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    Predefinito 4 ottobre - San Francesco d'Assisi

    Ai Governatori dei Popoli (1220)

    A tutti coloro che sono investiti di autorità civile e militare, a coloro che amministrano la giustizia, a tutte le persone importanti a cui giungerà questa lettera, frate Francesco, vostro servitore in Dio, uomo misero, il minore, augura salute e pace.

    Non dimenticate che il giorno della morte è sempre più vicino. Vi prego, allora, con tutto il rispetto, che, presi come siete dagli impegni e dalle preoccupazioni di questo mondo, non abbiate a dimenticare il Signore.

    Regolate le vostre azioni sui comandamenti del Signore, perché chiunque lo dimentichi e si allontani dalla sua legge è severamente giudicato da Dio e non può contare sul suo aiuto. E quando verrà il giorno della sua morte, tutto quello che si illudeva di avere gli sarà portato via; anzi, quanto più uno è importante ed istruito in questo mondo, tanto più severamente sarà punito per i suoi errori.

    Perciò vi consiglio, miei signori, di non farvi sopraffare dalle vostre attività e dalle vostre preoccupazioni. Non trascurate di ricevere devotamente la comunione del corpo e del sangue del Signore Gesù Cristo per essere uniti a lui.

    E perché la vita civile del popolo a voi affidato sia sorretta dalla presenza di Dio, vi consiglio di fare in modo che ogni sera, o per mezzo di un banditore o con qualche altro segno, il popolo tutto sia invitato a rendere lode e grazie al Signore Dio onnipotente.

    Se non farete questo, sappiate che dovete renderne conto davanti al Signore vostro Gesù Cristo, quando sarete giudicati.

    Coloro che terranno presso di sè questo scritto e lo osserveranno siano benedetti dal Signore Iddio.

  2. #2
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    Predefinito

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Francesco d'Assisi, Patrono d'Italia

    4 ottobre - Festa

    Assisi, 1182 - Assisi, la sera del 3 ottobre 1226

    Da una vita giovanile spensierata e mondana, dopo aver usato misericordia ai lebbrosi (Testamento), si convertì al Vangelo e lo visse con estrema coerenza, in povertà e letizia, seguendo il Cristo umile, povero e casto, secondo lo spirito delle beatitudini. Insieme ai primi fratelli che lo seguirono, attratti dalla forza del suo esempio, predicò per tutte le contrade l'amore del Signore, contribuendo al rinnovamento della Chiesa. Innamorato del Cristo, incentrò nella contemplazione del Presepe e del Calvario la sua esperienza spirituale. Portò nel suo corpo i segni della Passione. Il lui come nei più grandi mistici si reintegrò l'armonia con il cosmo, di cui si fece interprete nel cantico delle creature. Fu ispiratore e padre delle famiglie religiose maschili e femminili che da lui prendono il nome. Pio XII lo proclamò patrono d'Italia il 18 giugno 1939. (Mess. Rom.)

    Patronato: Italia, Ecologisti, Animali, Uccelli, Commercianti, Lupetti/Coccin. AGESCI

    Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco

    Emblema: Lupo, Uccelli

    Martirologio Romano: Memoria di san Francesco, che, dopo una spensierata gioventù, ad Assisi in Umbria si convertì ad una vita evangelica, per servire Gesù Cristo che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero. Unì a sé in comunità i Frati Minori. A tutti, itinerando, predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole come nelle azioni la perfetta sequela di Cristo, e volle morire sulla nuda terra.

    Martirologio tradizionale (4 ottobre): Ad Assisi, in Umbria, il natale di san Francesco, Levita e Confessore, Fondatore di tre Ordini, cioè dei Frati Minori, delle Povere Donne, e dei Fratelli e delle Sorelle della Penitenza. La sua vita, piena di santità e di miracoli, fu scritta da san Bonaventura.

    (25 maggio): Così pure ad Assisi, nell'Umbria, la Traslazione di san Francesco Confessore, al tempo del Papa Gregorio nono.

    Non c'è dubbio: Francesco di Assisi è il personaggio più celebre di tutta l'agiografia cristiana: noto, ammirato e amato in tutto il mondo, anche in ambienti assai lontani dalla Chiesa cattolica, dalla stessa cultura cristiana e occidentale: per esempio nel lontano Oriente.
    A lui si sono ispirati letterati di tutte le tendenze, artisti di tutte le scuole, storici di qualsiasi impostazione; uomini politici e addirittura rivoluzionari, che hanno visto in lui un apostolo della contestazione non violenta un precursore dell'opposizione contro il materialismo e il consumismo.
    Perfino molte ribellioni, da quella medievale dei " Fraticelli " a quella recentissima degli hippies, si sono rifatte, più o meno esplicitamente a lui, Francesco di Pietro Bernardone, Poverello di Assisi, amante riamato di Madonna Povertà, santo della rinunzia e cantore della " perfetta letizia ", cioè della felicità nell'infelicità.
    Ma è importante fissare i caratteri che garantiscono la fedeltà di San Francesco a un ideale interamente cristiano, presentato e vissuto in modo originalissimo, ma non mai gratuito o ribelle.
    Prima di tutto, la sua aderenza costante all'insegnamento evangelico, alle parole e alla figura stessa di Gesù. Un Gesù che Francesco di Assisi, con geniale intuizione, presenta agli uomini del suo tempo ~ e di tutti i tempi - come Salvatore per amore e con l'amore: non più o non solo Signore onnipotente, Giudice supremo, Maestro indefettibile: ma fratello tra i fratelli, sofferente tra i sofferenti, creatura amabilissima tra le creature che lo amano e lo lodano: tutte le creature, anzi tutte le cose create -dall'acqua alle piante, dalle stelle al fuoco, dagli animali alla terra, e alla stessa morte. Ma soprattutto gli uomini, perché è per loro che il Figlio di Dio si è fatto uomo; per loro è stato creato l'universo; e creato con il piano dell'universale redenzione per mezzo dell'amore già presente nella mente di Dio fin dal principio dei secoli.
    Poi, la costante fedeltà di Francesco di Assisi alla Chiesa, mistica sposa del Cristo. Una fedeltà testimoniata da infiniti episodi. Per ben tre volte, a tre diversi Papi, il Poverello chiese l'approvazione della sua Regola, la conferma e riconferma.
    Perfino prima di " montare " il primo Presepe nella storia cristiana, un presepe vivente - a Greccio, nel Natale del 1223 - chiese e ottenne l'approvazione del Papa, per quella " novità ". Del resto, all'inizio stesso della vocazione del Santo, il Crocifisso dipinto di San Damiano, che ancora si conserva ad Assisi, aveva chiesto a Francesco di restaurare la sua Chiesa. Di restaurarla, non di criticarla, o combatterla, o neanche riformarla.
    Costante fu poi in lui il senso della cristiana letizia, ben diverso dalla tetraggine dell'errore. Introdotto per la prima volta, con i compagni, alla presenza di Innocenzo III, cominciò a ballare dalla gioia. A San Leo, durante una festa, predicò dicendo: " Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto ". A Frate Leone dettò dove fosse " perfetta letizia ": nella tribolazione e nella persecuzione accettata per amore. E finalmente, nell'orto di San Damiano, ad Assisi, ammalato, quasi cieco, piagato dalle Stigmate, dopo una tormentosa notte insonne, intonò il Cantico delle Creature, il più alto inno di ringraziamento e di lode.
    In quella serena letizia morì, pochi mesi dopo, ad Assisi, il 4 ottobre del 1226. Aveva vissuto quarantaquattro anni.

    Fonte: Archivio Parrocchia

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    Dallo STESSO SITO altro profilo biografico:

    Nel suo 'Testamento' scritto poco prima di morire, Francesco annotò: “Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo”.
    Per questo è considerato il più grande santo della fine del Medioevo; egli fu una figura sbocciata completamente dalla grazia e dalla sua interiorità, non spiegabile per niente con l'ambiente spirituale da cui proveniva.
    Ma proprio a lui toccò in un modo provvidenziale, di dare la risposta agli interrogativi più profondi del suo tempo.
    Avendo messo in chiara luce con la sua vita i principi universali del Vangelo, con una semplicità e amabilità stupefacenti, senza imporre mai nulla a nessuno, ebbe un influsso straordinario, che dura tuttora, non solo nel mondo cristiano ma anche al di fuori di esso.

