Quando un sogno va in frantumi
Lettera aperta del co-fondatore di Shalom Achshav ai palestinesi
di Mario Wainstein*
Prima di tutto devo fare una dichiarazione.
I nostri saggi dicono che no si deve giudicare quello che una persona
dice in un momento di lutto o di tristezza, perché non sono momenti di
somma lucidità.
Quello che sto per dire in questa nota- una delle più personali e gravi
che ricordo in tutta la mia lunga carriera giornalistica- è il prodotto
di quel momento e non so come la penserò qualche semana o mese dopo
d'averla detta.
Pero la rivista su cui la pubblico esce settimanalmente e non posso
certamente postdatare i miei sentimenti.
Passarci sopra, come niente fosse, sarebbe ingannare il lettore, una
cosa che non ho mai fatto, alla faccia di chi la pensa in modo
contrario.
Per tutta la mia vita sono stato un buon nipote. Tanto buon nipote,
quanto figlio, dei miei due nonni senza contare le rispettive coniugi
(sic!).
Il mio nonno materno era un ebreo tradizionalista che andava in sinagoga
tutti i Shabbat.
Quello paterno era comunista e sognava un mondo migliore senza
oppressori e oppressi, senza corrotti, né coluttatori.
Sono loro erede a mò di trasfusione, e non solo genetica, ma anche di
quella delle lunghe e nostalgiche ore di convivenza nei quali i ruoli
erano chiaramente definiti:
loro parlavano- io ascoltavo. Dalla mia infanzia mi trascino dietro
un'immagine incancellabile, perchè è impresionante per un bambino vedere
il proprio nonno piangere.
Mi viene in mente il mio nonno, seduto sul bordo del letto, a
raccontarmi su come, dopo che Nikita Krushchov aveva denunciato i
crimini di Stalin, era venuta a casa sua a Mendoza l'umile esatrice del
Partito Comunista, per ritirare la quota mensile di sottocrizione.
Il mio nonno, con occhi vitrei e voce spezzata, con un misto
d'indignazione e dolore, mi raccontò come aveva scaricato su quella
povera donna tutta la frustrazione d'una vita intera:
"Siete voi a dovermi pagare, per i danni e i pregiudizi con cui m'avete
fatto credere in voi e con i quali m'avete ingannato per tutta la vita".
Era inconsolabile.
Io venni a vivere in Israele come nipote di quei miei nonni, e dedicai
quasi tutta la mia vita da adulto a lottare per la rivendicazione dei
diritti degli svantaggiati in genere e dei palestinesi in particolare,
in virtù di nipote del altro mio nonno.
Non riesco a capire come la storia possa ripettersi in una maniera tanto
simile.
Io, che una volta pagai la mia attività sociale a favore degli arabi di
Lod con il mio posto di lavoro; io, che vissi un anno intero dei i miei
risparmi senza lavorare per poter dedicarmi, dopo la guerra del Libano,
all'attività politica a favore del dialogo con l'OLP; io, che preferivo
la prigione militare durante l'Intifada invece di reprimere i civili nei
territori occupati; io, oggi dico che ho sperperato le mie energie, i
miei sogni, le mie capacità e gran parte della mia vita e che sono stato
utilizzato come un idiota utile, la cui buona fede è stata abusata.
Mentre esigevo il dialogo e la creazione di uno stato palestinese, come
conseguenza naturale del sentimento della solidarietà tra i popoli, il
palestinese mi appoggiava come conseguenza naturale del suo desiderio di
togliere a me lo stesso diritto che io stavo rivendicando per lui.
Stato palestinese sì, Stato ebraico no. Mentre che stavo cercando
affanosamente la formula del modua vivendi, un accordo onorevole, una
soluzione partica per la convivenza armonica su un piano di uguaglianza,
egli cercava giustizia.
La sua giustizia esclusiva.
Se me avessero avvisato prima, avrei anche
potuto difendere la giustizia del sionismo e della mia presenza in
questo posto, mettendomi nella prima linea di fuoco.
Avevo capito (e continuo a pensarla ancora adesso così) che se si
trattava di un conflitto di giustizia, non potremo mai arrivare a nessun
accordo, visto che la giustizia è inflessibile, assoluta ed
innegoziabile.
