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    Predefinito 26 dicembre - S. Stefano, protomartire

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Santo Stefano, Primo martire

    26 dicembre - Festa

    sec. I

    Primo martire cristiano, e proprio per questo viene celebrato subito dopo la nascita di Gesù. Fu arrestato nel periodo dopo la Pentecoste, e morì lapidato. In lui si realizza in modo esemplare la figura del martire come imitatore di Cristo; egli contempla la gloria del Risorto, ne proclama la divinità, gli affida il suo spirito, perdona ai suoi uccisori. Saulo testimone della sua lapidazione ne raccoglierà l'eredità spirituale diventando Apostolo delle genti. (Mess. Rom.)

    Patronato: Diaconi, Fornaciai, Mal di testa

    Etimologia: Stefano = corona, incoronato, dal greco

    Emblema: Palma, Pietre

    Martirologio Romano: Festa di santo Stefano, protomartire, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, che, primo dei sette diaconi scelti dagli Apostoli come loro collaboratori nel ministero, fu anche il primo tra i discepoli del Signore a versare il suo sangue a Gerusalemme, dove, lapidato mentre pregava per i suoi persecutori, rese la sua testimonianza di fede in Cristo Gesù, affermando di vederlo seduto nella gloria alla destra del Padre.

    Martirologio tradizionale (26 dicembre): A Gerusalemme il natale di santo Stefano Protomartire, il quale fu lapidato dai Giudei non molto dopo l'Ascensione del Signore.

    (7 maggio): A Roma la Traslazione del corpo di santo Stefano Protomartire, che, al tempo del Papa Pelagio primo, da Costantinopoli portato a Roma e deposto nel sepolcro di san Lorenzo Martire al campo Verano, vi è onorato con grande pietà dai devoti.

    (3 agosto): A Gerusalemme l'Invenzione del beatissimo Stefano Protomartire, e dei santi Gamaliele, Nicodemo ed Abibone, come fu rivelato da Dio al Prete Luciano, al tempo del Principe Onorio.

    Dopo la Pentecoste gli apostoli rivolsero l'annuncio del messaggio cristiano ai più vicini, agli Ebrei, attizzando il conflitto appena sopito da parte delle autorità religiose. Come Cristo, gli apostoli conobbero subito l'umiliazione delle verghe e della prigione, ma appena liberati dalle catene ripresero la predicazione del vangelo. La prima comunità cristiana, per,vivere integralmente il precetto della carità fraterna, mise tutto in comune, spartendo quotidianamente quanto bastava per il sostentamento. Col crescere della comunità, gli apostoli affidarono il servizio dell'assistenza giornaliera a sette ministri della carità, detti diaconi.
    Tra questi faceva spicco il giovane Stefano, che, oltre a svolgere le funzioni di amministratore dei beni comuni, non rinunciava ad annunciare la buona novella, e lo fece con tanto zelo e con tanto successo che i Giudei, "gettatisi su di lui, l'afferrarono e lo condussero davanti al sinedrio. Poi produssero falsi testimoni i quali dissero: Costui non cessa di pronunciare parole contro il luogo santo e la Legge. Lo abbiamo infatti sentito dire che quel Gesù di Nazaret distruggerà questo luogo e cambierà le istituzioni che Mosè ci ha tramandate".
    Stefano, come si legge al capitolo 7 degli Atti degli apostoli, "pieno di grazia e di fortezza", prese a pretesto la sua autodifesa per illuminare le menti dei suoi avversari. Dapprima compendiò la storia ebraica da Abramo a Salomone, quindi affermò di non aver bestemmiato né contro Dio, nè contro Mosè, la Legge o il Tempio. Dimostrò infatti che Dio si rivelava anche fuori del Tempio e si accingeva ad esporre la dottrina universale di Gesù come ultima manifestazione di Dio, ma i suoi avversari non gli consentirono di proseguire il discorso, poiché, "menando alte grida, si turarono le orecchie... poi lo trascinarono fuori della città e lo lapidarono".
    Piegando le ginocchia sotto la martellante pioggia di pietre, il primo martire cristiano ripetè le stesse parole di perdono pronunciate da Cristo sulla croce: "Signore, non imputare loro questo peccato". Nel 415 la scoperta delle sue reliquie suscitò grande commozione nel mondo cristiano. Quando parte di queste reliquie vennero portate, più tardi, da Paolo Orosio nell'isola di Minorca, fu tale l'entusiasmo degli isolani che, ignorando la lezione di carità del primo martire, passarono a fil di spada gli Ebrei ivi emigrati. La festa del primo martire fu celebrata sempre immediatamente dopo la festività natalizia, cioè tra i "comites Christi", i più vicini alla manifestazione del Figlio di Dio, perché per primi ne resero testimonianza.

    Autore: Piero Bargellini

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    ALTRA BIOGRAFIA DALLO STESSO SITO:

