di milioni di esseri umani… non possono essere tanto romantici da credere che ciò che hanno ottenuto con decenni di paziente lavoro possa essere raggiunto con uno schiocco di dita nel pieno di una lotta sanguinosa tra due popoli che hanno conosciuto solo conflitti”.
    Gli americani, nel frattempo, meno romantici e più pragmatici degli europei, da una parte votano contro la risoluzione di condanna del “muro” e dall’altra alzano la guardia nello spinoso campo del mantenimento della pace multietnica in casa loro. Lo prova la decisione del segretario alla difesa, Rumsfeld, che ha avviato un’inchiesta interna sulle dichiarazioni del generale William G. Boykin, sottosegretario alla Difesa per l’intelligence.
    Boykin, fervente evangelico, avrebbe detto in pubblico che l’Islam radicale vuole distruggere l’America “perché è una nazione cristiana”, e che quello venerato dai musulmani è “un idolo” e non “un vero Dio”. L’Amministrazione è stata costretta a puntualizzare che quella contro il terrorismo non è una guerra contro l’Islam. Un richiamo, ai massimi livelli, a non dimenticare che la forza dell’America è fatta di multiculturalismo.

    saluti

  2. #2
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    Predefinito Sdoganato l'antisemitismo...

    ...in contemporanea con il "no" al muro

    L’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU CONTRO IL MURO IN CISGIORDANIA.
    La risoluzione, non vincolante, è stata approvata dall’Assemblea generale, dopo una trattativa tra paesi arabi e dell’Ue (che ha imposto alcune modifiche). L’Europa ha votato a favore, gli Usa contro, assieme a Micronesia e Isole Marshall. L’ambasciatore israeliano all’Onu, Dany Gillerman: “Ipocriti. Si preoccupano più dei nostri tentativi di difenderci dal terrorismo, che del terrorismo”. Il vicepremier Olmert: “La costruzione del muro andrà avanti”.
    Mahatir, premier malese, accusa “i grandi esponenti della democrazia” che “terrorizzano il mondo”.
    Il ministro degli Esteri israeliano Shalom denuncia il crescente antisemitismo nel mondo islamico e in Europa.
    * * *

    Roma. Con una risoluzione proposta dall’Italia, presidente di turno dell’Ue, e votata da tutti gli Stati europei, l’Assemblea generale dell’Onu ha condannato Israele per la costruzione del muro in Cisgiordania. La risoluzione, secondo gli israeliani, rispecchia la peggior tradizione diplomatica europea, piena com’è di equivalenze morali e complici silenzi. Non è un documento equilibrato e di compromesso, per facilitare la soluzione “due Stati per due popoli” nel conflitto israelo-palestinese: la risoluzione condanna una barriera che intende scoraggiare il vero ostacolo alla ripresa dei negoziati, cioè il terrorismo.
    Solo quattro paesi hanno votato contro: Israele, Stati Uniti, Isole Marshall e Micronesia. Che l’Assemblea generale passi mozioni di condanna contro Israele non è una novità. Che gli europei prendano le parti del mondo arabo nemmeno. Che Israele si trovi a godere solo dell’appoggio di Stati Uniti e qualche isoletta del Pacifico neppure.
    Quello che è nuovo in questa risoluzione è il contesto in cui si colloca. Essa viene approvata subito dopo il discorso del premier malese Mohammed Mahatir alla Conferenza dei paesi islamici, dove il vecchio leader ha candidamente evocato l’antico adagio
    antisemita degli ebrei che controllano il mondo, la stampa, la finanza internazionale e tutto il resto.

