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    Predefinito Ovadia Yossef e "il diavolo"

    Milano. Ovadia Yossef, il più influente rabbino sefardita d’Israele, avrebbe annunciato la morte del “diavolo” Ariel Sharon e del suo piano di disimpegno.
    Sono seguite la richiesta laburista di un’inchiesta e le smentite dell’entourage del rabbino, ma la decisione del primo ministro di ritiro unilaterale da alcuni territori non solo ha spaccato il governo e lo stesso partito del premier, il Likud, rappresenta anche un problema su cui i rabbini discutono da tempo.
    Lo stesso ritorno in Israele è stato oggetto di riflessione.
    A differenza che nella politica, quando si entra nelle dispute sull’Halachà, la legge rabbinica, ci si accorge che non vi sono contrapposizioni nette di schieramenti, ma che ciascuno tiene conto delle opinioni altrui, anche quando sono espresse in luoghi e tempi diversi. S’intreccia così un dialogo che attraversa i secoli.
    Distrutto il Tempio di Gerusalemme e dispersi nella Diaspora, gli ebrei hanno coltivato un caleidoscopio di sentimenti verso la Terra di Israele.
    Nel Talmud si riconosce un grande merito all’ebreo che anche solo passeggi in Israele.
    Per il Maharam di Rottemburg (XIV secolo) andare in un luogo sacro necessita cautela, “non si può sfidare il Re nel proprio palazzo”.
    Alcuni sottolineano più la santità della terra, altri vi vedono più il luogo dove fondare concretamente lo Stato.
    Ma dopo duemila anni in esilio, passati a pregare tutti i giorni rivolti verso Gerusalemme, gli ebrei come sarebbero dovuti tornare? Nessuno sostiene esplicitamente l’uso della violenza, sebbene tutti riconoscano il diritto a difendersi.
    Ramban (XIII secolo) afferma che risiedere in Erez Israel è un precetto.
    Israele andrebbe dunque conquistata e sembrerebbe quindi ammesso l’uso della forza.
    Eppure in molti ricordano il limite posto dal Talmud nel trattato di Qetubot.
    Per “i giuramenti” non si sarebbe tornati in Israele “superando le mura”, con violenza.
    Per Izhak de Leon, per questo motivo, Maimonide non inserisce il risiedere in Israele tra i 613 precetti.
    Per alcuni, i giuramenti sarebbero tuttavia superati per la loro particolare formulazione. Rabbi Simcha haCohen di Dvinsk e altri commentatori evitano l’ostacolo grazie alla presenza dei trattati internazionali. Per questo, grande eco hanno avuto nel pensiero rabbinico la dichiarazione Balfour del 1917 e le successive risoluzioni dell’Onu.
    Se non è facile per gli ebrei decidere di riottenere Israele, non lo è nemmeno cedere parte della Terra.
    Per alcuni è necessario farlo quando serve a evitare un pericolo per la vita umana e il terrorismo lo è certamente.
    Ma qual è il limite, domandano i rabbini che vivono nei Territori. Se si cede Gerico perché ci si dovrebbe ostinare a combattere per Tel Aviv, perché, si chiedeva Shaul Yasraeli, non consegnare tutto?
    Fino a quindici anni fa proprio Ovadia Yossef sosteneva che ci fosse una differenza tra zone davvero conquistate, e quindi di sicura proprietà, e altre che non lo sarebbero ancora.
    I Territori su cui sarà costituito lo Stato palestinese ora rappresentano zone di confine per Israele e secondo la Mishnà queste andrebbero meglio difese, perché è da lì che arriva il pericolo di essere conquistati.
    Yossef interpretava differentemente e attribuiva maggior peso agli esperti militari per decidere il livello del rischio implicito alla rinuncia ad alcune zone. Oggi forse ha cambiato idea.

    Sostiene Dan Segre
    La complessità della questione spiega anche alcuni paradossi della politica israeliana.
    L’attuale governo ha l’appoggio di un partito religioso antisionista come Hagudath Israel. Uno dei suoi fondatori, rav Shach, era critico sull’amministrazione israeliana dei territori per l’atteggiamento che avrebbe provocato nel popolo ebraico. Provava quasi fastidio per gli abitanti degli insediamenti che gli ricordavano la frase biblica “la mia forza mi ha portato a questo” e Yeshayahu Leibowitz aveva preoccupazioni analoghe.
    Dispute che non riguardano solo i rabbini, che “non sono sacerdoti e nessun rabbino può negare le opinioni di un altro.
    Le parole di Ovadia Yossef lascerebbero il tempo che trovano se non mostrassero come nella democrazia israeliana alcuni partiti, come lo Shas, seguano persone che nessuno ha votato ed eletto”, dice al Foglio Dan Segre.
    Persino Ehud Barak – il premier che nel 2000 propose un piano ma da Arafat ottenne il terrore – disse di sentirsi più vicino a rav Perez, residente nei Territori, che non a quelli favorevoli a concessioni territoriali per indifferenza verso la Terra.
    A unire il rabbino e il laico Barak era la convinzione della sacralità di ogni pietra di Israele.
    Così è per Sharon, pronto a dolorose concessioni.