    Origini e gioventù

    Francesco, l'apostolo della povertà, in effetti era figlio di ricchi, nacque ad Assisi nei primi del 1182 da Pietro di Bernardone, agiato mercante di panni e dalla nobile Giovanna detta “la Pica”, di origine provenzale.
    In omaggio alla nascita di Gesù, la religiosissima madonna Pica, volle partorire il bambino in una stalla improvvisata al pianterreno della casa paterna, in seguito detta “la stalletta” o “Oratorio di s. Francesco piccolino”, ubicata presso la piazza principale della città umbra.
    La madre in assenza del marito Pietro, impegnato in un viaggio di affari in Provenza, lo battezzò con il nome di Giovanni, in onore del Battista; ma ritornato il padre, questi volle aggiungergli il nome di Francesco che prevarrà poi sul primo.
    Questo nome era l'equivalente medioevale di 'francese' e fu posto in omaggio alla Francia, meta dei suoi frequenti viaggi e occasioni di mercato; disse s. Bonaventura suo biografo: “per destinarlo a continuare il suo commercio di panni franceschi”; ma forse anche in omaggio alla moglie francese, ciò spiega la familiarità con questa lingua da parte di Francesco, che l'aveva imparata dalla madre.
    Crebbe tra gli agi della sua famiglia, che come tutti i ricchi assisiani godeva dei tanti privilegi imperiali, concessi loro dal governatore della città, il duca di Spoleto Corrado di Lützen.
    Come istruzione aveva appreso le nozioni essenziali presso la scuola parrocchiale di San Giorgio e le sue cognizioni letterarie erano limitate; ad ogni modo conosceva il provenzale ed era abile nel mercanteggiare le stoffe dietro gli insegnamenti del padre, che vedeva in lui un valido collaboratore e l'erede dell'attività di famiglia.
    Non alto di statura, magrolino, i capelli e la barbetta scura, Francesco era estroso ed elegante, primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate, spendendo con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere acclamato “rex iuvenum” (re dei conviti) che lo poneva alla direzione delle feste.

    Combattente e sua conversione

    Con la morte dell'imperatore di Germania Enrico IV (1165-1197) e l'elezione a papa del card. Lotario di Segni, che prese il nome di Innocenzo III (1198-1216), gli scenari politici cambiarono; il nuovo papa sostenitore del potere universale della Chiesa, prese sotto la sua sovranità il ducato di Spoleto compresa Assisi, togliendolo al duca Corrado di Lützen.
    Ciò portò ad una rivolta del popolo contro i nobili della città, asserviti all'imperatore e sfruttatori dei loro concittadini, essi furono cacciati dalla rocca di Assisi e si rifugiarono a Perugia; poi con l'aiuto dei perugini mossero guerra ad Assisi (1202-1203).
    Francesco, con lo spirito dell'avventura che l'aveva sempre infiammato, si buttò nella lotta fra le due città così vicine e così nemiche.
    Dopo la disfatta subita dagli assisiani a Ponte San Giovanni, egli fu fatto prigioniero dai perugini a fine 1203 e restò in carcere per un lungo terribile anno; dopo che i suoi familiari ebbero pagato un consistente riscatto, Francesco ritornò in famiglia con la salute ormai compromessa.
    La madre lo curò amorevolmente durante la lunga malattia; ma una volta guarito egli non era più quello di prima, la sofferenza aveva scavato nel suo animo un'indelebile solco, non sentiva più nessuna attrattiva per la vita spensierata e i suoi antichi amici non potevano più stimolarlo.
    Come ogni animo nobile del suo tempo, pensò di arruolarsi nella cavalleria del conte Gualtiero di Brenne, che in Puglia combatteva per il papa; ma giunto a Spoleto cadde in preda ad uno strano malessere e la notte ebbe un sogno rivelatore con una voce misteriosa che lo invitava a “servire il padrone invece che il servo” e quindi di ritornare ad Assisi.
    Colpito dalla rivelazione, tornò alla sua città, accolto con preoccupazione dal padre e con una certa disapprovazione di buona parte dei concittadini.
    Lasciò definitivamente le allegre brigate per dedicarsi ad una vita d'intensa meditazione e pietà, avvertendo nel suo cuore il desiderio di servire il gran Re, ma non sapendo come; andò anche in pellegrinaggio a San Pietro in Roma con la speranza di trovare chiarezza.
    Ritornato deluso ad Assisi, continuò nelle opere di carità verso i poveri ed i lebbrosi, ma fu solo nell'autunno 1205 che Dio gli parlò; era assorto in preghiera nella chiesetta campestre di San Damiano e mentre fissava un crocifisso bizantino, udì per tre volte questo invito: “Francesco va' e ripara la mia chiesa, che come vedi, cade tutta in rovina”.
    Pieno di stupore, Francesco interpretò il comando come riferendosi alla cadente chiesetta di San Damiano, pertanto si mise a ripararla con il lavoro delle sue mani, utilizzando anche il denaro paterno.
    A questo punto il padre, considerandolo ormai irrecuperabile, anzi pericoloso per sé e per gli altri, lo denunziò al tribunale del vescovo come dilapidatore dei beni di famiglia; notissima è la scena in cui Francesco denudatosi dai vestiti, li restituì al padre mentre il vescovo di Assisi Guido II, lo copriva con il mantello, a significare la sua protezione.
    Il giovane fu affidato ai benedettini con la speranza che potesse trovare nel monastero la soddisfazione alle sue esigenze spirituali; i rapporti con i monaci furono buoni, ma non era quella la sua strada e ben presto riprese la sua vita di “araldo di Gesù re”, indossò i panni del penitente e prese a girare per le strade di Assisi e dei paesi vicini, pregando, servendo i più poveri, consolando i lebbrosi e ricostruendo oltre San Damiano, le chiesette diroccate di San Pietro alla Spira e della Porziuncola.

    La vocazione alla povertà e l'inizio della sua missione

    Nell'aprile del 1208, durante la celebrazione della Messa alla Porziuncola, ascoltando dal celebrante la lettura del Vangelo sulla missione degli Apostoli, Francesco comprese che le parole di Gesù riportate da Matteo (10, 9-10) si riferivano a lui: “Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento. E in qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se ci sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza”.
    Era la risposta alle sue preghiere e domande che da tempo attendeva; comprese allora che le parole del Crocifisso a San Damiano non si riferivano alla ricostruzione del piccolo tempio, ma al rinnovamento della Chiesa nei suoi membri; depose allora i panni del penitente e prese la veste “minoritica”, cingendosi i fianchi con una rude corda e coprendosi il capo con il cappuccio in uso presso i contadini del tempo e camminando a piedi scalzi.
    Iniziò così la vita e missione apostolica, sposando “madonna Povertà” tanto da essere poi definito “il Poverello di Assisi”, predicando con l'esempio e la parola il Vangelo come i primi apostoli.
    Francesco apparve in un momento particolarmente difficile per la vita della Chiesa, travagliata da continue crisi provocate dal sorgere di movimenti di riforma ereticali e lotte di natura politica, in cui il papato era allora uno dei massimi protagonisti.
    In un ambiente corrotto da ecclesiastici indegni e dalle violenze della società feudale, egli non prese alcuna posizione critica, né aspirò al ruolo di riformatore dei costumi morali della Chiesa, ma ad essa si rivolse sempre con animo di figlio devoto e obbediente.
    Rendendosi interprete di sentimenti diffusi nel suo tempo, prese a predicare la pace, l'uguaglianza fra gli uomini, il distacco dalle ricchezze e la dignità della povertà, l'amore per tutte le creature di Dio e al disopra di ogni cosa, la venuta del regno di Dio.

