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    Predefinito Frate Asino

    Dal sito SANTI E BEATI

    San Giuseppe da Copertino, Sacerdote

    18 settembre - Comune

    Copertino (Lecce), 17 giugno 1603 – Osimo (Ancona), 18 settembre 1663

    Rifiutato da alcuni Ordini per "la sua poca letteratura" (aveva dovuto abbandonare la scuola per povertà e malattia), venne accettato dai Cappuccini e dimesso per "inettitudine" dopo un anno. Accolto come Terziario e inserviente nel conventino della Grotella, riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Così, per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Giuseppe da Copertino ebbe il dono della scienza infusa, per cui gli chiedevano pareri perfino i teologi e seppe accettare la sofferenza, di cui fu piena la sua vita, con estrema semplicità.

    Giuseppe Maria Desa nacque il 17 giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese. Il padre fabbricava carri. Rifiutato da alcuni Ordini per «la sua poca letteratura» (aveva dovuto abbandonare la scuola per povertà e malattia), venne accettato dai Cappuccini e dimesso per «inettitudine» dopo un anno. Accolto come Terziario e inserviente nel conventino della Grotella, riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Giuseppe levitava da terra per le continue estasi. Così, per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Giuseppe da Copertino ebbe il dono della scienza infusa, per cui gli chiedevano pareri perfino i teologi e seppe accettare la sofferenza con estrema semplicità. Morì il 18 settembre 1663 a 60 anni; fu beatificato il 24 febbraio 1753 da papa Benedetto XIV e proclamato santo il 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII. (Avvenire)

    Patronato: Aviatori, Passeggeri di aerei, Astronauti, studenti

    Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico

    Martirologio Romano: A Osimo nelle Marche, san Giuseppe da Copertino, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, che, nonostante le difficoltà affrontate durante la sua vita, rifulse per povertà, umiltà e carità verso i bisognosi di Dio.

    Martirologio tradizionale (18 settembre): Ad Osimo, nel Piceno, san Giuseppe da Copertino, Sacerdote dell'Ordine dei Minori Conventuali e Confessore, il quale dal Papa Clemente decimoterzo fu ascritto nel numero dei Santi.

    S. Giuseppe da Copertino, durante le frequenti estasi, si muoveva per la chiesa senza mai toccare terra, mentre dal suo corpo, al quale non riservava alcuna cura, emanavano effluvi odorosi che ne indicavano la presenza in un vasto raggio. La vita di questo santo ha degli aspetti sconcertanti. Nato poverissimo a Copertino, nelle Puglie, nel 1603, visse i primi mesi di vita in una stalla perché il padre, indebitato, aveva dovuto vendere tutto. A 17 anni volle farsi frate, ma i Frati Minori non lo accettarono perché troppo ignorante, e i Cappuccini, che lo avevano accolto come converso, poco dopo gli imposero di deporre il saio ("fu come se mi strappassero la pelle di dosso", confidò poi) per la sua grande confusione mentale.
    In paese nessuno lo rivolle indietro, neppure sua madre, e allora i Frati Minori Conventuali di Grottella gli aprirono finalmente le porte del loro convento, adibendolo ai più umili servizi, come quello di badare alla mula. Giuseppe si autodefinì "frate asino", e tuttavia domandò di studiare per diventare sacerdote. Agli esami gli capitò di dover rispondere alla sola domanda su cui si era preparato: il commento a un brano evangelico. Ma da questo momento cominciarono ad emergere dalla vita di questo zotico frate quei fenomeni che sono il contrassegno della predilezione divina e della santità interiore. Sovente lo trovavano rapito in estasi davanti al quadro della Madonna, sollevato di qualche palmo da terra.
    Quasi completamente digiuno in fatto di studi teologici, aveva il dono della scienza infusa e veniva consultato da teologi su questioni delicate di dottrina e di esegesi, e lui forniva risposte chiare e sapienti. "Il frate più ignorante di tutto l'ordine francescano" venne convocato a Roma; ammesso all'udienza da Urbano VIII, davanti al papa il fraticello cadde in estasi. La fama dei suoi prodigi fece accorrere a lui gente da ogni parte e i suoi superiori gli fecero mutare continuamente convento. Giuseppe da Copertino accettò tutto con trasparente semplicità. Aveva un solo rimpianto, quello di non poter rivedere l'immagine della Madonna del suo convento di Grottella, al cui solo pensiero era rapito in estasi.
    Finalmente i suoi confratelli gli assegnarono il convento di Assisi, ma questa volta fu il papa in persona a sconsigliare questa destinazione: "Ad Assisi – commentò - un S. Francesco è più che sufficiente". Così Giuseppe da Copertino morì a Osimo, nelle Marche, a sessant'anni, nel 1663. "Frate asino", che in vita aveva avuto seri problemi per superare gli esami, è invocato dagli studenti nel momento di affrontare l'annuale prova per la promozione.