    Quel discorso non riesce a ottenere una condanna netta proprio in Europa, dove i governi, pur condannando a parole il terrorismo, lo considerano una conseguenza delle politiche israeliane e non una strategia studiata a tavolino, che esprime il rifiuto del principio di compromesso territoriale, il desiderio di distruggere Israele, e l’impegno alla guerra totale e infinita.
    Quel terrorismo si nutre anche della demonizzazione degli ebrei che percorre oggi il mondo arabo e islamico, e che Mahatir ha così candidamente espresso ottenendo l’ovazione dei rappresentanti di 57 paesi.
    Che quei leader non si peritino di propagare una versione medievale di odio antisemita nei loro paesi attraverso gli organi di stampa e i libri scolastici dovrebbe forse suscitare sdegno, riprovazione e condanna (sentimenti espressi pubblicamente dal presidente americano George W. Bush).

    Che gli europei scelgano di sottilizzare sull’accaduto e di condannare invece Israele per la costruzione del muro viene inteso da molti osservatori come il crollo di un tabù, una strisciante legittimazione della versione antisionista dell’antisemitismo.
    Quegli stessi europei non ebbero voglia di abbandonare la conferenza di Durban nel settembre 2001, quando un consesso internazionale dell’Onu dedicato alla lotta al razzismo veniva trasformato in una legittimazione del pregiudizio, sionismo=razzismo, e dirottato dall’agenda palestinese per fini estranei allo scopo del forum; oggi ritengono di servire la causa della pace assestando un colpo unilaterale al diritto di autodifesa di Israele e mettendo sotto il tappeto la condanna dell’antisemitismo grossolano espresso da un campione della classe dirigente asiatica. La novità non sta né nella condanna di Israele né negli schieramenti di voto all’Onu.
    La novità sta nella connesione sottile, ma palpabile, tra i linguaggi imbarazzati dell’Europa di fronte all’antisemitismo e la sua petulante dedizione a condannare Israele per una misura che gli israeliani difendono come necessaria per la loro sicurezza.

    S’inverte il principio di causa ed effetto
    Per l’Europa, la causa della pace tra Israele e palestinesi è centrale per la lotta al terrorismo così come per la stabilità del Medio Oriente e i rapporti tra Occidente e mondo arabo.
    E’ la litania di ogni think tank che si rispetti, quelli progressisti in testa. Di fronte all’ennesimo fallimento della diplomazia, la sua reazione istintiva è di incolpare Israele, specie se attaccare Israele serve a imbarazzare l’America, con cui ha un contenzioso più ampio.
    Mancando una chiara vittoria politica americana nell’impresa irachena, gli europei criticano la politica di Washington per riaffermare un loro ruolo attivo e una loro influenza sulla diplomazia. Il problema però non è il peso politico, ma il tipo di diagnosi della crisi mediorientale e le soluzioni da perseguire.
    Il muro esiste a Gaza e ha finora impedito agli attentatori suicidi/omicidi di penetrare all’interno di Israele e colpire civili inermi. Non così nella Cisgiordania. Che il muro produca obbrobri paesaggistici e sofferenze concrete alla popolazione palestinese è indubbio. Ma il muro è una risposta sia al terrorismo sia alla incapacità dei palestinesi di rinunciare alla violenza e accettare la diplomazia e il compromesso come uniche legittime strade per la pace.
    Non ne è la causa.
    Ne è la conseguenza. Gli americani non sono entusiasti per il muro, ma comprendono il nesso terrorismo-causa/muro-effetto perché vedono che il vero problema, così ben definito da Mahatir, è che il diritto di Israele a esistere non è stato ancora accettato nel mondo arabo e islamico.
    Per gli europei questo rifiuto esistenziale invece non è il problema.
    Il problema è Israele.

    saluti

  3. #3
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    da www.israele.net

    " Israele: "Una inutile farsa il voto Onu contro la barriera"