    Il Foglio del 10 marzo

    saluti

  2. #2
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    Predefinito

    E' sempre esistita un'ala dell'ortodossia rabbinica dell'ebraismo che ha ritenuto la fondazione dello Stato di Israele una profanazione. Innanzi tutto perchè la restaurazione di Israel è assegnata al Messia, in secondo luogo perchè lo Stato costituito nel 1948 è uno stato laico. Come è esistita, dal canto suo, anche un'ala dell'ebraismo riformato ( soprattutto tedesco-americano) decisamente contraria al sionismo. D'altra parte è sempre esistito accanto al sionismo politico di impostazione social-laburista o liberal-nazionale (sionismo revisionista) un sionismo religioso.
    Per la destra radicale religiosa ultra-ortodossa e ultra-sionista vi è una particolare interpretazione del precetto biblico che recita: "non assistere inerte al pericolo del tuo compagno " (Levitico 29,16) e alle discussioni talmudiche su chi insidia con la violenza la verginità di una ragazza, che deve essere ucciso per salvare lei [ tema morale del DIN RODEF, ossia dell'aggressore, di colui che minaccia la vita]. Nel 1993, dopo gli accordi di Oslo, l'estrema destra religiosa sostenne che le concessioni territoriali fatte da Rabin rappresentavano un pericolo mortale per il popolo di Israele e che di conseguenza il premier RABIN doveva essere considerato alla stregua di un RODEF. Si trattava evidentemente di una "condanna a morte differita" emessa da capi religiosi fanatici, una sorta di fatwa di morte ebraica. Dopo l'assassinio di Rabin, alcuni rabbini moderati, guidati da Rabin Yoel Bin Nun, invitarono i rabbini estremisti a dimettersi da tutte le loro cariche religiose. La stampa israeliana pubblico' il nome di sei rabbini ritenuti responsabili di aver ratificato l'applicabilità del DIN RODEF nel confronti del premier Rabin.
    Non è assolutamente da escludersi, visto il clima attuale, che l'estrema destra religiosa e taluni suoi rabbini ultra-ortodossi e ultra-sionisti, ricorrano alle stesse "argomentazioni" contro il premier Sharon.

    Shalom

  3. #3
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    In origine postato da Pieffebi
    E' sempre esistita un'ala dell'ortodossia rabbinica dell'ebraismo che ha ritenuto la fondazione dello Stato di Israele una profanazione. Innanzi tutto perchè la restaurazione di Israel è assegnata al Messia, in secondo luogo perchè lo Stato costituito nel 1948 è uno stato laico. Come è esistita, dal canto suo, anche un'ala dell'ebraismo riformato ( soprattutto tedesco-americano) decisamente contraria al sionismo. D'altra parte è sempre esistito accanto al sionismo politico di impostazione social-laburista o liberal-nazionale (sionismo revisionista) un sionismo religioso.
    Per la destra radicale religiosa ultra-ortodossa e ultra-sionista vi è una particolare interpretazione del precetto biblico che recita: "non assistere inerte al pericolo del tuo compagno " (Levitico 29,16) e alle discussioni talmudiche su chi insidia con la violenza la verginità di una ragazza, che deve essere ucciso per salvare lei [ tema morale del DIN RODEF, ossia dell'aggressore, di colui che minaccia la vita]. Nel 1993, dopo gli accordi di Oslo, l'estrema destra religiosa sostenne che le concessioni territoriali fatte da Rabin rappresentavano un pericolo mortale per il popolo di Israele e che di conseguenza il premier RABIN doveva essere considerato alla stregua di un RODEF. Si trattava evidentemente di una "condanna a morte differita" emessa da capi religiosi fanatici, una sorta di fatwa di morte ebraica. Dopo l'assassinio di Rabin, alcuni rabbini moderati, guidati da Rabin Yoel Bin Nun, invitarono i rabbini estremisti a dimettersi da tutte le loro cariche religiose. La stampa israeliana pubblico' il nome di sei rabbini ritenuti responsabili di aver ratificato l'applicabilità del DIN RODEF nel confronti del premier Rabin.
    Non è assolutamente da escludersi, visto il clima attuale, che l'estrema destra religiosa e taluni suoi rabbini ultra-ortodossi e ultra-sionisti, ricorrano alle stesse "argomentazioni" contro il premier Sharon.

    Shalom
    ------------------------------
    Speravo in un tuo intervento chiarificatore: per un "laico" e "cattolico solo per nscita" certi aspetti del sionismo sono "incomprensibili".