    Inizio dell'Ordine dei Frati Minori

    Ben presto attirati dalla sua predicazione, si affiancarono a Francesco, quelli che sarebbero diventati suoi inseparabili compagni nella nuova vita: Bernardo di Quintavalle un ricco mercante, Pietro Cattani dottore in legge, Egidio contadino e poco dopo anche Leone, Rufino, Elia, Ginepro ed altri fino al numero di dodici, proprio come gli Apostoli, formanti una specie di 'fraternità' di chierici e laici, che vivevano alla luce di un semplice proposito di ispirazione evangelica.
    Il loro era un vivere alla lettera il Vangelo, senza preoccupazioni teologiche e senza ambizioni riformatrici o contestazioni morali, indicando così una nuova vita a chi voleva vivere in carità e povertà all'interno della Chiesa; per la loro obbedienza alla gerarchia ecclesiastica, il vescovo di Assisi Guido prese a proteggerli, seguendoli con interesse e permettendo loro di predicare.
    Ai primi del 1209 il gruppo si riuniva in una capanna nella località di Rivotorto, nella pianura sottostante la città di Assisi, presso la Porziuncola, iniziando così la “prima scuola” di formazione, dove durante un intero anno Francesco trasmise ai compagni il suo carisma, alternando alla preghiera, l'assistenza ai lebbrosi, la questua per sostenersi e per riparare le chiese danneggiate.
    Giacché ormai essi sconfinavano fuori dalla competenza della diocesi, e ciò poteva procurare problemi, il vescovo Guido consigliò Francesco e il suo gruppo di recarsi a Roma dal papa Innocenzo III per farsi approvare la prima breve Proto-Regola del nuovo Ordine dei Frati Minori.
    Regola che fu approvata oralmente dal papa, dopo un suggestivo incontro con il gruppetto, vestito dalla rozza tunica e scalzo, colpito fra l'altro da “quel giovane piccolo dagli occhi ardenti”; nacque così ufficialmente l'Ordine dei Frati Minori, che riceveva la tonsura entrando a far parte del clero; sembra che in quest'occasione Francesco abbia ricevuto il diaconato.

    Chiara e le clarisse

    Tutta Assisi parlava delle 'bizzarie' del giovane Francesco, che viveva in povertà con i compagni laggiù nella pianura e che spesso saliva in città a predicare il Vangelo con il permesso del vescovo, augurando a tutti “pace e bene”; nella primavera del 1209 aveva predicato perfino nella cattedrale di S. Rufino, dove nell'attigua piazza abitava la nobile famiglia degli Affreduccio e sicuramente in quell'occasione, fra i fedeli che ascoltavano, c'era la giovanissima figlia Chiara.
    Colpita dalle sue parole, prese ad innamorarsi dei suoi ideali di povertà evangelica e cominciò a contattarlo, accompagnata dall'amica Bona di Guelfuccio e inviandogli spesso un poco di denaro.
    Nella notte seguente la Domenica delle Palme del 1211, abbandonò di nascosto il suo palazzo e correndo al buio attraverso i campi, giunse fino alla Porziuncola dove chiese a Francesco di dargli Dio, quel Dio che lui aveva trovato e col quale conviveva.
    Francesco, davanti all'altare della Vergine, le tagliò la bionda e lunga capigliatura (ancora oggi conservata) consacrandola al Signore.
    Poi l'accompagnò al monastero delle benedettine a Bastia, per sottrarla all'ira dei parenti, i quali dopo un colloquio con Chiara che mostrò loro il capo senza capelli, si convinsero a lasciarla andare.
    Successivamente Chiara e le compagne che l'avevano raggiunta, si spostò dopo alterne vicende, nel piccolo convento annesso alla chiesetta di San Damiano, dove nel 1215 a 22 anni Chiara fu nominata badessa; Francesco dettò alle “Povere donne recluse di S. Damiano” (il nome 'Clarisse' fu preso dopo la morte di s. Chiara) una prima Regola di vita, sostituita più tardi da quella della stessa santa.
    Chiara con le compagne, sarà l'incarnazione al femminile dell'ideale francescano, a cui si assoceranno tante successive Congregazioni di religiose.

    L'ideale missionario

    Francesco non desiderò solo per sé e i suoi frati, l'evangelizzazione del mondo cristiano deviato dagli originari principi evangelici, ma anche raggiungere i non credenti, specie i saraceni, come venivano chiamati allora i musulmani.
    Se in quell'epoca i rapporti fra il mondo cristiano e quello musulmano erano tipicamente di lotta, Francesco volle capovolgere questa mentalità, vedendo per primo in loro dei fratelli a cui annunciare il Vangelo, non con le armi ma offrendolo con amore e se necessario subire anche il martirio.
    Mandò per questo i suoi frati prima dai Mori in Spagna, dove vennero condannati a morte e poi graziati dal Sultano e dopo in Marocco, dove il gruppo di frati composti da Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto, Ottone, mentre predicavano, furono arrestati, imprigionati, flagellati e infine decapitati il 16 gennaio 1220.
    Il ritorno in Portogallo dei corpi dei protomartiri, suscitò la vocazione francescana nell'allora canonico regolare di S. Agostino, il dotto portoghese e futuro santo, Antonio da Padova.
    Francesco non si scoraggiò, nel 1219-1220 volle tentare personalmente l'impresa missionaria diretto in Marocco, ma una tempesta spinse la nave sulla costa dalmata, il secondo tentativo lo fece arrivare in Spagna, occupata dai musulmani, ma si ammalò e dovette tornare indietro, infine un terzo tentativo lo fece approdare in Palestina, dove si presentò al sultano egiziano Al-Malik al Kamil nei pressi del fiume Nilo, che lo ricevette con onore, ascoltandolo con interesse; il sultano non si convertì, ma Francesco poté dimostrare che il dialogo dell'amore poteva essere possibile fra le due grandi religioni monoteiste, dalle comuni origini in Abramo.

    La seconda Regola

    Verso la metà del 1220, Francesco dovette ritornare in Italia per rimettere ordine fra i suoi frati, cresciuti ormai in numero considerevole, per cui l'originaria breve Regola era diventata insufficiente con la sua rigidità.
    Il Poverello non aveva inteso fondare conventi ma solo delle 'fraternità', piccoli gruppi di fratelli che vivessero in mezzo al mondo, mostrando che la felicità non era nel possedere le cose ma nel vivere in perfetta armonia secondo i comandamenti di Dio.
    Ma la folla di frati ormai sparsi per tutta l'Italia, poneva dei problemi di organizzazione, di formazione, di studio, di adattamento alle necessità dell'apostolato in un mondo sempre in evoluzione; quindi il vivere in povertà non poteva condizionare gli altri aspetti del vivere nel mondo.
    Nell'affollato “capitolo delle stuoia”, tenutosi ad Assisi nel 1221, Francesco autorizzò il dotto Antonio venuto da Lisbona, d'insegnare ai frati la sacra teologia a Bologna, specie a quelli addetti alla predicazione e alle confessioni.
    La nuova Regola fu dettata da Francesco a frate Leone, accolta con soddisfazione dal cardinale protettore dell'Ordine, Ugolino de' Conti, futuro papa Gregorio IX e da tutti i frati; venne approvata il 29 novembre 1223 da papa Onorio III.
    In essa si ribadiva la povertà, il lavoro manuale, la predicazione, la missione tra gl'infedeli e l'equilibrio tra azione e contemplazione; si permetteva ai frati di avere delle Case di formazione per i novizi, si stemperò un poco il concetto di divieto della proprietà.

    Il presepe vivente di Greccio

    La notte del 24 dicembre 1223, Francesco si sentì invadere il cuore di tenerezza e di slancio volle rivivere nella selva di Greccio, vicino Rieti, l'umile nascita di Gesù Bambino con figure viventi.
    Nacque così la bella e suggestiva tradizione del Presepio nel mondo cristiano, che sarà ripresa dall'arte e dalla devozione popolare lungo i secoli successivi, con l'apporto dell'opera di grandi artisti, tale da costituire un filone dell'arte a sé stante, comprendenti orafi, scenografi, pittori, scultori, costumisti, architetti; il cui apice per magnificenza, realismo, suggestività, si ammira nel Presepe settecentesco napoletano.