    Autore: Piero Bargellini

    ******
    Sempre dallo stesso SITO, altra scheda biografica:

    Come il francescano spagnolo s. Salvatore da Horta (1520-1567) che creava molti problemi ai suoi confratelli per i continui prodigi che operava, così anche s. Giuseppe da Copertino, li creava con il suo levitare da terra e per le continue estasi.
    Giuseppe Maria Desa, figlio di Felice Desa e di Franceschina, nacque il 17 giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese.
    Il padre, maestro nella fabbricazione dei carri, era persona di fiducia dei signori locali, che a Copertino possedevano un castello; aveva sposato Franceschina di famiglia benestante, industriosa e pia, che aveva portato una discreta dote in ducati; insomma le condizioni economiche erano soddisfacenti.
    Poi il padre Felice, per fare un favore ad un amico, fece da garante per un affare di mille ducati; a seguito del fallimento dell’amico, Felice fu denunziato e perse la causa, dovette vendere la casa e perse il lavoro, finendo in miseria con tutta la famiglia.
    Proprio quando stava per nascere il sesto figlio Giuseppe, andarono ad abitare in una stalla dove vide la luce il nascituro.
    Dopo poco tempo il padre morì per il dispiacere e la vedova rimase sola con i sei figli senza l’aiuto di nessuno; d’altronde la miseria era grande in tutto il Salentino, i poveri contadini erano gravati dei più assurdi balzelli come per esempio, cinque grana per ogni albero, a causa dell’ombra che faceva sulla terra.
    La povera vedova e i figli, vissero anni durissimi, Giuseppe Desa, incapace d’imparare il mestiere del carpentiere o dello scarparo, faceva il garzone in un negozio, dove si trovava meglio che a casa, anzi specifichiamo nella piccola stalla adattata ad abitazione umana.
    In paese lo chiamavano “Boccaperta” per la sua abituale distrazione; in aggiunta, il creditore del padre ottenne dal Supremo Tribunale di Napoli, che Giuseppe unico figlio maschio di Felice e Franceschina, una volta raggiunta la maggiore età, fosse obbligato a lavorare senza paga, fino a saldare il debito del defunto genitore.
    In pratica gli si prospettava una vita senza speranza, da considerare una vera e propria schiavitù; l’unico modo per sfuggire a questa desolante prospettiva era farsi sacerdote o frate.
    Sacerdote non era possibile, in quanto Giuseppe non sapeva niente di lettere e istruzione, forse frate andava bene, perché occorrevano braccia per lavorare e su questo non c’era difetto.
    La scuola che aveva cominciato a frequentare, la dovette lasciare quasi subito, a causa di un’ulcera cancrenosa che lo tormentò per cinque anni e di cui guarì grazie ad un eremita di passaggio che la massaggiò con dell’olio.
    A quasi 17 anni, lasciò la madre e bussò alla porta dei Frati Francescani Conventuali, convento detto della ‘Grottella’ a due passi da Copertino, dove un suo zio era stato padre Guardiano, ma dopo un periodo di prova fu mandato via, per la sua poca letteratura, per semplicità ed ignoranza”.
    Passò allora dai Francescani Riformati, ma anche questi dopo un po’ lo rifiutarono, si diresse allora dai Cappuccini di Martina Franca, era il 15 agosto 1620, allora erano esigenti in fatto di cultura, vi restò otto mesi, ma per la sua inettitudine procurava continui disastri, aggravati da improvvise estasi durante le quali lasciava cadere piatti e scodelle, i cui cocci venivano attaccati alle sue vesti in segno di penitenza.
    Nel marzo 1621 fu rimandato a casa, sostenendo che non era adatto alla vita spirituale né ai lavori manuali. Aveva una incapacità naturale e una preoccupazione soprannaturale, ma mentre la prima era evidente, la seconda sfuggiva a tutti.
    Uscito dal convento rivestito con pochi stracci, perché aveva perso una parte del suo abito da laico, fu scambiato per un poco di buono, assalito dai cani di una vicina stalla e quasi bastonato dai pastori; fu respinto dallo zio paterno e persino la madre lo maltrattò, rimproverandogli di essersi fatto cacciare dal convento e che per lui non c’era posto.
    Grazie all’interessamento dello zio materno, Giovanni Donato Caputo, riuscì dopo molte insistenze a farsi accettare di nuovo dai Conventuali della ‘Grottella’, esponendo il suo caso per sfuggire alla condanna del Tribunale; i frati presero a cuore la situazione e lo ammisero nella comunità, prima come oblato, poi come terziario e finalmente come fratello laico, aveva 22 anni e si era nel 1625.
    Addetto ai lavori pesanti e alla cura della mula del convento, Giuseppe ben presto espresse il desiderio di diventare sacerdote, sapeva appena leggere e scrivere, ma intraprese gli studi con volontà e difficoltà; quando dovette superare l’esame per il diaconato davanti al vescovo, accadde che a Giuseppe, il quale non era mai riuscito a spiegare il Vangelo dell’anno liturgico tranne un brano, il vescovo aprendo a caso il libro domandò il commento delle frase: “Benedetto il grembo che ti ha portato”, era proprio l’unico brano che egli era riuscito a spiegare.
    Quando trascorsi i tre anni di preparazione al sacerdozio, bisognava superare l’ultimo e più difficile esame, i postulanti conoscevano il programma alla perfezione, tranne Giuseppe; il vescovo ascoltò i primi che risposero brillantemente all’interrogazione e convinto che anche gli altri fossero altrettanto preparati, li ammise tutti in massa, era il 4 marzo 1628.
    Per la seconda volta fra Giuseppe, superò l’ostacolo degli esami in modo stupefacente e fu ordinato sacerdote per volere di Dio.
    Si definiva fratel Asino, per la sua mancanza di diplomazia nel trattare gli altri uomini, per la sua incapacità di svolgere un ragionamento coerente, per il non sapere maneggiare gli oggetti, ciò nonostante nel corso della sua vita ebbe tanti incontri con persone di elevata cultura, con le quali parlava e rispondeva con una teologia semplice ed efficace.
    Un professore dell’Università francescana di S. Bonaventura di Roma, disse: “L’ho sentito parlare così profondamente dei misteri di teologia, che non lo potrebbero fare i migliori teologi del mondo”.
    Ad un grande teologo francescano che chiedeva come conciliare gli studi con la semplicità del francescanesimo, rispose: “Quando ti metti a studiare o a scrivere ripeti: Signor, tu lo Spirito sei / et io la tromba. / Ma senza il fiato tuo / nulla rimbomba”.
    Possedeva il dono della scienza infusa, nonostante che si definisse “il frate più ignorante dell’Ordine Francescano”; amava i poveri, alzava la voce contro gli abusi dei potenti, ai compiti propri del sacerdote, univa i lavori manuali, aiutava il cuoco, faceva le pulizie del convento, coltivava l’orto e usciva umilmente per la questua.
    Amabile, sapeva essere sapiente nel dare consigli ed era molto ricercato dentro e fuori del suo Ordine. Dopo due anni di terribile aridità spirituale, che per tutti i mistici è la prova più difficile a superare, a frate Giuseppe si accentuarono i fenomeni delle estasi con levitazioni; dava improvvisamente un grido e si elevava da terra quando si pronunciavano i nomi di Gesù o di Maria, nel contemplare un quadro della Madonna, mentre pregava davanti al Tabernacolo; una volta volando andò a posarsi in ginocchio in cima ad un olivo, rimanendovi per una mezz’ora finché durò l’estasi.
    In effetti volava nell’aria come un uccello, fenomeni che ancora oggi gli studiosi cercano di capire se erano di natura parapsicologica o mistica; il fatto storico è che questi fenomeni sono avvenuti e in presenza di tanta gente stupefatta, che s. Giuseppe da Copertino non era un ciarlatano né un mago, ma semplicemente un uomo di Dio, il quale opera prodigi e si rivela ai più umili e semplici.
    Comunque frate Giuseppe costituì un problema per i suoi Superiori, che lo mandarono in vari conventi dell’Italia Centrale, per distogliere da lui l’attenzione del popolo, che sempre più numeroso accorreva a vedere il santo francescano.
    Di lui si interessò l’Inquisizione di Napoli, che lo convocò per capire di che si trattasse e nel monastero napoletano di S. Gregorio Armeno, davanti ai giudici, Giuseppe ebbe un’estasi; la Congregazione romana del Santo Uffizio alla presenza del papa Urbano VIII, lo assolse dall’accusa di abuso della credulità popolare e lo confinò in un luogo isolato, lontano da Copertino e sotto sorveglianza del tribunale.
    Fu sballottolato da un convento all’altro, a Roma, Assisi, Pietrarubbia, Fossombrone e infine ad Osimo (Ancona).
    Aveva familiarità con gli animali, con cui conversava e come si era identificato in fratel Asino, così identificava gli altri uomini nelle sembianze dell’animale che meglio simboleggiava le sue caratteristiche di vita.
    Nel 1656 papa Alessandro VII mise fine al suo peregrinare da un convento all’altro, destinandolo ad Osimo dove rimase per sette anni fino alla morte, continuando ad avere estasi, a sollevarsi da terra e ad operare prodigi miracolosi.
    Morì il 18 settembre 1663 a 60 anni; fu beatificato il 24 febbraio 1753 da papa Benedetto XIV e proclamato santo il 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII.
    Riposa nella chiesa a lui dedicata ad Osimo; festa liturgica il 18 settembre.

