Risultati da 1 a 3 di 3
  1. #1
    Paul Atreides
    Ospite

    Predefinito 70 anni fa moriva Sandino

    70 anni fa veniva assassinato colui che era riuscito a sconfiggere gli yankees

    La lotta di Sandino, generale degli uomini liberi


    Se nel 1925 i marines abbandonano il paese, vi ritornano però l'anno seguente, per combattere la rivolta costituzionalista dei liberali Juan Bautista Sacasa e José María Moncada. Il conflitto fra liberali e conservatori si riaccende quindi nel 1926, quando Chamorro, uomo forte dei conservatori, riconquista il potere con un colpo di mano: entrano nuovamente in scena le truppe statunitensi, ma una parte dell'esercito nicaraguense guidata da Moncada si ribella e tiene in scacco le forze d'invasione, sino al marzo del 1927, momento in cui questo generale viene letteralmente comperato ed abbandona la lotta. La guerra, perciò, si conclude con un patto fra le fazioni in lotta e, così, gli Stati Uniti fanno eleggere come presidente proprio il liberale Moncada, in precedenza schierato contro l'intervento dei marines inviati da Coolidge.

    Calvin Coolidge «Mi colpì che fosse il cappello di Sandino, non il suo viso, la più potente icona del Nicaragua. Un Sandino senza cappello non sarebbe stato riconoscibile: ma la sua presenza lì sotto non era più necessaria al potere evocativo del cappello. Spesso le scritte murali del Fsln erano suggerite da uno schizzo del famoso copricapo, un disegno che assomigliava esattamente al simbolo dell'infinito sormontato da un vulcano conico».

    Salman Rushdie


    Due anni dopo, è proprio un generale di Moncada, Augusto César Sandino, che, non accettando il patto concluso con gli statunitensi in nome della pace interna, si pone alla testa di un piccolo gruppo di uomini e prosegue la battaglia. Poco per volta, questo gruppetto si trasforma in un vero e proprio esercito (soprannominato «esercito pazzo») che combatte strenuamente contro le truppe di occupazione: è formato interamente da volontari, per la maggior parte semplici contadini che iniziano una vera e propria guerra di liberazione partendo dalle montagne de Las Segovias, nel nord del paese.
    Fra il 1927 ed il 1933, anno in cui i marines lasciano definitivamente il paese, Sandino crea e dirige l'Esercito difensore della sovranità nazionale del Nicaragua, costituito da elementi scelti, quasi tutti di estrazione contadina e proletaria, ai quali in seguito si aggiunge anche una brigata internazionale composta da intellettuali e studenti provenienti da vari paesi dell'America Latina.
    «Sono nicaraguense e sento con orgoglio che nelle mie vene scorre sangue di indio americano che racchiude il mistero dell'essere un patriota leale e sincero.
    «Voglio dimostrare ai pessimisti che non si invoca il patriottismo per ottenere favori od incarichi pubblici, ma attraverso fatti concreti, improntando tutta la vita all'insegna della difesa della sovranità della Patria. Certo è preferibile morire, prima di accettare l'umiliante libertà dello schiavo.
    «L'America Latina unita si salverà; divisa perirà. (...) La mia Patria, quella per cui lotto, ha come frontiere l'America Latina».

