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Discussione: Eccidi e vendette

  1. #1
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    Predefinito Eccidi e vendette

    La scia
    di sangue

    La seconda guerra mondiale e la guerra civile che contrappose partigiani e fascisti ha lasciato una lunga scia di sangue nel Forlivese. Eccidi, vendette e uccisioni immotivate anche oltre la fine della guerra. Questa lunga scia di sangue riaffiora ora e tocca dopo oltre mezzo secolo Umberto Fusaroli Casadei, partigiano bertinorese conosciuto col nome di battaglia «Rumba». Fusaroli Casadei — che attualmente si trova in Mozambico — è stato indagato dalla Procura della Repubblica di Vicenza per l'eccidio di Schio, il massacro a guerra finita di oltre cinquanta progionieri del locale carcere. In massima parte ex soldati dell'esercito di Mussolini e loro familiari. E' stato praticamente lo stesso Fusaroli Casadei ad autoaccusarsi della strage, in un'intervista rilasciata a un giornale il 13 maggio 2001. «A Schio? Eccome se c'ero. E ne ho ammazzati tanti di repubblichini». Dichiarazioni sconcertanti perchè, ad oltre mezzo secolo di distanza, grondano ancora di sangue, odio e vendetta. E poichè il reato di strage non cade in prescrizione, ora il partigiano «Rumba» ne dovrà rispondere davanti al giudice.

    http://ilrestodelcarlino.quotidiano....25:/2002/04/21

  2. #2
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    Predefinito

    L'ex partigiano «Rumba» indagato
    per l'eccidio di Schio nel 1945


    Non vedeva l'ora di dirlo. E quell'ora arrivò. E in che modo. Un'intervista nel giorno delle elezioni: 13 maggio 2001. Nell'Italia pronta a correre alle urne, il 76enne Umberto Fusaroli Casadei, il dottor «Rumba» — il cinico partigiano Rumba — vuotò il sacco della sua anima piena di morti ammazzati, «morti di cui ricordo solo una cosa: una gran puzza», confessò dalla sua villetta a schiera sull colle di Bertinoro.
    Io c'ero. «A Schio? Eccome se c'ero! C'ero e ne ho ammazzati tanti, di repubblichini». L'orgoglio dell'avvocato Fusaroli Casadei scattò in avanti: «Rivendico quello che ho fatto. Quella volta ricevetti l'ordine di partecipare all'eliminazione di tutti quei repubblichini, e io eseguii gli ordini».
    Indagato. Ora la procura di Vicenza ci vuole vedere chiaro. Quello di Schio fu una strage feroce a guerra già finita. E ora Fusaroli Casadei per quell'eccidio è indagato. Urla, strepiti, pianti. Vorrà scendere nei particolari, il pm. E ne vorrà parecchi, più di quelli che Rumba rivelò pubblicamente il 13 maggio, ad urne aperte: «Non ricordo il nome del comandante che mi diede gli ordini, ma aveva i gradi di colonnello... mi disse che si dovevano vendicare i morti di Mauthausen... raggiunsi il carcere a piedi, avevo una giacca da colonnello e per rendermi meno riconoscibile mi ero oscurato la faccia con una speciale tinta inglese... gli altri erano già entrati. Dentro c'era il caos... alcuni partigiani non sapevano cosa fare, i prigionieri erano in uno stanzone: bisognava accelerare i tempi.. diedi l'ordine di sparare... svuotai tre caricatori... sentii, urla, strepiti, lacrime...».
    La bomba. Ora Rumba è in Mozambico. «Io sono un amico intimo del presidente di quel Paese», raccontava qualche mese dopo, in agosto. Fusaroli Casadei stavolta è la mancata vittima di un attentato. E' il 6 agosto 2001. Dalla provincia di Roma arriva un pacco. La Sda glielo porta, ma nasce un disguido: «Non l'ho ritirato perché il postino m'ha detto che dovevo pagare una cifra sprositata». Il pacco torna indietro e quella sera stessa esplode nel magazzino della Sda di Forlì. Quel pacco era una bomba. Un postino resta ferito in modo lieve. E Rumba dice: «Mi volevano far fuori, ma io non ho paura. Ci riproveranno, ma io li aspetto con il fucile».
    Sopravvissuto. «Indagato? Mah... Guardi io non so cosa dire, mio marito è in Mozambico...», racconta oggi la moglie. Che come sempre anche stavolta seguirà il marito nella buona e nella cattiva sorte. Come fa da oltre 50 anni. Quando lo seguì, alle fine degli anni Sessanta, in Africa. L'Italia per l'ex partigiano, diventato nel frattempo avvocato, era troppo stretta. «So tante cose, troppe», ha sempre ripetuto, mostrando spesso pagine e pagine di memorie fatte di sangue e vendette.
    Autodefinitosi più volte amico di Togliatti e di tutti i più alti papaveri non solo del Pci ma pure del Pcus sovietico, Rumba finisce nei guai con la giustizia di Forlì. Una storia di minacce e controminacce. Sparisce. Ricompare prima in Kenia e poi in Mozambico. Dove diventa, dice lui, un amico del presidente della Repubblica: «Sono il suo più fidato collaboratore. Se vado a vivere laggiù faccio la vita da re», ripete. Ma anche sotto l'equatore Rumba non riesce a stare lontano dai guai. A metà degli anni Novanta, mentre corre fra dune e foreste, la sua jeep viene impallinata in un'imboscata. «Ma sono vivo, sono ancora vivo!», urlò via telefono dall'Africa. C'è da scommetterci che Rumba il sopravvissuto non avrà timore di parlare col pm di Vicenza.
    di Maurizio Burnacci