    Autore: Antonio Borrelli



    Immagine ispirata al quadro di Giuseppe Cades, Estasi di S. Giuseppe da Copertino, 1777, Basilica dei SS. Apostoli, Roma

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    Ludovico Mazzanti, S. Giuseppe da Copertino si eleva in volo alla vista della Basilica di Loreto, XVII sec., Santuario di S. Giuseppe da Copertino, Osimo

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    Predefinito Dal sito "Francesco di Assisi ed altri Servi di Dio"

    Biografia di San Giuseppe da Copertino

    Giuseppe Maria Desa, figlio del carradore Felice Desa e Franceschina Panaca, nacque il 17 giugno 1603 a Copertino, fra Brindisi e Otranto, in provincia di Lecce, nell'allora "Regno di Napoli". Durante l'infanzia, fu gravemente ammalato per lungo tempo, e fu miracolosamente guarito nel Santuario della Madonna delle Grazie di Galatone, vicino Lecce. All'età di otto anni, Giuseppe ebbe una visione mentre era a scuola e ciò si ripetè altre volte.
    Era anche molto lento e distratto, girovagava senza meta. Non riusciva raccontare una storia sino alla fine e spesso s'interrompeva nel mezzo di una frase, perchè non trovava le parole giuste.

    La sua permanenza fra i libri era inutile, ed egli tentò di imparare il mestiere del calzolaio, ma fallì. Aveva due zii nell'Ordine Francescano: a 17 anni voleva diventare anche lui francescano, ma fu respinto, a causa della sua ignoranza. Nel 1620, fu accettato come novizio presso i Cappuccini di Martina Franca, vicino Taranto, ma essi lo mandarono via dopo 8 mesi, perchè molto distratto. Sua madre riuscì finalmente a farlo accettare come servitore presso il Monastero dei Francescani Conventuali "La Grottella" di Copertino. Mentre si trovava lì, come "oblato" e come "fratello laico", diede prova di grandi virtù, umiltà, obbedienza ed amore della penitenza. Fu deciso che poteva diventare un membro effettivo dell'Ordine e studiare per diventare sacerdote. Giuseppe sapeva leggere, ma a stento, e cominciò per lui un altro duro periodo alle prese con gli studi.
    Il 20 marzo 1627, l'esaminatore gli chiese di spiegargli l'unica cosa che era riuscito ad imparare bene, e così Giuseppe divenne diacono! Un anno dopo, il 28 marzo, riuscì a diventare sacerdote: si presentò all'esame insieme a molti altri candidati. Dopo aver interrogato i primi, il Vescovo, essendo più che soddisfatto dai risultati, decise di promuovere tutti.
    Giuseppe si trovava fra i fortunati esaminandi a cui non era stata posta alcuna domanda, e divenne prete insieme agli altri: ecco perchè è considerato il Patrono degli studenti!

    Il "Santo Volante"

    Spesso andava in estasi e parlava con Dio.
    Rimaneva immobile come una statua, insensibile come la pietra, e nulla poteva smuoverlo. Qualunque cosa si riferisse al Signore lo poneva in uno stato di contemplazione. Ciò succedeva anche quando vedeva un dipinto religioso, oppure quando udiva il suono di una campana, musica sacra, il nome di Dio, della Vergine Maria o di un Santo. I suoi confratelli potevano pungerlo con gli spilli o bruciarlo con tizzoni ardenti nel tentativo di risvegliarlo, ma egli non si accorgeva di nulla.
    Frequentemente si sollevava dal suolo e rimaneva sospeso nell'aria: in chiesa, gli succedeva di volare verso l'altare o al di sopra di esso. Fu visto levitare dalla gente oltre settanta volte, mentre diceva la Messa o pregava.
    Papa Urbano VIII, essendo stato presente ad una sua estasi, affermò che, se Giuseppe fosse morto prima di lui, egli avrebbe testimoniato ciò che aveva visto. Poteva accadere che egli stesse pregando dinanzi ad una statua in giardino, ed i frati lo vedessero sollevarsi in aria, ancora inginocchiato.
    Una folla incessante gli chiedeva aiuto e consiglio ed egli convertì molta gente ad una vita veramente cristiana. Giuseppe compì molti miracoli, specialmente fra la povera gente.
    Toccava occhi ciechi, ed essi vedevano, prendeva in braccio un bambino malato e lo guariva, trascrisse la benedizione di S. Francesco e tale foglio, fatto circolare in paese, compì meraviglie. Quando i confratelli venivano a parlargli, egli leggeva immediatamente nei loro pensieri, e talvolta apprendeva molto più di quanto essi avrebbero voluto. Una mattina entrò in chiesa per dire la Messa ed annunciò che il Papa era morto durante la notte. Fece lo stesso annuncio altre due volte, per le morti di Urbano VIII ed Innocenzo X.

