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    SENATORE di POL
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    Predefinito Le teorie del complotto, i complottismi, le mistificazioni e l'antisemitismo

    Interessante questo articolo di un "cattolico" "ortodosso" di "destra", per certi versi vicino a Blondet, per matrice culturale e ...altro, sulla materia in oggetto...

    " Le teorie del complotto
    di Massimo Introvigne



    1. Distinzioni

    Il fascino e la drammaticità della storia trovano ampio fondamento nella sua imprevedibilità. Progetti preparati per anni possono fallire per il gioco di circostanze impreviste. Incidenti apparentemente insignificanti possono cambiare il corso della storia. Alcuni, sconcertati dalla imprevedibilità della storia, pensano che le cose stiano diversamente e che le carte del gioco storico siano truccate. Vi sarebbero pochi avvenimenti imprevisti, nel senso che molti sembrano imprevisti ai più, ma sono stati attentamente programmati da personaggi che si nascondono dietro le quinte. Proprio perché nascosti, costoro conoscono in anticipo avvenimenti che gli altri non sono in grado di prevedere, quindi riducono al minimo la possibilità di incidenti e di imprevisti. In altre parole: organizzano la storia come un complotto. Ogni volta che le vicende storiche si fanno particolarmente complesse e drammatiche, cresce la popolarità di teorie del complotto che ne riducono la complessità a pochi elementi nascosti e fondamentalmente semplici. Tuttavia non esiste un unico tipo di teoria del complotto. Occorre almeno distinguere fra microcomplotti, complotti metafisici e macrocomplotti.



    2. I microcomplotti

    Pochi storici ormai negherebbero che nella storia vi siano microcomplotti, che - cioè - avvenimenti, i quali fanno irruzione sulla scena della storia con i caratteri del sorprendente o dell'imprevisto, siano in realtà programmati da personaggi, i cui progetti restano sconosciuti alla maggioranza dei contemporanei. Pochi, per esempio, potrebbero sostenere seriamente che la Rivoluzione francese sia davvero esplosa all'improvviso per cause imprevedibili e imponderabili. Storici di scuole e di simpatie diverse ammettono che la Rivoluzione francese è stata preparata da "società di pensiero" - come quelle studiate da Augustin Cochin (1876-1916) - e da altri gruppi di pressione, i cui progetti e le cui attività non erano noti ai contemporanei né prima né durante la Rivoluzione, anche se sono stati parzialmente identificati dopo. Lo stesso si può dire per la Rivoluzione bolscevica, nella cui preparazione è ormai ben nota, per esempio, l'influenza dei servizi segreti tedeschi. I complotti, dunque, esistono, anche se - per ragioni che sarebbe interessante studiare, e che forse rimandano a ulteriori piccoli complotti - i libri scolastici di storia di solito li ignorano del tutto.



    3. I complotti metafisici

    Se i microcomplotti - diretti a un fine specifico, talora di grandissima rilevanza, ma comunque limitato nello spazio e nel tempo e privo del carattere dell'universalità - rientrano nell'ambito degli studi degli storici di professione, e possono essere dimostrati tramite prove empiriche, i complotti metafisici sfuggono invece al lavoro empirico dello storico. Vi è chi - per esempio la Società Teosofica, sulla scia della fondatrice, Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) - sostiene che una Grande Loggia Bianca, composta da "maestri ascesi", guida in modo occulto le vicende dell'umanità; e che, per diametrum, una non meno misteriosa Loggia dei Fratelli Neri coordina le attività di quanti si oppongono al bene degli uomini. Qualunque cosa si pensi della Grande Loggia Bianca e di quella dei Fratelli Neri, è evidente che le loro presunte attività si svolgono su un piano che non è quello dei fatti suscettibili di verifica empirica, e sfuggono quindi totalmente al lavoro degli storici.

    Altri - senza troppe elucubrazioni su logge segrete "bianche" o "nere" - richiamano semplicemente l'attenzione sul fatto - ovvio per un cristiano - che Dio guida la storia tramite la Provvidenza - sia pure attraverso percorsi misteriosi, che spesso sfuggono alla comprensione umana - e che anche il Diavolo non agisce nel mondo in modo casuale, ma coordina le molteplici manifestazioni della tentazione attraverso una sorta di antiprovvidenza. E la sua opera non interessa solamente i singoli in quanto singoli, ma anche gruppi umani, e - in questo caso - non obbligatoriamente piccoli. Il cristiano sarà attento a evitare ogni dualismo, e ricorderà che Provvidenza e antiprovvidenza non sono sullo stesso piano: poiché il potere di Dio è illimitato e quello del Diavolo è limitato, l'esito finale dello scontro è già scritto, il che non impedirà a tale lotta di assumere, prima di questo esito, un carattere doloroso e cruento.



    4. I macrocomplotti

    È importante distinguere accuratamente le teorie del complotto metafisico di carattere teologico oppure esoterico da quelle del macrocomplotto. Quando si parla di "complottismo" ormai si fa riferimento quasi esclusivamente a queste ultime teorie. Per le teorie del macrocomplotto, o complottiste, esisterebbe un vero organigramma delle forze del male, che sono all'opera da sempre - o da tempo immemorabile - nella storia e che hanno prodotto, concatenandoli, tutta una serie di avvenimenti: guerre, rivoluzioni, lutti e rovine. Le teorie del macrocomplotto nascono nella letteratura sull'Anticristo e sul suo prossimo avvento che, pur non assente in ambito medioevale, dilaga dopo la Riforma protestante. L'opera del Diavolo nella storia viene riferita a uno scopo preciso, l'avvento dell'Anticristo, per cui operano da sempre forze nascoste. Per alcuni polemisti cattolici l'Anticristo è Martin Lutero (1483-1546), o uno dei sovrani che appoggiano la Riforma; per i polemisti protestanti l'Anticristo è l'imperatore o il Papa. Un secolo dopo per i "vecchi credenti" russi l'Anticristo - nell'ambito di teorie del complotto forse perfino più grandiose - sarà identificato nello zar, autore di una riforma ecclesiastica e liturgica non gradita. A partire dal Settecento una certa forma di pensiero religioso sarà tentata da teorie complottiste a fronte di eventi apparentemente imprevedibili e difficili da spiegare con cause puramente naturali: l'egemonia culturale dell'Illuminismo, la Rivoluzione francese, e più tardi l'esplosione dello spiritismo, la rapida scristianizzazione di numerosi paesi europei, il socialismo e il comunismo. Vengono così costruiti schemi a forma di piramide che vedono fisicamente dietro i dirigenti politici e culturali visibili una classe dirigente invisibile costituita dalle società segrete, fra cui - ma non è la sola - la massoneria. Dietro le società segrete opererebbero società ancora più segrete, apertamente sataniste. Dietro i satanisti opererebbe il Diavolo in persona, la cui azione non si limiterebbe alla modalità della tentazione, ma si manifesterebbe in apparizioni molto esplicite e dirette, in cui il Principe del Male dà istruzioni precise e dettagliate ai propri luogotenenti umani. Solo a un'epoca relativamente tarda, nello schema - da qualche parte fra i massoni e i satanisti - vengono inseriti anche gli ebrei, intendendo questa espressione, almeno fino al secolo XX, in senso non razziale ma religioso, dal momento che i teorici del complotto sono più spesso antigiudaici che antisemiti.

    Sulla scia delle analisi complottiste della Rivoluzione francese, grandi teorie del complotto vengono proposte da alcuni demonologi francesi negli anni 1860 e 1870. Il più grande affresco del complotto universale si ritrova però nelle opere di un mistificatore, Léo Taxil - pseudonimo di Gabriel Jogand, (1854-1907) e del suo collaboratore Charles Hacks, che firma con lo pseudonimo di "Dr. Bataille" il famoso Le Diable au XIXe siècle, edito in due volumi da Delhomme et Briguet, a Parigi-Lione nel 1892-1894 -, che confessa la sua frode nel 1897. Tale confessione farà perdere credibilità al complottismo in genere, che tuttavia sarà talora riproposto - spesso utilizzando le opere del mistificatore francese senza citarlo - nel secolo XX. L'idea che gli ebrei abbiano un ruolo centrale nel grande complotto universale emerge soprattutto dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, che fanno la loro comparsa in Russia nel 1903. Si è potuto dimostrare - qualunque cosa si pensi del loro contenuto e della loro stessa origine - che si tratta, dal punto di vista materiale, di un falso costruito copiando quasi letteralmente un pamphlet antibonapartista dell'avvocato francese Maurice Joly - morto suicida nel 1878 -, pubblicato a Bruxelles nel 1864, e attribuendo semplicemente agli ebrei quanto in esso veniva riferito ai bonapartisti.



    5. Complottismo di destra e di sinistra

    Benché il luogo comune culturale si presenti sul punto pressoché senza incertezze, il complottismo non è certamente una caratteristica esclusiva di ambienti di destra. Un complotto universale di forze reazionarie per ostacolare il progresso, e ultimamente il comunismo, ha fatto spesso la sua comparsa nella letteratura sovietica. In Italia echi di questa letteratura si ritrovano in una pubblicistica antimassonica, che ipotizza un grande complotto - di origini antiche - della massoneria, della mafia, dei servizi segreti statunitensi e della Chiesa cattolica - che avrebbero avuto nel secondo dopoguerra gli stessi referenti, fra cui, per esempio, il sen. Giulio Andreotti - per ostacolare la marcia del progresso e in particolare l'accesso del Partito Comunista Italiano al potere. Anche le teorie relative a un universale "complotto delle sette" oggi, soprattutto in Francia, attribuiscono di frequente a esso una matrice politica "fascista".

    È difficile dimostrare sul piano empirico che le teorie del macrocomplotto non sono vere. Spesso sono suggestive e presentano elementi interessanti. Tuttavia l'onere della prova del macrocomplotto incombe su chi sostiene che esiste, e il fatto che sia impossibile provare che non esiste non è un argomento a favore dei complottisti. Anche se le opere di chi crede al macrocomplotto qualche volta offrono informazioni utili su eventi specifici, in ultima analisi la loro tesi di fondo deve essere considerata inattendibile e tipicamente ideologica, perché semplifica la complessità della storia. Le teorie complottiste sono anche pericolose. Possono designare e offrire alla persecuzione capri espiatori, considerati responsabili di tutti i mali del mondo: le teorie correnti sul presunto "complotto delle sette" vanno precisamente in questo senso. Inoltre, il discredito che facilmente colpisce queste tesi rischia di travolgere - giacché la distinzione fra diversi tipi di complotto non è facile - anche le teorie del complotto metafisico - che meritano certamente maggiore attenzione - e le puntuali denunce di microcomplotti tutt'altro che immaginari. Parlare troppo di macrocomplotti finisce per distogliere l'attenzione dai microcomplotti, dai piccoli complotti all'opera quotidianamente dietro la cronaca e la storia, il cui studio rimane invece indispensabile a chi voglia intendere, al di là delle apparenze, l'inesauribile complessità delle vicende umane.



    --------------------------------------------------------------------------------
    Per approfondire: una storia completa delle teorie del complotto in lingua italiana non esiste, e rare sono anche le opere attendibili in lingua straniera; vedi tuttavia ampie informazioni sulle teorie del complotto, che fanno riferimento all'intervento di gruppi segreti di satanisti, nel mio Indagine sul satanismo. Satanisti e antisatanisti dal Seicento ai nostri giorni, Mondadori, Milano 1994; informazioni sulle teorie e sulla realtà del complotto prima della Rivoluzione francese, in Renzo De Felice (1929-1996), Note e ricerche sugli "Illuminati" e il misticismo rivoluzionario (1789-1800), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1960; in James H. Billington, Con il fuoco nella mente. Le origini della fede rivoluzionaria, trad. it., con un'introduzione di Ernesto Galli della Loggia, il Mulino, Bologna 1986, cap. IV, Le origini occulte dell'organizzazione, pp. 129-186; in Zeffiro Ciuffoletti, Il complotto massonico e la Rivoluzione Francese, con un'Antologia a cura di Luigi Di Stefano, Medicea, Firenze 1989; e in Idem, La retorica del complotto, il Saggiatore, Milano 1993; sui Protocolli dei Savi Anziani di Sion, vedi qualche prima informazione in Sergio Romano, I falsi Protocolli. Il complotto "ebraico" dalla Russia di Nicola II a oggi. Nuova edizione con l'aggiunta di un capitolo sugli "ebrei invisibili" dell'Europa centrorientale, TEA, Milano 1995, che però non tiene sempre conto di ricerche francesi recenti, che rendono "datato" anche lo studio di Norman Cohn, Licenza per un genocidio. I "Protocolli degli Anziani di Sion": storia di un falso, trad. it., Einaudi, Torino 1969; per la prospettiva teologica soggiacente, vedi pure Egon von Petersdorff (1892-1963), Demonologia. Le forze occulte ieri e oggi, trad. it., 2a ed., presentato da me e con una prefazione di don Pietro Cantoni, Leonardo, Milano 1995.
    "

    Shalom!!!

  2. #2
    SENATORE di POL
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    Interessante anche lo stralcio di questa intervesti, reperita in rete sul sito di CaffèEuropa, di David Bidussa ad Antonio Carioti:

    " ... Eppure mi sembra che ci sia una differenza evidente tra l'antigiudaismo religioso, che mira alla conversione degli ebrei, e l'antisemitismo razziale, che persegue il loro annientamento puro e semplice.

    Sono convinto che questa distinzione sia fondata. Per secoli la Chiesa si è limitata a emarginare e ghettizzare gli ebrei, cercando al massimo di convertirli. Ma a un certo punto alcuni settori del mondo cristiano (mi guardo bene dal generalizzare) vivono il rovesciamento della società tradizionale, dopo il 1789, come una sfida all'ordine del mondo, che viene sconvolto per opera delle forze del male. Da qui nasce la teoria del complotto massonico e/o giudaico, che si esprime ad esempio negli scritti dell'abate Augustin Barruel sulla rivoluzione francese e poi nel famoso classico della letteratura antisemita, i "Protocolli dei savi anziani di Sion". Si afferma un'interpretazione cospiratoria della modernità, di natura teologica, che ha grande influenza tra il XIX e il XX secolo, fino a riflettersi in maniera evidente nella mentalità e nel linguaggio hitleriano.

    Però l'ossessione del complotto è presente anche in altre culture politiche. Stalin scopriva di continuo pretese macchinazioni controrivoluzionarie.

    Sì, ma credo che questa dimensione appartenga solo ad alcuni momenti del terrore in Urss, per esempio la fase in cui Stalin, negli ultimi anni della sua vita, era convinto che alcuni "medici assassini" volessero avvelenarlo. Ma in generale il Gulag serve a eliminare gli oppositori o le categorie sociali ritenute ostili al potere sovietico, non a sopprimere un nemico dalle caratteristiche metastoriche.

    Torniamo all'attualità. Che cosa pensa del dibattito sulla "giornata della memoria" da istituire per commemorare l'Olocausto? Da destra si chiede che in quella data vengano ricordate anche le vittime di altri massacri.

    Alcuni pezzi della storia italiana sono stati vissuti attraverso una memoria di parte. E vicende come le foibe in Venezia Giulia non hanno occupato il posto che meritano nella coscienza civile del paese. Sarebbe tuttavia sbagliato vedere nel giorno della memoria il momento in cui si fa la somma dei morti di tutti. In altri paesi c'è stata un'elaborazione pubblica per cui il ricordo delle vittime, immolate anche per ragioni opposte, è diventato motivo di riflessione sul valore universale della vita. Ma in Italia una simile discussione è assente: quando si commemorano dei morti, ciascuno lo fa in nome delle sue ragioni particolari. Questo vale soprattutto per la destra. Alleanza nazionale ha tutto il diritto di chiedere rispetto per i giovani della Rsi, caduti per una causa sbagliata, ma dovrebbe avere il coraggio di fare i conti con quella causa, distaccandosi dalla propria passionalità di appartenenza.

    ......

    Abbiamo parlato prima dei difficili rapporti tra cristianesimo e mondo ebraico. Come giudica l'atteggiamento del Papa su questo terreno?

    Credo che Giovanni Paolo II, chiedendo perdono a Dio per le colpe della Chiesa anche verso gli ebrei, abbia fatto il massimo di apertura possibile per un Pontefice. E ritengo che questa scelta gli sia costata molto. Per mostrarsi all'altezza della sua sfida, il mondo ebraico deve saper cogliere l'occasione per riflettere approfonditamente sulla propria identità. Mi sembra invece un errore pesare le parole di Wojtyla con il bilancino, in modo fiscale, reclamando qualche ulteriore ammissione. Non ha molto senso, per esempio, proseguire la polemica su Pio XII. E' fuori dal mondo pretendere dalla Chiesa la condanna di un Papa. Semmai bisogna chiedere che vengano rese accessibili tutte le fonti archivistiche riguardanti la politica del Vaticano durante la guerra.
    "

    Shalom!!!!