    23 ottobre 2003

    "Israele continuera' la costruzione della barriera difensiva allo scopo di garantire la sicurezza dei suoi cittadini". Lo hanno dichiarato i rappresentanti israeliani dopo che l'Assemblea Generale ha approvato mercoledi' (con 144 voti a favore, 12 astenuti e 4 contrari: Israele, Usa, Micronesia, Isole Marchall) una risoluzione (non vincolante) che definisce la barriera fra Israele e Cisgiordania "in contrasto con il diritto internazionale".
    La risoluzione chiede che Israele "fermi la costruzione del muro e lo demolisca" e chiede al Segretario Generale di riferire periodicamente sulla ottemperanza d'Israele, riservandosi se necessario "ulteriori azioni". La risoluzione contiene anche una condanna degli attentati terroristici, senza tuttavia indicare nessuna "legittima" misura concreta volta a fermarli o contrastarli.
    L'ambasciatore d'Israele all'Onu Dan Gillerman ha parlato di "farsa umiliante", criticando in particolare i governi dell'Unione Europea per aver assunto una posizione da cui risulta che "le misure di sicurezza israeliane sarebbero molto piu' gravi delle stragi di innocenti perpetrate dalle bande terroristiche palestinesi". Gillerman si è anche chiesto "quale nazione potrebbe mai pensare seriamente che sia legittimo chiedere al Segretario Generale dell'Onu di presentare rapporti sulle misure di difesa israeliane e non sulle violazioni palestinesi e sul terrorismo che rendono indispensabili quelle misure". "Finche' la maggioranza di questa Assemblea - ha detto Gillerman - sara' disposta ad assecondare e tollerare questi inutili rituali, nessuno si meravigli se le vittime del terrorismo e coloro che sperano in una vera pace vanno a cercare orientamento, aiuto e consigli da tutt'altra parte".
    "La barriera e' semplicemente necessaria - ha ribadito il vice primo ministro israeliano Ehud Olmert - Noi dobbiamo preoccuparci della sicurezza di Israele ed e' chiaro che non agiremo secondo le istruzioni impartite da una maggioranza automaticamente ostile a Israele, un organismo dove qualunque posizione contraria a Israele ottiene una maggioranza automatica. Se tutto il mondo sta da una parte e Israele e America dall'altra - ha concluso Olmeto - sono fiero di essere dalla parte dell'America".

    (Ha'aretz, Jerusalem Post, 22.10.03)
    "


    Shalom!!!

  4. #4
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    Predefinito A un lettore che scrive....

    ....sull'argomento e sui morti in Palestina Ferrara risponde:

    "Tolga anche la museruola ai miei due amichetti, ma non ho una verità che la accontenti. Ci sono quelli che bombardano i civili, e quelli che bombardano i bombardieri di civili, con effetti collaterali.

    Se poi lei desiderasse una mia immedesimazione nelle ragioni tragiche del popolo palestinese, sono pronto, perché ho un cuore certamente più grande del suo, come succede agli obesi, solo che lo uso di meno.
    Perché non è il cuore del mondo, e peloso, che manca ai palestinesi per avere la patria a cui hanno diritto, ma la sua testa.

    saluti

  5. #5
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    Roma. Il rappresentante dell’Autorità nazionale palestinese in Italia, Nemer Hammad, si aspetta un largo e trasversale appoggio alla giornata di lotta “contro il muro dell’apartheid” in Cisgiordania, indetta dalla campagna internazionale “Stop the Wall” per il prossimo 9 novembre, anniversario della caduta del Muro di Berlino, con manifestazioni in diverse città europee. L’iniziativa (che per ora da noi ha raccolto solo le scontate adesioni del Forum Palestina, del Comitato di solidarietà con l’Intifada, degli Amici della Mezzaluna Rossa palestinese e di pochi altri) inchioda alla medesima gogna la recinzione di difesa contro i kamikaze voluta da Israele e il “muro della vergogna” che fu uno dei simboli del totalitarismo del ’900.
    Nemer Hammad non si stupisce per la data prescelta: “E’ assurdo –dice al Foglio – che, nel momento in cui si festeggia l’anniversario della caduta di un muro in Europa, se ne costruisca un altro in Medio Oriente.
    Un muro che è prima di tutto un sistema per disegnare nuovi confini favorevoli a Israele, inglobando parti di territorio che non gli competono”.