    La celebrazione liturgica di s. Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre, subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono posti i “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio.
    Così al 26 dicembre c’è s. Stefano primo martire della cristianità, segue al 27 s. Giovanni Evangelista, il prediletto da Gesù, autore del Vangelo dell’amore, poi il 28 i ss. Innocenti, bambini uccisi da Erode con la speranza di eliminare anche il Bambino di Betlemme; secoli addietro anche la celebrazione di s. Pietro e s. Paolo apostoli, capitava nella settimana dopo il Natale, venendo poi trasferita al 29 giugno.
    Del grande e veneratissimo martire s. Stefano, si ignora la provenienza, si suppone che fosse greco, in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”.
    Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella cultura ellenistica; certamente fu uno dei primi giudei a diventare cristiani e che prese a seguire gli Apostoli e visto la sua cultura, saggezza e fede genuina, divenne anche il primo dei diaconi di Gerusalemme.
    Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli ultimi suoi giorni; qualche tempo dopo la Pentecoste, il numero dei discepoli andò sempre più aumentando e sorsero anche dei dissidi fra gli ebrei di lingua greca e quelli di lingua ebraica, perché secondo i primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove venivano trascurate.
    Allora i dodici Apostoli, riunirono i discepoli dicendo loro che non era giusto che essi disperdessero il loro tempo nel “servizio delle mense”, trascurando così la predicazione della Parola di Dio e la preghiera, pertanto questo compito doveva essere affidato ad un gruppo di sette di loro, così gli Apostoli potevano dedicarsi di più alla preghiera e al ministero.
    La proposta fu accettata e vennero eletti, Stefano uomo pieno di fede e Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas, Nicola di Antiochia; a tutti, gli Apostoli imposero le mani; la Chiesa ha visto in questo atto l’istituzione del ministero diaconale.
    Nell’espletamento di questo compito, Stefano pieno di grazie e di fortezza, compiva grandi prodigi tra il popolo, non limitandosi al lavoro amministrativo ma attivo anche nella predicazione, soprattutto fra gli ebrei della diaspora, che passavano per la città santa di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede in Gesù crocifisso e risorto.
    Nel 33 o 34 ca., gli ebrei ellenistici vedendo il gran numero di convertiti, sobillarono il popolo e accusarono Stefano di “pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio”.
    Gli anziani e gli scribi lo catturarono trascinandolo davanti al Sinedrio e con falsi testimoni fu accusato: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno, distruggerà questo luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”.
    E alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno proprio così?”, il diacono Stefano pronunziò un lungo discorso, il più lungo degli ‘Atti degli Apostoli’, in cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva preparato per mezzo dei patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto, ma gli Ebrei avevano risposto sempre con durezza di cuore.
    Rivolto direttamente ai sacerdoti del Sinedrio concluse: “O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e non l’avete osservata”.
    Mentre l’odio e il rancore dei presenti aumentava contro di lui, Stefano ispirato dallo Spirito, alzò gli occhi al cielo e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio”.
    Fu il colmo, elevando grida altissime e turandosi gli orecchi, i presenti si scagliarono su di lui e a strattoni lo trascinarono fuori dalle mura della città e presero a lapidarlo con pietre, i loro mantelli furono deposti ai piedi di un giovane di nome Saulo (il futuro Apostolo delle Genti, s. Paolo), che assisteva all’esecuzione.
    In realtà non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio non aveva la facoltà di emettere condanne a morte, ma non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza in quanto Stefano fu trascinato fuori dal furore del popolo, quindi si trattò di un linciaggio incontrollato.
    Mentre il giovane diacono protomartire crollava insanguinato sotto i colpi degli sfrenati aguzzini, pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”, “Signore non imputare loro questo peccato”.
    Gli Atti degli Apostoli dicono che persone pie lo seppellirono, non lasciandolo in preda alle bestie selvagge, com’era consuetudine allora; mentre nella città di Gerusalemme si scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani, comandata da Saulo.
    Tra la nascente Chiesa e la sinagoga ebraica, il distacco si fece sempre più evidente fino alla definitiva separazione; la Sinagoga si chiudeva in se stessa per difendere e portare avanti i propri valori tradizionali; la Chiesa, sempre più inserita nel mondo greco-romano, si espandeva iniziando la straordinaria opera di inculturazione del Vangelo.
    Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 dicembre 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome.
    Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto alle loro reliquie e certamente Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini.
    Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì s. Paolo, i compagni erano il protomartire s. Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino, san Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a s. Stefano e s. Abiba suo figlio seppellito vicino a Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio testamentario.
    Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva; con l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo scavo con il ritrovamento delle reliquie. La notizia destò stupore nel mondo cristiano, ormai in piena affermazione, dopo la libertà di culto sancita dall’imperatore Costantino un secolo prima.
    Da qui iniziò la diffusione delle reliquie di s. Stefano per il mondo conosciuto di allora, una piccola parte fu lasciata al prete Luciano, che a sua volta le regalò a vari amici, il resto fu traslato il 26 dicembre 415 nella chiesa di Sion a Gerusalemme.
    Molti miracoli avvennero con il solo toccarle, addirittura con la polvere della sua tomba; poi la maggior parte delle reliquie furono razziate dai crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia riusciti a identificarle dai tanti falsi proliferati nel tempo, a Venezia, Costantinopoli, Napoli, Besançon, Ancona, Ravenna, ma soprattutto a Roma, dove si pensi, nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, un braccio a S. Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a S. Luigi dei Francesi, un terzo braccio a Santa Cecilia; inoltre quasi un corpo intero nella basilica di S. Loernzo fuori le Mura.
    La proliferazione delle reliquie, testimonia il grande culto tributato in tutta la cristianità al protomartire santo Stefano, già veneratissimo prima ancora del ritrovamento delle reliquie nel 415.
    Chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero dappertutto, solo a Roma se ne contavano una trentina, delle quali la più celebre è quella di S. Stefano Rotondo al Celio, costruita nel V secolo da papa Simplicio.
    Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che portano il suo nome; nell’arte è stato sempre raffigurato indossando la ‘dalmatica’ la veste liturgica dei diaconi; suo attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono dei tagliapietre e muratori.

    Autore: Antonio Borrelli










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    Predefinito Dai Discorsi di S. Agostino, vescovo

    (Discorsi, 314, in PL 38, 1425-1426)

    NEL NATALE DEL MARTIRE STEFANO

    Si deve imitare Stefano nell'amare i nemici.

    1. Ieri abbiamo celebrato il Natale del Signore; oggi celebriamo il Natale del suo Servo: ma, quale Natale del Signore, abbiamo celebrato il giorno in cui si degnò nascere; quale Natale del Servo, celebriamo il giorno nel quale ricevette la corona. Abbiamo celebrato il Natale del Signore, in cui egli ricevette la veste della nostra carne; celebriamo il Natale del Servo, nel quale questi lasciò la sua veste di carne. Abbiamo celebrato il Natale del Signore, nel quale egli si fece simile a noi; celebriamo il Natale del Servo, nel quale questi passò accanto a Cristo. Quindi, come Cristo, per la nascita, si unì a Stefano, così Stefano, con la morte, si unì a Cristo. Se la Chiesa celebra con uguale manifestazione di riverente pietà il giorno della Nascita e il giorno della Passione del Signore nostro Gesù Cristo è perché l'una come l'altra è medicina. Infatti egli nacque perché noi avessimo una nuova nascita; morì, perché la nostra vita fosse eterna. I martiri, invece, portando con sé il peccato originale, con la nascita, entrarono nella lotta contro il male; con la morte però, ponendo fine ad ogni peccato, passarono ai beni assolutamente certi. D'altra parte, così posti nel pieno di una persecuzione, se la ricompensa della beatitudine futura non fosse la loro consolazione, come potrebbero tollerare quei supplizi causati dai diversi generi di martirio? Se il beato Stefano, posto sotto una pioggia di sassi, non avesse avuto il pensiero alla ricompensa che lo attendeva, come avrebbe potuto sopportare quella gragnuola di colpi? Ma portava nell'animo il precetto di colui che contemplava presente in cielo; e, sollevato verso di lui da ardentissimo amore, bramava lasciare al più presto la carne e prendere il volo verso di lui: né temeva più la morte, scorgendo vivente Cristo, ucciso per lui; quindi aveva fretta di morire a sua volta per lui e di vivere con lui. Riguardo poi a che cosa dovesse contemplare il beatissimo martire, posto in quel combattimento, voi rammentate senza dubbio le sue parole che siete soliti ascoltare dalla lettura del libro sugli Atti degli Apostoli: Ecco contemplo i cieli aperti e Cristo che sta alla destra di Dio (At 7, 55), egli disse. Contemplava Gesù che stava in piedi, per questo si teneva fermo, senza cadere; poiché stava in alto e dall'alto osservava quello che, in basso, era nella lotta, infondeva invincibile resistenza al suo soldato perché non cadesse. Ecco - disse - contemplo i cieli aperti. Beato quell'uomo cui si aprivano i cieli. Ma chi aprì i cieli? Colui del quale si dice nell'Apocalisse: Egli è che apre, e nessuno chiude; chiude, e nessuno apre (Ap 3, 7). Quando Adamo fu espulso dal paradiso dopo quel primo ed empio peccato, il cielo venne chiuso contro il genere umano: dopo la passione di Cristo, per primo entrò il ladro, dopo di lui Stefano contemplò il cielo aperto. Di che ci meravigliamo? Che contemplò realmente e realmente volle indicare e conquistò con violenza?