    Augusto César Sandino


    Dal trionfo della Rivoluzione popolare sandinista nel 1979, l'immagine stilizzata di un cappello a larghe falde diviene il simbolo ricorrente dell'uomo che vuole difendere ad ogni costo la sovranità nazionale e cacciare definitivamente i marines dal proprio paese.
    Sandino nasce il 18 maggio del 1895 a Niquinohomo (Masaya) e conosce tutte le privazioni e la povertà che la società nicaraguense del tempo fa vivere ai contadini figli naturali di possidenti. A vent'anni lascia la casa paterna per andare a lavorare nelle piantagioni dell'Honduras, del Messico e del Guatemala, alle dipendenze della United fruit company e di alcune compagnie petrolifere. In queste occasioni, entra in contatto con delle realtà sociali in cui le condizioni di sfruttamento e di dominio imperialista sono decisamente plateali, ma anche con le idee anarcosindacaliste messicane, con quelle del socialismo e della Rivoluzione d'ottobre. Questa esperienza, pertanto, lo conduce ad una profonda presa di coscienza della situazione esistente nel proprio paese natale.
    Nel corso degli Anni Venti e Trenta il Nicaragua è, a tutti gli effetti, un protettorato statunitense in cui si alternano fasi di occupazione diretta a momenti in cui presidenti come Díaz, Chamorro e Moncada non sono altro che i portavoce delle oligarchie dominanti ed utilizzano il sostegno nordamericano a fini del tutto personali, per quanto mascherati da una roboante retorica che si richiama ad istanze patriottico-populiste.
    All'inizio, l'obiettivo di Sandino è il ritorno al governo costituzionale, ma l'intensificarsi dell'intervento militare statunitense trasforma la sua lotta in guerra nazionale antiimperialista. Al culmine del conflitto, il suo esercito di liberazione arriva ad avere tremila uomini, fra i quali numerosi volontari latinoamericani. Con questo esercito, il generale degli uomini liberi affronta per sei anni ben dodicimila marines, oltre alle truppe locali dei partiti tradizionali e, malgrado l'enorme disparità delle forze, non viene mai sconfitto.
    La vera lotta antinterventista ed antimperialista del Nicaragua inizia quindi nel 1927, quando questo esercito contadino attacca la città di Ocotal, presidiata dai marines. Nel novembre del 1928, all'ammiraglio Sellers che lo invita a cessare le ostilità, il generale degli uomini liberi risponde: «La sovranità di un popolo non si discute, si difende con le armi in pugno. Solamente la continuazione della resistenza armata porterà i benefici ai quali lei allude, esattamente come l'ingerenza straniera nelle nostre faccende porta alla perdita della pace e provoca l'ira del popolo».
    Sandino elabora la strategia della guerriglia moderna e trasforma il conflitto con la più poderosa potenza militare ed economica del mondo in una lunga guerra di liberazione contro gli yankees, che finisce per sconfiggere: ottiene vittorie incredibili e fra il 1931 ed il 1932 la guerriglia sandinista si estende in tutto il territorio nazionale, compresa una parte della Costa Atlantica. Dal 1931 questo gruppo guerrigliero si trasforma in un vero e proprio esercito popolare, in grado di affrontare una guerra di movimento ed è dotato persino di cavalleria.
    Così, nel corso degli anni, i patrioti infliggono pesanti perdite alle truppe d'invasione: a Saraguasca, El jícaro, Las flores, San Fernando, Las cruces, El bramadero, El chipotón, San Pedro, La conchita, Santa Rosa e via dicendo. Dal canto loro, gli statunitensi sperimentano per la prima volta nella storia i bombardamenti ed i mitragliamenti aerei sulla popolazione civile ad Ocotal, Murra, Las cruces e Matagalpa, infierendo su vecchi, donne e bambini inermi.
    È opportuno ricordare che negli anni che vanno dal 1927 al 1932, la gerarchia cattolica nicaraguense non dice nulla a proposito dell'intervento armato statunitense, ignorando completamente la resistenza guidata da Sandino. Eppure, si tratta di una guerra estremamente feroce: le truppe d'invasione, nell'impossibilità di colpire l'esercito sandinista, scatenano la loro ferocia sulla popolazione civile inerme, portando ad un'ulteriore radicalizzazione dello scontro e ad un appoggio di massa sempre più diffuso all'Esercito difensore della sovranità nazionale. Si tratta, infatti, di una vera e propria guerra popolare, basata su un'ideologia nazionalista, la quale pone al centro del proprio programma la questione patriottica ed antimperialista, e che trae la propria forza dalla radicata coscienza dell'origine indigena ancestrale della popolazione nicaraguense, in quanto tale opposta ad un'America totalmente dominata dagli anglosassoni, ossia dai gringos.