    Rimane il fatto che con l’inizio della seconda Intifada è cominciata un’offensiva di attentati kamikaze, drasticamente diminuiti da quando la barriera è in costruzione (ragione per cui la schiacciante maggioranza degli israeliani la considera con favore).
    Hammad, tuttavia, si dice convinto che quel muro tradirà, alla lunga, proprio le aspettative di sicurezza in nome delle quali viene edificato, “perché creerà migliaia di nuovi kamikaze. Nessuno ama morire, ma tra i giovani palestinesi ogni nuova umiliazione fa aumentare la rabbia e i candidati al martirio.
    Gli israeliani hanno ragione a chiedere come priorità la sicurezza, ma devono considerare che anche nell’altro campo si convive con la paura.
    Sarei d’accordo con quel muro, se percorresse la frontiera del 1967: in quel caso, nulla in contrario.
    Ma la costruzione procede mangiando parti importanti del nostro territorio e costringendo in nuovi ghetti decine di migliaia di palestinesi. E poi, i kamikaze sono un problema anche per noi, oltre che per la società israeliana”.
    Con conseguenze ben diverse…
    “Ma se l’Anp non riesce a controllare la situazione la responsabilità è soprattutto di Israele”, replica Hammad, che non vuol sentir neanche parlare di acquiescenza o di un uso della minaccia degli attentatori suicidi da parte dell’Anp di Arafat.
    “Vogliamo negare che dopo gli accordi di Oslo, tra il 1995 e il 1996, abbiamo arrestato moltissimi militanti dei gruppi radicali, tanto che ci sono piovute addosso le critiche di Amnesty International? O che abbiamo sostenuto scontri armati con militanti di Hamas e del Jihad mentre da parte israeliana si continuavano a costruire insediamenti? Dopo Oslo, i due popoli in conflitto avrebbero dovuto vedere i frutti dell’accordo, ma ai palestinesi è toccato subire la costruzione di un muro intorno a Gaza”.
    Ma non crede che una lotta di liberazione che usa i kamikaze si condanna al discredito e al suicidio?
    “La maggioranza dei palestinesi è contraria agli attentati suicidi e lo è di più quando si apre una strada al negoziato.
    Dobbiamo provare a percorrere insieme di nuovo quella via, con la garanzia di una presenza internazionale”.
    Sta parlando della road map? “Penso piuttosto alla nuova proposta di Ginevra, partita da esponenti dei due popoli in conflitto. Duramente criticata, com’era prevedibile, sia dal Likud che da Hamas e da altri gruppi radicali palestinesi.
    Per quanto ci riguarda, dovremmo anche lavorare a costruire impianti sportivi, teatri, cinema, perché i giovani palestinesi ora hanno a disposizione soltanto la moschea o la chiesa.
    Che vanno bene, ma non devono diventare la loro seconda casa. Così si possono sottrarre i giovani all’influenza di gruppi come Hamas. Ma nelle nostre città assediate per questo non esiste nemmeno lo spazio”.

  6. #6
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    Predefinito Re: A un lettore che scrive....

    In origine postato da mustang
    ....sull'argomento e sui morti in Palestina Ferrara risponde:

    "Tolga anche la museruola ai miei due amichetti, ma non ho una verità che la accontenti. Ci sono quelli che bombardano i civili, e quelli che bombardano i bombardieri di civili, con effetti collaterali.

    Se poi lei desiderasse una mia immedesimazione nelle ragioni tragiche del popolo palestinese, sono pronto, perché ho un cuore certamente più grande del suo, come succede agli obesi, solo che lo uso di meno.
    Perché non è il cuore del mondo, e peloso, che manca ai palestinesi per avere la patria a cui hanno diritto, ma la sua testa.

    saluti

    Ineccepibile.


    Shalom!!!