  3. #3
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    Predefinito Visto caro Tony?

    Questo è esattamente il proseguimento del 3d "Qual è l'obiettivo del 'progetto per il nuovo secolo'?... " senza ovviamente tutte le argomentazioni che aprivano quel 3d, che potrebbero disturbare ed instillare dubbi nelle menti più deboli e meno convinte.

    Shalom.

  4. #4
    SENATORE di POL
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    da www.unacitta.it

    " I PROTOCOLLI DELLO STERMINIO

    I Protocolli di Sion, un falso fabbricato nel pieno della campagna cattolica contro la massoneria, hanno dato vita, per la casualità di essere stati trovati sul comodino della zarina, a uno dei miti fondanti la psicologia di massa della modernità: il complotto ebraico per il dominio del mondo. Senza i Protocolli la Shoah forse non ci sarebbe stata. Due grandi macchine propagandistiche antisemite, quella del Vaticano prima, quella nazista poi. "Perché proprio gli ebrei?", un problema non ancora risolto.

    Pierre-André Taguieff, professore all'istituto di Studi Politici di Parigi. Il libro cui si fa riferimento è Les Protocoles des Sages de Sion. Faux et usages d'un faux. 2 voll., Berg International Editeurs, Paris, 1992.

    Lei si è occupato a lungo dei Protocolli dei Saggi di Sion, il libro forse più pubblicato, dopo la Bibbia, nella storia dell'umanità...
    I Protocolli furono fabbricati a Parigi nel 1897-98, in pieno affare Dreyfus, da un gruppo, metà francese e metà russo, di agenti dell'Okhrana, la polizia segreta dello zar, capeggiati da Pierre Ratchkovsky, un agente segreto dello zar molto abile nella fabbricazione di falsi da addebitare agli esuli russi in Occidente. Non si sa ancora con precisione chi li abbia materialmente scritti; in ogni caso si tratta di più autori: il manoscritto originale francese, che fu visto da qualche testimone, era infatti scritto in più grafie, poi andò perso e chissà se un giorno verrà ritrovato negli archivi russi. Quindi, quello degli autori del testo dei Protocolli resta un problema storiografico non risolto. Nelle mie ricerche, tuttavia, non mi sono occupato tanto della redazione, quanto dell'infinito riciclaggio storico e geografico dei Protocolli. Mi interessava, cioè, sapere come un falso avesse potuto funzionare.
    Devo innanzitutto precisare che il testo dei Protocolli non è che una variante di molti altri testi della medesima forma e fattura che vennero diffusi in tutta Europa a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Ci si dimentica sempre, ed è un particolare molto importante, che fino al 1920 i Protocolli erano stati diffusi solo in russo e che le tirature erano state molto basse: la prima edizione russa contò 3.500 copie, le altre non superarono le 5 mila. I Protocolli divennero un best-seller mondiale fra il 1920 e il 1945, quando furono tradotti in tutte le lingue del mondo, compresi il giapponese e l'arabo. Ancor oggi continuano a essere molto venduti in tutto il mondo arabo-islamico: se si va in un qualsiasi paese arabo, anche nel moderato Egitto; si troveranno edizioni su edizioni di questo testo antisemita, con tanto di piovra che serra il mondo nelle sue spire in copertina. Inoltre, i Protocolli si possono adesso acquistare in Russia e in Polonia all'uscita delle chiese. Quindi, a ben guardare, più che di un best-seller, si tratta di un longseller.
    A cosa deve questo straordinario successo un testo in fondo simile a tanti altri? Direi al puro caso, dove per "caso" intendo ciò che consente l'irruzione nella storia delI'avvenimento, del contingente, di ciò che poteva non essere: "se il naso di Cleopatra fosse stato più lungo... ", insomma. Un'amica aveva regalato alla zarina, la moglie di Nicola II Romanov, una copia dei Protocolli nell'edizione di Serghej Nilus. Nella camera dove la zarina fu assassinata con tutta la sua famiglia furono scoperti questo esemplare dei Protocolli e una croce uncinata inscritta nel vano della finestra. I russi bianchi credettero trattarsi di un messaggio e fecero credere che la zarina presentisse la propria morte. Fra i suoi uccisori c'erano degli ebrei, ossia dei "giudeobolscevichi", e poiché i Protocolli trattano dei metodi utilizzati dai giudeomassoni per prendere il potere mondiale attraverso omicidi, manipolazioni dell'opinione pubblica, indottrinamento scolastico, crisi economiche e rivoluzioni sanguinose, moltissime persone hanno creduto alla veridicità del libro. Lo stesso Churchill, fino al 1920/21, fu persuaso che il complotto giudeobolscevico per il dominio del mondo avesse ottenuto il proprio scopo mediante la rivoluzione d'ottobre.
    Quindi, la carriera internazionale dei Protocolli comincia all'indomani della rivoluzione russa, poiché furono usati come macchina da guerra antibolscevica. La persuasione di Churchill, come di altri esponenti dell'establishment europeo, fu rafforzata dal lancio che nel 1920 il più autorevole quotidiano al mondo, il Times, fece del testo dei Protocolli presentandolo come la spiegazione di quel che era "veramente avvenuto in Russia", ossia la presa del potere da parte dei giudeobolscevichi. Il Times utilizzava l'immagine del serpente ebreo che avvolge il mondo, e il serpente è Satana che ritorna a Sion attraverso la rivoluzione francese, la rivoluzione bolscevica e il sionismo! L'anno successivo, però, lo stesso Times, con un lungo dossier pubblicato il 16, 17 e 18 luglio 1921, fece piena autocritica riconoscendo che il testo dei Protocolli non era che il plagio di un testo per nulla antisemita, il Dialogo agli inferi fra Machiavelli e Montesquieu di Maurice Joly, pubblicato a Bruxelles nel 1864. Si trattava, quindi, di un falso bello e buono.
    Nel frattempo i Protocolli vennero introdotti in Germania, dove furono tradotti nel 1919, dalla propaganda dei russi bianchi, che si fuse ben presto con la propaganda nazista. Alfred Rosenberg che, essendo di origine baltica, parlava russo e conosceva molta bene gli ambienti antisemiti russi e ucraini, pubblicava nel 1923 il suo libro sui Protocolli. Fino ad allora l'antisemitismo tedesco era stato diverso dall'antisemitismo russo, o meglio polacco e ucraino. Mentre l'antisemitismo ucraino-polacco considerava gli ebrei come il Demonio, quello tedesco era solo nazionalpopulista: seppure qualche teorico dell'antisemitismo operava la demonizzazione degli ebrei, mai vi erano stati appelli allo sterminio, mentre nell'antisemitismo ucraino-polacco c'erano, eccome!, appelli allo sterminio. I1 sogno dello sterminio nasce lì, da lì viene ripreso dal nazismo.
    I nazisti, come ha mostrato Henry Rollin nel suo grande libro sui Protocolli pubblicato nel 1939, e che fu messo all'indice dai nazisti non appena arrivarono a ParigiL'Apocalypse de notre temps, non sono, che degli allievi delle centurie nere, dei russi bianchi che, avendo in mente l'idea dell'Apocalisse, ritenevano di lottare contro Satana, incarnatosi negli ebrei.
    E' possibile riassumere in poche parole il contenuto dei Protocolli?
    Molto spesso c'è un sottotitolo ai Protocolli che recita così: "I1 pericolo ebraico" oppure "Programma ebraico di dominio del mondo". Il testo dei Protocolli si presenta come la minuta, sottratta fortunosamente e così resa pubblica, di una serie di riunioni, tenute non si sa dove né quando, da un gruppo di saggi di Sion, di principi di Giudea, ossia di capi segreti del popolo ebraico, nelle quali viene presentato un dettagliato piano di conquista del mondo da parte delle élites ebraiche. Questo è molto importante: nel complotto sono coinvolti solo i Grandi Ebrei, ossia i giudeomassoni, i giudeoplutocrati, i giudeocapitalisti... Insomma, è 1'élite del popolo ebreo che complotta, non il popolo ebreo nel suo insieme. Quindi, non si può dire che i Protocolli siano un testo di tipo razzista, perché per un razzista c'è continuità dall'ebreo più modesto a quello più potente, mentre i Protocolli denunciano le cattive élites che ingannano il popolo, anche il proprio. E' più sottile di quanto si creda.
    I1 secondo aspetto importante è che i Protocolli come tali, nel loro senso letterale, denunciano l'impresa dei saggi di Sion come un'operazione di distruzione della cristianità, della civiltà cristiana. Questo è un punto estremamente importante perché mostra le origini cattoliche, e poi ortodosse, del testo dei Protocolli. Tutta la rappresentazione che viene fatta del complotto mondiale ebraico preesisteva nella letteratura cattolica del XIX secolo. Come testimonia il primo falso di questo genere, la famosa lettera del sedicente capitano Simonini, che sarebbe stata inviata nel 1806 all'abate Barruel, in realtà scritta da quest'ultimo, ripubblicata nel corso di tutto il XIX secolo, la denuncia della setta giudaica come setta dominante tutte le altre sette massoniche e liberali era una rappresentazione molto corrente nell'Ottocento.
    Un terzo aspetto è la denuncia della modernità economica, politica e massmediatica, e aggiungerei anche educativa, come prodotto di un complotto. La modernità è fabbricata dalla volontà maligna di cospiratori che vogliono sostituire alla vecchia civiltà cristiana una pseudociviltà materialista, gioiosa, edonista, dominata da capitalismo, rivoluzioni, socialismo, scientismo... Il quarto punto è l'elencazione precisa degli strumenti di dominio: in primo luogo l'indottrinamento scolastico. La critica all'indottrinamento scolastico materialista e positivista era molto diffusa anche al di fuori degli ambienti cattolici, che ritenevano l'insegnamento laico un insegnamento in sé distruttore. In secondo luogo i giornali. Anche in questo caso i Protocolli non fanno che riprendere un fondo comune ad autori estremamente differenti: in Balzac, per esempio, si trova una descrizione molto negativa del mondo della stampa. Negli spregiatori della modernità questa viene da sempre illustrata come il regno dei giornali, delle notizie, delle dicerie, i giornalisti sono percepiti come dei declassati. In terzo luogo la scienza materialista, che vuol sopraffare tutte le altre forme di conoscenza, in particolar modo quella religiosa. Infine, le rivoluzioni, che sono lo strumento per radicalizzare sempre più la modernità: ogni rivoluzione persegue il sogno di prolungarsi all'infinito, di riprodursi, diversificarsi. Le rivoluzioni sono di per sé insaziabili.
    In breve, i Protocolli raccolgono l'eredità di tutta una storiografia di tipo pessimista sul funzionamento della civiltà moderna. Ecco perché certi esponenti dell'intellighenzia europea furono colpiti da questo testo. Ho già citato Churchill, ma ce ne furono altri come Henry Ford, fondatore della Ford, che per sette-otto anni fu un grande diffusore dei Protocolli negli Usa, mettendo la sua fortuna al servizio della dimostrazione della loro veridicità. Accettò, poi, di interrompere la propaganda antisemita non perché si fosse convinto che il mito del complotto mondiale ebraico fosse falso, ma perché la comunità ebraica americana lanciò una campagna di boicottaggio nei confronti dei suoi prodotti. Il caso di Ford è interessante perché Hitler lo ammirava: nel suo ufficio c'era, infatti, la traduzione tedesca del suo libro, L'ebreo internazionale, che nel 1920 venne pubblicato sotto forma di feuilleton sul giornale di Henry Ford, tirato in circa 400 mila copie, in ogni numero del quale c'erano rivelazioni sulle malefatte degli ebrei. Oggi, guarda caso, il libro di Ford è ripubblicato nel mondo islamico. Ford era un rappresentante del populismo agrario americano, un movimento di piccoli contadini delI'Ovest molto critico verso lo Stato centrale, verso ogni forma di centralizzazione, verso le città, le metropoli, gli intellettuali, gli stranieri. Anche se aveva fatto fortuna producendo automobili, Ford conservava quella sorta di mitologia antimoderna.
    A differenza del populismo russo, il populismo americano marciò sulla teoria del complotto, si trattava, però, del complotto delle élites urbane contro i contadini che lavorano con le proprie mani, che hanno un rapporto con la terra. Insomma, un complotto degli sradicati contro i radicati. Credo che in Ford la struttura mentale di tipo cospirazionista venisse da lì, anche se poi l'ha riformulata in senso antisemita a partire dal 1917-18, perché, e non deve sorprendere, fino a quel momento era stato filosemita!
    L'enorme successo dei Protocolli in pieno XX secolo costituisce un problema storiografico notevole. Come è stato possibile?
    Qui incontriamo il fenomeno che Ernst Cassirer aveva evidenziato nel suo ultimo libro, Il Mito dello Stato, ossia il fenomeno dei miti politici moderni. Come mai in una società senza dubbio secolarizzata, materialista, pragmatica, basata sulla psicologia degli interessi, sull'ottimizzazione dei risultati, insomma in una società totalmente immanentizzata nascono e rinascono miti politici del tutto nuovi?
    Il mito politico dell'ebreo internazionale che mira a dominare il mondo è un mito moderno. Nel Medio Evo esisteva, certo, una demonizzazione dell'ebreo in quanto autore di complotti, ma questi avevano sempre un carattere locale. E' in una città, solo in quella determinata città, che si verifica un pogrom per punire gli ebrei che vi abitano, perché "hanno celebrato un sacrificio rituale, sgozzando un bambino cristiano per fare il pane azzimo per la Pasqua ebraica" oppure perché "hanno avvelenato un pozzo" o "hanno introdotto la peste". Nessun antisemita del Medio Evo poteva pensare a un complotto degli ebrei per il dominio del mondo. Questa è un'invenzione successiva alla rivoluzione francese, un'invenzione, secondo me, di ambienti tradizionalisti cattolici.
    Credo, infatti, che ad aver preparato il terreno alla diffusione dei Protocolli, benche questi siano stati redatti in Francia, sia stato il Vaticano. A partire dalla metà del secolo scorso viene prodotta da sacerdoti, prelati, vescovi, tutta una serie di testi nei quali si denuncia il complotto giudeomassonico. Complotto che viene rilanciato dal Vaticano alla fine del XIX secolo, quando ritenne che la propaganda antimassonica dovesse includere il più virulento antisemitismo, riprendendo l'idea, diffusasi fin dal XVIII secolo, che la massoneria costituisse una setta internazionale capeggiata dagli ebrei. In questa visione i saggi di Sion, i Principi di Giudea, dirigono la contro-chiesa universale, la massoneria, che rappresenta il peggior nemico della Chiesa. Dunque, gli ebrei sono i peggiori nemici della Chiesa.
    La mia ipotesi è che, grazie alla potente propaganda ecclesiastica, sia circolato in tutta Europa un dossier che, nei cinquant'anni precedenti la pubblicazione dei Protocolli, ha dato origine agli innumerevoli pamphlet firmati dai prelati di cui parlavo prima. Si tratta di decine e decine di testi pubblicati un po' ovunque, in Germania, in Francia, in Italia, che si assomigliano come gocce d'acqua. E ricordiamoci che, cettamente, i Protocolli furono tradotti in arabo all'inizio degli anni '20, ma lo furono ad opera di arabi cristiani, non di arabi mussulmani: si trattò ancora di una produzione cristiana. Dobbiamo arrivare al 1951, non a caso dopo la nascita di Israele, perché un arabo mussulmano traduca i Protocolli.
    Il mito della cospirazione mondiale ebraica che doveva risultare utile alla Chiesa Cattolica, le è però scappato di mano. Ecco il paradosso: la Chiesa Cattolica ha fabbricato un mito che diventerà alla fine una macchina da guerra antibolscevica e non più antimassonica. Servì per tutt'altri scopi che per quelli per i quali era stato fabbricato. A partire dal 1919-20 i Protocolli hanno costituito una vera e propria prelegittimazione dello sterminio degli ebrei. Si è trattato in definitiva della creazione di un mito che ha spianato la strada alla Shoah, svolgendo una funzione di legittimazione, di preparazione psicologica alla messa a morte del "nemico assoluto". Con un nemico assoluto non si può transigere, non si può negoziare: non si ha scelta, non si può che distruggerlo. C'è questa frase di Paul de Lagarde, citata dal teorico nazista Alfred Rosenberg: "Non si discute con i bacilli, li si stermina". Un nemico che sia pensato come un demone o come un bacillo, patologizzato come una malattia virale portatrice di possibile contaminazione, demonizzato come una sotto-umanità negativa o demoniaca, è votato allo sterminio. Non si discute né con i demoni né con i bacilli.
    Ma dal dire al fare...
    Si conosce ancora molto poco sui rapporti esistenti tra una messa in condizione di fare, attraverso un'azione di propaganda, e il passaggio all'atto. Il problema è lì. Ci sono molte mediazioni. Non bisogna pensare che dalla fabbricazione di un testo a un genocidio ci sia una linea continua. Ci sono mediazioni, fenomeni aleatori, contingenti, che avrebbero potuto anche non esserci. Ci voleva, per esempio, un uomo come Hitler, che era al tempo stesso un grande demagogo -uno dei più grandi demagoghi della modernità- e, insieme, un vero e proprio posseduto. Da un lato, Hitler praticava quello che chiamerei "I'antisemitismo strumentale", utilizzandolo per fini razionali, per la conquista del potere, ma, d'altra parte, ci credeva veramente. Vi sono persone che sono antisemite solo strumentalmente, senza crederci; ce ne sono altre che sono dei veri e propri posseduti, senza essere dei demagoghi. Lui era entrambe le cose, un poseduto e un demagogo, al pari di Goebbels, di Himmler... Erano personaggi che allo stesso tempo utilizzavano il mito e credevano al mito. Lo utilizzavano cinicamente, ma ci credevano. Il fatto di utilizzarlo li rafforzava nella loro fede; c'era una specie di azione circolare che ne rafforzava la fede. Più attaccavano gli ebrei e più credevano che fossero pericolosi. Più uccidevano gli ebrei e più credevano di aver ragione nello sterminarli. Quindi, occorreva un Hitler affinché i Protocolli acquistassero questo valore di evidenza e veracità. Occorreva che uno Stato potente come la Germania si facesse carico di questa propaganda. Nella primavera del 1933, poco dopo I'ascesa di Hitler al potere, Goebbels, ministro della Propaganda, creò il famoso Servizio Mondiale, WeltDienst, che fu il vero e proprio centro della propaganda antisemita mondiale, diffondendo testi antisemiti nel mondo intero in tutte le lingue. Se non ci fosse stato questa potente propaganda organizzata dal regime hitleriano, credo che i Protocolli sarebbero stati diffusi in modo molto più artigianale, meno sistematico: non sarebbero diventati una macchina omicida. Sicuramente ci sarebbero stàti dei pogrom, come c'erano sempre stati dafla fine del Medio Evo in poi, ma non ci sarebbero stati campi di sterminio creati da Stati.