    Grazie e saluti

  4. #4
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    Il sionismo moderno è nella sua struttura portante LAICO. Sharon è un sionista di destra, Peres è un sionista di sinistra, come erano sionisti di sinistra Rabin e Ben Gurion. Possono tutti questi credere o meno in Dio, seguire più o meno rigorosamente la tradizione religiosa ebraica, ma la loro concezione della politica è sostanzialmente, seppur diversamente, decisamente laica, rispetto alla tradizione rabbinica. Così come laici furono i fondatori del movimento sionista da Theodor Herzl in poi, compreso il fondatore del sionismo intransigente di destra (cosiddetto "revisionista") Jabotinsky [vedi a proposito il mio 3d sul sito della storia: http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=147842 ].
    Esiste certamente un'estrema destra sionista in Israele (e nella diaspora), una parte della quale è religiosa ortodossa.
    Come esiste un ebraismo religioso moderatamente sionista, un ebraismo religioso storico avverso al sionismo politico e un ebraismo religioso non ortodosso, un ramo del quale è in qualche modo "antisionista" [vedi il mio 3d su "Gli ebrei e l'america"]. Dunque ogni semplificazione ulteriore non purtroppo maggiormente chiarificatrice, ma rischierebbe di essere invece......mistificatrice.

    Shalom

  5. #5
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    L'esercito israeliano affronta la ribellione di reclute e ufficiali che non vogliono sgomberare gli insediamenti

    A pagina 153 del settimanale Panorama del 25 marzo 2005, Fiamma Nirenstein firma sulle divisioni intestine all'esercito israeliano in merito allo sgombero degli insediamenti deciso dal governo Sharon


    " «Uniti dalla guerra, divisi dalla pace»



    Nelle alte sfere dell’esercito nessuno vuole ammettere che la crisi è la più pericolosa che sia mai stata fronteggiata, molto di più dell’obiezione di coscienza di sinistra , che rifiuta di combattere nei territori palestinesi. Questa volta è un’altra cosa, il numero degli obiettori molto maggiore, la determinazione tenace quanto può esserlo una scelta a sfondo religioso.
    Gli alti ufficiali seguitano a negare in pubblico che il mitico Tzahal, l’esercito israeliano, il tessuto connettivo del popolo e la sua trincea di difesa, davvero sia attraversato da una ferita. Eppure, è stato l’esercito stesso a denunciare la sua gravissima preoccupazione addirittura codificandola: il 15 marzo è stato emanato un vero e proprio codice di autodifesa di Tzahal contro le reclute e gli ufficiali che rifiutino di operare l’evacuazione dei coloni da Gaza nel luglio prossimo, quando circa 8 mila persone dovranno abbandonare case e strutture sociali che occupano, talora, da tre generazioni.
    Il pubblico è venuto a conoscenza del documento malgrado la discrezione di Tzahal. Un soldato che rifiuti di eseguire gli ordini verrà “rapidamente severamente punito” dopo che si sia tentato di farlo recedere dalle sue posizioni. Un ufficiale poi, verrà chiamato a colloquio e invitato a rinunciare alla sua scelta. Se rifiuterà, verrà privato del grado processato dalla corte marziale.
    Il giorno precedente il capo di stato maggiore Yaalon aveva dichiarato testualmente: “Abbiamo una politica ben chiara nell’esercito: chi rifiuta non è più con noi. non ci impiglieremo nella trappola delle petizioni politiche. Sono minoritarie. Sul campo, del resto, non trovo segno di tanta obiezione”. E ha aggiunto, a ogni buon conto, che ai soldati è proibito firmare petizioni. In realtà 10 mila firme sono state già raccolte sotto il nome di “Operazione defensive Shield”, scudo di difesa, un’ironica citazione dell’attacco lanciato dal premier Ariel Sharon nell’aprile del 2002 contro il terrorismo: si tratta di circa un sedicesimo dell’esercito, escluse le riserve (poco più di 400 mila uomini). Gli episodi si moltiplicano: fra i 36 ufficiali che hanno firmato una personale lettera di rifiuto 6 sono stati privati del grado. E anche una minoranza di soldati laici non se la sente di sradicare i coloni.
    Ma sono i religiosi, ovviamente, a essere i protagonisti del rifiuto. Un’indagine del quotidiano Maariv calcola che il 36 % dei soldati con la kippà non vogliano operare lo sgombero, e la spaccatura fra laici e religiosi è stata sempre lo spauracchio del sionismo, fin dal tempo di Ben Gurion. Il loro rifiuto è dunque un trauma distruttivo per l’esercito, anche perché essi sono tra i soldati migliori.
    La speranza è nel fatto che i rabbini sono schierati su sponde opposte. Uno dei più importanti, rabbi Aviner, ha dichiarato che non obbedire agli ordini per un soldato israeliano è come mettere a rischio la vita di tutti. E la vita per l’Ebraismo è sacra. Altri temono che molti non rifiuteranno ma si daranno malati: per non creare ulteriori spaccature l’esercito non andrà cercarli a casa.
    "


    Shalom

 

 

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