Stanis Ruinas, da Salò ai comunisti
Nata con l'intento di proseguire nel solco metodologico tracciato da Renzo De Felice, Nuova Storia Contemporanea è in edicola col secondo numero. Il bimestrale vanta collaborazioni di prim'ordine: Giuseppe Are, Giuseppe Galasso, Sergio Romano e Guido Pescosolido tra gli italiani; Juan Linz, Valery Mikhaylenko, Michael Arthur Ledeen, Pierre Chaunu fra gli stranieri, per citare solo alcuni componenti il comitato scientifico guidato da Francesco Perfetti, ordinario alla Luiss "Guido Carli" di Roma. Distinta per sezioni argomentative, la rivista, ospita - fra le altre - una recensione di Gisella Longo al volume di Guido Melis Storia della Amministrazione italiana, edito dal Mulino, e raccoglie un contributo di Paolo Buchignani intitolato Da Mussolini a Togliatti. Il lungo viaggio dei "fascisti rossi", che val la pena leggere attentamente. Buchignani, noto per un pregevole studio su Berto Ricci, fascista eretico e uomo di cultura, si sofferma sulle vicende del periodico Il Pensiero Nazionale, fondato e diretto da Stanis Ruinas, per trenta anni, dal 1947 al 1977. Ruinas si chiamava in realtà Giovanni Antonio De Rosas ed era nato ad Usini nel 1899. Trasferitosi a Roma nei primi anni Venti, inizia a collaborare al quotidiano L'impero, mostrando una vena polemica ed una mordacità fuori dal comune. Aderisce dapprima alla corrente del sovversivismo mussoliniano, di ispirazione antiborghese, e nel 1944 alla neonata Repubblica Sociale Italiana.
Mussolini come Garibaldi?
Preso atto del fallimento del rivoluzionarismo fascista, Ruinas decide di rivolgersi direttamente al duce, paragonandolo a Garibaldi: come l'eroe dei due mondi, il capo del fascismo «avrebbe potuto instaurare la repubblica e detronizzare le dinastie del privilegio economico». Ma Mussolini - aggiungerà Ruinas pochi mesi dopo - avrebbe preferito il rispetto della tradizione a scapito della rivoluzione. In sostanza, buttato il Manifesto di Verona il fascismo aveva ricominciato da capo, dando spazio «alla cricca composta in gran parte da elementi toscani», per responsabilità più che del duce - un pover'uomo isolato e controllato - dei gerarchi come Farinacci e Pavolini, avversari accaniti della tradizione eretica del fascismo, tradizione cui Ruinas volle iscriversi, divenendo un interlocutore precoce della sinistra antifascista e del Pci in particolare. Buchignani puntualizza la propria analisi, prima riferendosi alla ricca bibliografia del fascista usinese - che nel 1939 aveva pubblicato un pamphlet dal titolo Viaggio per le città di Mussolini, quindi romanzi e testi di critica letteraria di non poco interesse - poi entrando nel vivo dell'argomento, ricostruendo la nascita del periodico Il Pensiero Nazionale, che vede la luce a Roma nel maggio del '47, per divenire la voce più autorevole e diffusa del fascismo rosso.
Ad esso collaborano infatti giovani o giovanissimi reduci della Decima Mas, come Lando Dell'Amico, Giampaolo Testa ed Alvise Gigante - che entreranno nel Pci fra il 1948 ed il '49 - ed antifascisti come Luigi Bartolini, che appartenevano alla sinistra e che avevano avuto, fin dagli anni Trenta, un apporto interlocutorio con la versione rivoluzionaria del mussolinismo, auspicando l'unità di azione tra ex repubblichini e comunisti, in nome prima di tutto dell'anticapitalismo. Dopo la Liberazione è Giancarlo Pajetta l'esponente comunista maggiormente impegnato nella strategia di recupero di Botteghe Oscure, verso i reduci del Ventennio. E lo stesso Pajetta ha confermato il proprio personale rapporto con Ruinas e l'aiuto offerto dal partito, con l'avvallo della segreteria e degli esponenti più autorevoli, da Felice Platone a Franco Rodano, dal giovane Berlinguer ad Ugo Pecchioli. I destinatari di quella politica - scrive Pajetta nel settembre del 1945 - sono tutti coloro che "il traviamento a condotto nelle file dell'esercito di Graziani".
Redenzione ed espiazione
È con la persuasione che il Pci intende perseguire il progetto, offrendo redenzione a quanti se ne mostreranno degni, previa una eventuale quanto opportuna espiazione. Tra i protagonisti della pacificazione non può non esservi Stanis Ruinas - il più filocomunista fra i fascisti rossi - che agli occhi della dirigenza del Pci «si presenta come l'uomo giusto, capace di gettare un ponte tra la massa sbandata dei fascisti e la sinistra comunista». Secondo quanto ha scritto nel 1995 Ugo Pecchioli, «alla fine del 1952 circa trentaquattromila giovani e meno giovani erreseisti (sic) erano tracimati a sinistra», rifiutando di aderire al Movimento Sociale di De Marsanich, Almirante e Michelini. All'inizio degli anni Cinquanta i gruppi legati a Il Pensiero Nazionale entrano nell'agone politico repubblicano, senza abbandonare peraltro il populismo nazionalistico, l'anticapitalismo di matrice fascista o la ostilità verso l'Alleanza Atlantica e le democrazie plutocratiche dell'Occidente. L'occasione è offerta, nella primavera del 1953, dalla campagna contro la legge truffa di Mario Scelba, condotta in sintonia con l'ex ministro liberale Epicarmo Corbino. Stanis Ruinas, con l'aiuto di Giorgio Pini, tenta di riunire la sinistra nazionale, nella speranza di aggregare in Italia le forze autonome dal partito di Palmiro Togliatti. Il fascismo rosso desidera rivendicare il valore della vicenda di Salò ed il diritto, per l'Italia, ad una collocazione indipendente dai due blocchi internazionali dominanti. Il fine ultimo, recita il programma approvato dalla assise riunita a Bologna nel luglio del 1956, è quello di dare vita ad una Repubblica presidenziale fondata sullo stato del lavoro. Il periodico del polemista sardo prosegue intanto le pubblicazioni, con la collaborazione, fra gli altri, di Anton Giulio Bragaglia, fondatore del Teatro degli Indipendenti. Ma rilievo particolare, di lì a poco, ha l'amicizia fra Ruinas ed Enrico Mattei, quale finanziatore della pubblicazione.
Il Pensiero Nazionale non cela la propria simpatia per la linea filo-araba della stessa sinistra democristiana, come attestano le corrispondenze, ancora inedite, intercorse con Giorgio La Pira ed Aldo Moro. Le lettere di Moro, scrive Buchignani, «in particolare un biglietto del 10 maggio 1973 ed una lettera del 3 novembre 1976, dimostrano la persistenza del legame, nonché dei finanziamenti, dovuti al leader democristiano», peraltro a poca distanza dalla cessazione delle pubblicazioni del periodico.
GIò Murru