    L'Inquisizione

    Sfortunatamente, c'erano alcuni confratelli che non credevano in queste cose. Inoltre, lui non sembrava il tipo di persona a cui potessero accadere simili cose... anzi, era generalmente un problema per la comunità... Quindi, era un impostore!
    Fu denunciato al Vicario Generale, che prestò fede alle accuse, per cui fu convocato dagli inquisitori di Napoli, dove si recò nell'ottobre 1638, lasciando il convento "La Grottella" di Copertino e trasferendosi nel monastero francescano conventuale "San Lorenzo Maggiore". Ben presto si sparse la voce che un santo abitava lì ed una enorme folla di napoletani si accalcò intorno al convento. Giuseppe aveva timore di entrare nel Tribunale dell'Inquisizione, ma S.Antonio da Padova gli apparve e lo incoraggiò. Fu interrogato, ed andò anche in estasi, rimanendo sospeso nell'aria. Gli inquisitori non riuscirono ad accusarlo di nulla, quindi lo mandarono a Roma, affinchè il Ministro Generale dell'Ordine lo esaminasse ulteriormente. Il Ministro si rese conto dell'umiltà di Giuseppe, cominciò a dubitare della veridicità delle accuse e lo portò dinanzi al Papa.
    Alla fine, nulla fu provato contro Giuseppe, ma il Tribunale dell'Inquisizione decise di tenerlo comunque sotto stretta sorveglianza. Fu mandato da un convento isolato all'altro, e trattato con il massimo rigore. Egli visse dal 1639 al 1653 nel Sacro Convento di Assisi. Nel luglio 1653, fu improvvisamente trasferito nel solitario convento cappuccino di "Pietrarubbia", vicino Pesaro, e poi fu mandato in un altro "nascondiglio", il monastero di "Fossombrone", sempre vicino Pesaro.

    Gli ultimi anni e la morte

    Giuseppe non sapeva, nè chiese mai, ma sicuramente si chiedeva perchè fosse stato separato dai conventuali e mandato presso i cappuccini. Tuttavia, conservò il suo spirito gioioso e rassegnato, sottomettendosi fiduciosamente alla Divina Provvidenza. Fu tenuto sempre in stretta clausura e gli era perfino proibito scrivere o ricevere lettere. Trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita come se stesse in prigione, tenuto lontano dalle folle che insistevano nel cercarlo. Nonostante tutte queste accortezze, non riuscirono a tenerlo nascosto, ed i pellegrini scoprivano sempre i suoi nascondigli. Il 10 luglio 1657, sei anni prima della sua morte, Giuseppe fu restituito ai confratelli conventuali e mandato nel convento della cittadina di Osimo, in provincia di Ancona, nelle Marche, vicino ad una delle capitali mondiali della fede: Loreto, dove la casa natale di Cristo fu trasportata dagli angeli, secondo la tradizione religiosa. Giuseppe praticò la penitenza ed il digiuno a tal punto che osservò sette Quaresime di 40 giorni ogni anno, e durante la maggior parte di esse, non toccò cibo ad esclusione del mercoledì e della domenica. Celebrò la Messa per l'ultima volta il 15 agosto 1663 e morì alle ore 24,00 del 18 settembre. La gente accorse per vederlo, toccarlo e tagliare un pezzetto della sua santa tonaca. I confratelli dovettero nascondere il suo corpo, per proteggerlo dalla folla. Ora è nella cripta della Basilica a lui dedicata. Dichiarato venerabile nel 1735, fu beatificato da Benedetto XIV il 24 febbraio 1753, e canonizzato il 16 luglio 1767 da Clemente XIII. E' il santo patrono degli studenti, dei piloti e di chi viaggia in aereo. La sua ricorrenza è il 18 settembre.

    FONTE

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    Predefinito Dalle «Massime» di san Giuseppe da Copertino

    Cfr. G. Parisciani O.F.M. Conv., S. Giuseppe da Copertino alla luce dei nuovi documenti. Osimo 1963, passim