    In breve, non ci sarebbe stato il genocidio.
    Il complotto descritto nei Protocolli è quello di un'élite giudeomassonica. Come si spiega allora che l'odio scatenato dagli stessi Protocolli vada a colpire gli ebrei nel loro insieme?
    C'è sempre una distorsione fra il contenuto letterale di un testo e i modi di utilizzazione, le mobilitazioni sociali, violente, fatte in nome di quel medesimo testo. Non c'è alcun dubbio che il mito del complotto mondiale ebraico sia servito massicciamente a giustificare l'idea di uno sterminio totale degli ebrei in Europa, idea che, d'altra parte, si fa avanti lentamente nelle menti di Hitler, Himmler e Goebbels. Non dobbiamo credere che la storia abbia un percorso perfettamente lineare. Prediligo, cioè, un'interpretazione funzionalista della Shoah piuttosto che una intenzionalista, credo più alla forza d'inerzia dell'ingranaggio messo in moto dai nazisti che a un programma ben definito da Hitler fin dall'inizio. Riconosco l'intenzione di Hitler, ma non si può dire che la Shoah fosse presente nella sua mente fin dal 1920, è falso. Non sapevano con quali mezzi, non sapevano come, ma direi che fino al 1940 l'idea dominante nei capi nazisti era quella di procedere a una specie di pulizia etnica dell'Europa spedendo tutti gli ebrei in Madagascar, in Palestina o in qualche contrada isolata dove potessero essere sorvegliati. Erano animati dall'idea dell'espulsione più che da quella dello sterminio. D'altra parte, di fronte alle minoranze non si conoscono che quattro modi di agire politicamente: la conversione o assimilazione, a seconda che la prospettiva sia religiosa o politica; la segregazione, con la conseguente formazione di ghetti; I'espulsione e lo sterminio. Il razzismo impediva ai nazisti la prima soluzione, perché esso presuppone che ci siano degli inconvertibili e degli inassimilabili; la segregazione non era compatibile con la logica nazionalista che agogna all'omogeneizzazione del territorio e del popolo e quindi detesta ogni énclave; non rèstavano, quindi, che l'espulsione e lo sterminio. E direi che non si può gerarchizzare fra l'una e l'altra, perché anche l'espulsione, cioè la pulizia etnica, è un metodo violento, autoritario e totalitario. Se con lo sterrninio si distruggono le vite, con l'espulsione si distruggono le anime, le ragioni di vita: la gente espulsa si suicida.
    Le faccio l'esempio di Chamberlain, che, all'inizio de I1 fondamento del XlX secolo, afferma di non voler minimamente nuocere al più piccolo ebreo. Alla lettera, quindi, non era antisemita, eppure tutto il suo libro non fa che denunciare il popolo ebreo come di troppo in Europa. E ogni volta che si fabbrica una categoria di uomini di troppo, di gruppi umani che sono di troppo, che non sono al loro posto, che macchiano, perché non fanno parte di un ordine, ma sono percepiti come elementi di disordine, dal momento in cui si categorizza un gruppo come impuro, lo si designa sia all'espulsione che allo sterminio. Un giorno o l'altro questo avverrà. Credo che ci sia una responsabilità dei teorici, in questo caso dei teorici classici dell'arianismo, delI'antisemitismo, della quale, però, loro stessi non erano consapevoli. Ma non bisogna fare il processo sommario a Chamberlain. Lui credeva di avere per le mani la chiave della storia del mondo prendendo qualche idea da Darwin, da Gobineau, da Galton. Era nel contempo un razzista biologico e un razzista culturale, perché dava più importanza alla mentalità: diceva che si può avere un corpo da ebreo ma una mentalità da ariano, così come un corpo di apparenza ariana e un'anima giudaizzata. Per lui, la razza era una categoria molto più psicologica che biologica; non si poteva definire un ebreo se non attraverso l'intuizione psicologica, il colpo d'occhio: "Un bambino riconosce immediatamente il pericolo, I'estraneità dell'ebreo", diceva. Credo che se Chamberlain avesse immaginato quale uso sarebbe stato fatto delle sue tesi, avrebbe forse moltiplicato le messe in guardia, evitando la stessa diffusione del suo libro perché, in fondo, era una persona relativamente dolce, un wagneriano -tra l'altro era genero di Wagner-, che aveva discusso la sua tesi in scienze naturali con un grande naturalista ebreo. Insomma, niente lo predestinava a diventare quel teorico dell'antisemitismo e dell'arianismo che ricevette Hitler un giorno d'ottobre del 1923, credendo ingenuamente di vedere in lui il salvatore della Germania. C'è una lettera molto bella, commovente e nello stesso tempo scandalosa, che Chamberlain inviò a Hitler dopo il loro incontro, da lui definito "capitale". Chamberlain non poteva parlare, era afasico, paralizzato, Hitler era all'epoca un povero, sconosciuto, agitatore di birreria, disprezzato da tutti. Tuttavia Chamberlain riconosce nel fervore hitleriano qualcosa che percepisce come appartenente al sublime, ma che in effetti apparteneva al demoniaco. In quella lettera si mostra chiaramente l'ingenuità dei dottrinari, I'angelismo degli intellettuali.
    Ma perché, nella storia moderna, il mito del complotto ha trovato un terreno così fertile?
    Intanto bisogna definire, molto classicamente, il mito come un racconto, una grande struttura narrativa. Uno dei grandi racconti della modernità è quello in cui viene proposta un'interpretazione generale della storia umana come diretta verso il peggio, essendo dominata dalle forze del male. Ecco perché, spesso, la teoria del complotto si accompagna a un certo pensiero della decadenza, del declino. Ora, io credo che il mito del complotto ebraico abbia un'importanza fondamentale nella storia della moderna mentalità europea, perché ha strutturato la psicologia politica di massa. La difesa contro la minaccia, anche se solo immaginaria, produce comunque un effetto di consolazione: si sfugge all'angoscia, alla minaccia, agli incubi.
    Vediamo le varie funzioni di questo mito negativo. La prima funzione è esplicativo-narrativa. E' la narrazione di "ciò che è veramente successo", ossia la manipolazione da parte di forze negative, demoniache, delle istanze dirigenti del mondo, il che presuppone l'esistenza di una superpotenza invisibile dietro tutte le potenze visibili. La seconda funzione, conseguente alla prima, è la difesa contro la minaccia: un tale mito spiega che tutte le disgrazie sono causate da un solo colpevole, rivela i segreti più nascosti delle potenze minacciose del male e, quindi, permette di difendersi. In una parola, rivelare i segreti dei nemici è il mezzo più efficace per combattere i nemici segreti. La terza è una funzione di legittimazione dei diversi modi d'attacco, di mobilitazione, di persecuzione del nemico; una funzione di legittimazione dei pogrom, per esempio: una delle prime versioni dei Protocolli viene pubblicata poco dopo il pogrom di Kishinev del 1903, al fine di giustificare quell'immenso massacro che aveva provocato centinaia di morti. E' una funzione di legittimazione degli atti di crudeltà e persecuzione: si spiega perché è stato necessario e giusto perseguitare gli ebrei, ucciderli, umiliarli, procedendo a quella che ancora non si chiamava "pulizia etnica", ma che è sempre esistita, essendo consustanziale a tutte le guerre. La quarta è la funzione mitopolitica di designazione del nemico assoluto. Il mito del complotto mondiale ebraico serve a fabbricare un nemico assoluto, nei confronti del quale tutto è permesso. Evidentemente, si tratta di un metodo di messa a morte, di un metodo di condizionamento mentale in vista di un atto di sterminio che viene presentato come mezzo di autodifesa: "Tutto il mondo cospira contro di noi". In altre parole, il mito del complotto è un mito da combattimento, ha una funzione guerriera, costituisce l'accompagnamento di ogni atto di guerra nella modernità.
    Infine, la quinta è una funzione, in piena epoca di disincanto del mondo, come diceva Max Weber, di re-incantamento del mondo. Può sembrare strario attribuirla al mito del complotto mondiale ebraico, che è un mito negativo; tuttavia, si può avere anche un re-incantamento negativo del mondo, popolandolo di diavoli, di demoni, di esseri invisibili che costituiscono un retro-mondo invisibile dietro il mondo visibile. In tal modo, si reintroduce una dimensione magico-mitica in un mondo disincantato, appiattito, senza trascendenza. Il mito reintroduce una trascendenza, in questo caso negativa e demoniaca, ma poiché credo che gli uomini abbiano bisogno di trascendenza, la trovano dove la incontrano. C'è ùna fascinazione esercitata dal male, che questo mito designa.
    Queste cinque funzioni permettono di fare un po' di chiarezza sulla persistenza del mito del complotto ebraico, malgrado studi eruditi dalla fine del XIX secolo l'avessero smontato ancor prima della pubblicazione dei Protocolli dei Saggi di Sion. Il che mostra molto bene i limiti di una contro-argomentazione strettamente razionale o strettamente scientifica. Così come non si può bloccare una diceria facendo delle messe a punto, ma solamente rilanciando una contro-diceria, non si può lottare contro un mito politico se non rilanciando un contro-mito. Se l'antisemitismo in Europa occidentale non è più apparso come un movimento di massa, se i Protocolli non hanno più potuto circolare dal '45 in poi, ciò è avvenuto perché si è imposto un contro-mito antifascista.
    Eppure, oggi i Protocolli riappaiono...
    Il mito del complotto mondiale ebraico sta operando quella che chiamerei la sua terza internazionalizzazione. Dopo la prima, nel 1919-20, quando furono utilizzati come macchina da guerra contro il bolscevismo, dopo la seconda, nel 1948-49, quando il mondo arabo cominciò a diffondere massicciamente i Protocolli per delegittimare lo Stato di Israele e il sionismo, stiamo vivendo ora la terza internazionalizzazione, dopo la caduta del Muro di Berlino, con l'esplosione di movimenti nazionalisti, etnici, populisti nell'Europa dell'est, che marciano di nuovo sulla teoria del complotto. E' inevitabile, allora, anche se paradossale, che venga utilizzata una teoria del complotto già collaudata e pronta a funzionare, ossia il complotto mondiale ebraico. E' paradossale perché riemerge in paesi, come la Polonia, dove di ebrei ne rimangono poche migliaia. Questa è la prova che il mito del complotto può funzionare, non psicologicamente ma socialmente, anche a vuoto, senza che ci siano materialmente i presunti "complottatori".
    A questo proposito le voglio fare l'esempio del Giappone. Alla fine degli anni '80 un certo numero di testi antisemiti, fra cui i Protocolli e Mein Kampf, sono stati tradotti o ripubblicati in decine, se non centinaia di migliaia di copie. Ora, in Giappone non c'è affatto una presenza ebraica. Il Giappone è relativamente omogeneo nella sua popolazione, gli ebrei non hanno un ruolo particolare nella società giapponese, sono estremamente poco numerosi e, per di più, sono quasi tutti americani. Allora, ci può essere un funzionamento di secondo grado, se così si può dire, o piuttosto un riciclaggio, una ri-contestualizzazione del mito del complotto mondiale ebraico per fini diversi dall'antisemitismo in senso stretto. In Giappone si utilizza quel mito come macchina da guerra antiamericana.
    Non sono gli ebrel a venire presi di mira, ma la potenza americana, I'alta finanza, il capitalismo americani, che si suppongono dominati dagli ebrei. Inoltre -e questo è interessante sul piano dell'analisi psicologica-, questi testi giapponesi, nelle loro introduzioni e prefazioni, affermano che bisogna leggere i libri antisemiti, così corne la Bibbia e i libri ebraici autentici, per comprendere come questo piccolo popolo perseguitato, minoritario, poco numeroso, abbia potuto avere una tale importanza nella storia del mondo, abbia potuto dominare il mondo. In altre parole, non si tratta di essere contro gli ebrei, ma di diventare gli ebrei dell'Oriente. Ecco un utilizzo molto interessante: pura rivalità mimetica, ma senza aggressività. Bisogna conoscere gli ebrei per apprendere i loro metodi e diventare come loro. Prendono il mito come uno stato di fatto: gli ebrei sono il popolo eletto e anche loro lo vogliono diventare.
    Viene da chiedersi: perché gli ebrei?
    La tesi secondo la quale la motivazione dominante dell'antisemitismo in epoca moderna risiede in una specie di rivalità mimetica, nell'odio verso il simile, verso chi è più prossimo, verso un'intollerabile somiglianza, serve solo a descrivere il funzionamento psicologico dell'antisemitismo in rapporto al funzionamento psicologico del razzismo di tipo schiavista: mentre il nero è visto dall'alto, l'ebreo è visto di fronte. Questo è vero, ma non consente di rispondere alla domanda sulle origini, i fattori, che presiedono alla scelta degli ebrei. Questo è anche il caso della teoria del capro espiatorio che, a prima vista, sembra molto convincente. Durkheim, ad esempio, la sosteneva a proposito dell'affare Dreyfus. In base a questa teoria si suppone che la società attraversi una crisi, per cui i principali punti di riferimento scompaiono, e in questo stato di anomia, di sospensione generalizzata delle norme e dei valori stabili, la società ricostruisce il suo ordine, la sua gerarchia designando degli individui come colpevoli affinché siano perseguitati ed espulsi.
    Anche questa teoria, però, si limita a descrivere il meccanismo sociologico che si ritrova tanto nell'antisemitismo, quanto in altri fenomeni di mobilitazione di massa contro qualcosa o qualcuno. In una parola, non risponde alla domanda: perché gli ebrei?
    Credo che su questo problema bisogna essere ragionevoli e relativamente moderati e avere il coraggio di dire che a tutt'oggi non possediamo una vera teoria esplicativa dell'antisemitismo.
    Una risposta storiografica relativamente forte, verso la quale propendo, è quella che insiste sulla modellizzazione cristiana della disposizione antiebraica a partire dalI'XI-XII secolo, epoca in cui i dotti cristiani scoprono il Talmud e in questo trattato di diritto e morale, in questa raccolta della saggezza orale ebraica, leggono affermazioni anticristiane ed etnocentriche -e non si vede perché gli ebrei non dovessero essere etnocentrici come gli altri popoli- molto violente, del tipo: "il migliore dei gojim è quello morto", "non si può mai avere confidenza in un gojim", "non domandare mai a un gojim di custodire i tuoi bambini".
    I cristiani percepiscono, allora, il Talmud come un trattato anticristiano, cosa che il Talmud è in parte, ma non solamente. A partire da quel momento, i cristiani cominciano a dire che il vero tibro degli ebrei non è la Bibbia, ma il Talmud, che gli ebrei non sono più il popolo del Libro, che sono estranei non solo al Nuovo Testamento, ma anche al Vecchio. A quel punto le cose si mettono male per gli ebrei: allo statuto di popolo che deve essere conservato in stato di miseria come testimone della miseria umana perché non ha riconosciuto il Messia, cominciano ad aggiungersi accuse di avvelenamento di pozzi, di complotti locali contro i cristiani, di omicidio rituale. D'altronde è già in corso la caccia alle streghe e gli ebrei vengono percepiti e trattati come stregoni: sono bruciati vivi, condannati, torturati per estorcerne confessioni... Direi, perciò, che l'antisemitismo ha un'origine religiosa cristiana, pur non essendo un'eredità dei primi tempi del cristianesimo, ma una creazione medievale frutto della reazione alla lettura del Talmud. Oltre a ciò, bisogna tener conto della volontà di autosegregazione degli stessi ebrei, attestata in modo esemplare dagli studi di Jacob Katz. La formazione dei ghetti è garantita dai rabbini perché impedisce i matrimoni misti che pregiudicano la discendenza di Israele.
    I rabbini sono contenti che ci siano i ghetti. Si crea, in tal modo, un accordo profondo sull'esistenza dei ghetti fra l'ambiente antisemita circostante,e il rabbinato che mirava a proteggere il proprio popolo da ogni influenza esterna, in modo da evitare tentazioni di ogni tipo, sia verso le donne che verso le culture non ebree, allo scopo di evitare conversioni al cristianesimo.
    Sono ipotesi interessanti, perché spiegherebbero, riferendosi a elementi culturali profondi, essenzialmente religiosi, I'origine della specificità ebraica e del motivo per cui gli ebrei sono stati presi di mira: perché vennero percepiti, nell'insieme, come assassini del Figlio di Dio, e quindi come popolo deicida, ma anche come popolo esclusivista, anticristiano e xenofobo.
    Quando Céline nel suo pamphlet, Bagatelle per un massacro, denuncia il razzismo ebraico, non fa che designare in modo fantasmatico una delle cause dell'antisemitismo moderno. Molti antisemiti, che erano stati antirazzisti, denunciando il razzismo ebraico si immaginavano di essere degli autentici antirazzisti. Oppure, su un versante opposto, altri antisemiti, come Chamberlain, rendevano omaggio al popolo ebreo perché aveva inventato la legge del sangue, perché considerava una degenerazione il matrimonio misto. Ed è vero che ci sono molti passi nella Bibbia nei quali i matrimoni misti sono demonizzati, nei quali i capi delle prime tribù d'Israele ordinano di evitarli sotto pena di morte o di messa al bando. C'è, in effetti, I'odio per la mescolanza. Evidentemente, poi, nella Bibbia non c'è solo xenofobia, c'è anche una xenofilia molto bella che il cristianesimo ha ripreso e diffuso: è nei libri profetici che si ritrova per la prima volta enunciato il comandamento "ama il prossimo tuo come te stesso". Anche se, lo dico fra parentesi, preferisco la formula con la quale Tolstoj, più generosamente, correggeva questo imperativo in "ama il tuo prossimo come lui stesso". Quel "come te stesso" resta autocentrato, gli altri rischiano di dover essere degli altri me stesso, a mia immagine e somiglianza. E quando non sono simili a me? E quando sono lontani? Concludendo: occorre tener conto delle interazioni complesse che ci sono state fra mondo ebraico e mondo cristiano in Europa. Non bisogna supporre, come fa il modello del capro espiatorio, che, a fronte dei carnefici, ci fosse solo un gruppo di vittime passive. C'erano, invece, delle interazioni profonde che hanno permesso all'antisemitismo di costituirsi in modo stabile. Vi era sicuramente una differenza di potenza: il mondo cristiano era molto più forte di quello ebraico. Ma gli ebrei avevano una tradizione, avevano il sentimento dell'elezione, che fu uno straordinario mezzo di sopravvivenza attraverso i secoli e le persecuzioni, avevano un modo di vita ben stabilizzato, avevano un grande Libro. In breve, avevano un'identità.
    "