    Si tratta il medesimo argomento.

    2. Coraggio, fratelli, andiamogli dietro; saremo infatti coronati seguendo Stefano. Ma soprattutto lo dobbiamo seguire ed imitare nell'amore verso i nemici. Certo, sapete che, circondato da una folta calca di nemici, percosso da ogni lato da fitti colpi di sassi, sereno e intrepido, mite e indulgente tra i sassi che gli procuravano la morte, rivolto a colui per il quale veniva ucciso, non disse: Signore, sii giudice della mia morte, ma: Ricevi il mio spirito (At 7, 58). Non disse: Signore Gesù, vendica il tuo servo, che vedi sottoposto a un tale supplizio di morte, ma: Non imputare loro questo peccato (At 7, 59). Quindi, costante nella testimonianza della verità, acceso di carità nello spirito, come sapete, il beatissimo Martire pervenne alla più alta gloria e il chiamato, che avrà perseverato sino alla fine, conseguì il premio per cui era stato chiamato: Stefano, a gloria del suo nome, fu condotto alla corona. Perciò, quando il beato Stefano per primo versò il sangue per Cristo, fu come venisse dal cielo una corona, perché l'avessero in premio quanti lo avrebbero seguito, quelli che avrebbero imitato nella lotta la virtù di chi aveva preceduto. In seguito, il frequente ripetersi del martirio riempì la terra. Quanti poi versarono il sangue per testimoniare Cristo, posero sul proprio capo quella corona, servandola intatta per quelli che sarebbero venuti dopo. Ed ora, fratelli, pende giù dal cielo: chiunque l'avrà desiderata, volerà rapidamente ad essa. E, per un'esortazione breve ed incisiva, alla vostra Santità non c'è bisogno di molte parole: Chiunque desidera la corona veda di imitare Stefano. Rivolti al Signore.


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    Predefinito Dai Discorsi di S. Agostino, vescovo

    (Discorsi, 315, in PL 38, 1426-1431)

    NELLA FESTA DEL MARTIRE STEFANO

    La "Passione" di Santo Stefano descritta in un libro canonico, gli Atti degli Apostoli, lettura riservata al Tempo Pasquale.

    1. 1. Mentre se ne dava lettura, avete ascoltato come il beatissimo Stefano sia stato ordinato Diacono, settimo con altri sei, e come avesse raggiunto la corona del cielo. Alla Carità vostra è stato così presentato questo primo merito del primo Martire. Se con difficoltà possiamo rinvenire quelli che sono stati gli atti eroici di altri martiri, per darne lettura nelle rispettive solennità, quanto alla "passione" di Stefano, essa è descritta in un libro canonico: Atti degli Apostoli, libro compreso nel Canone delle Scritture. Si dà inizio alla lettura di questo libro la Domenica di Pasqua, secondo la consuetudine della Chiesa. Dunque, da questo libro, che ha per titolo Atti degli Apostoli, avete ascoltato come siano stati scelti e ordinati dagli Apostoli sette Diaconi, tra i quali era santo Stefano. Primi gli Apostoli, dopo di loro, i Diaconi. Ma il primo Martire tra i Diaconi ha preceduto il primo martire tra gli Apostoli; dagli "agnelli" la prima vittima, invece che dagli "arieti".

    La "Passione" di Santo Stefano simile alla passione di Cristo. Falsi testimoni per entrambi. La grande forza della verità.

    1. 2. Quanta, d'altra parte, la somiglianza della "passione" di Stefano con quella del suo Signore e suo Salvatore. Falsi testimoni contro costui così come contro di lui: proprio sullo stesso argomento. Sapete infatti e ricordate che dissero i falsi testimoni contro Cristo Signore: Noi lo abbiamo udito dire: distruggo questo tempio e in tre giorni ne edifico un altro nuovo (Mc 14, 58). Non aveva detto esattamente così il Signore: ma la falsità volle essere vicina alla verità. Com'è che sono testimoni falsi? Ascoltarono dire: Distruggete questo tempio, e dopo tre giorni lo susciterò di nuovo (Gv 2, 19). E l'evangelista dice: Ma egli parlava del tempio del suo Corpo (Gv 2, 21). Testimoni falsi: in luogo di quel che fu detto: Distruggete, dissero: Distruggo. Poco cambiarono nelle sillabe, ma i testimoni falsi furono tanto più cattivi per quanto vollero avvicinarsi alla verità con la calunnia. Ed a costui che cosa venne opposto? Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà la tradizione della Legge (At 6, 14). Davano una falsa testimonianza e una profezia verace. Allo stesso modo quell'empio Caifa, loro maestro, principe dei sacerdoti, consigliando i Giudei a dare la morte a Cristo, questo disse: È meglio che muoia un solo uomo e non perisca la nazione intera (Gv 11, 50). E l'Evangelista commentò: Non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione (Gv 11, 51). Che vuol dire questo, fratelli? Grande è la forza della verità. Gli uomini hanno in odio la verità, ma inconsciamente profetizzano la verità. Non sono essi ad operare, ma si opera per loro mezzo. Dunque, questi testimoni falsi si fecero avanti simili a quei testimoni falsi per i quali il Cristo fu ucciso.

    perché Santo Stefano non tace davanti al Sinedrio. Predicare dai tetti.

    2. 3. Quelli lo condussero davanti al Sinedrio per dare maggiore importanza al giudizio. Ma l'amico di Cristo, esposta la propria causa, annunziò la verità del suo Signore. Era vicino a morire: perché quella lingua pia doveva tacere davanti agli empi? Perché non doveva morire per la verità? Quanto alla somiglianza della passione, è dissimile dal suo Signore solo perché in Cristo comporta un mistero. Infatti egli è Dio per l'eccellenza della maestà. Il Signore, quando fu condotto alla passione, interrogato, preferì tacere; costui non tacque. Perché il Signore preferì tacere? Perché di lui era stato predetto: Come pecora fu condotto per essere immolato, e come agnello muto davanti al suo tosatore, così non aprì la sua bocca (Is 53, 71). Ma costui perché non volle tacere? Perché proprio dal Signore era stato detto: Quello che vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che ascoltate all'orecchio, ditelo sui tetti (Mt 10, 27). Come predicò sui tetti santo Stefano? Calpestando la casa di fango, la carne. Infatti, chi non teme la morte, calpesta la carne. Egli cominciò con l'esporre dall'inizio la Legge di Dio, da Abramo fino a Mosè, fino alla promulgazione della Legge, fino all'ingresso nella Terra Promessa, per dimostrare la non veracità della testimonianza di cui si servivano per calunniarlo. Quindi, in Mosè presentò loro un'espressiva figura di Cristo. Quel Mosè da essi respinto, divenne il loro liberatore; respinto, si fece liberatore. Non rese male per male; anzi, ricambiò con il bene il male. Così pure Cristo Signore: ripudiato dai Giudei, in seguito egli è colui che li renderà liberi.