    Tre sono le cose proprie di un religioso: amare Dio con tutto il cuore, lodarlo con la bocca, e dare sempre buono esempio con le opere. Nessuna persona spirituale o religiosa può essere perfetta senza l’amore di Dio. Chi ha la carità, è ricco e non lo sa; chi non ha la carità, ha una grande infelicità.
    La grazia di Dio è come il sole, che splendendo su gli alberi e le loro foglie, li adorna ma non li contamina, li lascia nel loro essere, senza minimamente alterarli. Così la grazia di Dio, illuminando l’uomo, lo adorna di virtù, lo fa splendente di carità, lo rende bello e vago agli occhi di Dio; non altera la sua natura, ma la perfeziona. Dio vuole, dell’uomo, la volontà, poiché questi non possiede altro di proprio, pur avendola ricevuta quale prezioso dono dal suo Creatore. Difatti quando si esercita in opere di virtù, la grazia di operare e tutti gli altri: doni ch’egli possiede, vengono da Dio: l’uomo, di suo, non ha che la volontà; perciò Dio si compiace sommamente, quando egli, rinunciando alla propria volontà, si mette completamente nelle sue mani divine.
    Come un albero, dopo essere stato oggetto delle cure più assidue, in fine, carico di frutti, ne dà a chi ne vuole, così l’uomo che comincia a camminare nella via di Dio, deve sforzarsi con ogni diligenza di crescere e progredire nel servizio del Signore, spandendo rami di virtù e producendo fiori profumati di santità e frutti di opere sante, per modo che tutti gli uomini, dietro il suo esempio, apprendano anch’essi a camminare nella via di Dio.
    Il patire per amore di Dio è un favore singolarissino, che il Signore concede a coloro che ama.
    E’ maggior grazia il patire in questa vita che non il godere, poiché il Signore vuole essere ripagato con la stessa moneta che egli ha sborsato per noi: Gesù ha tanto sofferto per noi, e vuole che anche noi soffriamo con lui. O sei oro, o sei ferro: se sei oro, la sofferenza ti purifica se sei ferro la sofferenza ti toglie la ruggine.
    I servi di Dio devono fare come gli uccelli, i quali scendono a terra per prendere un pò di cibo e poi subito si risollevano in aria. Similmente i servi di Dio possono fermarsi sulla terra quanto comporta la necessità del vivere umano, ma poi subito, con la mente, devono sollevarsi al cielo per lodare e benedire il Signore. Gli uccelli, se scorgono del fango sul terreno, non si calano sopra, oppure lo fanno con molta cautela per non imbrattarsi. Così dobbiamo fare noi: mai abbassarci alle cose che macchiano l’anima, ma sollevarci in alto e con le nostre opere lodare il Signore, sommo Bene.

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    Predefinito

    da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste , trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1092-1093

    18 SETTEMBRE

    SAN GIUSEPPE DA COPERTINO

    La santità non è nei fenomeni mistici.


    "Vi è un'opinione troppo diffusa e accettata, forse a causa dei trattati di mistica moderni e del modo di scrivere la vita dei santi. Ci si è abituati a vedere la santità in manifestazioni straordinarie, che talvolta la caratterizzano o nei modi dei quali Dio si vale per prepararla, accrescerla, manifestarla, quando gli piace, modi che non sono la santità, né la sua essenziale manifestazione.

    Anche quando la causa di tali manifestazioni è divina, non bisogna darci soverchia importanza, dato che non potrebbero rivelare la profondità e il valore reale dell'azione divina, che, generalmente, tanto più è intensa quanto meno si tradisce all'esterno.

    Quando si leggono le vite dei Padri e dei grandi contemplativi dell'antichità, si resta colpiti dal silenzio quasi completo, che essi mantengono circa gli effetti esteriori della contemplazione soprannaturale... Per essi l'unione con Dio, la vera santità consiste nella pratica eroica delle virtù teologali e cardinali...

    I Santi sono uomini come gli altri, che hanno però preso sul serio le condizioni della loro creazione e il fine che Dio si è proposto nel crearli" (M.me Cecile Bruyère, La vie spirituelle et l'oraison, Mame, 1950, p. 42, 338).

    Scopo dei privilegi.

    Tuttavia accade che Dio conceda, a qualcuno dei suoi servi, privilegi che non sono per necessità segno della santità, ma piuttosto ricompensa e che soprattutto sono utili nella Chiesa per la salvezza, la conversione, la santificazione delle anime, che con stupore li notano. Dio li concede quando crede e, quando crede, anche li toglie e il segno della sua azione divina sta piuttosto nell'umiltà, che sempre sa conservare colui che è oggetto della divina liberalità.

    Privilegi di san Giuseppe.

    Due privilegi sono stati concessi a san Giuseppe da Copertino e lo hanno reso celebre, ma gli hanno procurato ancor più sofferenze e umiliazioni: il dono di essere alzato da terra come per un'esplosione di amore di Dio, e quello di leggere nelle anime, come se fossero libri aperti davanti ai suoi occhi. Il povero e ignorante religioso aveva penato per farsi ammettere nell'Ordine dei Frati Minori, perché sembrava buono a nulla ed era stato ordinato sacerdote solo perché il vescovo, che aveva fiducia in lui, non lo aveva sottoposto ad esame. Ma Dio voleva manifestare in questo ignorante, il quale aveva tanto mortificato la sua carne e subito tante umiliazioni e obbrobri, i privilegi che le nostre anime e i nostri corpi avranno dopo la risurrezione. I corpi risuscitati possono spostarsi da un luogo all'altro con grande rapidità, elevarsi verso Dio, senza peso o ostacoli e le anime potranno leggere nelle altre anime ciò che la grazia del Signore vi avrà deposto, dal giorno del battesimo fino alla glorificazione.

    VITA. - Giuseppe nacque il 17 giugno 1603 a Copertino, nel regno di Napoli. Era di famiglia tanto povera che la madre lo mise al mondo in una stalla, ma gli diede una educazione piissima e severa. Già nell'infanzia la sua preghiera era così fervorosa e costante che parve non capire altro e non occuparsi d'altro che di Dio. Entrò a 17 anni nell'Ordine dei Minori Conventuali, ma fu necessario dimetterlo, perché, se erano notati i suoi rapimenti come le sue virtù, non erano meno notate le sue incapacità a qualsiasi lavoro e inoltre era sempre fuori della regola. Però i Conventuali ci ripensarono ed egli entrò nel noviziato e fu anche ordinato sacerdote, nonostante l'ignoranza della scolastica. I superiori lo designarono alla predicazione e tosto il suo linguaggio, semplice e infiammato, convertì molti peccatori. Le sue estasi, la sua vita tra cielo e terra, il dono di leggere nelle anime, gli valsero grande celebrità e molte persecuzioni e fu denunciato alla Inquisizione. L'Inquisizione riconobbe la sua virtù, ma ordinò che, per prudenza, fosse tenuto fisso in un convento dell'Ordine. Felice di tale decisione, passò gli ultimi anni della sua vita nella preghiera e nel silenzio. Morì a Osimo, presso Loreto, nel 1663; fu beatificato nel 1753 da Benedetto XIV e canonizzato da Clemente XIII nel 1767.

    Preghiera.