    Il suo Calvario personale

    Ormai minato nel fisico per le malattie, per le fatiche, i continui spostamenti e digiuni, Francesco fu costretto a distaccarsi dal mondo e dal governo dell'Ordine, che aveva creato pur non avendone l'intenzione.
    Nell'estate del 1224 si ritirò sul Monte della Verna (Alverna) nel Casentino, insieme ad alcuni dei suoi primi compagni, per celebrare con il digiuno e intensa partecipazione alla Passione di Cristo, la “Quaresima di San Michele Arcangelo”.
    La mattina del 14 settembre, festa della Esaltazione della Santa Croce, mentre pregava su un fianco del monte, vide scendere dal cielo un serafino con sei ali di fiamma e di luce, che gli si avvicinò in volo rimanendo sospeso nell'aria.
    Fra le ali del serafino, Francesco vide lampeggiare la figura di un uomo con mani e piedi distesi e inchiodati ad una croce; quando la visione scomparve lasciò nel cuore di Francesco un ammirabile ardore e nella carne i segni della crocifissione; per la prima volta nella storia della santità cattolica, si era verificato il miracolo delle stimmate.
    Disceso dalla Verna, visibilmente dolorante e trasformato, volle ritornare ad Assisi; era anche prostrato da varie malattie, allo stomaco, alla milza e al fegato, con frequenti emottisi, inoltre la vista lo stava lasciando, a causa di un tracoma contratto durante il suo viaggio in Oriente.

    Il lungo declino fisico, il “Cantico delle creature”, la morte

    Dopo le ultime prediche all'inizio del 1225, Francesco si rifugiò a San Damiano, nel piccolo convento annesso alla chiesetta da lui restaurata tanti anni prima e dove viveva Chiara e le sue suore.
    E in questo suggestivo e spirituale luogo di preghiera, egli compose il famoso “Cantico di frate Sole” o “Cantico delle Creature”, sublime poesia, ove si comprende quanto Francesco fosse penetrato nella più intima realtà della natura, contemplando sotto ogni creatura l'adorabile presenza di Dio.
    Se la fede gli aveva fatto riscoprire la fratellanza universale degli uomini, tutti figli dello stesso Padre, nel 'Cantico' egli coglieva il legame d'amore che lega tutte le creature, animate ed inanimate, tra loro e con l'uomo, in un abbraccio planetario di fratelli e sorelle che hanno un solo scopo, dare gloria a Dio.
    In questo periodo, ospite per un certo tempo nel palazzo vescovile, dettò anche il suo famoso 'Testamento', l'ultimo messaggio d'amore del Poverello ai suoi figli, affinché rimanessero fedeli a madonna Povertà.
    Poi per l'interessamento del cardinale Ugolino e di frate Elia, Francesco accettò di sottoporsi alle cure dei medici della corte papale a Rieti; poi ancora a Fabriano, Siena e Cortona, ma nell'estate del 1226 non solo non era migliorato, ma si fece sempre più evidente il sorgere di un'altra grave malattia, l'idropisia.
    Dopo un'altra sosta a Bagnara sulle montagne vicino a Nocera Umbra, perché potesse avere un po' di refrigerio, i frati visto l'aggravarsi delle sue condizioni, decisero di trasportarlo ad Assisi e su sua richiesta all'amata Porziuncola, dove a tarda sera del 3 ottobre 1226, Francesco morì recitando il salmo 141, adagiato sulla nuda terra, aveva circa 45 anni.
    Le allodole, amanti della luce e timorose del buio, nonostante che fosse già sera, vennero a roteare sul tetto dell'infermeria, a salutare con gioia il santo, che un giorno (fra Camara e Bevagna), aveva invitato gli uccelli a cantare lodando il Signore; e in altra occasione in un campo verso Montefalco aveva tenuto loro una predica, che gli uccelli immobili ascoltarono, esplodendo poi in cinguetii e voli di gioia.
    La mattina del 4 ottobre, il suo corpo fu traslato con una solenne processione dalla Porziuncola alla chiesa parrocchiale di S. Giorgio ad Assisi, dove era stato battezzato e dove aveva cominciato nel 1208 la predicazione.
    Lungo il percorso il corteo si fermò a San Damiano, dove la cassa fu aperta, affinché santa Chiara e le sue “povere donne” potessero baciargli le stimmate.
    Nella chiesa di San Giorgio rimase tumulato fino al 1230, quando venne portato nella Basilica inferiore, costruita da frate Elia, diventato Ministro Generale dell'Ordine.
    Intanto il 16 luglio 1228, papa Gregorio IX a meno di due anni dalla morte, proclamò santo il Poverello d'Assisi, alla presenza della madre madonna Pica, del fratello Angelo e altri parenti, del vescovo Guido di Assisi, di numerosi cardinali e vescovi e di una folla di popolo mai vista, fissandone la festa al 4 ottobre.

    Il culto, Patronati

    Gli episodi della sua vita e dei suoi primi seguaci, furono raccolti e narrati nei “Fioretti di San Francesco”, opera di anonimo trecentesco, che contribuì nel tempo alla larga diffusione del suo culto, unitamente alla prima e seconda 'Vita', scritte dal suo discepolo Tommaso da Celano (1190-1260), su richiesta di papa Gregorio IX.
    Alcuni episodi sono entrati nell'iconografia del santo e riprodotti dall'arte, come la predica agli uccelli, il roseto in cui si rotolò per sfuggire alla tentazione, il lupo che ammansì a Gubbio, il ricevimento delle Stimmate, ecc.
    È patrono dell'Umbria e di molte città, fra le quali San Francisco negli USA che da lui prese il nome; innumerevoli sono le chiese, le parrocchie, i conventi, i luoghi pubblici che portano il suo nome; come pure tanti altri santi e beati, venuti dopo di lui, che ebbero al battesimo o adottarono nella vita religiosa il suo nome.
    Il grande santo di Assisi, che lo storico e scrittore, don Enrico Pepe definisce “Patrimonio dell'umanità”, fu riconosciuto da papa Pio XII, come il “più italiano dei santi e più santo degli italiani” e il 18 giugno 1939, lo proclamò Patrono principale d'Italia.
    Il cammino dei suoi 'Frati Minori'
    La Regola composta da s. Francesco su istanza del cardinale Ugolino de' Conti, futuro papa Gregorio IX e approvata solennemente da Onorio III nel 1223, era formata da 12 capitoli, essa prescriveva una rigida e assoluta povertà, il lavoro per procurasi il cibo e l'elemosina come mezzo sussidiario di sostentamento.
    Capo dell'Ordine, che si propagò rapidamente al punto che, vivente ancora il fondatore, annoverava già 13 Province, fu un Ministro Generale. Le costituzioni furono redatte da San Bonaventura da Bagnoregio.
    Mentre ancora l'organizzazione del nuovo Movimento religioso si stava consolidando, scoppiarono i primi contrasti. I membri dell'Ordine si divisero in due fazioni: la prima intendeva adottare forme meno severe di vita comunitaria e prescindere dall'obbligo assoluto della povertà, al fine di rendere meno difficile lo sviluppo dell'Ordine stesso; la seconda al contrario, si proponeva di uniformarsi alla lettera e allo spirito delle norme lasciate dal fondatore.
    I numerosi tentativi per placare i dissensi non ebbero effetto, anzi questi si acuirono di più quando Gregorio IX con la bolla “Quo elongati” (1230), concesse ai frati, che presero in seguito il nome di 'Conventuali', la possibilità di ricevere beni e di amministrarli per le loro esigenze.
    Nel campo opposto, correnti definite ereticali, come quelle degli spirituali e dei fraticelli, rappresentarono l'ala estrema del francescanesimo e agitarono un programma di rinnovamento religioso misto ad un'auspicabile rinascita politico-sociale, che sarebbe dovuto sfociare nell'avvento del regno dello Spirito, ma si attirarono scomuniche e persecuzioni dalle autorità ecclesiastiche e feudali.
    La divisione in due Movimenti, Osservanti e Conventuali, fu sanzionata nel 1517 da papa Leone X; nel 1525 papa Clemente VII approvò il nuovo ramo dei frati Cappuccini, guidato dal frate Minore Osservante Matteo da Bascio della Marca d'Ancona, dediti ad una più austera disciplina, povertà assoluta e vita eremitica; altre famiglie francescane riformate sorsero nei secoli (Alcantarini, Riformati, Amadeiti) in seno o a fianco degli Osservanti, ma tutti obbedivano al Ministro Generale dell'Osservanza.
    L'Ordine francescano comprende anche il ramo femminile, le Clarisse e il Terz'Ordine dei laici o Terziari francescani, fondati dallo stesso s. Francesco nel 1221, per raccogliere i numerosi seguaci già sposati e di ogni ordine sociale.
    L'Ordine, ai cui membri dei diversi rami, Leone XIII nel 1897, ingiunse di prendere il nome comune di Frati Minori, è tra i più importanti della Chiesa. Oltre alle pratiche religiose e ascetiche, essi furono e sono dediti alla predicazione, ad un apostolato di tipo sociale in luoghi di cura, e soprattutto all'opera missionaria.