    Il popolo dei Giudei liberato da Cristo in alcuni di loro.

    3. 4. Ma chi ora muore, è morto. I Giudei che vedi avranno l'ora della loro liberazione per mezzo di lui che respinsero, ma non lo sanno. Quelli che al presente bestemmiano, si perdono: saranno altri allora, non costoro. Nell'esporre queste cose, non ad altri, ma ad essi stessi promettiamo la salvezza. Il popolo sarà liberato, non costoro. Comprendete e date credito alla similitudine. Forse che ora Dio non libera i pagani? Tutti i pagani credono in Cristo e da figli del diavolo, diventano figli di Dio. Tuttavia, quei nostri antenati, dai quali siamo nati noi, che ebbero il culto degli idoli, si perdettero con gli idoli.

    Santo Stefano verso i Giudei: duro nelle parole, indulgente nel cuore.

    3. 5. Avete ascoltato e avete seguito visioni impresse nella mente. La parola giungeva all'udito, la visione era per la mente. Avete contemplato l'intrepida lotta di santo Stefano, che nel corso di essa veniva lapidato. Chi è? Colui che poco avanti spiegava la Legge. Quale Legge insegnava? Quella che essi ricevettero in tavole di pietra. Diventati a ragione di pietra, lapidarono l'amico di Cristo. Gente testarda (dopo aver spiegato, cominciò a rimproverare) e pagana nel cuore e nelle orecchie. Quale dei profeti non uccisero i vostri padri? (At 7, 51-52) Sembra inesorabile: duro nelle parole, indulgente nel cuore. Rimproverava con forza e amava. Era spietato e li voleva salvi. Chi non lo avrebbe creduto adirato, chi non lo avrebbe creduto acceso dalle fiamme dell'odio quando diceva: Gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie? Frattanto il Signore guardò dal cielo e Stefano lo vide. Il cielo si aprì; vide Gesù in atto di incoraggiare il suo campione. Non tacque Stefano su ciò che vide: Ecco io contemplo - disse - i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio (At 7, 56). Quelli, udito questo, quasi fosse stata una bestemmia quello che costui aveva detto, si turarono le orecchie, diedero di piglio alle pietre. Nel Salmo era stato detto: Come vipera sorda che si tura le orecchie (Sal 57, 5). Fecero chiaramente conoscere che questo era stato predetto di loro. Cominciarono a lapidarlo. Osservatelo ora il crudele, ricordatene le dure parole: Gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie (At 7, 51). Pareva un nemico. Come se, potendolo, avesse desiderato di uccidere tutti. Tanto può dire chi non vede nel cuore. Il suo cuore era occulto; però, mentre veniva lapidato, furono udite le sue ultime parole e diventò palese quanto di recondito era in lui. Disse: Signore Gesù, ricevi il mio spirito (At 7, 58). Per te ho parlato, per te muoio. Signore Gesù, ricevi il mio spirito. Poiché lo hai aiutato, è vittorioso chi tu sostieni. Ricevi il mio spirito dalle mani di costoro che hanno odiato il tuo. Santo Stefano disse questo stando in piedi.

    4. 5. Si pose quindi in ginocchio e disse: Signore, non imputar loro questo peccato (At 7, 59). Dov'è quel: Gente testarda? È tutta qui la tua protesta? È tutta qui la tua minaccia? All'esterno contestavi, nell'intimo pregavi.

    Santo Stefano, pregando per sé, esige il dovuto. L'uomo, cattivo per sé, è buono per dono di Dio.

    4. 6. Signore Gesù, ricevi il mio spirito (At 7, 58): così, stando in piedi. Esigeva infatti il dovuto, dicendo: Signore Gesù, ricevi il mio spirito. Esigeva il dovuto, poiché era stato promesso ai martiri; quella ricompensa di cui parla l'Apostolo: Io infatti sto per essere immolato, è imminente l'ora della mia liberazione. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno (2 Tm 4, 6-8). Renderà, renderà ciò che deve. A chi in precedenza si dovevano severi castighi, in un secondo tempo fu dato di avere in Dio il datore di premi. Perché all'apostolo Paolo si dovevano severi castighi? Perché nemico della Chiesa, perché persecutore. Ascolta lui stesso: Non sono degno di esser chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio (1 Cor 15, 9). Non sono degno, dice colui che era degno. Perché non sei degno? Quanto ai miei meriti, ero degno di questo: di esser punito, di finire nell'inferno, di soffrire tormenti; di essere apostolo non ero degno. Com'è allora che ti è dato di essere quello di cui non eri degno? Proseguì: Ma per grazia di Dio sono quello che sono (1 Cor 15, 10). Per mio male sono stato quello che sono stato: per dono di Dio sono quello che sono. Perciò, dovendo poi esigere il dovuto, ricevette prima ciò che non gli era dovuto. Che gli era dovuto, poi? Mi resta la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno (2 Tm 4, 8). Mi renderà, mi è dovuta, sebbene prima non dovuta. Perché? Non sono degno di esser chiamato apostolo: ma per grazia di Dio sono quello che sono. Così anche Stefano: Signore Gesù, eretto e fiduciosamente proteso perché era stato un bravo soldato, aveva combattuto bene, non aveva ceduto di fronte al nemico, aveva represso il timore, aveva conculcato la carne, vinto il mondo e il diavolo: pertanto, stava in piedi a dire: Signore Gesù, ricevi il mio spirito (At 7, 58).

    Saulo: il più fiero persecutore di Santo Stefano. Stefano prega in ginocchio per i nemici.

    4. 7. Quando Stefano esigeva il dovuto, Paolo apostolo si rendeva ancor più debitore. Quello chiedeva il bene che gli era dovuto, questi si addebitava altro male. Ad ogni modo, che ne pensate, fratelli? Quando veniva lapidato Stefano - l'avete ascoltato, ma forse non vi avete fatto caso - i falsi testimoni, in procinto di lapidarlo, posero le loro vesti ai piedi di un adolescente di nome Saulo.