    Lodiamo Dio per i doni prodigiosi che ti ha fatto, o Giuseppe, ma le tue virtù sono doni più grandi. Senza di queste, quelli sarebbero stati sospetti per la Chiesa tanto più circospetta perché da tanto tempo il mondo applaudiva e ammirava. Obbedienza, pazienza, carità, crescendo in mezzo alle prove, posero in te il segno dell'autenticità divina incontestabile ai fatti straordinari, che il nemico può scimmiescamente contraffare. Satana può portare Simone in alto, ma non sa fare umile un uomo. Degno figlio del serafico d'Assisi, fa' che noi possiamo, sulle tue orme volare non nell'aria, ma nelle regioni della luce vera, lontani dalla terra e dalle passioni, la nostra vita possa essere, come la tua, nascosta in Dio (Colletta e Antifona propria della festa; Col 3,3).

    Urna del Corpo del Santo a Osimo

  6. #6
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    St. Joseph of Cupertino

    Mystic, born 17 June, 1603; died at Osimo 18 September, 1663; feast, 18 September. Joseph received his surname from Cupertino, a small village in the Diocese of Nardò, lying between Brindisi and Otranto in the Kingdom of Naples. His father Felice Desa, a poor carpenter, died before Joseph was born and left some debts, in consequence of which the creditors drove the mother, Francesca Panara, from her home, and she was obliged to give birth to her child in a stable. In his eighth year Joseph had an ecstatic vision while at school and this was renewed several times; so that the children, seeing him gape and stare on such occasions, lost to all things about him, gave him the sobriquet "Bocca Aperta". At the same time he had a hot and irascible temper which his strict mother strove hard to overcome. He was apprenticed to a shoemaker, but at the age of seventeen he tried to be admitted to the Friars Minor Conventuals and was refused on account of his ignorance. He then applied to the Capuchins at Martino near Tarento, where he was accepted as a lay-brother in 1620, but his continual ecstasies unfitted him for work and he was dismissed. His mother and his uncles abused him as a good-for-nothing, but Joseph did not lose hope. By his continued prayers and tears he succeeded in obtaining permission to work in the stable as lay help or oblate at the Franciscan convent of La Grotella near Cupertino. He now gave evidence of great virtues, humility, obedience, and love of penance to such an extent that he was admitted to the clerical state in 1625, and three years later, on 28 March he was raised to the priesthood. Joseph was but little versed in human knowledge, for his biographers relate that he was able to read but poorly, yet infused by knowledge and supernatural light he not only surpassed all ordinary men in the learning of the schools but could solve the most intricate questions.

    His life was now one long succession of visions and other heavenly favours. Everything that in any way had reference to God or holy things would bring on an ecstatic state: the sound of a bell or of church music, the mention of the name of God or of the Blessed Virgin or of a saint, any event in the life of Christ, the sacred Passion, a holy picture, the thought of the glory in heaven, all would put Joseph into contemplation. Neither dragging him about, buffeting, piercing with needles, nor even burning his flesh with candles would have any effect on him -- only the voice of his superior would make him obey. These conditions would occur at any time or place, especially at Mass or during Divine Service. Frequently he would be raised from his feet and remain suspended in the air. Besides he would at times hear heavenly music. Since such occurrences in public caused much admiration and also disturbance in a community, Joseph for thirty-five years was not allowed to attend choir, go to the common refectory, walk in procession or say Mass in church, but was ordered to remain in his room, where a private chapel was prepared for him. Evil-minded and envious men even brought him before the Inquisition, and he was sent from one lonely house of the Capuchins or Franciscans to another, but Joseph retained his resigned and joyous spirit, submitting confidently to Divine Providence. He practised mortification and fasting to such a degree, that he kept seven Lents of forty days each year, and during many of them tasted no food except on Thursdays and Sundays. His body is in the church at Osimo. He was beatified by Benedict XIV in 1753, and canonized 16 July 1767 by Clement XIII; Clement XIV extended his office to the entire Church. His life was written by Robert Nuti (Palermo, 1678). Angelo Pastrovicchi wrote another in 1773, and this is used by the Bollandist "Acta SS.", V, Sept., 992.

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VIII, New York, 1910

  7. #7
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    GIOVANNI PAOLO II

    MESSAGGIO AL MINISTRO GENERALE DELL’ORDINE FRANCESCANO
    DEI FRATI MINORI CONVENTUALI


    Al Reverendissimo Padre
    JOACHIM GIERMEK
    Ministro Generale
    dell'Ordine Francescano Frati Minori Conventuali

    1. Ho appreso con gioia che codesto Ordine intende commemorare il 400° anniversario della nascita di san Giuseppe da Copertino, avvenuta il 17 giugno 1603, con numerose iniziative religiose, pastorali e culturali, orientate tutte alla riscoperta della profondità e dell'attualità del messaggio di questo fedele discepolo del Poverello d'Assisi.

    In tale significativa circostanza, sono lieto di rivolgere a Lei il mio più cordiale saluto, estendendolo volentieri alla Comunità francescana di Osimo e ai Frati Minori Conventuali sparsi nel mondo. Saluto inoltre i devoti e i pellegrini, che prenderanno parte alle solenni celebrazioni giubilari.

    2. Quest’importante ricorrenza costituisce una singolare occasione di grazia offerta in primo luogo ai Frati Minori Conventuali. Dal suo esempio essi devono sentirsi spinti ad approfondire la loro vocazione religiosa per rispondere con rinnovato impegno, come egli fece ai suoi tempi, alle grandi sfide che la società pone ai seguaci di san Francesco d'Assisi, all’alba del terzo millennio.

    Al tempo stesso, questo Anno Centenario costituisce una provvidenziale opportunità per tutta la comunità cristiana, che rende grazie al Signore per gli abbondanti frutti di santità e di saggezza umana elargiti a questo umile e docile servitore di Cristo.

    San Giuseppe da Copertino continua a risplendere ai nostri giorni come faro che illumina il cammino quotidiano di quanti ricorrono alla sua celeste intercessione. Conosciuto popolarmente come il "Santo dei voli" a motivo delle sue frequenti estasi e della straordinarietà delle esperienze mistiche, egli invita i fedeli ad assecondare le attese più intime del cuore; li stimola a ricercare il senso profondo dell'esistenza e, in ultima analisi, li spinge ad incontrare personalmente Iddio abbandonandosi pienamente alla sua volontà.