    Cantico delle Creature

    Altissimo, onnipotente, bon Signore
    Tue so' le laude, la gloria et l'honore
    et onne benedictione.
    A te solo, Altissimo, se konfanno
    Et nullo homo ene digno te mentovare.
    Laudato si', mi' Signore, cum tucte le tue creature,
    specialmente messer lo frate sole
    lo quale è iorno et allumini noi per lui,
    et ellu è bellu e radiante, cum grande splendore:
    de te, Altissimo, porta significatione.
    Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle:
    in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
    Laudato si', mi' Signore, per frate vento
    et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
    per lo quale alle tue creature dai sostentamento.
    Laudato si', mi' Signore, per sora acqua,
    la quale è molto utile et humile
    et pretiosa et casta.
    Laudato si', mi' Signore, per frate focu
    per lo quale enallumini la nocte
    ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
    Laudato si', mi' Signore, per sora nostra madre terra,
    la quale ne sustenta et governa,
    et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
    Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano
    per lo tuo amore,
    et sostengo' infirmitate et tribolatione.
    Beati quelli ke le sosterranno in pace
    ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
    Laudato si', mi' Signore,
    per sora nostra morte corporale
    da la quale nullo homo vivente po' skappare.
    Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;
    beati quelli ke trovarà
    ne le sue sanctissime volutati,
    ka la morte secunda nol farrà male.
    Laudate et benedicete mi' Signore,
    et rengratiate et serviteli
    cum grande humilitate.
    (S. Francesco d'Assisi)

    Autore: Antonio Borrelli












  3. #3
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    Predefinito Dalla "Vita di san Francesco" scritta da Tommaso da Celano

    Vita prima di san Francesco d'Assisi, II, capp. XV‑XVII, 36‑42.45‑46. Fonti francescane, Padova, 1988, 441‑444.448‑449.

    Come valorosissimo soldato di Cristo, Francesco passava per città e castelli annunciando il regno dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito. Poiché ne aveva ricevuto l'autorizzazione dalla Sede apostolica, egli operava fiducioso e sicuro, rifuggendo da adulazioni e lusinghe. Non era solito blandire i vizi, ma sferzarli con fermezza; non cercava scuse per la vita dei peccatori, ma li percuoteva con aspri rimproveri, dal momento che aveva piegato prima di tutto sé stesso a fare ciò che inculcava agli altri. Non temendo quindi d'esser trovato incoerente, Francesco predicava la verità con franchezza, tanto che anche uomini dottissimi e celebri accoglievano ammirati le sue ispirate parole, e alla sua presenza erano invasi da un salutare timore. Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva tutti come un uomo di un altro mondo.

    Non pochi, lasciate le cure mondane, seguendo l'esempio e l'insegnamento di san Francesco, impararono a conoscere, amare e rispettare il loro Creatore. Molti, nobili e plebei, chierici e laici, docili alla divina ispirazione, si recavano dal Santo, bramosi di schierarsi per sempre con lui e sotto la sua guida. E a tutti egli, come ricca sorgente di grazia celeste, dona le acque vivificanti che fanno sbocciare le virtù nel giardino del cuore. Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso: mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento si rinnova la Chiesa di Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia degli eletti. A tutti Francesco dava una regola di vita, e indicava la via della salvezza a ciascuno secondo la propria condizione. E' ora il momento di concentrare l'attenzione soprattutto sull'Ordine che Francesco suscitò col suo amore e vivificò con la sua professione. Proprio lui infatti fondò l'Ordine dei frati minori, ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola quelle parole: "Siano minori appena l'ebbe udite esclamò: "Voglio che questa Fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori".

    E realmente erano "minori"; sottomessi a tutti ricercavano l'ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare cosi le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l'edificio spirituale di tutte le virtù. Davvero su questa solida base edificarono, splendida, la costruzione della carità. E come pietre vive, raccolte, per cosi dire, da ogni parte del mondo, crebbero in tempio dello Spirito Santo. Com'era ardente l'amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto era forte in essi l'amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche luogo o per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera esplosione del loro affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro amore è fonte di vera carità fraterna. Ed erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci, dolci colloqui; erano sorrisi modesti, aspetto lieto, occhio semplice, animo umile, parlare cortese, risposte gentili; vi era piena unanimità nel loro ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio.

    Avendo disprezzato tutte le cose terrene ed essendo immuni da qualsiasi amore egoistico, i discepoli di Francesco, dal momento che riversavano tutto l'affetto del cuore in seno alla comunità, cercavano con tutto l'impegno di donare persino sé stessi per venire incontro alle necessità dei fratelli. Erano felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme; ma era per tutti pesante il vivere separati, amaro il distacco, doloroso il momento dell'addio. Questi dolcissimi soldati non anteponevano comunque nulla ai comandi della santa obbedienza; vi si preparavano anzi in anticipo, e si precipitavano ad eseguire, senza discutere e rimosso ogni ostacolo, qualunque cosa veniva loro ordinata. Da cultori fedeli della santissima povertà, poiché non possedevano nulla, non s'attaccavano a nessuna cosa, e niente temevano di perdere. Erano contenti di una sola tonaca, talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze, da apparire in quella veste dei veri crocifissi per il mondo.

    I discepoli di san Francesco erano sempre sereni, liberi da ogni ansietà e pensiero, senza affanni per il futuro;non si angustiavano neppure di assicurarsi un ospizio per la notte, anche se pativano grandi disagi nel viaggio. Sovente, durante il freddo più intenso, non trovando ospitalità,si rannicchiavano in un forno, o pernottavano in qualche spelonca. Di giorno, quelli che ne erano capaci, si impegnavano in lavori manuali, o nei ricoveri dei lebbrosi o in altri luoghi, servendo a tutti con umiltà e devozione. Non volevano esercitare nessun lavoro che potesse dar adito a scandalo, ma sempre si occupavano di cose sante e giuste, oneste e utili, dando esempio di umiltà e di pazienza a tutti coloro con i quali si trovavano. Amavano talmente la pazienza, che preferivano stare dove c'era da soffrire persecuzioni che non dove, essendo nota la loro santità, potevano godere i favori dei mondo. Ecco i principi con i quali Francesco educava i suoi nuovi figli, e non semplicemente a parole, ma soprattutto con le opere e l'esempio della sua vita.