    5. 7. Saulo costui e, in seguito, Paolo: persecutore Saulo, evangelizzatore Paolo. Il nome "Saulo" deriva da "Saul". Saul era il persecutore del re Davide. Quale era stato Saul per Davide, tale Saulo per Stefano. Quindi, tuttavia, essendo stato chiamato dal cielo, e ad un tempo chiamato, atterrato, convertito, cominciò allora, da apostolo, a predicare la parola di Dio; si cambiò il nome e si disse Paolo. E perché scelse questo nome? Perché Paolo sta per "poco", Paolo sta per "piccolo". Noi siamo soliti dire così: Ti vedrò dopo un po', cioè, fra poco. Perché, dunque, Paolo? Io sono il più piccolo degli Apostoli (1 Cor 15, 9). Visione magnifica, divina! Colui che alla morte di Stefano era persecutore, divenne, poi, l'evangelizzatore del Regno dei cieli. Volete sapere quanto era stato crudele in quella morte? Custodiva le vesti dei lapidatori, per lapidare con le mani di tutti. Dunque, santo Stefano, stando in piedi, dopo aver sollecitato quel che gli era dovuto, dicendo: Signore Gesù, ricevi il mio spirito (At 7, 58), aveva lo sguardo intento ai suoi nemici, i quali, lapidandolo, si addebitavano ancora un crimine. Essi andavano ingrossando quel cumulo di cui parla l'apostolo Paolo: Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente, accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio (Rm 2, 5). Stefano li guardò ed ebbe compassione di loro e, per loro, si pose in ginocchio. Per se stesso stava in piedi, per loro piegava le ginocchia. Distinse il giusto dai peccatori: per il giusto chiedeva stando in piedi, in quanto domandava la mercede; per i peccatori piegò le ginocchia, sapendo quanto fosse difficile poter essere esauditi a favore di uomini tanto perversi. Sebbene giusto, sebbene si trovasse già con la corona sul capo, non volle presumere, ma piegò le ginocchia, per nulla interessato a quello che sarebbe stato degno di ricevere nella preghiera, ma a ciò che i nemici stessi avrebbero meritato e dai quali voleva stornare orrendi supplizi. Signore - disse - non imputare loro questo peccato (At 7, 59).

    Cristo, sulla croce, insegna la misura della bontà. Santo Stefano suo discepolo ed imitatore.

    5. 8. Il comportamento di Stefano umile ripeté quello di Cristo, l'Altissimo: così Stefano riverso a terra, come Cristo sospeso alla croce. Ricordate infatti che anch'egli disse: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Era sulla cattedra della croce e insegnava a Stefano la misura della bontà. Maestro buono, hai dato un'indicazione chiara, hai istruito efficacemente! Ecco che il tuo discepolo prega per i suoi nemici, prega per i suoi lapidatori. L'umile dette prova di come si debba imitare te, l'Altissimo, come la creatura debba imitare il Creatore, la vittima il Mediatore, l'uomo il Dio e uomo: Dio, ma tuttavia uomo, sulla croce; Dio Cristo, ma sulla croce uomo, quando diceva con voce ben distinta: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.

    6. 8. Uno si può domandare: Egli pregò per i suoi nemici in quanto il Cristo, in quanto Dio, in quanto l'Unico; chi sono io per farlo? Se troppo intercorre fra il tuo Signore e te, non sai che Stefano è servo come te? Dio ha dato l'insegnamento per mezzo di Stefano vicino a morire. Fratelli miei, se notate che nel Vangelo sono poste in evidenza queste cose, nessuno dica in cuor suo: E chi lo fa? Ecco, lo ha fatto Stefano; da se stesso? con le sue forze? Ma se lo ha fatto per dono di Dio, è forse entrato chiudendoti la porta in faccia? O che ha varcato il ponte e poi ha tagliato? È troppo per te? Chiedi anche tu. La sorgente fluisce, non si è inaridita.

    Mitezza verso i nemici. L'ira è uno scorpione.

    6. 9. E con tutta sincerità, fratelli miei, dico alla Carità vostra: esercitatevi quanto potete a dimostrare mitezza anche verso i vostri nemici. Frenate l'ira che vi sospinge alla vendetta. Infatti, l'ira è uno scorpione. Una volta che ti avrà surriscaldato con le fiamme che contiene, tu riterrai qualcosa di grande l'esserti vendicato di un tuo nemico. Se vuoi vendicarti di un tuo nemico, volgiti a prendere di mira proprio la tua collera: essa è infatti la tua nemica, quella che uccide la tua anima. Uomo che sei buono - non voglio infatti dirti cattivo; è meglio che io dica quello che voglio che tu sia, piuttosto che dire quello che sei - che ti farà il tuo nemico? Che ti farà che possa essere tanto? Ammesso che Dio gli permetta tutto, che vuole? Vuole versare il tuo sangue. In realtà è difficile, e tali nemici sono rari, che vogliono essere crudeli fino a dare la morte. Di solito, anche questi stessi nemici mutano l'ira in misericordia quando vedono soffrire i loro perseguitati. È difficile trovare un nemico che sia crudele fino a dare la morte. Pure, ammettilo: fino alla morte. Fa' conto che ti sia nemico uno implacabile fino a dare la morte. Che ha intenzione di fare? Ciò che fecero nel caso di Stefano i Giudei: la condanna per sé, la corona per lui. Il tuo nemico ha intenzione di farti morire, quasi da parte tua non debba morire, come se tu debba sempre vivere? Ti farà il nemico quello che talvolta poteva fare la febbre: se ti ucciderà, sarà simile ad una tua febbre. Ti porterà allora danno uccidendoti? No; al contrario, se sarai morto bene e lo avrai amato, aggiungerai qualcosa al premio del cielo. Non sai quanto hanno procurato a Stefano questi lapidatori? Non sapevano che a lui doveva essere data in cambio la corona e a loro, per la malizia, si doveva la retribuzione del castigo? Quanti beni non ci ottenne il diavolo? Ci ha procurato tutti i martiri. O che se ne andrà di qui? Ma, dei suoi benefici, ai quali non era intenzionato, gli si imputerà ciò che personalmente cercava, non quello che Dio ne faceva. Ne segue che chiunque ti sarà stato nemico fino alla morte, per nulla ti nuocerà.

    L'ira, nostra dannosa nemica, può essere repressa.