    3. Patrono degli studenti, san Giuseppe da Copertino incoraggia il mondo della cultura, in particolare della scuola, a fondare il sapere umano sulla sapienza di Dio. Ed è proprio grazie a questa sua interiore docilità ai suggerimenti della sapienza divina che questo singolare Santo può proporsi come guida spirituale di ogni categoria di fedeli. Ai sacerdoti e ai consacrati, ai giovani e agli adulti, ai bambini e agli anziani, a chiunque voglia essere discepolo di Cristo, egli continua ad indicare le priorità che questa scelta radicale comporta. Il riconoscimento del primato di Dio nella nostra esistenza, il valore della preghiera e della contemplazione, l'appassionata adesione al Vangelo "sine glossa", senza compromessi: ecco alcune condizioni indispensabili per essere testimoni credibili di Gesù ricercando con amore il suo Volto santo. Così fece questo mistico straordinario, esemplare seguace del Poverello d'Assisi. Arse di tenero amore per il Signore e visse al servizio del suo Regno. Dal cielo ora non cessa di proteggere e sostenere quanti, seguendo le sue orme, intendono convertirsi a Dio ed incamminarsi con decisione sulla via della santità.

    4. Nella spiritualità che lo contraddistingue emergono i tratti tipici della genuina tradizione del francescanesimo. Innamorato del mistero dell'Incarnazione, Giuseppe da Copertino contemplava estasiato il Figlio di Dio nato a Betlemme, chiamandolo affettuosamente e confidenzialmente "il Bambinello" . Esprimeva quasi esteriormente la dolcezza di questo mistero abbracciando una immagine del Bambino Gesù in cera, cantando e danzando per la tenerezza divina riversata abbondantemente sull’umanità nella grotta del Natale.

    Commovente era poi la sua partecipazione al mistero della Passione di Cristo. Il Crocifisso gli era sempre presente nella mente e nel cuore, tra le sofferenze di una vita incompresa e spesso ostacolata. Le lacrime gli scendevano copiose al pensiero della morte di Gesù sulla Croce, soprattutto perché, come amava ripetere, sono stati i peccati a trafiggere il corpo immacolato del Redentore col martello dell'ingratitudine, dell’egoismo e dell’indifferenza.

    5. Altro aspetto importante della sua spiritualità fu l’amore all’Eucaristia. La celebrazione della Santa Messa, come pure le lunghe ore trascorse in adorazione dinanzi al tabernacolo, costituivano il cuore della sua vita di orazione e di contemplazione. Considerava il Sacramento dell'Altare "cibo degli angeli", mistero della fede lasciato da Gesù alla sua Chiesa, Sacramento dove il Figlio di Dio fatto uomo non appare ai fedeli faccia a faccia, ma cuore a cuore. Con questo sommo Mistero - affermava - Dio ci ha donato tutti i tesori della divina onnipotenza e ci ha fatto palese l'eccesso della sua divina misericordia. Dal quotidiano contatto con Gesù Eucaristico egli traeva la serenità e la pace, che poi trasmetteva a quanti incontrava, ricordando che in questo mondo siamo tutti pellegrini e forestieri in cammino verso l’eternità.

    6. San Giuseppe da Copertino si distinse per la semplicità e l'obbedienza. Distaccato da tutto, visse continuamente in cammino, spostandosi da un convento all'altro come i Superiori stabilivano, abbandonandosi in ogni circostanza nelle mani di Dio.

    Autentico francescano, secondo lo spirito del Poverello d'Assisi, nutrì un profondo attaccamento al Successore di Pietro ed ebbe un senso vivo della Chiesa, che amò in modo incondizionato. Della Chiesa, percepita nella sua intima realtà di Corpo mistico, si sentiva membro vivo e attivo. Aderì totalmente alla volontà dei Papi del suo tempo, lasciandosi docilmente accompagnare nei luoghi dove l'obbedienza lo conduceva, accettando anche le umiliazioni e i dubbi che la originalità dei suoi carismi non mancò di suscitare. Non poteva certo negare la straordinarietà dei doni di cui era fatto oggetto ma, ben lungi da qualsiasi atteggiamento di orgoglio o di vanto, andava alimentando sentimenti di umiltà e di verità, attribuendo tutto il merito del bene che fioriva tra le sue mani alla gratuita azione di Dio.

    7. E che dire della sua devozione filiale e commovente per la Vergine Santa? Fin dalla giovinezza apprese a sostare a lungo ai piedi della Madonna delle Grazie, nel Santuario di Galatone. In seguito si soffermava a contemplare l’immagine a lui tanto cara della Vergine della Grottella, che lo accompagnò durante tutta la vita. Infine, dal convento di Osimo, dove trascorse gli ultimi anni, volgeva spesso lo sguardo verso la Basilica di Loreto, secolare centro di devozione mariana.

    Per lui Maria fu una vera madre con cui intratteneva rapporti filiali di semplice e sincera confidenza. Ancor oggi egli ripete ai devoti che a lui ricorrono: "Questa è la nostra Protettrice, Signora, Patrona, Madre, Sposa, Adiutrice".

    8. In san Giuseppe da Copertino, molto caro al popolo, risplende la sapienza dei piccoli e lo spirito delle Beatitudini evangeliche. Attraverso l’intera sua esistenza egli indica la strada che conduce all'autentica gioia, pur in mezzo a fatiche e tribolazioni: una gioia che viene dall'alto e nasce dall’amore per Dio e per i fratelli, frutto di lunga e impegnativa ricerca del vero bene e, proprio per questo, contagiosa verso quanti ne vengono a contatto.

    Se, a causa del suo intenso e ardito impegno di ascesi cristiana, questo Santo potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale come una persona rude, severa e rigorosa, in realtà egli è l'uomo della gioia, affabile e cordiale con tutti. Anzi, i biografi riferiscono che egli riusciva a trasmettere la sua santa e francescana letizia mediante il modo di pregare arricchito da attraenti composizioni musicali e da versi popolari che coinvolgevano i suoi uditori, ravvivandone la devozione.