    Il beato Francesco era solito raccogliersi con i suoi compagni in un luogo presso Assisi, detto Rivotorto; ed erano felici, quegli arditi dispregiatori delle case grandi e belle, di un tugurio abbandonato ove potevano trovare riparo dalle bufere, perché, al dire di un santo, c'è maggior speranza di salire più presto in cielo dalle baracche che dai palazzi (cfr. Petrus cantor, Verbum abbreviatum, 86. PL 205, 257). Padri e figli se ne stavano cosi insieme, tra molti stenti e indigenze, non di raro privi anche del ristoro del pane, contenti di qualche rapa che andavano a mendicare per la pianura di Assisi. L'abitazione poi era tanto angusta, che a fatica vi potevano stare seduti o stesi a terra; tuttavia non si udiva mormorazione né lamento; ognuno manteneva la sua giocondità di spirito e tutta la sua pazienza. San Francesco ogni giorno, anzi di continuo, esaminava diligentemente sé stesso e i suoi, perché non restasse in loro nulla di mondano e fosse evitata qualsiasi negligenza. Con sé stesso, poi, era particolarmente rigoroso e vigile.

    In quel tempo i frati chiesero con insistenza a Francesco che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l'ufficio liturgico. Ed egli rispose: Quando pregate, dite:" Padre nostro" e "Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo". E questo gli stessi discepoli del pio maestro si impegnavano ad osservare con ogni diligenza, perché si proponevano di eseguire perfettamente non solo i consigli fraterni e i comandi di lui, ma perfino i suoi segreti pensieri, se riuscivano in qualche modo a intuirli. Infatti il beato padre insegnava loro che la vera obbedienza riguarda i pensieri non meno che le parole espresse, i desideri non meno che i comandi.

    Fedeli all'esortazione di Francesco, i frati, ogni volta che passavano vicino a una chiesa, oppure anche la scorgevano da lontano, si inchinavano in quella direzione e, proni col corpo e con lo spirito, adoravano l'Onnipotente, dicendo: "Ti adoriamo, o Cristo, qui e in tutte le chiese". E, cosa non meno ammirevole, altrettanto facevano dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce, per terra, sulle pareti, tra gli alberi, nelle siepi. Erano cosi pieni di santa semplicità, di innocenza, di purezza di cuore da ignorare ogni doppiezza. Come unica era la loro fede, cosi regnava in essi l'unità degli animi, la concordia degli intenti e dei costumi, la stessa carità, la pratica delle virtù, la pietà degli atti, l'armonia dei pensieri.


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    Predefinito Dalla Leggenda maggiore di san Bonaventura da Bagnoregio

    Leggenda maggiore, II, capp. VII, l‑3; IX,3‑4. Fonti francescane, Padova, 1988, 889‑891.913.

    Tra gli altri doni e carismi che il generoso Datore concesse a Francesco, vi fu un privilegio singolare: quello di crescere nelle ricchezze della semplicità attraverso l'amore per l'altissima povertà. Il Santo notando come la povertà, che era stata intima amica del Figlio di Dio, ormai veniva ripudiata da quasi tutto il mondo, volle farla sua sposa, amandola di eterno amore, e per lei non soltanto lasciò il padre e la madre, ma generosamente distribui tutto quanto poteva avere. Nessuno fu cosi avido d'oro, quanto Francesco della povertà; nessuno fu più bramoso di tesori, quanto Francesco di questa perla evangelica. Niente offendeva il suo occhio più di questo: vedere nei frati qualche cosa che non fosse del tutto in armonia con la povertà. Quanto a lui, dall'inizio della sua vita religiosa fino alla morte, ebbe queste ricchezze: una tonaca, una cordicella e le brache; e di questo fu contento.

    Spesso Francesco richiamava alla mente, piangendo, la povertà di Gesù Cristo e della Madre sua, e affermava che questa è la regina delle virtù, perché la si vede brillare cosi fulgidamente, più di tutte le altre, nel Re dei re e nella regina sua Madre. Anche quando i frati, in Capitolo, gli domandarono qual è la virtù che, più delle altre, rende amici di Cristo, rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore: "Sappiate, fratelli, che la povertà è una via straordinaria di salvezza, giacché è alimento dell'umiltà, radice della perfezione. Molteplici sono i suoi frutti, benché nascosti. Difatti essa è il tesoro nascosto nel campo del vangelo: per comprarlo, si deve vendere tutto e, in confronto ad esso, si deve disprezzare tutto quello che non si può vendere". "Chi brama raggiungere il vertice della povertà disse deve rinunciare non solo alla prudenza mondana, ma anche, in certo qual modo, al privilegio dell'istruzione, affinché, espropriato di questo possesso, possa entrare nella potenza del Signore e offrirsi, nudo, nelle braccia del Crocifisso. In nessun modo, infatti, rinuncia perfettamente al mondo colui che conserva nell'intimo del cuore lo scrigno dell'amor proprio".

    Spesso, discorrendo della povertà, Francesco applicava ai frati quell'espressione del vangelo: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo (Mt 8, 20). Per questo motivo ammaestrava i frati a costruirsi casupole poverelle, alla maniera dei poveri, ad abitare in esse non come in casa propria, ma come in case altrui, da pellegrini e forestieri. Diceva che il codice dei pellegrini è questo: raccogliersi sotto il tetto altrui, sentir sete della patria, passar via in pace. Dava Ordine, talvolta, ai frati di demolire le case che avevano costruite o di lasciarle, quando notava in esse qualcosa che, o quanto alla proprietà o quanto al lusso, urtava contro la povertà evangelica. Il Santo diceva che la povertà è il fondamento del suo Ordine, la base principale su cui poggia tutto l'edificio della sua Religione, in modo tale che, se essa è solida, tutto l'Ordine è solido; se essa si sfalda, tutto l'Ordine crolla. Insegnava, avendolo appreso per rivelazione, che il primo passo nella santa religione, consiste nel realizzare quella parola del Vangelo: Se vuoi essere perfetto, va vendi quello che possiedi, dallo ai poveri (Mt 19, 21). Perciò ammetteva nell'Ordine solo chi aveva rinunciato alla proprietà e non aveva tenuto assolutamente nulla per sé.

    Nient'altro possedeva, il povero di Cristo, se non due spiccioli, da poter elargire con liberale carità: il corpo e l'anima. Ma corpo e anima, per amore di Cristo, li offriva continuamente a Dio, poiché quasi in ogni istante immolava il corpo col rigore del digiuno e l'anima con la fiamma del desiderio: olocausto, il suo corpo, immolato all'esterno, nell'atrio del tempio; incenso, l'anima sua, effusa all'interno del tempio. Ma, mentre quest'eccesso di devozione e di carità lo innalzava alle realtà divine, la sua bontà affettuosa si espandeva verso coloro che natura e grazia rendevano suoi consorti. Non c'è da meravigliarsi: come la pietà del cuore lo aveva reso fratello di tutte le altre creature, cosi la carità di Cristo lo rendeva ancor più intensamente fratello di coloro che portano in sé l'immagine del Creatore e sono stati redenti dal sangue del Redentore. Non si riteneva amico di Cristo, se non curava con amore le anime da Lui redente. Niente, diceva, si deve anteporre alla salvezza delle anime, e confermava l'affermazione soprattutto con quest'argomento: l'Unigenito di Dio, per le anime, si era degnato salire sulla croce.