    7. 10. Fa' attenzione a quanto possa nuocere l'ira. Riconosci la tua nemica, riconosci con quale nemico combatti sulla scena del tuo intimo. La sede dello spettacolo è angusta, ma lo spettatore è Dio: qui devi domare la tua nemica. Vuoi renderti conto di come sia veramente tua nemica? Lo dimostro subito. Tu hai intenzione di pregare Dio; è imminente l'ora in cui tu devi dire: Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6, 9); stai per giungere a quel versetto: rimetti a noi i nostri debiti. Che viene dopo? Come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6, 12). Qui si erge contro di te la tua nemica. Sbarra il passo alla tua preghiera: innalza un muro e non c'è modo che tu possa proseguire. Hai detto tutto bene: Padre nostro... è fluito liberamente... rimetti a noi i nostri debiti. E che poi? Come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Ecco, ti viene contro quella nemica: non davanti a un velario, ma all'interno, proprio nell'intimo del tuo cuore e là grida forte contro di te, ti si oppone. Quale, fratelli, la nemica che reagisce in contrario? Come noi li rimettiamo. Non ti è permesso di infierire contro un tuo nemico: è contro di essa che devi essere inesorabile. Chi domina l'ira vale più di chi conquista una città (Prv 16, 32), dice la Scrittura. Quanto orà ho detto è stato scritto: Chi domina l'ira vale più di chi conquista una città. Forse che un imperatore in guerra, quando affronta dei nemici e scopre una città fortificata, munita di uomini armati, di grandissima importanza, che gli è ostile, non pretenderà gli onori del trionfo se sarà riuscito a impadronirsene, se l'avrà vinta, se l'avrà distrutta? Ma, come riporta la Scrittura, chi domina l'ira vale più di chi conquista una città. È in mano tua. Non la puoi distruggere, la puoi reprimere. Se tu sei forte, vinci l'ira e risparmia la città. Vi osservo attenti e so che avete compreso bene. Dio è presente alle vostre lotte, perché vi giovi essere stati spettatori del combattimento di un Martire tanto illustre, in modo che, come lo avete visto vincitore, e a lui vincitore avete applaudito, così anche a voi sia possibile riportare vittoria nel vostro cuore.

    Gustave Doré, Martirio di S. Stefano

  4. #4
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    Da Agostino, Discorsi, 320 (PL 38, 1442)

    SUL MARTIRE STEFANO
    TENUTO NEL GIORNO DI PASQUA


    Guarigione di un uomo per l'intercessione di Santo Stefano. Il vescovo Agostino si scusa di non aver potuto tenere un discorso.

    1. Siamo soliti ascoltare le relazioni sui miracoli operati da Dio per le preghiere del beatissimo martire Stefano. La relazione che riguarda quest'uomo è la sua presenza qui; in luogo di uno scritto, il fatto noto; in luogo di un foglio di carta, è l'aspetto a rendere palese il miracolo. Voi che sapete che cosa in lui eravate soliti guardare con rammarico, rallegrandovi della sua presenza, leggete quel che vedete: al fine di onorare con maggior fervore il Signore Dio nostro e perché si stampi nella vostra memoria ciò che è riportato a relazione. Scusate se non prolungo oltre il mio dire: sapete certo della mia stanchezza. Le preghiere di Stefano mi hanno ottenuto, ieri, di poter fare, digiuno, tante cose senza venir meno, ed oggi di parlarvi. Rivolti al Signore.

  5. #5
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    Da Agostino, Discorsi, 321 (PL 38, 1443)

    LUNEDÌ DOPO PASQUA

    Vi promette la relazione sulla guarigione di un uomo.

    1. Ieri, come ricorda la Carità vostra, abbiamo detto: la relazione che riguarda quest'uomo è il suo aspetto. Tuttavia, poiché ci ha fatto conoscere dei particolari, quanto alle "Memorie" dei suoi santi, li dovete sapere per esserne maggiormente ammirati e a gloria del Signore nostro. Di essi è stato detto: Preziosa davanti al Signore la morte dei suoi santi (Sal 115, 15). Perciò è conveniente pubblicare anche una relazione che contenga tutto ciò che abbiamo conosciuto dalla bocca di lui. Ma, se lo avrà voluto il Signore, oggi sarà elaborata e domani vi sarà proclamata.

  6. #6
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    Da Agostino, Discorsi, 322 (PL 38, 1443-1445)

    MARTEDÌ DOPO PASQUA

    Vi è presentata la promessa relazione sulla guarigione di un uomo.

    1. Ieri alla Carità vostra abbiamo promesso una relazione per cui vi si rende possibile ascoltare, sul caso dell'uomo guarito, quelle cose che non avete potuto cogliere con la vista. Perciò, se fa piacere alla Carità vostra, o meglio, deve piacere quello che piace anche a me, entrambi i fratelli si pongano davanti a voi: questo perché coloro che non avevano veduto il fratello sanato, possano notare nella sorella il morbo che egli ha sofferto. Si presentino, dunque, entrambi: l'uno cui è stata elargita la grazia e l'altra, per la quale bisogna implorare misericordia.

    RELAZIONE PRESENTATA DA PAOLO AL VESCOVO AGOSTINO

    2. Ti prego, signore felicissimo e padre Agostino, di voler proclamare alla santa assemblea questa mia relazione che, secondo il tuo ordine, ho presentato.