    Shalom!!!

  5. #5
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    Alla via così. Ma sarà difficile che tu riesca a convincere qualcuno...

  6. #6
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    Ed ecco una sintesi "mirabile" del pensiero "complottista" della pseudo-stroiografia moderna.... da http://cosco-giuseppe.tripod.com/storia/panorami.htm
    I parallelismi evidenti con altri fenomeni pseudo-scientifici, compresa certa "medicina alternativa" con il rovesciamento epistemologico dell'onere della prova, e riflessioni "filosofiche" di contorne, prive di qualsiasi riferimento alla realtà dei fatti concreti, ma solo alla storia immaginifica costruita in secoli di "lettaratura fantasy", anche di buon livello, sono evidenti. Come è evidente il legame fra parte importante del complottismo e antigiudaismo, antisemitismo..... estremismo di destra e di sinsitra...

    " Panorami segreti della storia



    <<Il mondo si divide in tre categorie di persone: un piccolissimo numero che fanno produrre gli avvenimenti; un gruppo un pò più importante che veglia alla loro esecuzione e assiste al loro compimento, e infine una vasta maggioranza che giammai saprà ciò che in realtà è accaduto>>. Così si espresse Nicholas Murray Butler. Giova ricordare chi era questo personaggio. Il Dr. Nicholas Murray Butler è stato presidente dell’Università di Columbia, presidente della Carnegie Endwment for International Peace, membro fondatore, presidente della Pilgrims Society e membro del Council on Foreign Relations (CFR) e capo del British Israel.

    Taluni autori denunciano, sempre con maggiore insistenza, che è in atto una cospirazione superpolitica, "religiosa" o esoterica. I fili della storia, asseriscono questi studiosi, si tirano proprio nelle logge massoniche e nei consigli di amministrazione delle multinazionali e delle grandi banche. La Rivoluzione francese fu una congiura massonica, preparata da "società di pensiero" – uguali a quelle studiate da Augustin Cochin (1876-1916) – e da altri gruppi di pressione. La Rivoluzione bolscevica fu una congiura giudaico-massonica. Diversi storici sono convinti di questo. Il "Times" (10 marzo 1920) confermò il complotto: <<Si può considerare ormai come accettato che la rivoluzione bolscevica del 1917 è stata finanziata e sostenuta principalmente dall’alta finanza ebraica attraverso la Svezia: ciò non è che un aspetto della messa in atto del complotto del 1773>>.

    Estrema importanza assume, sempre al riguardo della rivoluzione russa del febbraio del 1917, il fatto che, non affatto casualmente, il governo fosse costituito principalmente da massoni, tra questi risaltava Kerensky. E’ anche rivelatore il libro "Rossija nakanune revoljucii" di Grigorij Aronson, che fu pubblicato nel 1962 a New York e che riporta delle missive di E. D. Kuskova, moglie del massone Prokopovic, legato da grande amicizia al confratello Kerensky. In una di queste lettere, datata 15 novembre 1955, si legge: <<Avevamo la ‘nostra’ gente dappertutto. (...). Fino a questo momento il segreto di questa organizzazione non è stato mai divulgato, eppure l’organizzazione era enorme. Al tempo della rivoluzione di febbraio tutta la Russia era coperta da una rete di logge>>.

    L’iniziato Jean Marques-Rivière scrisse: <<L’esoterismo, con la sua forza sul piano ideologico, guida il mondo>>. Il lato occulto della storia contemporanea è complesso e, oltremodo, variegato. Insospettabili VIP. del mondo che conta sono affiliati ad oscuri ordini esoterici. L’ex presidente Bush sarebbe stato iniziato, nel 1943, alla sètta "Skull and Bones" (Teschio e Ossa) dell’Università di Yale, fondata nel 1832. George Bush ha diretto anche la Cia. La Skull and Bones assieme a società come il Rhodes Trust, secondo l’autorevole rivista inglese "Economist" (25 dicembre 1992), sono la moderna risorgenza degli "Illuminati di Baviera" di Jean Adam Weisshaupt (1748-1830).

    Anche suo padre Prescott sarebbe stato membro della sètta "Skull and Bones". Di essa farebbero parte le più potenti famiglie degli Stati Uniti (EIR Special report, American Leviathan, pag. 181). Tra queste vale la pena di menzionare <<la famiglia Harriman, della Morgan Guaranty Trust, è Skull and Bones da generazioni. Petrolio: ci sono i Rockefeller, fra gli iniziati. Studi legali di grido. Poltrone alte della Cia…>> (M. Blondet, Gli <<Adelphi>> della Dissoluzione. Strategie culturali del potere iniziatico, Edizioni Ares, Milano 1994, pag. 232).

    E’ anche molto interessante venire a sapere che, secondo quanto scrive lo storico Antony C. Sutton in "America’s Secret Establishment" (liberty House Press. Bilings 1986, pagg. 207 e segg.), la "Skull and Bones" è collegata al movimento New Age e ad essa, asserisce ancora Sutton, non sono estranei aspetti satanisti. Marylin Ferguson nel suo libro "The Aquarian Conspiracy", una vera e propria Bibbia del movimento New Age, mette assieme Huxley con Teilhard de Chardin, Carl Gustav Jung, Maslow, Carl Rogers, Roberto Assagioli, Krishnamurti, ecc. tra i personaggi, che sono da considerare come padri spirituali del New Age. Aldous Huxley e suo fratello Julian, quest’ultimo fu il primo dirigente dell’ U.N.E.S.C.O., erano anche membri di importanti affiliazioni mondialiste, tra queste ricordo l’anglosassone Fabian Society.

    Sui vertici del mondialismo, lo stesso René Guenon, che era un 33° grado del Rito Scozzese Antico Accettato e un 90° del Rito Egiziano di Memphis-Misraim, ebbe ad affermare: <<…ma dietro tutti questi movimenti non potrebbe esserci qualcosa di altrimenti temibile, che forse neanche i loro stessi capi conoscono, e di cui essi a loro volta quindi, non sono che dei semplici strumenti? Noi ci accontenteremo di porre questa domanda senza cercare di risolverla qui>> (cit. da "Il Teosofismo", edizioni Arktos, 1987, vol. II, pag. 297).

    Ritornando alla "Skull and Bones" la sua importanza può essere ben compresa se si riflette che, nel 1917, essa diresse, tra l’altro, quel centro finanziario denominato "120 Brodway", finanziatore del bolscevismo in Russia (EIR Special report, cit., pag. 182) e del nazismo in Germania che, tra l’altro, portò al potere (Ibid., pag. 183). Non ci si meravigli se, a questi livelli, parole come "destra e sinistra" non hanno più significato, più esattamente, non si bada a razze, religioni o ideologie: questi sono solo mezzi da utilizzare per raggiungere il fine ultimo, su scala mondiale, con l’antica strategia del "divide et impera".

    E, a questo punto, non meraviglia venire a conoscenza delle trattative segrete intercorse tra George Bush ed alte personalità del governo dell’Iran, che poi hanno portato allo scandalo dell’Irangate. Gli accordi furono resi possibili da Khomeini e dal suo entourage, comprendente buona parte dei suoi ministri, il capo della polizia, il comandante dell’esercito, il procuratore generale del tribunale islamico, il capo della polizia segreta, ecc., sarebbero stati affiliati alla Grande Loggia dell’Iran, che è sottoposta alla dipendenza della Gran Loggia d’Inghilterra. L’appartenenza alla Grande Loggia dell’Iran delle personalità iraniane citate, è attestata dalla lettera che il segretario della Grande Loggia, Ahmad Aliabadi, ha fatto pervenire al Gran Maestro della Grande Loggia dell’Iran, Sharif Iman il giorno 16 novembre 1975. Il documento è stato pubblicato da "Nuova Solidarietà" (12 marzo 1988, pag. 4), e da "Chiesa Viva" (n. 199, pag. 8).

    E’ poi noto che l’ex presidente George Bush è esponente di rilievo della sinarchia internazionale, figura di spicco del C.F.R, della Trilaterale, della potente Pilgrims Society oltre che della Skull and Bones. E’ anche interessante accennare ad un articolo, firmato M. Dornbierer, apparso, il 29 gennaio 1991, sul giornale messicano "Excelsior" che spiegava lo <<smisurato sionismo>> di Bush documentando la sua origine ebraica secondo quanto indicato nell’Enciclopedia ebraica castigliana. Bush è inoltre un W.A.S.P. (White Anglo-Saxon Protestant), ovvero un americano convinto che la sua origine razziale e le sue convinzioni religiose lo pongano al di sopra degli altri uomini (Epiphanius, Massoneria e sètte segrete: la faccia occulta della storia, Ediz. Ichthys, Roma, pag. 97).

    Scrive Blondet che <<secondo Sutton, lo storico della Skull and Bones, la stessa locuzione ‘Nuovo Ordine Mondiale’ descrive il fine ultimo che gli affiliati alla società segreta di Yale s’impegnano a perseguire... A questo i membri dell’Ordine s’impegnerebbero a giungere attraverso la gestione di conflitti artificialmente generati, come quello tra nazismo e comunismo.... Per Sutton, questa filosofia segreta dell’Ordine rivelerebbe la sua origine tedesca (che Sutton ritiene di poter provare): gli iniziati sarebbero dei tardi seguaci di Hegel, votati a far progredire il mondo attraverso opposizioni, tesi e antitesi, per poi comporle in una sintesi superiore. Si ricordi che anche Karl Marx era hegheliano (benché "di sinistra") e vedeva nel comunismo la sintesi della lotta tra Capitalismo e Proletariato. L’ipotesi, affascinante, può essere superflua. A noi sembra sufficiente evocare uno dei motti, delle insegne della Massoneria, che suona: Ordo ab Chao, l’Ordine (nasce) dal Caos>> (M. Blondet, Complotti. I fili invisibili del mondo. I - Stati Uniti, Gran Bretagna, Il Minotauro, Milano 1995, pagg. 84-85).

    L’idea del "Nuovo Ordine del Mondo" è perseguita con accanimento. Del presidente Bill Clinton, scrive Epiphanius (op. cit., pag. 497): <<la sua educazione l’ha ricevuta nella britannica Oxford, dove venne ammesso nel super elitario ‘Rhodes Group’, una società superiore dell’area del POTERE affine alla ‘Skull and Bones", come scrisse l’’Economist’ inglese nel suo numero del 25 dicembre 1992. L’’Economist’ elencava una decina delle maggiori ‘società d’influenza’ del mondo occidentale rivelando la loro comune derivazione dall’Ordine degli Illuminati di Weisshaupt fondato nel 1776. Clinton appartiene anche al C.F.R., alla Commissione Trilaterale e al Bilderberg…>>. Blondet ci informa che Clinton portò con sé Les Aspin (CFR) che, tra l’altro, firmò la <<Dichiarazione di Interdipendenza", che è, in sostanza, - una mozione del Congresso che nel 1962, proponeva di cancellare dalla Costituzione ogni dichiarazione di sovranità nazionale, in quanto ostacolo all’instaurazione di un ‘Nuovo Ordine Mondiale’>> (Complotti. I fili invisibili del mondo. I, op. cit., pagg. 103-104).

    <<Il Rhodes Group – ci fa sapere ancora Epiphanius, alla nota 145, pag. 497, del suo "Massoneria e sette segrete" (cit.) – nacque nel 1891 per iniziativa di Lord Cecil Rhodes, ricchissimo personaggio legato ai Rothschild, assieme a Lord Milner, Lord Isher, Lord Balfour e un Rothschild, intorno all’idea-guida di organizzare una federazione mondiale di cui U.S.A. e Impero britannico sarebbero stati il centro propulsore. Il mezzo per attuarla consisteva in una selezione elitaria dei quadri protagonisti degli ambienti universitari, politici, finanziari. Attorno a questo nucleo iniziale permeato delle idee mondialiste e socialiste della Fabian Society, sorsero i gruppi della Round Table che a loro volta, nel 1919, diedero vita ai due odierni pilastri del potere mondialista, cioè gli Istituti Affari Internazionali britannico (R.I.I.A.) e americano (C.F.R.). Il Rhodes Group, al pari della Skull and Bones, controlla il C.F.R., (che a sua volta controlla la Trilaterale), il governo-ombra americano il cui comitato direttivo annovera personaggi in grado di gestire bilanci superiori a quello annuale lordo americano>>.