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    Predefinito Dalla «Lettera a tutti i fedeli» di san Francesco d'Assisi

    Opuscoli, ed. Quaracchi 1949, 87-94

    Il Padre altissimo fece annunziare dal suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria che il Verbo del Padre, così degno, così santo e così glorioso, sarebbe disceso dal cielo, e dal suo seno avrebbe ricevuto la vera carne della nostra umanità e fragilità. Egli, essendo oltremodo ricco, volle tuttavia scegliere, per sé e per la sua santissima Madre, la povertà.
    All'approssimarsi della sua passione, celebrò la Pasqua con i suoi discepoli. Poi pregò il Padre dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39).
    Pose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre. E la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso, dato per noi e nato per noi, offrisse se stesso nel proprio sangue come sacrificio e vittima sull'altare della croce. Non si offrì per se stesso, non ne aveva infatti bisogno lui, che aveva creato tutte le cose. Si offrì per i nostri peccati, lasciandoci l'esempio perché seguissimo le sue orme (cfr. 1 Pt 2, 21). E il Padre vuole che tutti ci salviamo per mezzo di lui e lo riceviamo con puro cuore e casto corpo.
    O come sono beati e benedetti coloro che amano il Signore e ubbidiscono al suo Vangelo! E' detto infatti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta la tua anima, e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27). Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e pura mente, perché egli stesso questo ricerca sopra ogni cosa quando dice «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23). Dunque tutti quelli che l'adorano devono adorarlo in spirito e verità. Rivolgiamo a lui giorno e notte lodi e preghiere, perché dobbiamo sempre pregare e non stancarci mai (cfr. Lc 18, 1), e diciamogli: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6, 9).
    Facciamo inoltre «frutti degni di conversione» (Mt 3, 8) e amiamo il prossimo come noi stessi. Siamo caritatevoli, siamo umili, facciamo elemosine perché esse lavano le nostre anime dalle sozzure del peccato.
    Gli uomini perdono tutto quello che lasciano in questo mondo. Portano con sé solo la mercede della carità e delle elemosine che hanno fatto. E' il Signore che dà loro il premio e la ricompensa.
    Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto semplici, umili e casti. Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma piuttosto servi e sottomessi a ogni umana creatura per amore del Signore. E su tutti coloro che avranno fatte tali cose e perseverato fino alla fine, riposerà lo Spirito del Signore. Egli porrà in essi la sua dimora ed abitazione. Saranno figli del Padre celeste perché ne compiono le opere. Saranno considerati come fossero per il Signore o sposa o fratello o madre.

  6. #6
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    Predefinito Sequenza

    Prodigi nuovi di santità,
    degni di lode, apparvero,
    stupendi e per noi propizi,
    affidati a Francesco.

    Agli iscritti al nuovo gregge
    è data una nuova legge,
    si rinnovano i decreti del Re,
    ritrasmessi da Francesco.

    Un nuovo ordine, una nuova vita,
    sconosciuti al mondo, sorgono;
    la regola emanata ripropone
    il ritorno al Vangelo.

    Conforme ai consigli del Cristo,
    è dettata la regola;
    la norma data ricalca
    la vita degli Apostoli.

    Corda rude, veste dura
    cinge e copre senza cura;
    il cibo si dà in parsimonia,
    son gettati i calzari.

    Povertà soltanto cerca,
    niente vuole di terrestre;
    quaggiù Francesco tutto calpesta:
    rifiuta il denaro.

    Cerca luoghi solitari,
    ove sfogarsi in pianto;
    geme per il tempo prezioso
    sciupato nel secolo.

    In un antro della Verna
    piange, prega, prostrato a terra,
    finché l’anima è irradiata
    di celeste arcana luce.

    Là, protetto dalle rupi,
    è immerso nell’estasi;
    il Serafico alla terra
    preferisce il cielo.

    E' trattato con rigore,
    il corpo si trasfigura;
    nutrìto della parola di Dio,
    rifiuta ciò che è terreno.

    Dall’alto, un Serafino alato
    gli appare: è il grande Re;
    sbigottisce il Padre,
    atterrito dalla visione.

    Nelle membra di Francesco,
    tutto assorto in orazione,
    imprime il Serafino
    i segni del Crocifisso.

    E’ suggello al sacro corpo:
    piagato mani e piedi,
    il lato destro è trafitto,
    si irrora di sangue.

    Si parlano ; gli son rivelati
    i segreti celesti;
    il Santo li comprende
    in sublime estasi.

    Ecco chiodi misteriosi,
    fuori neri e dentro splendidi;
    punge il dolore, acute
    straziano le punte.

    Non c’è opera di uomo
    sulle piagate membra;
    non i chiodi, non le piaghe
    impresse la natura

    Per le piaghe che hai portato,
    con le quali hai trionfato
    sulla carne e sul nemico
    con inclita vittoria,

    O Francesco, tu difendici
    fra le cose che ci avversano,
    per poter godere il premio
    nell’eterna gloria.

    Padre santo e pietoso,
    il tuo popolo devoto
    con la schiera dei tuoi figli,
    ottenga il premio eterno.

    Tutti quelli che ti seguono,
    siano un giorno uniti in cielo ai beati comprensori
    nella luce della gloria.
    Amen.

  7. #7
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    Predefinito Testamento di San Francesco (1226)

    1. Dominus ita dedit mihi fratri Francisco incipere faciendi poenitentiam: quia, cum essem in peccatis, nimis mihi videbatur amarum videre leprosos.
    2. Et ipse Dominus conduxit me inter illos et feci misericordiam cum illis.
    3. Et recedente me ab ipsis, id quod videbatur mihi amarum, conversum fuit mihi in dulcedinem animi et corporis; postea parum steti et exivi de saeculo.

    4. Et Dominus dedit mihi talem fidem in ecclesiis, ut ita simpliciter orarem et dicerem:
    5. Adoramus te, Domine Jesu Christe et ad omnes ecclesias tuas, quae sunt in toto mundo, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuanz redimisti mundum.

    6. Postea Dominus dedit mihi et dat tantam fidem in sacerdotibus, qui vivunt secundum formam sanctae ecclesiae Romanae propter ordinem ipsorum, quod si facerent mihi persecutionem, volo recurrere ad ipsos.
    7.Et si haberem tantam sapientiam, quantam Salomon habuit, et invenirem pauperculos sacerdotes huius saeculi, in parochiis, quibus morantur, nolo praedicare ultra voluntatem ipsorum.
    8. Et ipsos et omnes alios volo timere, amare et honorare sicut meos dominos.
    9. Et nolo in ipsis considerare peccatum, quia Filium Dei discerno in ipsis, et domini mei sunt.

    10. Et propter hoc facio, quia nihil video corporaliter in hoc saeculo de ipso altissimo Filio Dei, nisi sanctissimum corpus et sanctissimum sanguinem suum, quod ipsi recipiunt et ipsi soli aliis ministrant.
    11. Et haec sanctissima mysteria super omnia volo honorari, venerari et in locis pretiosis collocari.
    12. Sanctissima nomina et verba eius scripta, ubicumque invenero in locis illicitis, volo colligere et rogo, quod colligantur et in loco honesto collocentur.
    13. Et omnes theologos et qui ministrant sanctissima verba divina, debemus honorare et venerari, sicut qui ministrant nobis spiritum et vitam.

    14. Et postquam Dominus dedit mihi de fratribus, nemo ostendebat mihi, quid deberem facere, sed ipse Altissimus revelavit mihi, quod deberem vivere secundum formam sancti Evangelii.
    15. Et ego paucis verbis et simpliciter feci scribi et dominus papa confirmavit mihi.
    16. Et illi qui veniebant ad recipiendam vitam, omnia quae habere poterant, dabant pauperibus; et erant contenti tunica una, intus et foris repeciata, cum cingulo et braccis.
    17. Et nolebamus plus habere.

    18. Officium dicebamus clerici secundum alios clericos, laici dicebant: Pater noster; et satis libenter manebamus in ecclesiis.

    19. Et eramus idiotae et subditi omnibus.
    20. Et ego manibus meis laborabam, et volo laborare; et omnes alii fratres firmiter volo, quod laborent de laboritio, quod pertinet ad honestatem.
    21. Qui nesciunt, discant, non propter cupiditatem recipiendi pretium laboris, sed propter exemplum et ad repellendam otiositatem.
    22. Et quando non daretur nobis pretium laboris, recurramus ad mensam Domini, petendo eleemosynam ostiatim.
    23. Salutationem mihi Dominus revelavit, ut diceremus: Dominus det tibi pacem.

    24. Caveant sibi fratres, ut ecclesias, habitacula paupercula et omnia, quae pro ipsis construuntur, penitus non recipiant, nisi essent, sicut decet sanctam paupertatem, quam in regula promisimus, semper ibi hospitantes sicut advenae et peregrini.

    25.Praecipio firmiter per obedientiam fratribus universis, quod ubicumque sunt, non audeant petere aliquam litteram in curia Romana per se neque per interpositam personam, neque pro ecclesia neque pro alio loco neque sub specie praedicationis neque pro persecutione suorum corporum;
    26. sed ubicumque non fuerint recepti, fugiant in aliam terram ad faciendam poenitentiam cum benedictione Dei.