    Quando avevamo ancora residenza nella nostra patria, Cesarea di Cappadocia, il nostro fratello maggiore inveì con atroci e intollerabili ingiurie contro nostra madre, al punto di non esitare persino a colpirla con le proprie mani. Tal cosa fu tollerata con sopportazione da tutti noi altri figli riuniti insieme, così che al nostro fratello, sul perché del suo agire, non dicemmo neppure una parola a favore di nostra madre. Ma quella, ferita nella sua dignità femminile, sotto la spinta del dolore, decise di punire, maledicendo, il figlio che l'aveva oltraggiata. Dopo il canto del gallo, affrettandosi al fonte del sacro Battesimo, andò ad invocare l'ira di Dio sopra il figlio suddetto. Nelle sembianze di uno zio paterno, le si fece incontro non so chi, come s'intende, il demonio, e le domandò, per prima cosa, ove si recasse. Quella gli rispose che andava a maledire suo figlio per un'intollerabile offesa ricevuta. Quel nemico, però, potendo allora trovar posto facilmente nell'animo sconvolto della donna, la convinse a maledire tutti i figli. E quella, tutta accesa dai velenosi consigli, prostratasi a terra, cinse con forza il sacro fonte, sciolti i capelli, nudatasi il petto, invocò da Dio soprattutto questo: che, raminghi dalla patria, andando in giro per terre straniere, incutessimo timore a chiunque, con il nostro esempio. Un pronto effetto tiene dietro alle materne invocazioni e immediatamente un forte tremito s'impadronì delle membra del nostro fratello più grande per età e colpa, quale in me la Santità vostra ha potuto vedere fino a tre giorni fa. Rispettando l'ordine secondo il quale eravamo nati, entro un solo anno, lo stesso castigo s'impossessò di noi tutti. La madre, invece, notando che le sue maledizioni avevano raggiunto tanta efficacia, non poté tollerare assai a lungo la consapevolezza della propria empietà e il biasimo degli uomini: legatasi al collo un nodo scorsoio, con una più funesta conclusione, pose fine alla sua vita lacrimevole. Di conseguenza, non tollerando il nostro disonore, tutti noi ci allontanammo, abbandonando la patria comune, e ci disperdemmo qua e là per luoghi diversi. Ma, dei dieci fratelli che noi siamo, quello che nell'ordine di nascita viene dopo il primo, come abbiamo saputo, meritò di riacquistare la salute presso una "Memoria" del beato martire Lorenzo, che si trova nei pressi di Ravenna. Io invece, sesto di loro secondo l'ordine di nascita, con questa mia sorella che, per età, mi segue, dopo aver appreso notizia dell'esistenza di luoghi sacri, nei quali Dio operasse miracoli presso qualsiasi popolo, in qualsiasi regione, mi mettevo in cammino con viva brama di tornare in salute. Ma, per tacere degli altri celebratissimi luoghi di santi, nel mio pellegrinare raggiunsi pure Ancona, città dell'Italia, dove il Signore opera molti miracoli per l'intercessione del gloriosissimo martire Stefano. Ma, in quanto ero riservato a questo luogo per divina predestinazione, non potei essere risanato altrove. Neppure trascurai Uzala, città dell'Africa, dove si rende noto che il beato martire Stefano vi opera di frequente grandi miracoli. Nondimeno, tre mesi fa, cioè il primo giorno di gennaio, sia io che mia sorella, che è qui con me ed è presa dallo stesso male, fummo avvertiti da una manifesta visione. Una persona, dal volto luminoso, venerabile nei bianchi capelli, mi disse infatti che, al compiersi di tre mesi, mi sarebbe stata apportata la desiderata guarigione. A mia sorella, invece, apparve in visione la Santità tua, in quell'aspetto nel quale noi qui presenti ti vediamo oggi. Con questo, ci venne dato a intendere che dovevamo venire in questo luogo. Attraverso altre città, lungo il percorso che qui ci conduceva, anch'io vedevo infatti assai spesso in seguito la Beatitudine tua, assolutamente tale quale ora io ravviso. Avvertiti perciò da un palese volere divino, siamo giunti in questa città da circa quindici giorni. Della mia sofferenza sono testimoni sia i vostri occhi, sia questa infelice sorella che, a insegnamento di tutti, mostra un esempio del male che ci ha colpiti insieme, così che quanti vedono in lei quale io sia stato, riconoscano quel che in me ha operato il Signore attraverso il suo Santo Spirito. Pregavo ogni giorno con lacrime copiose nel luogo dove è la "Memoria" del gloriosissimo martire Stefano. Ma, nella domenica di Pasqua, come hanno visto alcuni che erano presenti, mentre pregando in gran pianto mi tenevo ai cancelli, sono caduto improvvisamente. D'altra parte, privo di sensi, non so dove mi sia trovato. Dopo breve tempo, mi son levato in piedi e non ho più avvertito tremito alcuno nel mio corpo. Pertanto, non ingrato di questo beneficio di Dio, ho presentato questa dichiarazione; in essa ho reso noti anche quei particolari sulle nostre sventure che voi ignoravate e ciò che avete conosciuto della mia guarigione e salute, affinché vi degnate di pregare per mia sorella e di rendere grazie a Dio per me.

  7. #7
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    Predefinito Dai Discorsi di S. Agostino, vescovo

    (Sermo 323 in PL 38, 1445-1446)
    TENUTO DOPO LA RELAZIONE SU DI UN MIRACOLO DI S. STEFANO


    Quanto siano da temersi le maledizioni dei genitori contro i figli.

    1. 1. Fratelli, come è da credere, fidando nella misericordia di Dio, come costui del quale ci rallegriamo, presto o tardi giungeranno a guarire tutti questi fratelli che l'ira di Dio colpì insieme della medesima infermità voluta dalla madre. Nondimeno, i figli imparino a rispettare, i genitori si guardino dal perdere il controllo di sé. È stato scritto: La benedizione del padre consolida la casa dei figli: la maledizione della madre ne scalza le fondamenta (Sir 3, 11). Costoro, al presente, dispersi per ogni dove, non si trovano stabilmente nella loro patria: offrono ovunque spettacolo di sé, presentano il loro castigo; mettono in vista la loro infelicità, fanno tremare la superbia altrui. Apprendete, o figli, secondo quanto afferma la Scrittura, a rendere ai genitori l'onore dovuto. Anche voi, però, genitori, quando ricevete offese, ricordatevi di essere genitori. Quella madre pregò contro i figli e venne esaudita; perché Dio è veramente giusto, perché la madre, in realtà, aveva subito ingiurie. Uno dei figli aveva scagliato parole ingiuriose, aveva percosso, eppure gli altri tollerarono rassegnati l'ingiuria recata alla madre; neppure uno solo intervenne contro il fratello a favore della madre. Giusto Dio che ascoltò la madre implorante, esaudì la madre che se ne doleva. Ma che fu di quell'infelice? Non ebbe più grave castigo proprio dal fatto di essere stata esaudita prontamente? Imparate a chiedere a Dio ciò di cui non dovete temere di essere esauditi.

    Due fratelli guariti ad Ippona. L'occasione per cui fu eretta una cappella in onore di Santo Stefano in Ancona.

    2. 2. Quanto a noi, fratelli, preoccupiamoci di rendere grazie al Signore Dio nostro per quello che è stato guarito e preghiamo con fervore per l'altra che è ancora trattenuta nell'infermità. Sia benedetto Dio che mi ha reso degno di esserne testimone. Che sono io da comparire davanti a loro a mia insaputa? Essi infatti mi vedevano ed io non ne ero cosciente; e venivano esortati a raggiungere questa città. Chi sono io? Sono un uomo, uno dei tanti, non di quelli che valgono. E, in realtà, come può udire la Carità vostra, resto assai ammirato e mi rallegro che mi sia stato concesso: infatti quest'uomo non poté essere guarito in Ancona; anzi, poteva esserlo, ma non avvenne, per causa mia, eppure poteva realizzarsi con la più grande facilità. Sono in molti infatti a sapere quanti miracoli si verifichino in quella città per l'intercessione del beatissimo martire Stefano. Ed ascoltate quanto deve destarvi meraviglia. Una Cappella in onore di lui era là da gran tempo ed è là tuttora. Ma tu vuoi forse dire: Non ne era stato ancora rinvenuto il corpo e come poteva esservi una Cappella? Certamente la ragione è occulta: ma non terrò nascosto alla Carità vostra quello che ci ha fatto pervenire la tradizione. Quando santo Stefano veniva lapidato erano pure presenti alcune persone innocenti, soprattutto coloro che già avevano creduto in Cristo. Si dice che una pietra gli avesse raggiunto un gomito e, rimbalzata di lì, fosse finita davanti ad un uomo religioso. Questi la prese e la conservò. Quell'uomo era marinaio di professione; un caso fortuito, proprio del navigare, lo sospinse sul lido di Ancona e gli venne rivelato che quella pietra doveva essere lì riposta. Quello assecondò la rivelazione e fece ciò che gli era stato ordinato: da questo fatto vi si edificò una Cappella in onore di santo Stefano; correva pure voce che ivi è un braccio di santo Stefano, ignorando la gente che cosa fosse accaduto. Ma in realtà si ritiene che, essendo stato quello il luogo della rivelazione, là dovesse restare la pietra rimbalzata dal gomito del Martire, in quanto, in greco, "gomito" suona ajgnwvn. Ma a renderci bene informati siano proprio coloro che sanno quanti miracoli avvengono in quel luogo. Tali miracoli cominciarono a verificarsi colà solo dopo che fu rinvenuto il corpo di santo Stefano. Quindi quel giovane non vi fu guarito per riservarlo alla nostra esperienza.