    Ritornando al progetto del Nuovo Ordine Mondiale, già il 17 febbraio del 1950 il banchiere James Warburg, alla Commissione Esteri del Senato, era stato fin troppo chiaro quando aveva affermato: <<Che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale, o col consenso o con la forza>>. Anche con le stragi. Il Palazzo Federale "Alfred P. Murrah" ad Oklahoma, U.S.A., viene fatto saltare in aria da una tremenda esplosione, il 19 aprile del 1995. Le vittime furono 168. Furono sospettate dell’attentato e arrestate tre persone: Timothy McVeigh, Terry Nichols e James Nichols. L’FBI iniziò <<col dichiarare che il meccanismo esplosivo era un’auto-bomba imbottita di 1.000 libbre di esplosivo. Poi era un’auto con 1.400 libbre. In seguito si trattava di un camion con 4.000 libbre. Adesso è un furgone per traslochi con 5.000 libbre di esplosivo>> (Nexus New Time, N. 1, Padova 1995, pag. 14).

    Ted Gunderson, ex dirigente dell’FBI, al contrario di quanto volle far credere il Dipartimento di Giustizia Americano e cioé che si è trattato di <<una singola semplice bomba fertilizzante>>, affermò che: <<la bomba era un congegno elettroidrodinamico a combustibile gassoso (bomba barometrica), che non è possibile sia stata costruita da McVeigh... la bomba utilizzata era un sofisticato congegno A-neutronico, usato dall’esercito americano...>> (Ibid.). Sam Cohen, padre della bomba neutronica, il 28 giugno dello stesso anno, al telegiornale della KFOR-TV, dichiarò: <<Non mi interessa quanto fertilizzante e gasolio hanno usato, non sarebbe mai stato sufficiente. Cariche di demolizione, piazzate sulle colonne chiave, hanno fatto lo sporco lavoro>> (Nexus New Time, N. 2, Padova 1995, pag. 9). Antefatto: non è stato molto pubblicizzato che, <<il 28 marzo 1994, l’Assemblea Legislativa dello Stato dell’Oklaoma passò una risoluzione che colpiva quello che veniva percepito come un programma di governo mondiale. Fu il primo e, forse, il solo Stato ad approvare tale legislazione>> (Ibid., pag. 10). Di seguito riporto alcuni estratti relativi alla decisione dell’Assemblea Legislativa dell’Oklahoma:

    Risoluzione N. 1047:

    Una risoluzione in relazione alle forze militari degli Stati Uniti e alle Nazioni Unite; si presenta una petizione al Congresso affinché cessi determinate attività concernenti le Nazioni Unite...

    Considerato che non c’è appoggio popolare per l’instaurazione di un <<nuovo ordine mondiale>> o di una sovranità mondiale di qualsiasi tipo, sia sotto le Nazioni Unite o sotto qualsivoglia organismo mondiale in qualsiasi forma di governo globale;

    Considerato che un governo globale significherebbe la distruzione della nostra Costituzione e la corruzione dello spirito della Dichiarazione di Indipendenza della nostra libertà e del nostro sistema di vita.

    ...sia deliberato dalla Camera dei Rappresentanti della seconda Sessione della 44ma legislatura dell’Oklaoma:

    Che al Congresso degli Stati Uniti sia con la presente rammentato di:

    (...). Cessare ogni supporto per l’instaurazione di un <<nuovo ordine mondiale>> o qualsiasi altra forma di governo globale.

    Che al Congresso degli Stati Uniti è, con la presente, rammentato di astenersi dal prendere qualsiasi ulteriore iniziativa verso la fusione economica o politica degli Stati Uniti in un organismo mondiale o qualsiasi altra forma di governo mondiale. (Fonte: Newsgroup alt. conspiracy, via Pegasus computer networks, Australia). (Ibid.).

    Cosa dire di questi fatti? Quale oligarchia misteriosa dirige, in segreto, i vari governi delle nazioni? Lascio al lettore il compito di arrivare a delle conclusioni. Alla luce di certi accadimenti i governi, la politica e gli stessi politici assumono contorni sbiaditi, sfumati. Misteri che travasano nella storia altri misteri. Pochissimi, forse, sanno che <<Il fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione in Russia, col movimento dei ‘Cento Neri’, completo già all’inizio del ‘900 nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo feroce, i neri stendardi col teschio>> (M. Blondet, Complotti. I fili invisibili del mondo. II - Europa, Russia, Il Minotauro, Milano 1996, pag. 83).

    Chi tira i fili della storia? Ricercare certe dinamiche è cosa ardua specie quando riguarda la sfera politica e ciò che sembra del tutto casuale, in molti casi, è stato attentamente preparato. Franklin Delano Roosvelt, presidente americano e 33° del Rito Scozzese, nonché appartenente alla Pilgrim Society e al C.F.R., il governo-ombra americano, affermò: <<In politica nulla accade a caso. Ogni qualvolta sopravviene un avvenimento si può star certi che esso era stato previsto per svolgersi in quel modo>>. Una oscura oligarchia sembrerebbe tirare le fila di burattani, solo apparentemente, alla ribalta della scena politica. Aveva ragione Benjiamin Disraeli, statista inglese del secolo scorso, quando disse: <<Il mondo è governato da personaggi ben diversi da quelli creduti da coloro i quali non sanno guardare dietro le quinte>>. Neppure i partiti contano poi molto. Essi stessi sono a loro volta manovrati, usati, in relazione a degli scopi precisi.

    René Guenon ci informa, nel suo articolo "Réflexions à popos du pouvoir occulte" pubblicato, con lo pseudonimo di Le Sphinx, sul numero dell’11 giugno 1914, pag. 277, della rivista cattolica "France Antimaconnique", che <<Un ‘potere occulto’ di ordine politico e finanziario non dovrà essere confuso con un ‘potere occulto’ di ordine puramente iniziatico… Un altro punto da tenere presente è che i Superiori Incogniti, di qualunque ordine siano e qualunque sia il campo in cui vogliono agire, non cercano mai di creare dei ‘movimenti’ (…). Essi creano solo degli stati d’animo (état d’esprit), ciò che è molto più efficace, ma, forse, un poco meno alla portata di chiunque. E’ incontestabile che la mentalità degli individui e delle collettività può essere modificata da un insieme sistematico di suggestioni appropriate; in fondo, l’educazione stessa non è altro che questo, e non c’è qui nessun ‘occultismo’ (…). Uno stato d’animo determinato richiede, per stabilirsi, condizioni favorevoli, e occorre o approfittare di queste condizioni se esistono, o provocarne la realizzazione>>.

    Al riguardo dei movimenti rivoluzionari sempre il Guénon, nel suo libro L’Esoterismo di Dante (Ediz, Atanòr, Roma 1971), spiega: <<...tali movimenti sono talvolta suscitati o guidati, invisibilmente, da potenti organizzazioni iniziatiche, possiamo dire che queste li dominano senza mescolarvisi, in modo da esercitare la loro influenza, egualmente, su ciascuno dei partiti contrari>>. Sul fenomeno del terrorismo delle Brigate Rosse e su quello di estrema destra, il giudice Pietro Calogero, uno dei magistrati che più ha studiato il problema, ammetteva l’esistenza di: <<una rete di collegamenti che si raccoglie intorno a un centro di interesse unitario, che permette ai due terrorismi di procedere insieme nell’assalto dello Stato>>.

    Fantapolitica e tendenza al complottismo? Tutt’altro. Ecco due esempi italiani. Leggete cosa la rivista americana "Eir" scriveva: <<Il 2 aprile 1993... il capogruppo Dc alla Camera, Gerardo Bianco, e il suo collega al Senato, Gabriele De Rosa, presentano un esposto alla procura di Roma, chiedendo di appurare se c’è una cospirazione politica per distruggere l’ordine costituzionale italiano (...). Gli scandali rappresentano un tentativo da parte delle forze Anglo-Americane, segnatamente la Fra Massoneria, di orchestrare una generale destabilizzazione della nazione italiana per distruggere il sistema politico esistente e insediare un nuovo ordine, a loro più gradito>> (Fabio Andriola e Massimo Arcidiacono, L’anno dei complotti, Baldini&Castoldi, Milano 1995, pagg. 25-26).

    Ai cronisti, che chiedevano a Mancino cosa c’è dietro le stragi italiane, lui rispose: <<Non escludo un ruolo della finanza internazionale>> (Ibid., pagg. 16-17). Strategie occulte della secret fraternity bancaria internazionale. David Rockefeller <<credendo di parlare a orecchie fidate, nel ‘91... ha ammesso: 1) che una cospirazione esiste ‘da quaranta anni’; 2) che essa ha lo scopo di instaurare nel segreto ‘un governo mondiale’ e ‘la sovranità nazionale’ dei banchieri; 3) che il nemico dei cospiratori è ‘l’autodeterminazione nazionale’>> (M. Blondet, Complotti. I fili invisibili del mondo. I, op. cit., pagg. 97-98).


    Giuseppe Cosco
    "

    Shalom!!!

  7. #7
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    da www.enel.it

    Il comlottismo, o comunque la dietrologia fantasy ha anche stretti rapporti con il negazionismo olocaustico...

    " La negazione della Shoah

    Valentina Pisanty


    Di tanto in tanto, la stampa ci ragguaglia sulle attività di un gruppo di presunti storici che si sforzano di convincere il mondo che la Shoah sia la "grande impostura del XX secolo". Secondo questi autori, Auschwitz e le camere a gas naziste non sarebbero altro che un'invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, per estorcere ingenti riparazioni di guerra alla Germania sconfitta, allo scopo di finanziare lo stato di Israele. Solitamente ci si riferisce ad essi con l'etichetta di "revisionisti" (appellativo con cui essi stessi amano autodefinirsi), ma la storiografia ufficiale preferisce chiamarli "negazionisti". Il motivo è semplice: mentre ogni storico che si rispetti è revisionista, nel senso che è disposto a rimettere costantemente in gioco le proprie conoscenze acquisite qualora l'evidenza documentaria lo induca a rivedere le sue posizioni, il negazionista è colui che nega l'evidenza storica stessa. Per il negazionista, l'inesistenza delle camere a gas è un dato posto come inconfutabile, a partire dal quale riscrivere radicalmente la storia della seconda guerra mondiale, rifiutando aprioristicamente qualunque documento o testimonianza che attesti l'esistenza dello sterminio.
    Il fenomeno non è nuovo: fin dall'immediato dopoguerra vi furono degli autori isolati (come Maurice Bardèche e Paul Rassinier) che tentarono di riabilitare il nazismo, cancellando quello che - agli occhi della coscienza comune - è il crimine più grave commesso dal regime hitleriano, e cioè lo sterminio programmato di milioni di ebrei nei campi della morte. Ma è solo a partire dalla fine degli anni Settanta che il negazionismo ha cominciato a ricevere un'udienza allargata e a ritagliarsi uno spazio crescente nell'agenda collettiva. Qual è il motivo di questo cambiamento?
    Innanzi tutto, è proprio verso la metà degli anni Settanta che lo sparuto gruppuscolo di negazionisti di tutto il mondo inizia a elaborare nuove strategie comunicative, più efficaci di quelle precedentemente adottate. Mentre gli scritti dei primi negatori della Shoah rivelavano esplicitamente le proprie ascendenze ideologiche (antisioniste), e dunque rientravano agevolmente nella categoria del pamphlet politico, i nuovi negazionisti (con Robert Faurisson in testa) fanno di tutto per conferire alle proprie pubblicazioni un'apparenza di neutralità ideologica e di rigore scientifico. Lo scopo dichiarato da simili autori (che rifiutano l'etichetta di antisemiti) è di ristabilire la Verità storica, indipendentemente da qualunque movente politico ulteriore. A tale scopo, essi prendono in prestito l'apparato retorico tipico delle pubblicazioni accademiche e scientifiche, con tanto di bibliografia, indice analitico, fotografie, riferimenti a documenti e ad atti processuali, ecc.
    A questa maggiore consapevolezza circa la necessità di occultare la propria matrice razzista, si aggiunge una fortunata (per i negazionisti) convergenza delle proprie strategie con un clima di scetticismo generalizzato che permea l'odierno universo delle comunicazioni di massa. In un'epoca di grandi rivisitazioni del passato (oltre che di dietrologia spicciola) come è la nostra, siamo sempre più aperti al fascino dello scandalo epistemico, della notizia-bomba che scuote alla base tutte le nostre certezze. Nessun dato storico è al riparo dalla contestazione, dai viaggi di Marco Polo ai massacri di Pol Pot, fino alla morte di Lady Diana. Si badi bene che, di per sé, la tendenza a dubitare dell'apparenza sensibile e ad assumere un contegno scettico nei confronti dei dati accettati non è nociva (talvolta è semplicemente poco produttiva): tutte le rivoluzioni scientifiche traggono origine dal dubbio circa l'adeguatezza dei modelli cognitivi ufficialmente riconosciuti. L'aberrazione interpretativa interviene solo nel momento in cui lo scetticismo generalizzato viene piegato alle esigenze di un movente ideologico ben preciso.
    Sfruttando il clima di relativismo diffuso, i negazionisti fanno di tutto per gettare dubbi nella mente del lettore sprovveduto circa la realtà dello sterminio. Si osservi, infatti, che il loro obiettivo principale non è tanto di convincere il mondo che la Shoah non sia mai avvenuta, quanto, più modestamente, di creare l'impressione del tutto fittizia che sia in corso un serio dibattito tra due scuole storiche di pari legittimità scientifica: quella "sterminazionista" e quella "revisionista".
    L'operazione del diniego storico è di una facilità sconcertante: si prende una qualunque testimonianza che attesti l'esistenza delle camere a gas, la si isola dal suo contesto immediato, e si va alla ricerca spasmodica di tutte le increspature esegetiche, le minime inesattezze fattuali e le piccole contraddizioni di cui essa è portatrice (quante persone venivano stipate nelle camere a gas? Quanto era alto l'edificio? Che giorno della settimana era quando Himmler visitò il lager di Auschwitz?, ecc.). Quando la testimonianza resiste all'attacco frontale, si inventano delle anomalie che essa non contiene: ad esempio, si può sfruttare un'ambiguità terminologica per fare dire al testo ciò che esso non dice. Il lettore, che solitamente non è sufficientemente informato per rispondere a ciascuna di queste obiezioni locali - e i negazionisti si guardano bene dal fornirgli le indicazioni bibliografiche necessarie per colmare le sue lacune -, viene gettato in uno stato di disorientamento e di paralisi interpretativa. A questo punto, la situazione è matura per sferrare l'attacco finale: attraverso la tecnica dell'insinuazione, si fa intendere al lettore che le "sbavature" appena riscontrate nei documenti non sono casuali, ma fanno capo a una precisa volontà di manipolazione a opera di "certi ambienti del sionismo internazionale". Di lì alla logora teoria della cospirazione giudaica per la conquista del mondo il passo è breve.
    "

    Shalom!!!

  8. #8
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    da www.israele.net

    " Prefazione di
    L'ABBANDONO
    Come l'Occidente ha tradito gli ebrei
    di Fiamma Nirenstein

    Edito da Rizzoli

    ''...Tu dichiari, amico mio, di non odiare gli ebrei, di essere semplicemente 'antisionista'. E io dico, lascia che la verita' risuoni alta dalle montagne, lascia che echeggi attraverso le valli della verde terra di Dio: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei, questa e' la verita' di Dio... Tutti gli uomini di buona volonta' esulternno nel compimento della promessa di Dio, che il suo Popolo sarebbe ritornato nella gioia per ricostruire la terra di cui era stato depredato. Questo e' il sionismo, niente di piu', niente di meno... E che cos'e' l'antisionismo? E' negare al popolo ebraico un diritto fondamentale che rivendichiamo giustamente per la gente dell'Africa e accordiamo senza riserve alle altre nazioni del globo. E' una discriminazione nei confronti degli ebrei per il fatto che sono ebrei, amico mio. In poche parole, e' antisemitismo... Lascia che le mie parole echeggino nel profondo della tua anima: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei, puoi starne certo.''

    MARTIN LUTHER KING, 'Letter to an Anti-Zionist Friend', Saturday Review, XLVII (agosto 1967), ristampata in MARTIN LUTHER KING, This I Believe: Selection from the Writings of Dr. Martin Luther King jr., New York 1971, pp.234-235.