    Le radici di questa lotta, in netto contrasto con l'alienazione delle classi dominanti centroamericane, sono la ragione fondamentale dell'ascendente di Sandino sulla popolazione rurale, che gli consente di riportare successive ed importanti vittorie, le quali gli assicurano il controllo su vaste regioni dell'interno. È anche la causa, però, dei suoi limiti politici, della mancanza di un progetto di presa del potere e di ricostruzione della società su basi nuove.
    Già all'inizio del 1928, il generale degli uomini liberi è conosciuto a livello mondiale: persino una delle divisioni dell'esercito rivoluzionario cinese viene denominato «Sandino». Con la VI Conferenza panamericana de La Habana, il suo nome diviene una bandiera di lotta per tutta l'America Latina ed il I Congresso antimperialista di Francoforte dà pieno appoggio alla lotta di liberazione nicaraguense. Negli stessi Stati Uniti, si forma il comitato Mafuenic (Manos fuera de Nicaragua), composto da numerosi intellettuali nordamericani e di varie altre nazionalità.
    Nel corso della lotta, le idee politiche del generale degli uomini liberi subiscono naturalmente un'evoluzione, la quale viene variamente ricostruita ed interpretata. Non v'è dubbio, però, che la sua base di partenza sia la denuncia della dipendenza economico-politica del Nicaragua dagli Stati Uniti, per cui Sandino rivendica a gran voce l'espulsione delle truppe d'occupazione, la formazione di una salda base di solidarietà ispanoamericana e non rifiuta neppure la possibilità della realizzazione del passaggio interoceanico attraverso il proprio paese: piuttosto, ne contesta i diritti esclusivi riconosciuti al governo di Washington. Sul piano sociale, egli individua nei più grossi interessi dei produttori di caffè la causa principale dell'impoverimento di vasti settori contadini Per questo, in lui matura un orientamento riformatore che punta a riconoscere allo Stato la proprietà dei suoli e la necessità di costituire una fitta rete di cooperative.
    Gli effetti della crisi economica mondiale del 1929 (successivi al crollo della Borsa di New York), fanno precipitare in uno stato miserevole tutta la debole struttura economica del paese, soprattutto a causa del crollo del prezzo del caffè. Questa situazione, infatti, getta nella disoccupazione e nella miseria una gran parte della popolazione dedita all'agricoltura.
    All'inizio dell'intervento militare, la Casa Bianca assicura ai propri cittadini che il «problema Sandino» è poca cosa, risolvibile in qualche mese. Invece, passano gli anni ed i marines che ritornano a casa sono dentro a casse da morto, esattamente come alcuni decenni dopo avviene con la guerra del Vietnam. L'opinione pubblica interna inizia ad innervosirsi e le madri dei soldati inviati in Nicaragua chiedono con sempre più forza il rimpatrio dei loro figli.
    Di fronte alla pressione interna ed alle numerose proteste internazionali, oltre alle continue e sempre più pesanti sconfitte militari, gli Stati Uniti compiono il primo passo indietro, decidendo di non inviare più uomini, ma di formare un esercito locale, perfettamente addestrato dai marines: si tratta di un corpo armato, formato esclusivamente da nicaraguensi, che ha l'unico scopo di sconfiggere militarmente la guerriglia. Con questa grossa svolta tattica, militare e politica, il governo di Washington nel 1929 fonde in un solo corpo la polizia e gli eserciti dei partiti politici del Nicaragua (liberale e conservatore), creando in tal modo la Guardia nacional, preparata intensivamente anche sul terreno ideologico. Alla testa di questa istituzione militare pongono un personaggio di loro completa fiducia: Anastasio Tacho Somoza García.
    Alla fine del 1932 gran parte del paese è oramai sotto il controllo dell'esercito sandinista che, nel mese di ottobre, si trova alle porte di Managua. Così, la Casa Bianca annuncia il ritiro dal territorio nicaraguense: raggiunto lo scopo, abbandona il paese nel mese di dicembre, lasciando che i problemi vengano «risolti fra nicaraguensi» (una sorta di «vietnamizzazione» ante litteram). Nel gennaio successivo viene nuovamente eletto il liberale Sacasa alla presidenza della Repubblica (il quale governa dal 1933 al 1936), ma la sua carica ha oramai un carattere puramente formale: il vero centro del potere è nelle mani della Guardia nacional. Ha inizio proprio in questo periodo la politica di «buon vicinato», inaugurata da Franklin Delano Roosevelt durante la VII Conferenza panamericana di Montevideo (1933), la quale implica la rinuncia all'intervento militare diretto della Casa Bianca nei vari paesi dell'America Centrale e dei Caraibi.