    Miracoli operati in Uzala.

    2. 3. Informatevi e scoprirete quanti miracoli avvengono in Uzala, dove è vescovo il mio fratello Evodio. Ma, trascurati gli altri, ve ne segnalo uno solo ivi compiuto, per dimostrarvi quale sia la presenza divina in quella città.

    3. 3. Una donna si vide morire prematuramente tra le braccia, senza poterlo soccorrere, un figlio colpito da malore repentino, ancora catecumeno; disse a gran voce la donna: "Mio figlio è morto da catecumeno! ".

    Il popolo acclama per la subitanea guarigione di una fanciulla.

    3. 4. Or mentre Agostino narrava queste cose, dalla Cappella di santo Stefano il popolo cominciò ad acclamare: "Grazie a Dio! Lodi a Cristo!". In mezzo a quel continuo acclamare, venne condotta verso l'abside quella fanciulla guarita. Postala sotto i suoi occhi, il popolo, con gioia e commozione, senza parole, ma commentando solo con grida, prolungò alquanto il clamore; tornato il silenzio, il vescovo Agostino disse: "È stato scritto nel Salmo: Ho detto: Confesserò contro di me al Signore Dio mio le mie colpe, e tu hai rimesso la malizia del mio peccato (Sal 31, 5). Ho detto: Confesserò. Non ho confessato ancora: Ho detto: Confesserò, e tu hai rimesso. Ho raccomandato quest'infelice, anzi, già stata infelice, l'ho raccomandata alle vostre preghiere. Ci siamo disposti a pregare, e siamo stati esauditi. La nostra gioia sia un rendimento di grazie. La madre Chiesa è stata esaudita ancor prima di quella madre nelle sue maledizioni a rovina". Rivolti al Signore.

  8. #8
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    Predefinito Dai Discorsi di S. Agostino vescovo

    (Sermo 324 in PL 38, 1446-1447)
    AGOSTINO VI CONCLUDE IL DISCORSO PRECEDENTE
    INTERROTTO DAL VERIFICARSI DI UN MIRACOLO


    Un miracolo operato in Uzala. Un bambino restituito alla vita perché ricevesse i Sacramenti.

    1. Dobbiamo concludere il discorso di ieri, sospeso dall'irrompere di una gioia incontenibile. Avevo infatti deciso di parlare alla Carità vostra e avevo iniziato a dire che mi pare si spieghi in forza di una disposizione divina il fatto che codesti fratelli si siano diretti a questa città, così da derivarne per loro la sanità a lungo desiderata ed attesa. E con questa intenzione, inizialmente avevo cominciato ad esortare la Carità vostra a tenere in gran conto i luoghi sacri nei quali non ottennero la guarigione e dai quali sono giunti fino a noi. E ho già detto di Ancona, città italiana; ero entrato a parlare di Uzala, città che si trova in Africa - il cui vescovo è il mio fratello Evodio di vostra conoscenza -; infatti li aveva sospinti a raggiungere anche quella città la fama e l'operato del medesimo Martire. Ciò che si poteva concedere non venne dato là perché venisse dato in questo luogo nel quale si doveva concedere. Ora, volendo ricordare in breve le opere di Dio per l'intercessione del santo Martire, avevo deciso di esporne una sola, trascurando le altre. Mentre ne stavo parlando, ecco sorgere all'improvviso una festosa animazione per la guarigione di quella fanciulla, e l'avvenimento ci ha costretti a porre termine ben diversamente al discorso. Ecco dunque il miracolo che sappiamo operato con molti altri, dei quali non è possibile far menzione. Una donna vide morire un suo figlio infermo, catecumeno e ancora lattante, mentre lo aveva sulle ginocchia. Quando si accorse che era morto e irreparabilmente perduto, cominciò a piangerlo più come donna di fede che come madre. Infatti, per suo figlio non desiderava altra vita che quella futura e questa piangeva come strappata a se stessa e perduta. Tutta piena di un profondo sentimento di fiducia, lo prese, morto, e corse alla Cappella del beato martire Stefano e cominciò a reclamare da lui la vita del figlio dicendo: "Santo Martire, tu vedi che nessun conforto mi è rimasto, al punto di non poter dire che mi abbia preceduto il figlio che tu sai perduto: tu vedi certo la causa del mio dolore. Rendimi mio figlio, perché io lo abbia alla presenza di colui che ti ha coronato". In seguito a queste ed altre simili implorazioni, fra lacrime che in certo qual senso non erano supplichevoli, ma, come ho detto, di pretesa, suo figlio tornò in vita. E poiché aveva detto: "Tu sai perché lo voglio", anche Dio volle rivelare la sincerità dell'animo di lei. La donna lo recò dai sacerdoti, venne battezzato, santificato, unto, gli fu imposta la mano e, compiuto ogni rito, venne tolto da questa vita. Quella lo prese con sé e il suo volto aveva un'espressione tale da sembrare che non lo recasse alla pace della tomba, ma fra le braccia del martire Stefano. Lo spirito di fede della donna fu messo alla prova. Nel luogo in cui Dio operò un tale miracolo per intercessione del suo Martire non poteva allora guarire costoro? Eppure, si diressero qui, da noi. Rivolti al Signore

  9. #9
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    Vittore Carpaccio, S. Stefano è ordinato diacono, 1511, Staatliche Museen, Berlino

    Vittore Carpaccio, Sermone di S. Stefano, 1514, Musée du Louvre, Parigi

    Vittore Carpaccio, Disputa di S. Stefano, 1514, Pinacoteca di Brera, Milano

  10. #10
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    Vittore Carpaccio, Lapidazione di S. Stefano, 1520, Staatsgalerie, Stoccarda

    Bernardo Daddi, Martirio di S. Stefano, 1324, Santa Croce, Firenze

    Paolo Uccello, Disputa di S. Stefano, 1435, Duomo, Prato

    Paolo Uccello, Lapidazione di S. Stefano, 1435 circa, Duomo, Prato

    Adam Elsheimer, Lapidazione di S. Stefano, 1602-05 circa, National Gallery of Scotland, Edinburgo

    Rembrandt, Martirio di S. Stefano, 1625, Musée des Beaux-Arts, Lione

 

 
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