    Scrivo questo libro e raccolgo qui alcuni miei articoli di seguito, perché ho paura di un ritorno dell’antisemitismo. Ho la inedita sensazione che Arafat abbia guadagnato, nel mondo contemporaneo, il potere di aprire e chiudere il rubinetto di questo malvagio torrente che di quando in quando inonda il mondo, che non si dissecca mai e che talvolta semplicemente si inabissa, in attesa di ricomparire. Le alluvioni che si sono succedute hanno avuto forme diverse, che si trattasse del bando dell’impero romano da Gerusalemme e dai pubblici uffici, degli assassinii di massa del 1096 in Germania, del decreto del concilio laterano del 1215, e poi le varie espulsioni, i massacri del 1648 nell’Europa dell’Est, e ancora il moderno antisemitismo del nazismo, la Shoah, gli eccidi comunisti. E’ accaduto sempre a ebrei che sembravano profondamente radicati nella loro realtà, romani, gerusalemitani, tedeschi, polacchi, italiani autentici. Certamente uno studente russo assimilato, legato al movimento dell’Illuminismo modernizzante, nel 1880, non avrebbe mai presentito i pogrom, né un professore ebreo tedesco nel 1938 avrebbe mai previsto di essere buttato in un carro merci per poi essere gassato. Pazzie. L’israeliano, che mai si è fatto tante domande sul suo ebraismo, adesso per la prima volta sente che non è il solo fatto di trovarsi in un conflitto territoriale a essere messo in discussione, ma il suo stesso diritto a esistere. E di conseguenza, il diritto di ogni altro ebreo alla propria identità di ebreo in quanto tale.

    Nella regione di Parigi nell’anno che è appena trascorso si sono compiuti circa 300 attacchi antisemiti; dice il Congresso Mondiale Ebraico che da quando è scoppiata la Seconda Intifada si è avuto il più alto numero di roghi di sinagoghe e centri ebraici, in Europa, dal tempo della Notte dei Cristalli. A Ginevra, i pii stati riuniti in nome della Convenzione che prende il nome da quella città, sacrà alla religone contemporanea, quella dei Diritti dell’Uomo, respinge una proposta di discutere della Cina, e condanna Israele. Nella sua storia, non ha mai condannato come stato neppure la Cambogia, e tantomento uno dei Paesi Arabi che spingono per la risoluzione adottata. Se qualcuno riesce a trovarne un motivo, così come se qualcuno riesce a trovare un motivo per cui l’Europa non metta gli Hezbollah nelle liste delle organizzazioni terrorista su proposta della Francia, che non sia odio antisraeliano, è degno di un premio. Le borghesie intellettuali, le diplomazie, i mondi finanziari e industriali, si pascono, e non più a mezza bocca di frasi impronunciabili: l’ambasciatore francese a Londra in una sala simbolicamente ornata di ogni fregio della borghesia, argenti, belle signore, giornalisti famosi, non si è vergognato di chiamare pubblicamente Israele “quel piccolo paese di merda” aggiungendo che sarà colpa sua se il mondo verrà trascinato in una terza guerra mondiale. La sua ospite, una signora importante nel mondo londinese, amica di politici e giornalisti, ha aggiunto: “Io non posso soffrire gli ebrei, ogni male che gli accade se lo procurano da soli”. E agli ospiti silenziosi: “Su via, come on, anche voi la pensate tutti così”. I giornali di tutto il mondo danno ragione alla dama: la versione antisraeliana di ogni fatto fa i titoli, la realtà è irrilevante rispetto alla manifestazione di scandalo politico antisraeliano, fino alla illogicità totale.
    Quando un raid a Gaza colpisce una caserma vuota dopo attacchi terroristi suicidi che fanno decine di morti ragazzini nel centro di Gerusalemme, se ne mena immenso scandalo; anche l’arresto di gruppi terroristici sulla loro strada verso il compimento di attentati, è vista come una prepotenza intollerabile. Anche quando per “incidenti di lavoro” i terroristi già con la loro cintura saltano per aria, i giornali titolano: “Un mortoi palestinese” e il conteggio degli uccisi ne ascrive la colpa a Israele. LO stesso, se dopo un agguato in cui il guoidatore di un’automobile è ferito mortalmente,quello riesce in extremis a uccidere l’aggressore, il titolo è “Ancora morti in uno scontro a fuoco” e non “Agguato lungo la strada”. Gli ebrei vengono incessantemente diffamati, in questo conflitto, gli amici se sei ebro ti guardano fra l’orrore perché sei un assassino oggettivo, in quanto ontologiamente amico di israele, e la pena, perché non è colpa tua. Sei nato così. Ma non è neppure colpa sua: in Europa, una scuola ebraica in fiamme nella Londra del Nord trova posto sui giornali ebraici locali, e basta.

    La grande presenza islamica in Europa è ormai maggiore di quella ebraica. La demografia è molto favorevole alle nuove immigrazioni, molto sfavorevole agli ebrei sempre in diminuzione. Gli ebrei dopo l’11 di settembre, dopo il sussulto di paura che sempre porta alla ricerca di uno scongiuro immediato, di un capro espiatorio, sono nell’inconscio collettivo europeo un ostacolo a trovare grazia presso un nemico, l’integralismo islamico, che se non avrà la sua vittima da masticare potrà volgere i suoi appetiti verso di noi. Eppure, basterebbe rileggere i vari interventi di Bin Laden negli anni per capire che la Terra Santa d’Israele e della Palestina è un insignificante succedaneo rispetto alla Terra Santa di Arabia occupata per interposta persona dagli americani, che la liberazione della Palestina da Israele è un comma di una liberazione ben più massiccia. In una parola, che Israele è odiata perché è parte dell’Occidente, e non che l’Occidente è odiato perché esiste o aiuta Israele.

    Mai Israele, nel corso delle infinite discussioni sulla sua legalità internazionale era stato messo in forse come oggi: la letteratura e le carte diplomatiche sono fitte di evidenti ammissioni del fatto che gli ebrei sono israeliani dispersi, che sarebbe venuto un giorno in cui sarebbero tornati a casa... Finché è accaduto che ci tornassero proprio in base alla legalità internazionale, quella della risoluzione dell’Onu del novembre 1947. Eppure mai la legalità internazionale è stata riconosciuta a Israele: la comunità mondiale ha sempre dato per scontato che gli si portasse guerra. Difficile immaginare che questo possa accadere per l’Austria, o per l’Olanda. Persino quando è stata portata guerra al Kuwait il mondo si è mosso contro Saddam Hussein. Questo seme di delegittimazione rispetto alla legalità internazionale contiene un dubbio essenziale che riguarda gli ebrei, la loro legittimità di fondo, e oggi il nodo è venuto al pettine. Se l’Occidente non si risolve finalmente ad accogliere nel suo seno Israele senza lasciare che 750 milioni di persone che gli vivono intorno mettano in discussione continua con le armi, le guerre e le parole la sua stessa esistenza, definiscano gli ebrei “figli di scimmie e di maiali” e si lascino dire da Arafat (Clinton non glielo permise) che mai il Monte del Tempio è stato il luogo su cui il re Salomone costruì il Tempio, questa delegittimazione può divenire un disastro generale.

    Non avevo mai avuto questa preoccupazione in tutta la mia vita: mi sembrava obsoleto e perfino un po’ ridicolo il pensare che l’Europa - e persino l’America, sia pure in misura minore, - potesse tornare a nutrire quell’animale, mostrare gli ebrei in caricatura, nudi, col naso adunco e i dollari nelle grinfie, diffondere i Protocolli dei Savi di Sion, accusarli di non essere mai esistiti come nazione, oppure di esistere troppo; di credersi eletti e di farsi sempre vittime; di congiurare, di uccidere, di essere malvagi, di sfruttare gli altri, di non avere legittimazione nella propria identità nazionale. E invece è così.

    “Davide, discolpati”: così si intitolava il 6 luglio 1982 un articolo di Rosellina Balbi, la grande giornalista scomparsa che seppe instaurare alla Repubblica, dove era caposervizio della Cultura, una encomiabile tradizione di dibattito. Agli ebrei, infatti, a seguito dell’invasione del Libano da parte delle truppe di Menahem Begin e di Ariel Sharon, venne chiesto allora un mea culpa, proprio come succede in questi giorni, e ondate di emozione e un duro dibattito accompagnarono questa richiesta. Proprio come oggi, dopo l’intervento di Barbara Spinelli, collega che ho sempre molto ammirato, sulle pagine della Stampa, nostro comune giornale, che chiede a Israele: “... un mea culpa solenne, proclamato dalle comunità della diaspora, ... che ricostruisca una religione non più identificata con l’esaltazione dello Stato coloniale e la superiorità di un popolo… se necessario rinunciando alla cittadinanza automatica concessa a chi discende dagli ebrei”. Nell’82 furono gli intrecci delle vicende libanesi a rendere ancora più bruciante la questione di Israele, della sua essenza, della base etica del diritto degli ebrei a uno Stato e quindi del rapporto fra la diaspora e lo Stato ebraico: la strage di Sabra e Chatila, in cui i cristiani maroniti fecero strage di palestinesi (le reciproche vendette erano incessanti a quel tempo) senza che Israele intervenisse in loro difesa, le fazioni e i leader cristiani e musulmani che si scontravano sanguinosamente e senza fine mentre l’Olp veniva messa in fuga e si andavano organizzando i gruppi degli hezbollah (cominciarono allora gli attacchi suicidi contro gli americani e gli occidenmtali in genere, 250 morti in un sol colpo nella prima grande azione degli hezbollah, inventori del terrorismo suicida) e la Siria conduceva la sua politica di occupazione del Libano che dura a tutt’oggi (mentre Israele si è ritirato un anno e mezzo fa). Sulla scorta dell’opposizione a Israele, nata nell’ambito della guerra fredda, l’attacco della sinistra italiana Israele fu violentissimo. Fu allora che si cominciò a chiedere agli ebrei di dissociarsi da Israele e di chiedere scusa: Davide, discolpati, appunto. Lo Stato ebraico veniva nel frattempo coperto delle accuse più infamanti e soprattutto, similmente a quello che si legge nell’articolo di Barbara Spinelli e in molti altri interventi sulla stampa europea, più rivolte ai fondamenti stessi dell’ebraismo, più escatologiche, e più legate sia alla religione che all’Olocausto.

    Nell’82, chi scrive firmò con 150 ebrei di sinistra italiani l’appello che condannava Israele a nome degli ebrei e proclamava la separazione etica della diaspora da Israele in nome di una diversa interpretazione del significato della religione di Mosè. Di quella firma, sì, oggi mi pento. Allora come adesso Israele suscitava lo “scandalo” di esistere come nazione ed è davvero interessante seguire semplicemente il filo della memoria che le carte ormai ingiallite ci tramandano di quel dibattito per scoprire, come ebbe a scrivere Rosellina Balbi in una seria di articoli, che l’uso di “parole malate” conduce a conclusioni malate. Sandro Viola definì gli israeliani “un popolo malato di violenza”. Un numero di Nuova Società, periodico intellettuale del Pci di Torino, uscì con Begin vestito da nazista in copertina, la stella ebraica trasformata in svastica; cominciava l’equazione sofferenza palestinese eguale Olocausto. Il sindacato marciò il 30 settembre di fronte alla sinagoga di Roma con slogan di odio antisraeliano e antisemita insieme, e depose di fronte alla lapide dei deportati una bara vuota. Luciano Lama tenne un discorso in cui imponeva agli ebrei di dissociarsi da Israele. Il rabbino Toaff protestò invano, poiché di fatto non c’era intellettuale, da Eugenio Scalfari a Baget Bozzo, che ammettesse che nel sentimento antisraeliano vi fosse traccia di antisemitismo. Scalfari lo dichiarò con sicurezza su Repubblica, Baget Bozzo invece scrisse sul Manifesto che la morale ebraica a differenza di quella cristiana era dettata da un Dio violento. Strana affermazione per un teologo. Una posizione non molto lontana da quella odierna che vede nell’ebraismo un’idea di superiorità sfociata in una sorta di imperialismo-colonialismo derivato dal rapporto degli ebrei col Divino. Chi conosce la Torah sa bene che invece l’elezione è né più né meno che un fardello etico terribile, anzi forse è proprio là la radice di quel continuo senso di colpa che di fatto aiuta a chiedere continuamente agli ebrei di discolparsi dalla colpa di esistere. Purtroppo allora la polemica rovente fu marcata dall’attacco terrorista alla sinagoga di Roma il 9 di ottobre: nella mattina di Sheminì Atzeret fu falciato dai palestinesi il bambino Stefano Tachè, un anno, e furono feriti trenta ebrei romani.

    Quali erano le parole malate di cui parla la Balbi quando analizza in tre diversi articoli la tendenza di chi chiede a Davide di discolparsi? Prima di tutto notava la Balbi che è sbagliato chiedere agli ebrei di mettersi in discussione, giacché lo fanno continuamente. E qui denunciava l’orrore della comparazione fra nazisti e israeliani: “Immaginatevi che nel settembre del 39 scendessero in piazza a Berlino centomila persone per manifestare contro l’invasione della Polonia..” inizia l’articolo che descrive appunto la enorme disponibilità di Israele a autocriticarsi, a battersi il petto, come del resto accade in una democrazia viva, in cui solo il 20 per cento della popolazione è religiosa, e di questa una minuscola parte è nazionalista. Ma Rosellina Balbi spiegava ancora: “Si condanna la politica di Begin... da anni dal Libano piovevano missili su Israele, i palestinesi si erano mescolati alla popolazione civile, i palestinesi hanno rifiutato da sempre il diritto di Israele a esistere... come diavolo si può negoziare quando il negoziatore non esiste?”. Parole vivissime dopo l’accordo di Oslo e il ritiro dalle città e dai villaggi che contengono il 98 per cento della popolazione palestinese (sono già in mano a Arafat): come si può continuare a figurarsi che Israele non voglia trattare? Che lo scopo di Israele sia mantenere uno stato di guerra? Che Sharon sia il folle paladino di una politica che non ha radici nel paese che dopo avere sempre guadagnato porzioni di territorio in guerre di difesa, poi le ha sempre restituite in cambio di una falsa pace? Oggi come ieri solo “parole malate” possono suggerire che Israele si opponga ontologicamente a uno Stato palestinese dopo che Arafat ha rifiutato la proposta di Barak e Clinton a Camp David. LO stato palestinese non devev essere irto d’armi contro Israele, si capisce, quando mai si favorisce l’organizzarsi di un nemici devoto alla propria distruzione. E i check poin, orribile limitazione della libertà personale dei palestinesei, non lo si vede che ad ogni diminuzione degli attacchi terroristici, Israele li toglie, li sposta, che li odio e se ne vergogna ma non trova mezzo milògiore per evitare i trenta attacchi al giorno che ha subito in tempo di Intifada, dal settembre del 2000? Non lo si vede, no, perché il meccanismo della demonizzazione è per l’Europa ormai una autentica struttura della psiche, una struttura antisemita. La dichiarazione pubblicata allora da Repubblica e firmata quasi esclusivamente da ebrei diceva: “C’è il bisogno di dissociarsi... di far sapere che non tutti gli ebrei sono cattivi”. “Potranno mai gli sforzi per accettare i fatti” scriveva Ernesto Galli della Loggia nella prefazione al libro di Fausto Cohen sulla storia di Israele che pagò con il suo lavoro di direttore di Paese Sera la scelta di non rinnegare Israele ai tempi della Guerra dei Sei Giorni “riuscire a sbaragliare il pregiudizio?”. Rispondeva, nella sua prefazione a un libro che raccoglie di articoli di Rosellina Balbi, lo storico Loreto di Nucci: “Israele suscita passioni più che ragionamenti, e ciò che entra sempre in discussione alla fine, è il diritto di Israele alla sopravvivenza”. Allora il fisico ebreo romano Giorgio Israel non firmò l’appello degli intellettuali ebrei di sinistra, benché fosse sempre stato anche lui di sinistra e non fosse mai stato del tutto in sintonia con la politica d’Israele. Scrisse a Luciano Lama che Israele non veniva giudicato con i criteri che si applicano agli altri stati . “Si parlerà a ogni evento a tutti gli ebrei magari per dire, come Eugenio Scalfari, che è “un popolo che tradisce sé stesso”, oppure per dire, con infame ipocrisia “ma come, proprio loro che hanno subito tante persecuzioni, ora si comportano così”... E se qualcuno per vendicare l’aggressione di Begin colpirà qualche ebreo riceverà attestati di solidarietà accompagnati dalla riserva della comprensione morale delle motivazioni di chi l’ha colpito”. Non è forse quello che è accaduto adesso a Durban? E non è forse grandemente misterioso il motivo per cui la minuta, quotidiana, infinita sequenza di attentati terroristici che martirizzano Israele, che ne hanno fatto un Paese con migliaia di storpi, cechi, paralizzati o di ragazzi che non avranno mai più una vita psichica normale che consenta loro di costruirsi una famiglia o una carriera, in questi mesi viene considerata, come un aspetto del tutto irrilevante o comunque minore nella disputa israelo-palestinese?

    Penso che se la gente per bene non rifletterà con coraggio e senza cercare stupidi pretesti (del genere: cosa c’entra la critica a Israele con l’antisemitismo? Semmai, chiedetelo a Martin Luther King che diceva: “Chiunque parla contro il sionismo, intende gli ebrei”) su una vulgata antisraeliana divenuta oramai inconsulta e intellettualmente mutilata, si troverà alla fine a utilizzare quotidianamente come un’utensile comune la menzogna antiebraica, si troverà a misurare le conseguenze di una collana di bugie ormai ritenute pura verità e usate da molta gente come senso comune sulla questione mediorientale e sugli ebrei. Se l’Occidente non si sveglia, Israele e gli ebrei rischiano la vita, specie dopo l’11 di settembre.