    Franklin D. Roosevelt «(...) Dal 1926 era aumentato il debito pubblico ed il cosiddetto tesoro nazionale era in piena bancarotta. Questo costrinse il governo a chiedere nuovi prestiti alla banca nordamericana (...).
    «La crisi capitalista degli Anni Trenta, colpì la produzione di caffè, di caucciù, di legname e di zucchero, con un grande calo nella bilancia dei pagamenti. Il terremoto del 1931, che sconvolse Managua, complicò le cose sino all'estremo, da cui risultò impossibile pagare il debito estero. Non ci fu altro modo per affrontare la crisi, che esercitare il controllo dei cambi nel 1931 e svalutare il córdoba nel 1934, anno che coincide con l'assassinio del generale Augusto Sandino. Successive svalutazioni nel 1937 e nel 1938 fecero pressione perché il debito estero venisse ridimensionato, quando oramai Anastasio Somoza García era signore di servitori e pardoni».

    Tomás Borge


    Con l'elezione di Sacasa alla presidenza, frutto di un ennesimo patto di pacificazione oligarchico, e con la partenza delle truppe straniere d'invasione, a giudizio di Sandino vi sono le condizioni necessarie per l'apertura di un dialogo. Appena l'ultimo contingente di marines lascia il Nicaragua (nel gennaio del 1933), dopo sei anni di lotta portata avanti in condizioni durissime, è pronto a trattare: nel mese di febbraio si reca a Managua, dove viene acclamato dalla folla, per discutere le condizioni di pace. Accetta di trattare anche il ritiro e la smilitarizzazione del proprio esercito popolare e viene quindi invitato dal presidente a stipulare l'accordo. Il 2 febbraio del 1933 viene quindi firmato il «Trattato di riconciliazione nazionale», con il quale Sandino accetta le promesse del neopresidente e depone le armi in cambio di un'amnistia generale per i guerriglieri e della distribuzione alle loro famiglie di terre incolte di proprietà statale. Dopo un netto rifiuto di qualsiasi riconoscimento personale, si ritira con un centinaio di uomini nella zona di Wiwilí, presso il río Coco, dove organizza con i contadini una cooperativa agricola e di estrazione mineraria.
    Il 22 febbraio successivo, a San Rafael del Norte, depone le armi, ma la pacificazione dura molto poco: l'assegnazione delle terre non viene effettuata e si scatena anche la persecuzione nei confronti dei militanti sandinisti. Le aggressioni e le uccisioni proseguono senza sosta; molti ex guerriglieri vengono arrestati ed assassinati dalla Guardia nacional, e questo provoca la giusta protesta di Sandino, il quale si reca varie volte a Managua per trattare direttamente con il presidente.
    Occorre ricordare, per dovere storico, che Sandino non è uno stretto marxista e non viene molto considerato dal comunismo ortodosso: nel 1929 viene persino denunciato dall'Internazionale comunista come un «leader piccolo borghese» e dopo la firma del trattato di pace con Sacasa, viene accusato di tradimento del movimento antimperialista in Nicaragua. Ciò nonostante, di fronte alla sua posizione intransigente, il governo statunitense ritiene oramai assolutamente necessaria la sua eliminazione fisica e l'ordine viene trasmesso a Somoza tramite l'ambasciatore Arthur Bliss Lane. Il 21 febbraio del 1934, Sandino viene ricevuto da Sacasa, il quale gli assicura il proprio diretto e personale interessamento affinché la questione venga risolta positivamente. Ma all'uscita dal colloquio (che si svolge di sera, nel palazzo presidenziale), il generale degli uomini liberi viene fatto prigioniero ed assassinato. Secondo testimonianze attendibili, poche ore prima dell'omicidio, il futuro dittatore afferma: «Vengo ora dall'ambasciata statunitense, dove mi sono incontrato con l'ambasciatore, il quale mi ha assicurato che il governo di Washington appoggia e raccomanda l'eliminazione di Sandino, considerandolo un perturbatore della pace del paese».
    La stessa notte, la Guardia nacional accerchia il villaggio di Wiwilí, roccaforte sandinista, e massacra la popolazione disarmata: il bilancio è di alcune migliaia di morti. Scopo dell'operazione, è quello di evitare per sempre che si parli ancora di sandinismo e l'opera viene completata nel 1936, con un golpe grazie al quale Somoza si libera di Sacasa ed instaura una dittatura, prima personale e poi familiare, che dura oltre quarant'anni.
    Il luogo della sepoltura di Sandino viene tenuto accuratamente nascosto, come segreto di Stato; dal 1934 persino il suo nome viene messo al bando in tutto il paese. Ma le sue azioni e le sue idee vengono gelosamente custodite, trasformandosi nel nucleo fondamentale, strategico e tattico, sulle quali trent'anni dopo si costituisce il Frente Sandinista de Liberación Nacional.

    Per approfondire questi argomenti, si consiglia la lettura di:

    Sergio Ramírez, Sandino, il padre della guerriglia, Cittadella 1978
    Gregorio Selser, La guerriglia contro i marines, Feltrinelli 1972
    Francesco Maraghini, Augusto César Sandino. Le origini storiche del nuovo Nicaragua, DataNews 1989
    Gustavo Beyaut, America centrale e meridionale. Dall'Indipendenza alla crisi attuale, Feltrinelli 1968