  7. #7
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  8. #8
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    da www.israele.net

    " Sventati tre tentativi di infiltrazione palestinese

    26 ottobre 2003

    Tre tentativi di infiltrazione terroristica in Israele sono stati sventati tra sabato sera e domenica mattina dalle Forze di Difesa israeliane.
    Un terrorista palestinese armato di mitra e granate e' stato ucciso da soldati israeliani dopo un violento scontro a fuoco domenica mattina presso una postazione militare nella striscia di Gaza. Sabato notte, sempre nella striscia di Gaza, soldati israeliani di guardia hanno individuato un gruppo di quattro palestinesi che si avvicinavano strisciando a una postazione militare. I soldati hanno aperto il fuoco colpendo due palestinesi, probabilmente ferendoli e mettendo in fuga gli altri due. Sempre domenica, soldati israeliani hanno aperto il fuoco verso un gruppo di terroristi palestinesi che si stavano avvicinando alle abitazioni del villaggio di Kfar Darom (striscia di Gaza).
    Nel frattempo, le Forze di Difesa israeliane hanno dato notizia di un nuovo programma volto a rafforzare i principi etici che devono governare il comportamento dei soldati in servizio. Amos Guiora, comandante della Scuola di Diritto Militare delle forze armate israeliane, ha mostrato giovedi' un nuovo software che utilizza sia pagine di dottrina che filmati tratti da film famosi per guidare i soldati nel prendere difficili decisioni di carattere morale in situazioni di combattimento. "La pressione in termini di capacita' decisionale che esercitiamo su soldati di diciannove anni - ha spiegato Guiora - e' incredibile". Il programma si basa su un codice di comportamento che deve fare da guida ai soldati su questioni come il divieto di farsi scudo con i civili, le garanzie di sicurezza per i soccorritori, il rispetto per i valori della cultura e della tradizione palestinese.
    I comportamenti proibiti sono illustrati anche ricorrendo a scene di film, come una scena di "Platoon" in cui si vedono soldati americani che distruggono un villaggio vietnamita e ne arrestano gli abitanti, e un'altra tratta dal film "Rules of Engagement" in cui si vede un comandante che ordina ai suoi uomini di sparare sulla folla durante una manifestazione nello Yemen. Gli autori del programma sperano che le scene di fiction suscitino piu' attenzione e vengano meglio ricordate che non delle semplici prescrizioni scritte.
    Le Forze di Difesa israeliane hanno iniziato a distribuire il programma su CD-ROM la scorsa settimana agli ufficiali dell'esercito e agli agenti della guardia di frontiera. Il programma e' attualmente in corso di traduzione in inglese giacche' le forze armate americane si sono dimostrate molto interessate

    (Jerusalem Post, 26.10.03)
    "


    Shalom!!!!

  9. #9
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    da www.israele.net