    Quando ero piccola la mia nonna Rosina Volterra, i cui fratelli Vito e Angiolino erano stati trucidati nel campo di concentramento di Mauthausen, e che aveva attraversato le leggi razziali soffrendo la fame e continui rischi di morte, spostandosi in fuga la notte con due bambine piccole e mio nonno, Giuseppe Lattes, che fu a un certo punto anche catturato e riuscì a fuggire; mia nonna che con il resto della parte italiana della mia famiglia aveva avuto la vita salvata da un prete di campagna e da qualche amico coraggioso, che aveva attraversato Firenze spingendo un carro su cui era buttato un materasso alla ricerca di un nascondiglio, mentre i tedeschi entravano in città… mia nonna Rosina, all’indomani della seconda guerra mondiale, ci prendeva per mano noi bambine, la Fiamma e la Susi, e ballava con noi la Hora nel corridoio. Dove abitavamo, in via Marconi 16 a Firenze, sul muro del corridoio stava appeso un grande arazzo ottocentesco, superstite dei fasti della famiglia Volterra, antiquari prima delle persecuzioni. Rappresentava la regina Esther che salva gli ebrei in Babilonia.
    La Hora ce la cantavamo e ce la ballavamo come veniva, con parole inventate, e nessuna di noi tre sapeva bene cos’era: in realtà è una danza ebraica di ritmo russo-orientale, stile sionista socialista, pionieristica ed eroica, da ballare in tanti e in cerchio, magari intorno a un fuoco o per la festa del raccolto del kibbutz. Era il ballo del miracolo della resurrezione ebraica dopo la Shoah, il miracolo di Israele. Quello che appariva come la sconfitta definitiva dell’antisemitismo veniva festeggiata con la Hora, con la nascita d’Israele. Non poteva esserci altra cura, perché non c’era più casa ebraica inviolata specie nell’Europa del nord e dell’est, non in Polonia né in Ungheria né in Grecia... La nonna non c’era mai stata in Israele, ma quel ballo sotto l’arazzo che rappresentava la regina Esther nell’atto di accusare il persecutore Amman di fronte ad Assuero salvando con la sua bellezza gli ebrei, era una doppia celebrazione di libertà. Hora hora: l’antisemitismo era finito, finite le persecuzioni, finita la strage, tornava la vita; la “porzione quotidiana” di quindicimila vittime ebree di Auschwitz al giorno, come dice A.B.Yeoshua, non aveva portato alla morte del popolo che quattromila anni prima aveva inventato il monoteismo. La Hora in ebraico inventato, da allora mi ha suggerito un messaggio che è qui con me caloroso e protettivo com’era mia nonna, che mi ha insegnato a cucinare e a guardare la bellezza, ma che di sionismo non sapeva nulla, e che non ha mai pensato neppure un momento di lasciare Firenze: la via d’uscita da Auschwitz, per gli ebrei, era la vita non succedanea né moraleggiante, non impaurita, non geniale, non psicanalitica né dodecafonica, non intellettuale, non da Premio Nobel, non da Woody Allen, non complessata, non superiore, non moralmente aristocratica, né populista. La vita strappata dall’antisemitismo assassino era la vita quotidiana, la vita di una Nazione: la via fuori di Auschwitz era Israele. Tante volte ho sofferto nel pensare che Primo Levi forse non ce l'ha fatta a uscirne proprio perché tra le tante strade, quella non l’ha trovata, seguitando a puntare alle stelle.

    Quando celebravamo l’uscita da Auschwitz con la Hora, l’antisemitismo ci appariva, dunque, definitivamente sconfitto. Tutta quella gran bestia che pure aveva scrollato via la civiltà occidentale, e che una volta sconfitta la Germania e l’Italia, una volta obliterata la Francia di Vichy, restava appollaiata in Urss e nei suoi paesi satelliti, restava nascosta nelle pieghe del cristianesimo (fra i cattolici solo fino alla svolta di Giovanni XXIII e poi di Giovanni Paolo II) italiano e mondiale ed era destinata a lasciare tracce in America negli anni 50, in Polonia negli anni 60… Ma per me, era finito: da piccola fui abbracciata del pentimento postfascista, ero la bambina più adorata alle elementari, proprio perché ebrea; la più interessante, la più sensibile. I professori di religione, sacerdoti, mi pregavano di restare in classe anche se ero esonerata dalle lezioni, e ingaggiavano discussioni con questa scolara di sette anni come fossi stata Gesù al Tempio. Io ero fiera, orgogliosa, annunciavo alla classe stupefatta: “Il messia non è mai venuto”. La nonna, al prete di quartiere che veniva con l’acqua benedetta a Pasqua, diceva in una lingua tanto più alta in quanto tesa ad affermare la sua vittoria: “No grazie, noi professiamo un altro culto”. Da ragazza, fui cooptata naturalmente nella sinistra che mi attribuiva intrinseci valori legati alla sconfitta della “Belva nazista” da parte dell’alleanza democratica di cui la Russia era, ai loro occhi, il campione. E io ci cascavo. Non mi veniva in mente da ragazzina di parlare dei processi agli ebrei in Urss, della loro reclusione nei gulag, delle eliminazioni massicce, del palese antisemitismo, in una parola dei regimi comunisti. Negli anni, ho rimosso dalla mia memoria ogni segnale di antisemitismo: quando il mio giornale, allora l’Europeo (che poi comunque mi fece partire), mi chiese di abbandonare l’idea di seguire in Arabia Saudita Andreotti, e all’ambasciata saudita mi chiedevano insistentemente di scrivere “cristiana” sul formulario di richiesta di visto, ciò mi apparve fastidioso, ma normale; quando alla sezione comunista sentivo dire di Umberto Terracini che era un ebreaccio, o un ebreuccio, o semplicemente un ebreo e che quindi le sue opinioni erano sempre ipotecate, mi arrabbiavo quasi pro forma. Ogni “voi ebrei”, capitalisti a volte, a volte comunisti, a volte ricchi, a volte underdog disposti a tutti i servizi, a volte così legati fra di voi, a volte padroni di mezza Roma, a volte di mezzo mondo, e più avanti assassini di palestinesi, e ancora oltre, addirittura epigoni dei nazisti, tutto ciò non mi si componeva in un puzzle noto, storicamente identificabile. Non era pericoloso. Non ho mai avuto voglia di ascoltare il pulsare osceno dell’antisemitismo, tanto meno nella sinistra che era casa mia. Ho inghiottito in un’ostia tante barzellette, tante battute, quando ero una giovane rivoluzionaria nel partito; specie dopo che tornai da Israele nel 1967 all’indomani della guerra dei Sei giorni, il Partito palesemente mi riteneva poco credibile in quanto ebrea; i miei compagni mi sospettavano e richiedevano continue abiure; nei giornali, chi più chi meno, quasi tutti i direttori (quasi!) hanno sempre ritenuto che l’affascinante cultura ebraica che mi permeava fosse sostanzialmente un handicap professionale, o comunque un ostacolo da superare col triplo salto mortale. E io lo facevo. A mia sorella Susanna misero sul tavolo al suo giornale una foto dei bambini di Sabra e Chatila, senza mittente: eppure non capii, considerai questo ignobile gesto come conseguenza di una delle tante discussioni politiche estreme a cui Israele ti costringe sempre. Anche quando mio figlio a scuola è stato un paio di volte insultato dagli altri bambini (sporco ebreo, che altro?), non mi sono scossa. Ho doverosamente protestato, ho pensato che la gente è ignorante. Per me, cinquantenne, l’antisemitismo è stato fino a poco tempo fa una memoria storica, anche quando negli anni della guerra fredda l’accanimento antisraeliano avrebbe dovuto dirmi qualcosa . A dire il vero, sono stata molto consolata dalla visita del Papa in Sinagoga, dal riconoscimento da parte della Chiesa dello Stato d’Israele, dalla visita del Papa a Gerusalemme.

    Mi è piaciuto anche il diffondersi di tanti film sulla Shoah, la costruzione dei Musei dell’Olocausto a Washington o a Berlino. L’ho trovato naturale, parte di un processo educativo che confermava le mie idee progressiste. I fenomeni di revisionismo storico europeo non mi hanno disturbato particolarmente, rileggere la storia, avendola io studiata all’università con particolare attenzione al fascismo e al comunismo, mi è apparso indispensabile con tante binterpretazioni di comodo che se n’erano date; e ancor non oggi credo che le riletture le si possano ritenere responsabili in alcun modo di quello che mi accingo a descrivere come un nuovo grande rischio antisemita. Altra cosa è il negazionismo, poi dilagato nel mondo arabo e ritornato come un boomerang da noi: dire che l’Olocausto non sia mai esistito è degno solo di qualche delinquente come Garaudy e di qualche dittatore che promuove convegni per delegittimare lo stato d’Israele dicendo appunto che la Shoah è un marchingegno inventato dagli israeliani “per guadagnare simpatia e denaro alla costruzione dello Stato d’Israele”. L’idea invece, per esempio, che ci sia un nesso fra la Shoah e lo scontro tedesco con l’Urss, non trovo contenga in sé nessun elemento di diminuzione dell’unicità e dell’importanza dello sterminio degli ebrei; si tratta di un’analisi parziale e non a sfondo etico dell’Olocausto, e ho sempre pensato che anzi, lumeggiasse, per lo meno in maniera primordiale, il nesso fra antisemitismo e totalitarismo. Un nesso che adesso trovo confermato nell’antisemitismo arabo, matrice dell’antisemitismo attuale. I paesi Arabi sono tutti, con svarie sfumature, totalitari,e sei di loro detengono i record delle violazioni dei diritti umani. Tutti vietano l’omosessualità e la puniscono spesso con la pena di morte, tutti hanno la pena di morte nel loro sistema giudiziario. Inoltre, due totalitarismi a confronto generano mostri simmetrici, benché non eguali; anche nella storia del comunismo c’è il seme di stragi inenarrabili (come quella dei kulaki), c’è l’antisemitismo russo misto a quello della guerra fredda (che attribuiva agli ebrei da parte comunista più o meno quello che veniva loro attribuito da parte nazista: egoismo, complottismo, accumulo di ricchezze) e, per grande parte, quello attuale il cui punto centrale è la comparazione degli ebrei ai nazisti e la delegittimazione di Israele.

    Ma tutto ha cominciato a ruzzolare veloce solo qualche tempo fa. Da qualche tempo, infatti, e precisamente da quando il processo di pace è naufragato sul rifiuto palestinese e la nuova Intifada ha preso piede, e poi attraverso le tappe del Convegno dell’Onu sul razzismo a Durban fino alla distruzione delle Twin Towers e del Pentagono, l’11 settembre del 2001, è andata addensandosi in Italia, in Europa e persino negli Usa una grande nebbia proveniente geograficamente dalla parte del mondo islamico, e cronologicamente, dal tempo della guerra fredda.

    Ci è voluto uno shock come quello della conferenza dell’Onu tenuta nel settembre 2001 a Durban, intitolata ironicamente alla lotta al razzismo, perché io capissi che l’antisemitismo stava diventando una funzione di quella che un tempo era l’egemonia della sinistra, e che oggi invece è la grande chiazza culturale delle Ngo, o Ong, le organizzazioni non governative, la Società Civile, il movimento No Global, la vasta mappa dei Paesi poveri ex non allineati e di parecchi fra quelli che invece erano allineati con l’Urss. I vari gruppi etnici o sociali - persino i Maya guidati da Rigoberta Menchú, o i poveri Deli, gli intoccabili indiani - che erano venuti a presentare la loro causa si sono trovati sussunti a quella palestinese, tutti inverosimilmente contro Israele, guidati da gente come Fidel Castro o dal dittatore dello Zimbabwe Mugabe. Egemonizzati (e se ne lamentavano assai con la cronista, intrappolati sotto il bandierone dei diritti umani di cui si erano impossessati i palestinesi) dai delegati arabi, dagli attivisti disseminati per tutte le commissioni, tutti hanno pagato il loro tributo verbale alla inenarrabile crudeltà degli ebrei, alle “atrocità” da loro commesse, alla delegittimazione della presenza ebraica in Medio Oriente. Cosa mai vista prima, la nascita stessa dello stato d’Israele era diventata una specie di bizzarra, viziata, immotivata ultima espressione del cancro dell’imperialismo e del colonialismo. La violazione dei diritti umani è diventata a Durban la bandiera moderna di gruppi che distribuivano tranquillamente i Protocolli dei Savi di Sion e porgevano volantini nudi nel loro palese antisemitismo: Israele, gli ebrei, il sionismo, vi apparivano come un errore storico e morale, o peggio, come un grandissimo ostacolo sulla via del buono e del bello. E il mondo intero osservava il diffondersi di caricature di ebrei con Stella di david, sacchetto di dollari, naso adunco, giorno dopo giorno guardavano l’escalation di calunnie, gesti (anche botte) e parole di odio assassino, e nessuno, fuorché gli Stati Uniti che di fronte a tanto orrore se ne sono andati, diceva una parola. Anzi: ogni applauso nelle assemblee delle Ong, e poi nella riunione plenaria dell’Onu era tanto più entusiasta quanto più le parole malate contro Israele erano dure. Persino Kofi Annan ha paragonato le sofferenze dei palestinesi con quelle degli ebrei durante l’Olocausto, una trivialità inventata dalla Russia sovietica ai tempi della guerra fredda e poi sempre coralmente ripresa per curarsi dai sensi di colpa e anche per curare la delusione della sinistra che Israele non abbia realizzato al suo posto il socialismo in bella calligrafia. I migliori applausi terzomondisti, antimperialisti, in nome di tutto ciò che è buono contro tutto quello che è cattivo si levavano soprattutto quando le parole “Israele” e “ebrei” venivano pronunciate in un fiato con le “sofferenze dei palestinesi” e “occupazione”. E qui non c’entrano le pietre e gli alberi del West Bank, o di Gaza, prova ne sia che nessuno ricordava, nessuno ricorda mai che dai primi passi del processo di pace la popolazione palestinese è passata per il 98 per cento sotto la giurisdizione totale di Arafat fra il 93 e il 95, e che Israele ha proposto nell’estate 2000 il suo proprio sgombero in cambio della sicurezza per più del 95 per cento dei territori. L’occupazione ormai è diventata un altro attributo della condizione ebraica: gli ebrei occupano. Ciò implica come primo punto che non sono dove dovrebbero essere, e del resto non ci so0no mai stati. Come secondo punto, che violano il massimo patto della civiltà occidentale moderna: il rispetto dei diritti umani. A niente vale che a ogni popolo sia stato consentito nella storia di crearsi una patria nella propria terra d’origine, e che gli ebrei secondo ogni e qualsiasi lettura storica e letteraria da Israele provengano, e qua siano tornati dopo avere aspirato sempre a questo passo; a nulla vale che l’Onu con una solenne risoluzione votata a maggioranza assoluta abbia stabilito nel 1947 una partizione territoriale che teneva conto dei diritti di ciascuno, che gli ebrei accettarono di buon grado e invece il mondo arabo sputò inponendo ai palestinesi di andarsene pòer frar posto agli eserciti che attaccarono il neonato Stato d’Israele. A nulla vale neppure la percezione del senso comune che vede un pugno di milioni di persone che non avrebbero altro luogo in cui vivere continuamente attaccati con sei guerre, il cui schema si ripete anche in quest’ultimo gran rifiuto di Arafat a Camp David…o che gli ebrei abbiano fatto il meglio possibile di quel pezzo piccolo di terra, che lo abbiano fatto fiorire e produrre. Soprattutto, che Israele sia l’unica democrazia dell’area. E ciò che fa ancora più specie, che non importi nulla a nessuno che si tratti di un Paese, che sulla faglia di un conflitto fra culture, è rimasta una società colta, pluralista, anticonformista, ipercritica, benché sottoposta a un martirizzante e continuo attacco terroristico. E il terrore, quello davvero, è la violazione ultimativa dei diritti umani, poiché il cittadino se lo trova come uno sbarramento di fronte a qualsiasi attività civile, dal fare la spesa a andare al lavoro all’andare al concerto.

    Come un cancro l’idea della delegittimazione degli ebrei a vivere nel loro Paese ha generato l’idea che questi ebrei siano dei veri e propri troublemaker, si è propagata alla stampa internazionale, alla politica europea, ai pensieri della gente della strada quando si parla di Israele e degli ebrei che tengono per la patria, e necessariamente si è collegata alla stessa idea della necessità dell’esistenza degli ebrei: che ci stanno a fare? Che vogliono? Perché non la smettono di rompere le scatole? La loro vita è intrusiva, inutile, non ci porta che danni.