  2. #2
    Paul Atreides
    Ospite

    Predefinito

    Zapata, Guevara, Allende e ... San Carlos


    di Maurice Lemoine
    Il 12 ottobre 1991, oltre 40.000 indigeni si riversano nelle piazze e nelle vie di Quetzaltenango, la seconda città del Guatemala, e sfilano sfidando il regime. Intonano cantici: "Gracias Seûor, Graaacias Seeeûoooor...", lugubre rullio di tamburi smorzati, intreccio selvaggio di flauti e di fisarmoniche.. Poi, sfidando il pericolo e le intimidazioni, gli slogan di un movimento popolare che, cento volte annientato, cento volte è risorto dalle ceneri. "Se ve, se siente, el pueblo est presente!" "Si vede, si sente, il popolo è presente!" Poi un grido, ripreso da quarantamila gole, il grido degli oppressi e di tutti i rivoluzionari latinos, si riversa fra le case basse, vola sopra i tetti e schernisce le forze di sicurezza. "El pueblo/ Unido/ Jamas serà vencido!" (1). Da due anni il muro di Berlino non esiste più. Giugno 1994. Contrari a una legge agraria neoliberale, gli indigeni sempre loro equatoriani si sollevano. Nelle sedi della Confederazione nazionale degli Indiani d'Equatore (Conaie), Nina Pacari spiega quali sono gli obbiettivi del movimento: "Vogliamo far vedere che non c'è soltanto la soluzione liberale e che abbiamo da proporre un altro modo di sviluppo". Molti manifesti sono stati affissi nel corridoio accanto all'ufficio.
    Vicino a quello che ricorda il Vertice della terra tenutosi a Rio nel 1992, un altro, rosso violento; afferma: "Senza Cuba, tutto sarebbe diverso!". Cosa ne sanno, gli equatoriani, del regime di Fidel Castro? La sede, squallida e freddissima, di un sindacato boliviano; oppure un ufficio oppresso da un caldo umido dove lottano e si organizzano, in un luogo sperduto del Brasile, contadini vestiti di stracci; una manifestazione a Città del Messico: ovunque, un ritratto, quello di Che Guevara. Nonostante "la fine della storia", sono dunque incurabilmente "comunisti" tutti questi incredibili latinos? O marxisti! Marxisteggianti? Marxiani? E' in Argentina, con l'arrivo di emigrati e di rifugiati politici, soprattutto dopo la repressione della Comune di Parigi nel 1871, che l'ideale socialista si è radicato. Il primo partito comunista d'America latina vi nasce nel 1918. La maggior parte degli altri Pc del continente è fondata dal 1920 al 1930.
    Ma le grandi correnti popolari che animeranno queste terre dallo spirito fiero e indipendente Alleanza popolare rivoluzionaria americana (Apra) in Perù, Movimento nazionalista rivoluzionario (Mnr) in Bolivia, peronismo in Argentina sfuggono al controllo dei loro partiti. Il partito comunista del Salvador, fondato nel 1930 da Augusto Farabundo Marti, organizza nel 1932 l'unica insurrezione di massa dell'intera storia del continente diretta da un Pc, senza che il Komintern abbia alcuna parte in questa decisione. La disfatta e il massacro che segue precedono di tre anni il sollevamento del 1935 in Brasile, diretto da Luis Carlos Prestes con il consenso, questa volta, dell'Internazionale. L'azione è repressa nel sangue. Rinunciando al motto "Solos contra todo y contra todos" ("Soli contro tutto e contro tutti"), il Komintern opera una revisione lacerante e raccomanda l'alleanza con le forze politiche e sociali riformatrici. Occorre attendere la guerra fredda per assistere a una radicalizzazione del comunismo filo-sovietico in alcuni paesi come il Brasile e la Colombia (dove c'è ancora la guerriglia).
    Ma, nonostante il potere o l'influenza che spesso gli si attribuiscono, in nessun paese i partiti comunisti (ma che ne è dei "marxisti"?) riusciranno a prendere il potere. La rivoluzione vittoriosa a Cuba nel 1959 si svolgerà praticamente senza di loro (così come quella del Nicaragua nel 1979).
    All'Avana, il Partito socialista popolare (comunista) si dissocia dai "golpisti piccolo-borghesi" che, con Fidel Castro e in nome di Josè Marti (2), attaccano la caserma della Moncada il 16 luglio 1953; è estraneo al Movimento del 26 luglio che, nel 1956, entra nella resistenza nella Sierra Maestra. Il Partito socialista popolare vi aderirà solo in seguito. In Nicaragua, il Partito socialista nicaraguegno (Psn) si pronuncerà contro la guerriglia, strategia adottata dal Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln) creato nel 1959 da transfughi del Pc. A suo tempo, Sandino fu calunniato nel bollettino ufficiale del Komintern, Correspondance internationale, trattato