    " Una barriera legittima e opportuna

    Da un articolo di Evelyn Gordon
    16 ottobre 2003

    L'ipocrisia della comunita' internazionale riguardo a Israele non e' una novita', ma ha superato se stessa sulla questione della barriera di sicurezza che Israele sta costruendo nel tentativo di proteggere i propri cittadini dagli attentati suicidi, e che si e' attirata condanne da tutto il mondo sulla base fondamentalmente di tre argomenti, tutti e tre infondati.
    Il primo argomento, citato la settimana scorsa da Javier Solana, responsabile della politica estera dell'Unione Europea, sostiene che la barriera "non e' conforme al diritto internazionale" perche' comporta la confisca di proprieta' private in Cisgiordania. Tutti convengono sul fatto che la legge internazionale da applicare in Cisgiordania e' la Quarta Convenzione di Ginevra (1949). Israele non e' d'accordo (la Cisgiordania non e' territorio "occupato", perche' non e' stato sottratto a una sovranita' straniera, bensi' territorio "conteso", dalla sovranita' non ancora definita), ma ha accettato per proprio conto di applicare in Cisgiordania le clausole umanitarie previste dalla Convenzione. Ebbene, la Convenzione di Ginevra non vieta categoricamente la confisca di terre nel territorio occupato. Essa vieta solo la "distruzione e l'appropriazione di beni non giustificate da necessita' militari" (art. 147) e anzi permette esplicitamente alla potenza occupante di "assoggettare la popolazione del territorio occupato a disposizioni che siano indispensabili per permetterle di garantire la sicurezza della potenza occupante, dei membri e dei beni delle forze o dell'amministrazione d'occupazione, nonche' degli stabilimenti e delle linee di comunicazione da essa utilizzate" (art. 64). E' difficile sostenere che proteggere la propria popolazione civile da spietati attentati terroristici non sia un legittimo obiettivo militare. In effetti la protezione della propria popolazione civile e' universalmente considerata il piu' legittimo di tutti gli obiettivi militari (ad eccezione, per qualche misteriosa ragione, della difesa dei civili israeliani). L'argomento e' ancora piu' debole se si considera che una delle principali "rientranze" della barriera entro la Cisgiordania ha lo scopo di tenere l'aeroporto Ben Gurion, dove passa il 99 per cento del traffico aereo israeliano, fuori dalla portata di terroristi armati di missili anti-aerei da spalla. E' difficile immaginare un qualunque paese che non consideri una vitale necessita' militare la difesa del proprio aeroporto internazionale.
    Il secondo argomento, ripetuto spesso dal segretario di stato americano Colin Powell, e' che Israele sta costruendo la barriera su territorio che appartiene al futuro stato palestinese. Ora, l'unico documento di diritto internazionale vincolante che abbia mai attribuito una sovranita' a questo territorio e' il Mandato sulla Palestina della Lega delle Nazioni del 1922, che assegnava tutto cio' che oggi viene chiamato Cisgiordania al futuro stato ebraico. Non esiste un solo documento vincolante di diritto internazionale che attribuisca quel territorio a una sovranita' palestinese. La risoluzione di spartizione del 1947 prevedeva effettivamente uno stato arabo (palestinese) in quest'area, ma non e' vincolante per due motivi: perche' e' una risoluzione dell'Assemblea Generale e non del Consiglio di Sicurezza, e perche' gli stessi palestinesi l'hanno inequivocabilmente rifiutata, privandola di ogni valore legale.
    Per quanto riguarda la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, approvata dopo che Israele aveva conquistato la Cisgiordania nel 1967, essa prescrive che Israele si ritiri "da territori occupati nel recente conflitto". Significativamente essa non dice "dai territori": una formulazione tutt'altro che casuale, deliberatamente scelta dagli estensori del testo (britannici e americani) per lasciare la possibilita' a Israele di trattenere parte di quei territori nel quadro di un futuro accordo di pace [si veda: Per una corretta lettura della risoluzione Onu 242]. Inoltre la 242 non dice chi debba ricevere la sovranita' di qualunque parte di Cisgiordania da cui Israele si fosse ritirato. In effetti all'epoca quei territori non avevano alcuna sovranita' definita giacche' prima di essere conquistati da Israele erano stati occupati dalla Giordania, e solo due paesi in tutto il mondo (Gran Bretagna e Pakistan) avevano riconosciuto l'annessione del territorio da parte della Giordania. Pertanto sostenere che questo territorio e' stato riconosciuto come territorio palestinese non ha alcun fondamento nel diritto internazionale.
    Infine c'e' l'argomento, anche questo usato da Powell, secondo cui la costruzione della barriera "pregiudicherebbe i futuri negoziati" sui confini del stato palestinese a venire. Potrebbe essere un argomento valido, se tutto il mondo non avesse gia' pregiudicato i negoziati dichiarando che tutto quel territorio deve essere palestinese. Israele non ha mai nascosto il fatto che, con qualunque accordo, intende trattenere una piccola porzione di Cisgiordania comprendente i maggiori blocchi di insediamenti, fra i quali figura Ariel, dove corre la parte piu' contestata della barriera. Anche il primo ministro Ehud Barak, che pure era pronto a cedere a tutte le richieste palestinesi su Gerusalemme, tenne fermo questo punto, ed e' difficile immaginare un suo successore piu' accomodante di lui. Anche la proposta di compromesso di Bill Clinton del dicembre 2000 assegnava questi terreni a Israele e, a quanto e' dato sapere, i palestinesi accettarono questo punto (i colloqui, infatti, non fallirono sulla questione dei confini, bensi' sulla pretesa palestinese del cosiddetto "diritto al ritorno" dei profughi e sul loro rifiuto di riconoscere un legame ebraico con il Monte del Tempio in cambio del pieno controllo sul sito). Eppure adesso l'Europa e lo stesso Powell insistono che tutta la Cisgiordania e' territorio palestinese, talche' uno stop di Israele alla costruzione della barriera equivarrebbe ad ammettere che tutti questi territori sono parte del futuro stato palestinese (rendendo inutile qualunque negoziato). Viceversa, costruire la barriera non pregiudica niente dal momento che essa puo' sempre essere rimossa in seguito a un accordo di pace, come Israele ha dimostrato smantellando gli insediamenti nel Sinai dopo l'accordo con l'Egitto. Dunque il mondo ha creato una situazione nella quale la non costruzione della barriera pregiudicherebbe il risultato di (autentici) negoziati molto piu' di quanto non faccia la sua costruzione.
    Comunque, nessuna delle considerazioni fatte qui ha la minima probabilita' d'essere menzionata nel dibattito internazionale sulla barriera difensiva. Quando si tratta di Israele, il mondo non sembra preoccuparsi molto del diritto e dei dati di fatto.