    http://ilrestodelcarlino.quotidiano....32:/2002/04/21

  3. #3
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    Predefinito Luglio 1945, la pagina nera di Schio

    I partigiani uccisero 53 persone in un assalto


    UNA VOCE, Luglio 1945, la pagina nera di Schio Del «Dizionario della Resistenza», la voce «Strage di Schio», uno degli episodi più gravi e sanguinosi seguiti alla Liberazione. La cittadina veneta ha dato un contributo importante alla guerra antifascista: il bilancio delle perdite alla fine è stato di 196 caduti, un disperso e 160 feriti. Dopo la liberazione trecento scledensi militari della Rsi o civili accusati di delazione o di collaborazionismo con il nemico vengono arrestati. Duecento sono rilasciati nelle settimane successive, in mancanza di addebiti rilevanti; gli altri rimangono in carcere nell' attesa dei processi che la Corte di Vicenza si accinge a celebrare (alcuni in attesa dell' ordine di scarcerazione già firmato dal magistrato competente). Il clima politico e sociale nella città rimane carico di tensione. Il 28 giugno una folla di cittadini manifesta infervorata la sua collera nella piazza di Schio, pochi giorni dopo la notizia che i ventisei operai deportati in Germania sono morti e quasi tutti nel giro di qualche settimana dalla deportazione. Sembra che i manifestanti vogliano assaltare il carcere; il peggio è evitato dallo schieramento dei reparti del Gruppo di combattimento Friuli di stanza nella città e, soprattutto, per l' intervento di Valerio Carotti, già comandante della divisione Martiri della Val Leogra, che, arringando la folla nel nome degli ideali per i quali si è combattuto e sofferto, la riporta alla ragione. Nella notte fra il 6 e il 7 luglio 1945, quindici ex partigiani si impadroniscono del carcere scarsamente sorvegliato e nel giro di qualche minuto trucidano a raffiche di mitra quarantasei detenuti - uomini e donne - raccolti nel cortile dell' edificio. Altri sette muoiono a ll' ospedale nei giorni successivi. Tredici i sopravvissuti. Unanimi, a ogni livello della società non solo vicentina, la condanna e il ripudio della carneficina. In settembre, la Corte militare alleata competente presieduta dal colonnello statuniten se Beherens, celebra a Vicenza il processo, concluso con tre condanne a morte, due all' ergastolo, tre a ventiquattro e a dodici anni di reclusione (le condanne a morte saranno poi commutate nel carcere a vita). Tra l' ottobre e il novembre 1952 la g iustizia italiana a Milano celebra un nuovo processo, concluso dopo ventiquattro udienze con otto condanne all' ergastolo. Un terzo processo contro i presunti mandanti della strage si tiene infine presso la Corte d' Assise di Vicenza nella primavera del 1956: imputati gli ex partigiani Pietro Bolognesi e Gastone Sterchele, già vicecomandante della Martiri della Val Leogra. Quest' ultimo è assolto con formula piena, il primo per insufficienza di prove (ricorso in Appello, anche Bolognesi viene assolto per non aver commesso il fatto).

 

 

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