come "capo piccolo-borghese senza linea rivoluzionaria conseguente" prima che l'Internazionale comunista e il Pc messicano lo accusassero di tradimento. Solo dopo le aggressioni degli Stati uniti che ne provocarono il riavvicinamento all'Unione sovietica, la direzione della rivoluzione cubana si proclamerà "ufficialmente" marxista-leninista. Ciononostante, le relazioni fra castrismo e comunismo, fra radicalismo e strategia sovietica, rimangono difficili. Lo scacco delle guerriglie, la morte del Che nel 1967, sembrano dare ragione alla linea di Mosca. Vi si aggiunge il peso delle crescenti difficoltà economiche che spinge Fidel Castro ad aderire alla linea dell'Urss nel 1968. Da quel momento, soltanto il Partito guatemalteco del lavoro e il partito comunista colombiano passano dalla lotta politica alla lotta armata o combinano le due forme. Nuovo trionfo delle tesi del Kremlino, nel 1970, comunisti, socialisti, radicali, social-democratici e cristiani progressisti cileni, riuniti in Unità popolare, portano al potere, per la prima volta, un candidato socialista, marxista: Salvador Allende. Il colpo di stato del 1973 cancella la speranza di un passaggio pacifico al socialismo. Interi gruppi di militanti, comunisti e non comunisti, vanno a ingrossare le fila delle varie guerriglie che rinascono, segnatamente in America centrale. Sebbene siano ritenuti dipendenti dal comunismo internazionale, sono proprio i movimenti insurrezionali del Nicaragua, del Salvador e del Guatemala a costringere i partiti comunisti, a partire dal 1980, a scegliere la clandestinità e la lotta armata.
    Le lotte rivoluzionarie, vittoriose o no, devono dunque poco ai partiti comunisti. In compenso, sono impregnate delle teorie di San Carlos [san Carlo Karl Marx], come lo chiamava maliziosamente Che Guevara da giovane e sono animate da molti dissidenti dei vari Pc. La scomparsa dell'Unione sovietica, il reinserimento di vecchie guerriglie (Nicaragua, Salvador, Guatemala, in parte Colombia) riconvertite in partiti politici, hanno definitivamente ridotto lo spazio politico e l'influenza dei partiti comunisti del continente. Ma non le lotte. Grande dispensatore di sogni, il neoliberalismo è diventato un incubo. Quando la mobilitazione non produce che fame, carcere o morte, la protesta rinasce sotto nuove forme. La riflessione ha la meglio sul catechismo, come auspicava Che Guevara: "Purtroppo, agli occhi del nostro popolo, si offre l'apologia di un sistema [socialista] piuttosto che la sua analisi scientifica. Ciò è di scarso aiuto per il nostro lavoro di chiarimento. Tutti i nostri sforzi sono tesi a invitare a pensare, ad affrontare il marxismo con la serietà dovuta a questa gigantesca dottrina" (3). Lotte elettorali: emergenza di una nuova sinistra con il Partito rivoluzionario democratico (Prd) in Messico, il Partito dei lavoratori (Pt) in Brasile, l'Alianza in Argentina, il Frente amplio in Uruguay. Per il meglio o per il peggio. Ma, segnale significativo, in Venezuela il colonnello "bolivariano" Hugo Chavez, autore di due tentativi di colpo di stato condotti nel 1992 in nome della lotta contro la corruzione e le disparità sociali, balza in testa ai sondaggi in vista della prossima elezione presidenziale (4). Lotte sociali: in Brasile, il Movimento dei senza-terra (Mst), stanco di una riforma agraria sempre promessa e mai attuata, ha recensito nel 1997 qualcosa come 50.000 famiglie installate in 244 accampamenti su terre occupate; in Bolivia, ai primi di aprile 1998, nonostante la minaccia dello stato di assedio, insegnanti e contadini hanno occupato le strade e bloccato le vie di comunicazione. Lotte indigene: ovunque, gli Indiani si muovono per chiedere il rispetto della propria identità e dei propri diritti. Lotte armate anche: la guerriglia colombiana, con le sue "Repubbliche indipendenti", tiene in scacco i militari. Simbolo e combinazione di queste varie forme, vecchie e nuove, di lotta: sotto il triplice segno di Marx (sub-comandante Marcos), di Zapata (combattenti maya) e d'Internet (http://www.), l'anonimo Felipe, nel Chiapas, dichiara, dietro il suo passamontagna: "Fin che sussisteranno la fame, la povertà, tutte le forme d'ingiustizia, noi rifiuteremo di deporre le armi". Si può non condividere l'uno o l'altro dei metodi usati. Ma non la causa stessa. E non sarà "San Carlos" (Marx) a smentirlo.



    note:


    (1) "Il popolo, unito, non sarà mai vinto".

