Lettera aperta al Dr. Paolo Scaroni, Amministratore Delegato dell'ENEL

Gentile Amministratore Delegato,
tante e diverse sono le decisioni che in maniera discrezionale un AD è costretto a prendere nell'ambito dell'espletamento del mandato conferitogli dagli azionisti. Tanti e diversi sono i risultati che le iniziative di questi producono nel breve-medio e lungo periodo.
Se è vero che il mutamento degli scenari relativi al formarsi del mercato elettrico Italiano non poteva non comportare ripercussioni sull'azienda ENEL, è altrettanto evidente come libere iniziative dell'AD, non imposte da alcun decreto, abbiano prodotto criticità nell'Azienda di proporzioni enormi.
In particolare, se è vero che provvedimenti legislativi, a dir poco discutibili, hanno obbligato l'ENEL a cedere parte della propria capacità produttiva e distributiva, a separare societariamente la rete elettrica nazionale e a mollare la gestione del trasporto dell'energia su tale rete, è altrettanto indubitabile che, a partire dall'insediamento del dott. Franco Tato, la corsa - da questi iniziata sul versante della diversificazione, della societarizzazione e delle job-ventures come unica possibile per le società elettriche orientate a creare "valore" - ha prodotto danni di natura industriale e finanziaria imperdonabili.
Parlare di disastri prodotti da una gestione impropria dell'ENEL è tuttavia riduttivo e basterebbe al riguardo fare riferimento alle dichiarazioni da Lei rilasciate pochi mesi dopo il Suo insediamento circa i risultati di dette operazioni. D'altronde è sufficiente considerare i soldi letteralmente bruciati nell'acquisto "intempestivo" di Infostrada che, messi assieme a quelli necessari per rilevare le partecipazioni in WIND di Deutsche Telekom prima e di France Telecom alcuni mesi cr sono, raggiungono la strabiliante dimensione di circa 10 miliardi di euro liquidi (circa ventimila miliardi di vecchie lire). A ciò si aggiungano gli ulteriori, troppi miliardi di euro direttamente e ancor più indirettamente messi a disposizione di WIND in questi ultimi anni.
Inoltre, se gli investimenti diretti hanno portato a dilapidare tali cifre, è altrettanto evidente che quelli ed altri errori, uniti al mutato quadro conferito alle partecipazioni di ENEL nella anzidetta società di telecomunicazioni, hanno determinato una caduta verticale del valore delle azioni ENEL in borsa, con una perdita netta per gli azionisti di oltre il 30% e quindi con una diminuzione della capitalizzazione di circa 15 miliardi di euro (circa trentamila miliardi di vecchie lire). La qual cosa, alla luce dell'imminente cessione da parte del Ministero dell'Economia a investitori istituzionali di una ulteriore franche di azioni, comporterà minori introiti per gli azionisti visto il valore tenuto dal titolo negli ultimi mesi. Si può così affermare che gli errori di chi ha gestito sono stati pagati dagli azionisti. D'altronde i dividendi distribuiti, frutto delle cessioni, non riescono a compensare la perdita sull'investimento effettuato nella fase di quotazione in borsa della Società.
Per avere la dimensione dei danni arrecati è sufficiente assumere il ricavato di tutte le dismissioni eseguite dall'ENEL, sommarle a quanto si stima ricavabile dalle prossime cessioni e confrontarlo con le cifre bruciate.
Ebbene, mettendo insieme il ricavato dalla vendita per decreto delle tre Gencos (circa 15.000 MW di produzione) e delle Reti di distribuzione alle Municipalizzate, con quanto si presume di ottenere dalla vendita/quotazione di TERNA (e cioè tutta la Rete di trasporto nazionale dell'energia) e dalla cessione di ENEL Real Estate (uno dei maggiori patrimoni immobiliari privati a livello nazionale), non si mette assieme neanche la metà di quanto dilapidato, con la certezza però di aver creato un'azienda svuotata sia patrimonialmente che industrialmente.
Comunque, se gli aspetti relativi alle strategie industriali e finanziarie sono fondamentali per la vita dell'Azienda, non meno importante per quest'ultima è quello relativo alle politiche sul personale, al coinvolgimento di questo nei processi e soprattutto alla percezione o meglio alla condivisione che questo ha della missione aziendale.
Obblighi di legge possono costringere un AD a cedere una controllata, ma quando tali obblighi non ci sono, le operazioni da questi condotte sono realizzate in piena autonomia decisionale, in funzione di quelle che dovrebbero essere le volontà degli azionisti che lo hanno delegato all'amministrazione dell'azienda.
Se ciò è vero, sarebbe quanto meno opportuno conoscere quegli aspetti del Suo mandato riferiti agli uomini e alle donne che lavorano nella nostra Azienda. Non foss'altro per gli impegni morali che, con il codice etico e con il più recente bilancio di sostenibilità sociale del 2002, l'Azienda ha solennemente assunto.
In particolare, Le chiediamo in funzione della triplice condizione che spesso i lavoratori hanno (di azionisti in proprio, di azionisti di riferimento in quanto cittadini e di dipendenti), se Le sembri condivisibile essere espulsi da quest'Azienda con o senza gli assets che Lei pensa di cedere.
E se, dopo gli incentivi al pensionamento indiscriminato che hanno portato ad un profondo impoverimento professionale, Le sembri naturale perdere ulteriori competenze anche attraverso la cessione di alcune controllate.
La cosa davvero incredibile è che gli stessi non pochi dipendenti che sono stati costretti in questi ultimi anni a mettere da parte le proprie competenze elettriche in funzione della loro assegnazione alle nuove Società nate con la diversificazione, oggi si ritrovino ad essere considerati estranei al core business aziendale. D'altra parte, i dipendenti che Lei alienerebbe hanno tutti i numeri necessari per il core business elettrico.
Una riconsiderazione sulle procedure di dismissione delle società, che preveda il recupero di risorse pregiate, sarebbe peraltro di grande giovamento all'EIMEL, con verosimile apprezzamento di tutti i potenziali acquirenti.
Lo spirito di appartenenza che caratterizza i dipendenti ENEL, unito alla chiarezza e alla condivisione della missione aziendale, costituiscono gli elementi essenziali per un'Azienda elettrica che vuole essere vincente.
Lo ribadiamo, il Suo Azionista è rappresentato anche dai lavoratori e questi, per quanto poco considerati, ad oggi detengono alcuni punti percentuali del capitale sociale di ENEL (1,5% alla quotazione e intorno al 5% del flottante). Numeri questi che, come a Lei noto, normalmente hanno tutt'altro peso nelle scelte di un'azienda,
Le chiediamo pertanto di riesaminare il processo, ripensando ogni scelta che confermi la cessione di società e prevedendo, per quelle che dovessero comunque essere cedute, la permanenza dei lavoratori in ENEL.
LA SEGRETERIA NAZIONALE FLAEI - CISL
Roma, 24 ottobre 2003 - 03T231

Chapeau, perché questo mastodontico sperpero operato durante la gestione di Franco Tatò dell'ENEL su mandato di Massimo D'Alema è stato non a caso valutato da Giacomo Berni, segretario nazionale FNLE/CGIL come un "piano che volava alto" (in quegli anni a capo della CGIL c'era Sergio Cofferati).
Ovvio che sia Veltroni che Scaroni siano corsi immediatamente ai ripari riconvertendo saggiamente sia l'ENEL che l'ACEA al core business che consiste nel fornire energia (e per l'ACEA l'acqua a Roma) sia al Paese che alla capitale.