    Quando l’11 settembre 2001 si è sentito dire a mezza bocca e poi più apertamente che l’America aveva subito l’attacco dell’integralismo islamico perché sostiene Israele (nonostante fosse evidente, specie a chi conosce un po’ la storiua dell’integralismo islamico, che Israele è uno degli ultimi pensieri di Bin Laden, per cui al contrario lo Stato ebraico è un epigono degli Usa); o quando Bashar di Siria (un capo di Stato nello svolgimento delle sue funzioni!) ha dichiarato tranquillamente a una delegazione europea che la distruzione delle Torri era un complotto del Mossad; quando lo stesso Assad suggerì al Papa che gli ebrei tormentano i palestinesi come tormentarono Gesù; quando un programma televisivo italiano ha mostrato un bambino palestinese ucciso in sequenza con l’immagine di Gesù Cristo in croce (tutti e due uccisi dagli ebrei); quando il ministro degli esteri inglese Straw dice che “C’è terrorismo e terrorismo”, e i francesi lo ripetono fino a perdere il fiato e presentano come una loro bella vittoria che gli Hezbollah non siano nella lista europea delle organizzazioni terroriste, quando la Comunità Europea considera perfettamente naturale seguitare a finanziare testi scolastici in cui si esalta come esempio per i bambini lo shahid, il “martire”, che si fa saltare per aria uccidendo la gente comune, o si disegnano agghiaccianti mappe ufficiali della Palestina per la scuola da cui Israele è completamente cancellato, e concede ad Arafat gli stessi sorrisi e gli stessi onori dopo che a Davos ha detto che gli ebrei distribuiscono caramelle avvelenate ai bambini e usano uranio impoverito e gas nervino; quando si commuovono fino alle lacrime perché Arafat non può andare alla Messa di natale, lui che considera i cristiani come un’importante pedica tattica, ma certo non dissente dalla politica di espulsione che li ha ridotti al trenta per cento proprio a Betlemme; quando la risoluzione che dovrebbe essere la nuova carta universale contro il razzismo espunge la Shoah dalla lista degli argomenti da insegnare nelle scuole, che cosa deve pensare un ebreo? Il pregiudizio, la menzogna hanno raggiunto gli stessi livelli su cui si costruirono le antiche stragi e quelle dell’ultimo secolo.

    Adesso che esiste lo Stato d’Israele, gli esiti di una persecuzione potrebbero essere diversi a causa delle armi di cui dispone l’esercito israeliano: ma non è affatto detto che un confronto debba avvenire con armi tradizionali. Il terrorismo catastrofico potrebbe realisticamente portare una rovina inenarrabile su Israele, ciò che abbiamo visto fare alle Twin Towers potrebbe nella storia risultare il pallido modello di attacchi chimici e biologici impensabili fino a che non li vedremo, come era impensabile l’attacco di Bin Laden. Non solo: poiché gli ebrei tutti sono l’ obiettivo dichiarato delle prediche nelle moschee e abbandonati a sé stessi dall’Europa, è del tutto realistico pensare che le loro sinagoghe, i loro simboli, possano divenire oggetto di distruzioni terroriste di massa in Europa o negli USA.

    Gli ebrei dovettero scoprire che nell’Europa del ventesimo secolo non erano ospiti graditi; Israele ha scoperto che nel mondo attuale non è gradito. Gli ebrei tutti sulla sua scia sono idealmente degli espulsi, dei paria: tanto più siedono distintamente alla mensa della dignità e del potere, tanto più vengono continuamente richiesti di abiure e scongiuri, che poi naturalmente non servono a niente. L’ebreo che dichiara che Ariel Sharon è un mostro geurrafondaio, ha già guadagnato qualche punto: non importa se è stato semplicemente un generale che come Ytzchack rabim ha combattuto duramente quando c’era da combattere, e, lo si critichi tranquillamente per questo, non ha mai creduto in Arafat come un interlocutore di pace. Non importa se due tribunali,di cui quello israliano il più severo, che gli chiese infatti di dimettersi per non aver previsto l’attacco dei cristiano maroniti, dal suo ruolo di allora ministro della difesa, hanno dichiarato che il colpevole della strage di Sabra e Chatila non era lui. Tutte le menzogne sulla crudeltà intrinseca di Israele, sulla fondamentale importanza del nodo degli insediamenti (che pure è importante, e si spera che si risolbverà non appena taccia il terrorismo), mentre il conflitto si fa ogni minuto più ideologico e fondamentale e riguarda per intero il “no” del mondo islamico a Israele, sono misere spiegazioni di un tradimento che è radicato nei complessi dell’Europa verso le sue ex colonie, nel suo bisogno di petrolio, nella sua delusione verso il socialismo e soprattutto nell’anima imperitura dell’antisemitismo. Infatti la Chiesa, che a sua volta è preoccupata per le persecuzioni contro i cristiani nel mondo islamico, meno interessata al petrolio, non implicata nella storia del socialismo e invece enormemente responsabile in quella dell’antisemitismo, potrebbe oggi costituire una barriera contro l’antisemitismo-antisraelianismo montante. Che altrimenti condurrà a un disastro della coscienza europea e anche del nostro destino di occidentali.

    Una volta spiegato il perché di queste pagine, ho bisogno di pagare un tributo di sincerità al mondo palestinese: la sua sofferenza è terribile, grande la sua povertà e terribili le limitazioni dei movimenti contrarie a ogni principio di democrazia. Ogni espressione di effettiva autocoscienza palestinese, di sua forza intellettuale (gli studi del sociologo Shakaki, i discorsi di Sarin Nusseibah...) è un raggio di luce, ogni visione aperta della realtà è una speranza. Quando i palestinesi lamentano la loro vita terribile, hanno tante ragioni legate alla soggettività della conduzione della loro storia, e così poche oggettive; è talmente orribile che i loro figli restino uccisi, ma così intollerabile che vengano cresciuti nell’idea del martirio; è straziante il dolore di una madre, ma impossibile per noi capire come possa poi dire di essere contenta che il figlio abbia deciso di diventare un terrorista suicida... La società palestinese è sofferente a causa dell’occupazione israliana e del suo anelito irrisolto di indipendenza nazionale, quanto stravolta dall’autoritarismo, dal fanatismo, dalle cattive letture, dalla propaganda, dall’assenza delle donne nella vita civile, dall’impossibilità di andare al cinema o a sentire un po’ di musica. Ricordo un concerto di una banda italiana a Hebron, promosso dalla Tiph, la Forza di interposizione di stanza nella cittadina: era magnifico vedere uomini e donne venire in piazza con i bambini mentre gli ottoni suonavano Giuseppe Verdi. Ricordo, se,mpre in tempo di processo di pace, anche una maratona cui parteciparono, separate, ma nella stessa giornata sportiva, anche le ragazze religiose, col velo, fiere e felici di essere là. Le loro forze, in un regime sì volto alla conquista di uno Stato palestinese ma trascinato dallo spirito del tempo nello scontro più estremo, le loro belle energie ora sono tutte implose dentro una società sofferente. In una parola, credo, a giudicare dalle società arabe circostanti, che nulla fuorché la democrazia, possa alleviare la sofferenza dei palestinesi. Con questo, per essere chiara fino in fondo, penso che lo Stato palestinese debba finalmente vedere la luce, e che lo debba fare nella necessaria garanzia di non divenire una rampa di lancio di missili o di gruppi terroristi antisraeliani. I palestinesi avranno bisogno di tempo prima di potersi sottrarre dal bagno di odio cui sono stati costretti dalla seconda Intifada e che è documentata in tutte le loro pubblicazioni e video televisivi, prima di asciugarsi le lacrime da lutti che pensa siano stati inflitti loro per cattiveria, per sete di sangue, per intrinseca perfidia di uno Stato ebraico senza ragioni d’essere e senza legittimazione.

    La guerra iniziata l’11 settembre 2001 può alla lunga aiutare a combattere l’antisemitismo perché si contrappone alla conservazione melensa di una tipologia umana molto diffusa da noi nel nostro tempo, altrove sfida il disprezzo per l’Occidente, mette in evidenza il rischio dell’esotismo con cui si ama occhieggiare alle società non democratiche, preferendo ammirarne i colori piuttosto che notarne gli orrori antidemocratici. Alla lunga, dopo l11 settembre, si chiarisce il nesso fra il terrorismo di Bin Laden e le donne col burqa, e alla lunga si vede anche che glorificare gli shahid, i martiri, e dichiarare che il Tempio di Salomone non è mai esistito sono due facce di una stessa medaglia. Un idealtipo antisemita oggi è necessariamente antisraeliano: se è antisraeliano non gli importa della storia del ventesimo secolo, non dà molta importanza alla democrazia, considera i terroristi dei possibili combattenti per la libertà. Tutto questo è ciò che forse questa guerra in corso eviterà, o almeno combatterà con qualche successo. L’Europa resterà nelle retrovie e causerà molte sofferenze agli ebrei, come è sua abitudine. Finché la Comunità internazionale nel suo insieme, invece di ammettere le inenarrabili, sovrapposte sofferenze di un popolo (morti su morti, generazioni perdute, ospedali sempre pieni, brandelli umani sempre in fase di riconoscimento negli obitori in cui si lavora a ritmo pazzesco), seguiterà a suggerire che gli ebrei negozino il loro diritto all’esistenza con un mondo, quello islamico, che non intende concederglielo, Israele sarà sotto cauzione. E finché Israele sarà un dead man walking, un morto che cammina, che solo con negoziati continui rimanda l’esecuzione della sua condanna, l’altoparlante dell’antisemitismo risuonerà in maniera assordante in tutto il mondo, proveniente dal Medio Oriente, la faglia del conflitto arabo con l’Occidente, rivolto prima contro gli ebrei, e poi contro tutti quanti. O l’Europa si decide a sussumere il giudaismo nel suo ventre, perché i figli devono divenire padri a un certo punto, o sarà di nuovo assassina, da sola, o per l’interposta persona dell’estremismo islamico.
    "

    Shalom!!!

  9. #9
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    Ecco, dalla rete, una brevissima sintesi su taluni elementi del "complotto ebraico" nella storia dell'antisemitismo

    " Accusa di "complotto giudaico"
    Si tratta per un verso dell’accusa più semplice e per un altro di quella più complessa. E’, infatti, inspiegabile con certezza il motivo della nascita dell’idea di una cospirazione internazionale degli ebrei per il dominio, principalmente economico (ma non solo) del mondo: varie sono state le ipotesi, ma nessuna di queste può eliminare del tutto la componente di arbitrarietà irrazionale che sta alla base di questa accusa. I due fattori che certamente vanno indicati sono:

    l’esistenza, constatabile in ogni momento, di comunità ebraiche più o meno numerose in tutti i paesi del mondo o quasi;
    la nascita della nuova finanza capitalistica, all’apparenza incontrollabile.

    Soprattutto nel corso dell’Ottocento, diversi furono gli eventi manipolati a favore della teoria del "complotto giudaico". In ordine cronologico, possiamo ricordare i principali.

    Nascita dell’Alliance Israélite Universelle (1860).Quest’organizzazione ebraica internazionale venne fondata subito dopo lo scandalo dell’affare Mortara (il bambino ebraico di Bologna battezzato a forza e sottratto alla famiglia con l’avallo della Chiesa); si proponeva principalmente di fornire anche agli ebrei di villaggio o dei ghetti un’istruzione, indispensabile per l’emancipazione, e favorì anche finanziariamente molte emigrazioni. Venne però osteggiata da buona parte dell’antisemitismo europeo, che vi vedeva una sporta di massoneria tesa a dominare il mondo. Bisogna dire che l’associazione fra massoneria ed ebraismo fu una costante di questo periodo: ciò fu dovuto al segreto che avvolgeva l’organizzazione massonica, alla crescente idea di mistero che si creava intorno alla ritualità ebraica, principalmente a causa delle pratiche misteriche, e al fatto che spesso la massoneria adoperava simboli connessi con il misticismo ebraico. Del resto, non era solo la massoneria che confluiva in quello che si può a ragione definire un "calderone", da cui uscì poi l’idea del complotto. Basti pensare che si parlava spesso di complotto "demo-giudo-pluto-massonico" o "bolscèvico", mettendo insieme, oltre a ebraismo e massoneria, anche comunismo, aristocrazia finanziaria e democrazie liberali.
    Fine del potere temporale del Papa (1870). Il fatto che lo stato liberale, con forti presenze massoniche, avesse portato contemporaneamente alla fine del potere temporale del pontefice e alla liberazione degli ebrei del ghetto di Roma favorì l’interpretazione dell’ebraismo come associato alla massoneria.
    Uccisione dello zar Alessandro II (1881). In questo caso, l’idea del complotto sorse perché contemporaneamente al regicidio si constatò la presenza di svariati ebrei negli ambienti del nichilismo russo. Scattarono così i famosi pogrom, durante i quali un aiuto non indifferente ai fuggiaschi venne fornito proprio dall’Alliance Israélite.
    Crack dell’ "Union Générale" (1882): il crollo di quest’importante banca francese venne attribuito alle speculazioni della famiglia Rotschild. Da quest’avvenimento e da quello precedente nacque la credenza di un progetto concreto degli ebrei per appropriarsi delle sostanze dei francesi (ritorniamo così all’accusa di vampirismo).
    Scandalo di Panama (1885): nello scandalo della compagnia per il taglio dell’istmo di Panama, che travolse migliaia di piccoli risparmiatori francesi, risultarono coinvolti molti finanzieri di religione ebraica. Per la prima volta, in seguito a questi eventi, venne operato un esplicito collegamento fra ebrei e finanza.
    Affaire Dreyfus (1894-1906): con quest’immensa montatura giudiziaria, che portò prima all’arresto e poi alla riabilitazione del capitano francese, si dimostrò per la prima volta come l’antisemitismo potesse essere anche uno strumento di aggregazione politica. Infatti componenti politiche che apparentemente non avevano nulla a che fare l’una con l’altra (come nazionalisti, cattolici, sindacati dei lavoratori) si trovarono uniti sul banco dell’accusa.

    Questi temi ottocenteschi furono mantenuti anche nel nostro secolo, che pure operò ulteriori modifiche alla teoria del "complotto giudaico". La principale novità furono i "Protocolli dei savi anziani di Sion", un falso documento elaborato dalla polizia segreta russa con cui si voleva attribuire agli ebrei un progetto di conquista del mondo. Questo testo ebbe grandissimo successo a partire dagli anni seguenti alla Prima Guerra Mondiale, in concomitanza con la nascita della teoria del "mondialismo". Si trattava in pratica di riprendere il concetto già proprio della teoria del complotto e codificato chiaramente, appunto, nei Protocolli, cioè quello di oscure manovre in atto da parte ebraica per giungere al dominio sociale ed economico del mondo. Gli elementi nuovi si trovano principalmente nell’elenco dei "congiurati". Oltre all’ormai classica massoneria troviamo infatti le lobbies finanziarie americane e il "sionismo internazionale". Proprio il termine "sionismo" (che definisce la volontà degli ebrei di creare un proprio Stato) ci pone di fronte a un ulteriore problema:

    o si tratta di un imperdonabile errore degli ideologi, che lo hanno creduto sinonimo di "giudaismo" o "ebraismo";
    oppure (ed è più probabile) siamo già di fronte a un progetto politico: infatti, anche se vogliamo ignorare il collegamento linguistico con i Protocolli e quindi con la tradizione del complotto, l’idea del sionismo come pericolo internazionale ha sempre avuto grande presa politica, come è dimostrato dalle reazioni all’attacco preventivo israeliano del 1967.

    Un’ultima cosa da rimarcare a proposito dell’accusa di complotto è che essa si servì, tra l’altro, di un dato che era invece motivo di orgoglio per gli ebrei finalmente emancipati: la loro alta presenza, rispetto al loro numero all’interno dello stato, nell’esercito e nelle cariche pubbliche. Se infatti per i diretti interessati questo era un segno dell’integrazione finalmente avvenuta e del senso di patria proprio anche degli ebrei, la propaganda antisemita volle vedervi un segno di una "rete" tessuta per impadronirsi del mondo.
    " ( da www.bdp.it )

    Shalom!

  10. #10
    Paul Atreides
    Ospite

    Predefinito

    Piccola chiosa

    Il revisionismo olocaustico non sostiene alcuna teoria complottistica


    Chiosa nella chiosa: Carlo Mattogno, il più importante ricercatore revisionista italiano, sin dagli anni '80 in una serie d'articoli ha dimostrato la non autenticità e la non veridicità dei ''Protocolli''

 

 
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