    (2) Il "padre della patria" cubana, morto in combattimento nel 1895, all'inizio della seconda guerra d'indipendenza di Cuba.
    (3) "Lettre à J.-M. Mestre", in Roberto Mero, Abc-Che, Editions sociales, Parigi, 1997.
    (4) Le Monde, 4 aprile 1998. (Traduzione di M.G.G.)

  3. #3
    Paul Atreides
    Ospite

    Predefinito

    Emiliano Zapata




    A differenza di molti altri rivoluzionari del ventesimo secolo, Emiliano Zapata (1879-1919) non è stato un intellettuale né un transfuga della classe dominante, ma un leader popolare di origine indigena.
    Nato l'8 agosto del 1879 nel villaggio di Anenecuilco, frazione di Villa de Ayala, Stato di Morelos, Emiliano è il penultimo dei dieci figli di una delle tante famiglie impoverite dalle haciendas, le grandi aziende agricole divoratrici di terre che sono l'asse della modernizzazione promossa dal dittatore Porfirio Díaz. Nel Morelos, terra di paradossi e di contraddizioni, si scontrano allora due civiltà: quella degli imprenditori capitalisti imbevuti di positivismo e quella degli indigeni legati alla terra e al villaggio (pueblo) che conservano uno spirito indomito e un forte senso della solidarietà.
    Emiliano, che parla spagnolo e nahuatl, la lingua degli antichi messicani, riceve l'istruzione elementare fino a quando, rimasto orfano all'età di 16 anni, comincia a lavorare distinguendosi ben presto come buon agricoltore e gran conoscitore di cavalli. Dotato di una mente inquieta e di una natura indipendente, non tarda a conquistarsi una posizione di prestigio all'interno della comunità, diventandone al tempo stesso la sua memoria vivente. All'inizio del secolo, lo troviamo chino su antichi documenti coloniali che dimostrano la legittimità delle rivendicazioni del pueblo.
    Negli stessi anni, conosce due personaggi che giocheranno un ruolo importante nella sua vita: Pablo Torres Burgos e Otilio Montaño. Entrambi sono maestri di scuola, entrambi divoratori di letteratura incendiaria. Il primo gli mette a disposizione la propria biblioteca dove vi può leggere anche "Regeneración", la rivista clandestina dei fratelli Flores Magòn; il secondo lo introduce alla letteratura libertaria e in particolare all'opera di Kropotkin.
    Il battesimo politico avviene nel febbraio 1909 quando, eletto sindaco di Anenecuilco, Zapata appoggia il candidato a governatore dell'opposizione. La vittoria dell'aspirante ufficiale, Pablo Escandón, provoca ad Anenecuilco dure rappresaglie e nuove perdite di terre. Verso la metà del 1910, dopo un'infruttuosa intervista con il presidente Díaz e vari tentativi di risolvere i problemi del pueblo per la via legale, Zapata e i suoi cominciano a occupare e a distribuire terre.
    Nel frattempo, il 20 novembre 1910, un gruppo di liberali democratici ostili a Díaz, capeggiato da Francisco Madero, fa appello alla resistenza contro la dittatura, promettendo fra l'altro la restituzione delle terre usurpate. Nel Morelos i tempi sono maturi: passato un primo momento di esitazione, Zapata si lancia nella lotta armata.
    Dopo la morte di Torres Burgos per mano dei federales, egli diventa il capo indiscusso della rivoluzione del sud. Appoggiato dai pueblos, riesce a tenere in scacco le truppe governative fino alla rinuncia del dittatore nel maggio del 1911. Il 7 giugno ha un deludente incontro con Madero il quale, venendo meno alle promesse, si mostra insensibile alle rivendicazioni contadine. L'inevitabile rottura si produce in novembre quando, ormai esasperato, Zapata riprende le armi, lanciando il Plan de Ayala dove si definisce Madero un traditore e si decreta la restituzione delle terre. La rivoluzione del sud ha ormai una bandiera: "sono disposto a lottare contro tutti e contro tutto" scrive Zapata a Gildardo Magaña, suo futuro successore.
    Ha inizio una guerra lunga e difficile, prima contro Madero, poi contro Huerta e infine contro Carranza. I soldati dell'Ejército Libertador del Sur combattono in unità mobili di due o trecento uomini comandati da un ufficiale con il grado di "colonnello" o "generale". Applicando la tecnica della guerriglia, colpiscono i distaccamenti militari per poi abbandonare la carabina 30/30 e scomparire nel nulla. Invano, i federales mettono il Morelos a ferro e fuoco: gli zapatisti sono inafferrabili.