    (Jerusalem Post, 14.10.03)
    "


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    Predefinito L'imbarazzo della sinistra italiana..

    ....sul muro d'Israele

    Sidney, Madrid, Bruxelles, Rio de Janeiro, Oslo, Roma, Londra, Los Angeles, Berlino, San Francisco: sulla carta, e sul web, è lungo l’elenco delle iniziative contro quello che, in puro stile Durban, viene definito “il muro dell’apartheid”, e cioè la barriera di difesa dai kamikaze che Israele sta costruendo.
    In programma ci sono, in molti casi, semplici mostre di pannelli e fotografie sulla condizione dei palestinesi o punti di raccolta di firme, mentre in qualche occasione saranno costruiti muri di cartapesta da abbattere.
    La mobilitazione è stata fissata per il prossimo 9 novembre, su invito del network internazionale Stop the Wall, in coincidenza con l’anniversario della caduta del muro di Berlino (ma anche con quello della “notte dei cristalli”, che nel 1938 segnò la prima grande razzia nazista contro gli ebrei tedeschi.

    Un “ingorgo” simbolico che non preoccupa chi condanna allo stesso ostracismo la recinzione difensiva di Israele e il “muro della vergogna” crollato quattordici anni fa).

    Ci sarà un muro finto anche a Napoli, in piazza Plebiscito, promettono i “disobbedienti” di Francesco Caruso (“un’installazione per la quale stiamo ottenendo la disponibilità di attivisti e artisti napoletani, che chiederemo all’amministrazione di rendere permanente”, minacciano in un comunicato).
    Gli stessi disobbedienti manifesteranno “contro la kermesse italo-israeliana”, ovvero il congresso delle Associazioni Italia-Israele, in programma all’Hotel Hermitage di Capua per sabato prossimo.
    In prima linea, il centro sociale Tempo Rosso di Pignataro maggiore (Caserta), assurto alle cronache un anno fa, quando cercò di boicottare il gemellaggio di Pignataro con una cittadina israeliana, voluto dal ventottenne sindaco An, Giorgio Magliocca.
    Sulla giornata “anti-muro” italiana pesa però già l’ombra della divisione. A una manifestazione nazionale, convocata a Roma per l’8 novembre dal Forum Palestina, aderiscono per ora il Partito dei comunisti italiani, la Federazione nazionale dei Verdi, la solita galassia di Cobas, antagonisti, collettivi antimperialisti e centri sociali, oltre a singoli esponenti sindacali, di Rifondazione e dei Ds (e il gruppo Socialismo 2000, che fa capo a Cesare Salvi).
    Diversi appuntamenti decentrati, tra l’8 e il 9 novembre, sono invece promossi da un appello di Action for peace (firmato da Cgil, Rifondazione comunista, Associazione per la pace, Arci, disobbedienti).
    “A queste iniziative saranno presenti delegazioni di israeliani contrari al muro”, spiega il responsabile giovani di Rifondazione, Marcello De Palma, che ci tiene molto a rimarcare la differenza con la manifestazione del Forum Palestina.