    27. Et firmiter volo obedire ministro generali huius fraternitatis et alio guardiano, quem sibi placuerit mihi dare.
    28. Et ita volo esse captus in manibus suis, ut non possim ire vel facere ultra obedientiam et voluntatem suam, quia dominus meus est.
    29. Et quamvis sim simplex et infirmus, tamen semper volo habere clericum, qui mihi faciat officium, sicut in regula continetur.

    30. Et omnes alii fratres teneantur ita obedire guardianis suis et facere officium secundum regulam.
    31. Et qui inventi essent, quod non facerent officium secundum regulam, et vellent alio modo variare, aut non essent catholici, omnes fratres, ubicumque sunt, per obedientiam teneantur, quod ubicumque invenerint aliquem ipsorum, proximiori custodi illius loci, ubi ipsum invenerint, debeant repraesentare.
    32. Et custos firmiter teneatur per obedientiam ipsum fortiter custodire, sicuti hominem in vinculis die noctuque, ita quod non possit eripi de manibus suis, donec propria sua persona ipsum repraesentet in manibus sui ministri.

    33. Et minister firmiter teneatur per obedientiam mittendi ipsum per tales fratres, quod die noctuque custodiant ipsum sicuti hominem in vinculis, donec repraesentent ipsum coram domino Ostiensi, qui est dominus, protector et correctors totius fraternitatis.
    34. Et non dicant fratres: Haec est alia regula; quia haec est recordatio, admonitio, exhortatio et meum testamentum, quod ego frater Franciscus parvulus facio vobis fratribus meis benedictis propter hoc, ut regulam, quam Domino promisimus, melius catholice observemus.
    35. Et generalis minister et omnes alii ministri et custodes per obedientiam teneantur, in istis verbis non addere vel minuere.
    36. Et semper hoc scriptum habeant secum iuxta regulam.
    37. Et in omnibus capitulis, quae faciunt, quando legunt regulam, legant et ista verba.

    38. Et omnibus fratribus meis clericis et laicis praecipio firmiter per obedielltiam, ut non mittant glossas in regula neque in istis verbis dicendo: Ita volunt intelligi.
    39. Sed sicut dedit mihi Dominus simpliciter et pure dicere et scribere regulam et ista verba, ita simpliciter et sine glossa intelligatis et cum sancta operatione observetis usque in finem.

    40. Et quicumque haec observaverit, in caelo repleatur benedictione altissimi Patris et in terra repleatur benedictione dilecti Filii sui cum sanctissimo Spiritu Paraclito et omnibus virtutibus caelorum et omnibus sanctis.
    41. Et ego frater Franciscus parvulus, vester servus, quantumcumque possum, confirmo vobis intus et foris istam sanctissimam benedictionem.

    ******

    1. Il Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi;
    2. e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia.
    3. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

    4. E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo:
    5. Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

    6. Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro.
    7. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
    8. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori.
    9. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori.

    10. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue che essi ricevono ad essi soli amministrano agli altri.
    11. E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.
    12. E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso.
    13. E dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che amministrano le santissime parole divine, così come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita.

    14. E dopo che il Signore mi diede dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo.
    15. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.
    16. E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache.
    17. E non volevano avere di più.

    18.Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese.

    19. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.
    20. Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà.
    21. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio.
    22. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l'elemosina di porta in porta.
    23. Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto:"Il Signore ti dia la pace! ".

    24. Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini.

    25. Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna (di privilegio) nella curia romana, nè personalmente nè per interposta persona, nè per una chiesa nè per altro luogo, nè per motivo della predicazione, nè per la persecuzione dei loro corpi;
    26. ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.

    27. E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi.
    28. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l'obbedienza e la sua volontà, perché egli è mio signore.
    29. E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l'ufficio, così come è prescritto nella Regola.

    30. E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbedire allo stesso modo ai loro superiori e a recitare l'Ufficio secondo la Regola.
    31. E quelli che siano trovati che non volessero recitare l'Ufficio secondo la Regola, o volessero in qualunque modo variarlo, o non fossero cattolica, tutti i frati, dovunque siano, per essere tenuto per obbedienza debbono presentare qualsiasi di quelli, lo dovunque lo trovino, ai custodi più prossimi di dove lo trovano.
    32. E quel custode è tenuto per obbedienza a custodirlo fermamente come un uomo in catene giorno e notte così che non possa essere strappato dalle sue mani, finché proprio lui in persona lo presenterà nelle mani del suo ministro.

    33. E quel ministro è tenuto per l'obbedienza a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano fortemente come un uomo in catene di giorno e di notte, finché lo presentano al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità.
    34. E non dicano i frati: Questa è un'altra Regola, perché questa è un ricordo, un'ammonizione, un'esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei fratelli benedetti, perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.
    35. E il ministro generale e tutti gli altri ministri custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.
    36. E sempre tengano con se questo scritto assieme alla Regola.
    37. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.

    38. E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola e in queste parole dicendo: "Così si devono intendere"
    39. ma, come il Signore mi ha dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così cercate di comprenderle con semplicità e senza commento e di osservarle con sante opere sino alla fine.

    40. E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell'altissimo Padre, e in terra sia ricolmato della benedizione del suo Figlio diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i Santi.
    41. Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. (Amen).

  8. #8
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    Andrea del Sarto, Madonna delle arpie, 1517, Galleria degli Uffizi, Firenze. I Santi sono Francesco d'Assisi e Giovanni Evangelista

    Antoniazzo Romano, Madonna in trono con Bambino e Santi, 1487, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma. I Santi sono Francesco d'Assisi e Paolo

    Baciccio, Apoteosi dell'ordine francescano, 1707, Basilica Santi XII Apostoli, Roma

    Bonaventura Berlinghieri, S. Francesco, 1235, Chiesa di San Francesco, Pescia

    Caravaggio, S. Francesco, 1606 circa, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

    Caravaggio, S. Francesco, 1606 circa, Pinacoteca, Cremona

    Caravaggio, S. Francesco in estasi, 1595, Wadsworth Atheneum, Hartford, Connecticut

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    Vicente Carducho (Carducci), Visione di S. Francesco, 1631, Museum of Fine Arts, Budapest

    Annibale Carracci, Crocifissione, 1583, Chiesa di Santa Maria della Carità, Bologna. I Santi sono Bernardino, Francesco, Giovanni e Petronio, oltre l'Addolorata

    Annibale Carracci, Madonna in trono con S. Matteo, 1588, Gemäldegalerie, Dresda. I Santi sono Matteo, Francesco e Giovanni Battista

    Cimabue, Madonna in trono con Bambino tra i SS. Domenico e Francesco e due angeli, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Cimabue, Madonna in trono con Bambino tra S. Francesco e quattro angeli, 1278-80, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Correggio, Madonna in trono con Bambino e S. Francesco, 1514, Gemäldegalerie, Dresda. I Santi sono Francesco, Antonio di Padova, Giovanni Battista e Caterina d'Alessandria

    Correggio, Riposo durante la fuga in Egitto con S. Francesco, 1517, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Carlo Crivelli, Madonna in trono con S. Francesco, 1471-72, Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles

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    Domenico Veneziano, SS. Giovanni Battista e Francesco, 1454, Museo dell'Opera di Santa Croce, Firenze

    Domenico Veneziano, Madonna con Bambino e Santi (SS. Francesco, Giovanni Battista, Zenobio e Lucia), 1445, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Orazio Gentileschi, S. Francesco sorretto dall'angelo, 1607 circa, Museo del Prado, Madrid

    Orazio Gentileschi, S. Francesco sorretto dall'angelo, 1612-13, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

    Giorgione, Madonna in trono con Bambino tra i SS. Francesco e Liberale, 1505 circa, Duomo, Castelfranco Veneto

    Giovanni da Milano, S. Francesco, 1360 circa, Musée du Louvre, Parigi

 

 
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