Con la giustizia, come anche con la religione, si rischia a finire in
una lotta armata al ultimo sangue, finchè uno non annihilisce
fisicamente l'avversario .
Essa serve soltanto per risvegliare fanatismi ed ideologie totalitarie.
Non sono imbecille, come posso apparire a molti di voi, e so che non c'è
altra via che il negoziato.
Tanto voi che noi stiamo qui per rimanerci ed abbiamo la opzione di
farlo nel bene o nel male, con la vita o con la morte.
Fino a poco fa, ero disposto a fare molto per farlo nel bene, affinchè
vivessimo in pace, affinchè arrivassimo ad un accordo. Oggi non più.
L'unica cosa che m'interessa a questo punto è riuscire a separarci per
non doverci mai più guardare in faccia.
Vorrei costruire una muraglia invulnerabile che ci separi e non vi
voglio più vedere.
Noi non siamo cugini.
Nel migliore dei casi, siamo vicini che non si possono soffrire.
Io, per lo meno, non vi voglio più.
In quello schifoso linciaggio a Ramallah avete partecipato tutti voi,
neppure v'eravate disturbati a cercare addetti "speciali".
Avete partecipato tutti voi che eravate lì, quello che empiricamente
significa "tutti".
Non Hamas, Non la Yihad Islamica.
Gente comune.
Ubriachi di sangue.
Io, con gente come voi non voglio fare la pace.
Semplicemente non vi voglio più vedere.
Non voglio stare lì e non voglio che entriate qui.
E le vostre trasmissioni televisive debbono venir codificati come i
canali pornografici per evitare che turbino le menti dei minori. Quando
quasi si è fatto un pogrom a Nazaret, perfino io, umilmente, lo
condannai in questa colonna con rabbia.
Venti dei nostri scrittori prominenti sono andati lì per esprimere le
loro condoglianze.
Ed io sto ancora sperando che una sola persona, e non dico un
intellettuale, ma un semplice palestinese pubblichi nella stampa, la
radio o la televisione la sua condanna, il suo orrore, il suo rabbrezzo
per quello che è stato fatto a Ramallah.
Dopo 32 anni di lotta, poco fa, mi è venuto da chiedere:
Dove sta il movimento di Pace Adesso di voi palestinesi?
Com'è possibile che qui stiamo continuamente assillando i nostri governi
affinchè siano più flessibili e l'unica cosa che otteniamo da voi
palestinesi è cooperazione nello stesso obiettivo?
Non vi è mai passato per la mente che anche voi potete esercitare
pressioni sul vostro governo affinché sia anch'esso più flessibile?
Credete da vero che la colpa sia solo nostra e la giustizia solo vostra?
Stiamo all'orlo d'una guerra orribile che ormai pare inarrestabile.
Però, se qualcuno di voi crede che siamo disposti a rinunciare alla
nostra ragione d'essere, sbaglia di grosso.
Ormai mi sono stancato d'intendere sempre e solo le suscettibilità
palestinesi, senza che nessuno di voi e disposto ad ascoltare quali sono
le mie.
Voi dite che per voi l'onore è una questione principale. Può anche
darsi.
In quanto a me, per via di qualcosa che ha da vedere con i miei nonni,
ogni volta che dite che mi volete sterminare, mi create seri problemi
all'apparato digerente.
Per di più, se le vostre minacce vengono accompagnate con un linciaggio.
Come il mio nonno di Mendoza, io non credo, né nella metempsicosi, né
nell'immortalità dell'anima.
Anche se, ahimè, la mia angoscia non è una fotocopia della sua.
Avrei voluto poterle chiedere cosa si fa con tutto questo vuoto nel
petto quando un grande sogno va in frantumi.
* Mario Wainstein è un giornalista argentino di tendenza progressista,
residente da più di 30 anni in Israele. Redattore capo del settimanale
AURORA.
Cofondatore di Shalom Achshav (Pace Adesso) e attivista militante
per il dialogo israelo-palestinese.
Il movimento di Shalom Achshav ha organizzato manifestazioni di massa
negli anni '90 ed è riuscito a mobilitare 1 milione di aderenti