    “Ogni paese, anche Israele, ha i suoi Tabucchi”, commenta Angelo Pezzana, direttore del sito informazionecorretta.it, “e un paese democratico come Israele può accettare che ci siano suoi intellettuali, come Uri Avnery, solidali con Arafat.
    Ma che alcuni israeliani partecipino alle iniziative contro la barriera difensiva in Israele non le rende più giustificabili e meno ridicole”.

    In Francia, quella delle iniziative contro il “muro” è un’altra delle grane che si trova ad affrontare il comitato organizzatore del Forum sociale europeo, in preparazione per il 12-15 novembre.
    E non accennano a smorzarsi le polemiche provocate, un paio di settimane fa, dall’annuncio della partecipazione al Forum, come oratore ufficiale, di Tariq Ramadan, professore d’Islamologia a Friburgo e a Ginevra.
    In un intervento apparso sul sito del Fse, e in precedenza rifiutato dal Monde e da Libération, Ramadan aveva denunciato la “logica comunitaria” di intellettuali come André Glucksmann, Alain Finkielkraut, Bernard Kouchner, Bernard-Henri Lévy, Alexandre Adler, “in quanto ebrei, nazionalisti e difensori di Israele”.
    Abbastanza perché Ramadan si guadagnasse un’accusa di antisemitismo anche da Sos racisme, che ha minacciato di abbandonare il Forum.
    Due giorni fa, il fondatore dell’associazione, Harlem Désir, ora deputato europeo per il Psf, ha rincarato la dose. “Amici, siete sulla strada sbagliata”, scrive in una lettera aperta agli organizzatori del Fse. A suo avviso, hanno commesso un grande errore invitando un personaggio come Ramadan, che “non ha nulla a che vedere coi Forum nati a Porto Alegre. La carta dei principi del Forum sociale mondiale propugna ‘relazioni egalitarie, solidali e pacifiche tra le persone’. Se ogni idea deve essere gravata di sospetti a causa dell’origine o della religione del suo autore, come affronteremo domani in seno al Forum, con spirito fraterno di ricerca della pace e della giustizia, la questione mediorientale?”.
    Tariq Ramadan ha trovato ieri ospitalità sul Monde e si è difeso sfoggiando quelli che ritiene i suoi abiti più presentabili.
    Giudicate voi: “In Francia non si può parlare di ‘intellettuali ebrei’ senza rischiare, diversamente che negli Stati Uniti, di prestare il fianco a sospetti di antisemitismo… certi intellettuali pro-israeliani, lamentando l’emergere di rivendicazioni pubbliche propalestinesi (a volte con espressioni antisemite), agitano lo spettro della ‘nuova giudeofobia’.
    Hanno ragione, ma rimane il fatto che, a causa di certi loro eccessi, gli ebrei di Francia sono spinti a sviluppare riflessi di paura e ad alimentare in loro sentimenti d’appartenenza prioritaria alla ‘comunità ebraica’”. E conclude con un appello al Forum, perché si rifiuti “di essere la piattaforma dove si esprimono i giudeofobi e gli islamofobi”.
    Proprio lui, più volte intervenuto in forum on line per additare in Israele il peggiore, se non l’unico, esempio di barbarie contemporanea.

    saluti

 

 
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