    Verso la fine del 1913, grazie anche alle spettacolari vittorie di Villa al nord, l'antico regime traballa. Dopo la fuga di Huerta (15 luglio), nell'autunno 1914 si celebra ad Aguascalientes una Convenzione tra le differenti frazioni rivoluzionarie che però non riescono a trovare l'accordo. Tra la costernazione dei presenti, il delegato zapatista, Antonio Díaz Soto y Gama, strappa la bandiera nazionale proclamando la necessità di "farla finita con tutte le astrazioni che opprimono il popolo".
    In dicembre, in seguito alla rottura con Carranza, che rappresenta la borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della vergine della Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Gli abitanti della capitale hanno paura dell'Attila del Sud, però i rivoluzionari non commettono saccheggi né atti di violenza. In un gesto poi diventato famoso, Zapata rifiuta l'invito a sedere sulla poltrona presidenziale: "non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano". E torna nel Morelos, territorio libero dopo la fuga dei proprietari terrieri e dei federales.
    Nel 1915, prende forma quel grande esperimento di democrazia diretta che è stato chiamato la Comune di Morelos. Affiancati da una generazione di giovani intellettuali e studenti provenienti da Città del Messico, gli zapatisti distribuiscono terre e promulgano leggi per restituire il potere ai pueblos. Tuttavia il loro destino si gioca più a nord, nella regione del Bajío, dove le strepitose vittorie di Obregón su Villa capovolgono nuovamente la situazione. A quel punto, la rivoluzione contadina entra in una fase di declino progressivo da cui, salvo per brevi momenti, non si riprenderà più. Quasi invincibile sul piano militare, Zapata è attirato in un'imboscata - lui, che aveva sempre temuto il tradimento - e assassinato il 10 aprile 1919, presso l'hacienda di Chinameca. Non ha compiuto 40 anni.
    La storia non finisce qui. Ancora forti, gli zapatisti eleggono loro capo Gildardo Magaña, giovane e abile intellettuale con doti di conciliatore. Questi continua la lotta fino al 1920, quando aderisce al Plan de Agua Prieta, lanciato contro Carranza da un gruppo di generali del Sonora. Ormai stremati, i guerriglieri del Morelos accettano di deporre le armi in cambio della promessa di una riforma agraria. La pace è fatta: sorge così un regime che considera Zapata tra i propri fondatori accanto a coloro che lo hanno assassinato. Tuttora i militari messicani - gli stessi che combattono i neozapatisti del Chiapas - venerano il caudillo del sur, il cui ritratto si può vedere in ogni caserma.
    Quale può essere, oggi, il bilancio dello zapatismo? Più volte, gli storici si sono chiesti se quella del Morelos sia stata un'autentica rivoluzione sociale. Alla domanda molti, sia marxisti che liberali, hanno risposto di no, etichettandola come una ribellione conservatrice, localista e perfino reazionaria. Tuttavia, è facile osservare che il movimento andava oltre la semplice rivendicazione delle terre. Possedeva, ad esempio, una chiara concezione del potere e del governo. Secondo il caudillo del sur, la nazione si doveva costruire a partire da un'organizzazione decentralizzata di pueblos liberamente federati, sovrani ed autonomi nelle decisioni politiche, amministrative e finanziarie. Altro aspetto importante era la preminenza delle autorità civili su quelle militari, una concezione assai avanzata per il Messico di quel tempo.
    Al contrario di quanto sostengono i suoi detrattori, Zapata comprese anche la necessità di non rimanere isolato. Per questo mandò rappresentanti all'estero (tra gli altri, Octavio Paz Solorzano, padre del poeta) e aprì le porte del Morelos a tutti coloro che erano disposti a unirsi alla sua lotta. Nel 1913, chiamò anche Ricardo Flores Magón, allora esiliato negli USA, il quale, per motivi mai del tutto chiariti, non poté accettare l'invito.
    Combinazione contraddittoria di passato, presente e futuro, il movimento zapatista marca l'irruzione delle civiltà indigena nel Messico contemporaneo: la sua sconfitta ha solo rimandato il problema. A fine secolo, Zapata cavalca di nuovo, rivendicando i diritti dei più piccoli.





    Claudio Albertani
    (dal bollettino n°14 del Centro Studi Libertari di Milano)

 

 

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