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IL GIALLO ACQUABOMBER
È LA CLASSICA VENDETTA DI UN POVERO FALLITO
di Ferdinando Camon
Anzitutto, liberiamoci da un pericolo: quello di eccitare Acquabomber, scrivendo di lui, e spingerlo a continuare le sue azioni, magari alzandole di livello. Se lui le fa per sentirsi potente e vederci spaventati, cominciamo col dirgli (nella speranza che queste parole gli cadano sotto gli occhi) che quando lo avremo in mano e potremo esaminarlo, non apparirà per nulla un potente, ma un fallito. Quel che fa è la classica vendetta del fallito. Ce ne sono in tutti i campi: il critico cretino che stronca i film che non riuscirà mai a fare, il politico mediocre che insulta gli avversari perché loro hanno vinto e lui no, lo studente somaro che rovina i libri al compagno genietto, la donna sterile che ruba un neonato. Acquabomber è uno sconosciuto che ha una vita normale avvelenata dal fallimento, e va in giro ad avvelenare la vita normale della gente comune. Ha cominciato con l'iniettare nelle bottiglie di acqua minerale liquidi schifosi, che facevano vomitare. Adesso si è spinto più avanti, e con la siringa fora le bottiglie di plastica, e ci scarica dentro varecchina. La varecchina brucia lo stomaco e lo fora. E così, lui manda all'altro mondo. Il cretino è pericoloso per sé e per gli altri. Acquabomber e Unabomber sono due cani da pagliaio: legati al loro pagliaio (per il primo è Pordenone, per il secondo Mantova), si spingono fin dove glielo permette la catena della loro mediocrità. E in quell'area compiono imprese che suscitano allarme per noi, pena per loro.
Prima o poi, in un modo o nell'altro, li avremo in mano, ma non è detto che ce n'accorgeremo: possono finire in qualche corsia d'ospedale, per un aggravamento del loro disturbo. E così sparire. E' da tempo che Unabomber se ne sta calmo. Guarito non sarà, ma può esser piombato in una crisi più acuta delle altre. La caratteristica delle vite mediocri, sepolte nel silenzio delle città di provincia, è la pazienza. La pazienza va d'accordo con i nervi malati e col senso di fallimento. Il fallito si lascia vivere, e attende la fine. Pare che il primo caso in cui ha colpito Acquabomber risalga a fine ottobre, e sia avvenuto a Cologno Monzese: lì un bambino succhiò con la cannuccia una bibita da una confezione di plastica, e fu colpito da crampi allo stomaco, e portato di corsa all'ospedale. La bottiglia, esaminata dai carabinieri, emanava quello sgradevole odore che poi sarà scoperto in altre due bottiglie avvelenate, nel Mantovano. Di quel caso non si parlò. Era il primo, ci colse di sorpresa. Acquattato nell'ombra, l'avvelenatore incassò il silenzio della stampa con pazienza. I traviati hanno di queste attese. Queste sopportazioni non vanno d'accordo con il bisogno di vendetta. La vendetta non sa calcolare e pazientare. E' probabile che l'avvelenatore di acque minerali non ce l'abbia con qualche marca che imbottiglia le minerali, o con qualche supermercato che le vende, ma col mondo, con l'umanità, con gli altri. Cioè, con la vita. Con noi.
Poiché noi esistiamo e viviamo, e sotto Natale giriamo per i supermercati comprando di tutto, e così dando l'impressione (falsa) di una strabordante felicità (mentre imprechiamo ad ogni acquisto), Acquabomber non può guarire, ma solo aggravarsi. E' inutile puntare su di lui, e sperare che si penta. Ma io credo che qualcuno, intorno a lui, sappia tutto. E' sempre successo così, anche con i mostri. Quello di Firenze aveva una famigliola scombinata, di tre-quattro persone, che sapevano bene di cos'era capace. Quello di Foligno aveva i genitori (adottivi) che l'avevano visto lavare il pavimento con secchio e spugna dopo un delitto. Il brigatista che pedinò Marco Biagi aveva una compagna: lui zitto come una talpa, ma lei non ce l'ha fatta. Onore a lei, che ha parlato. Una madre che sa e tace è disperata per amore, non si approva però si capisce. Ma un amico o un parente che sa molto e non dice niente, non ha spiegazione: semplicemente, è pazzo.