28 dicembre 1908 – 28 dicembre 2004
"Invano
cerchi tra la polvere,
povera mano, la città
è morta. È morta ... "
S. Quasimodo
Il primo telegramma parte alle nove e dieci dalla prefettura di Catania: "Ore 05:20 di stamattina avvertitasi violenta scossa di terremoto ondulatorio durata vari secondi. Popolazione impressionatissima. Telegrammi giunti finora da diversi comuni della provincia accennano soltanto danni fabbricati ma senza disgrazie".
E’ la mattina di lunedì 28 dicembre 1908. Presidente del consiglio e ministro degli Interni è Giovanni Giolitti. Quando il telegramma spedito da Catania arriva negli uffici del Ministero degli Interni, nessuno si scompone: l’Italia è un paese sismico, le scosse sono quasi di routine. Per cui la giornata dei ministeriali romani continua a scorrere tranquillamente. Intanto, in Sicilia, l’impiegato Antonio Barreca cammina sconvolto lungo la linea Messina-Siracusa. Dopo tre ore di marcia arriva alla stazione di Scaletta. Da lì riesce a trasmettere un telegramma di due sole parole: "Messina distrutta". Giolitti lo legge e poi lo cestina: questo Barreca deve essere un pazzo. Eppure qualcosa non quadra: notizie su danni provocati da un terremoto arrivano arrivano da tutte le prefetture di Sicilia e Calabria. Solo i telegrafi di Messina e di Reggio tacciono. Perché?
La risposta arriva alle 17:25 con un altro telegramma, firmato dal tenente di vascello Belleni, comandante della torpediniera Spica: Messina e Reggio non esistono più. Ma, ancora a tarda sera, ai giornalisti che si accalcano intorno a lui per avere notizie, Giolitti dice: "Non è possibile, qualcuno ha confuso la distruzione di qualche casa con la fine del mondo."
E’ facile dare la colpa alla solita inefficienza italica se a Roma ancora si ignorava quasi tutto, mentre squadre di marinai russi e inglesi erano già sbarcati a Messina per soccorrere i sopravvissuti.
E si capisce perché quando, la mattina di martedì 29, anche il nostro esercito sbarcò sul luogo del disastro, l’accoglienza non sia stata proprio cordiale: "Ora venite, ora che è finito tutto!", inveiva la folla. Per gli uomini del Sud era la conferma che il Meridione era solo terra di conquista del Regno savoiardo.