    9. Tutte queste caratteristiche rendono san Giuseppe da Copertino spiritualmente vicino agli uomini del nostro tempo. Auspico pertanto che la ricorrenza anniversaria sia un'occasione opportuna e gradita per una riscoperta dell'autentica spiritualità del "Santo dei voli". Alla sua scuola, possano tutti imparare a percorrere la strada che conduce ad una santità "feriale", contrassegnata dal compimento fedele del proprio quotidiano dovere.

    Per i Frati Minori della Famiglia religiosa conventuale egli sia un luminoso modello di sequela evangelica, secondo il carisma specifico di Francesco e Chiara d'Assisi. Ai fedeli, che prenderanno parte ai vari momenti commemorativi, ricordi che ogni credente deve "prendere il largo", confidando nell'aiuto del Signore per rispondere appieno alla propria chiamata alla santità.

    In una parola, l'eroica testimonianza evangelica di questo affascinante uomo di Dio, riconosciuta dalla Chiesa e riproposta agli uomini e alle donne del nostro tempo, costituisce per ciascuno un forte richiamo a vivere con passione ed entusiasmo la propria fede, nelle molteplici e complesse situazioni dell'epoca contemporanea.

    Con tali sentimenti ed auspici, volentieri imparto a Lei, Reverendissimo Ministro Generale, ai suoi Confratelli sparsi nel mondo, a quanti accorrono ogni giorno al santuario di Osimo una speciale Benedizione Apostolica, che con affetto estendo a tutti coloro che si ispirano agli esempi e agli insegnamenti del Santo da Copertino.

    Dal Vaticano, 22 Febbraio 2003

    IOANNES PAULUS II

  8. #8
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    18 de septiembre

    San José de Copertino (1603-1663)

    por José María Feraud

    Por aquellas calendas agitábanse los pueblos con las convulsiones propias del nacimiento de una nueva época: la Edad Moderna.

    El antes glorioso Imperio otomano estaba en decadencia; Rusia se regía por zares, sedientos de grandezas; en Alemania se incubaban guerras intestinas; otro tanto ocurría en Inglaterra en los inicios de su hegemonía marítima; en Francia el «Rey Sol» deslumbraba con las fastuosidades de su Versalles; mientras que íbase declinando el poderío español.

    En estos momentos históricos, siendo papa Clemente VIII y reinando en España y Nápoles Felipe III, plugo a Dios que viniera al mundo el niño José Desa, como para confundir con su ignorancia a los petulantes de aquel siglo.

    Ni por razón de la patria, ni del hogar, puede decirse que resplandeciera este gran santo desde su infancia.

    Vino al mundo en un establo de la pequeña aldea napolitana de Cupertino. Su madre, Francisca Panara, hubo de refugiarse en aquel escondrijo, para huir de los ejecutores de la sentencia de embargo, dictada contra el cabeza de familia, Félix Desa, por no poder pagar a sus acreedores.

    Eran gente honrada; pero los escasos ingresos de un pobre carpintero de aldea no permitían vivir con deshago económico y, como los agentes judiciales no suelen tener entrañas de misericordia ...

    En compensación de estas penurias económicas, abundaba aquella familia de caudales de fe tradicional y buenas costumbres, por lo que el pequeño fue educado en el santo temor de Dios y la mayor pureza de vida. Para ponerle bajo la protección de la Santísima Virgen, le añadieron en la confirmación el sobrenombre de María, y así José María desde su infancia pudo contar con dos madres: la del cielo y la de la tierra.

    Era ésta una ruda aldeana de carácter fuerte, que no le consentía el menor desliz o travesura, castigándole duramente, hasta el extremo de dejarle alguna noche fuera de casa, teniendo que refugiarse, para dormir, en el atrio de la iglesia parroquial, según cuentan algunos autores.

    En lo que todos sus hagiógrafos coinciden es en afirmar que era de muy cortos alcances intelectuales, por lo que no pudo lograr casi ningún adelanto en la escuela rural, donde le matricularon sus padres.

    En vista de que el estudiar era para él tiempo perdido, le sacaron de la escuela sin saber leer y, para que ayudase a aliviar las angustias domésticas, le pusieron sus padres como aprendiz en la zapatería del pueblo.

    No era muy complicado este oficio de artesanía; mas la ineptitud de José para los estudios corrió pareja con la que mostraba en este aprendizaje, durante el que más de una vez tendría que experimentar las caricias del tirapié, para que se espabilase ...

    Desechado como inútil por el maestro zapatero, hubo de quedarse en su propia casa, cuyos problemas agrandó más, en vez de ayudar a resolverlos, porque le sobrevino entonces una larga y penosa enfermedad. Su cuerpo se le cubrió de postemas repugnantes y dolorosas, que le ocasionaban muchos sufrimientos, aunque supo soportarlos con ejemplar paciencia, hasta que un buen día la Santísima Virgen le devolvió la salud.

    Una vez repuesto corporalmente, como para nada servía, se dedicó a una vida de oración y caridad, prestando a todos, con mejor gana que acierto, sus pobres servicios.

    Para lo único que tenía gran habilidad era para orar y mortificarse. Se pasaba largas horas de hinojos en la iglesia, y ni se preocupaba de comer, siendo frugalísimo su alimento, cuando le obligaban a tomarlo.

    Así fueron pasando los días de su adolescencia y, al frisar en los diecisiete años, sintióse llamado a la vida religiosa en la Orden de los franciscanos conventuales.

    Para solicitar el ingreso en ella, acudió a un convento que le era conocido, por tener allí dos tíos suyos frailes. Gracias a la eficaz recomendación de éstos, fue admitido como lego, ya que, por su ineptitud para las letras, no podía aspirar al sacerdocio. Viéndose en la casa de Dios, se acrecentaron sus fervores, de tal modo que sólo se preocupaba de orar y hacer penitencia, pero descuidando y realizando mal los encargos que se le hacían. Todos reconocieron que era muy santo, pero inútil para la vida de comunidad, pues no servía ni para pelar patatas o fregar platos, por lo que hubieron de despedirle del convento, con gran pena de todos.

    Fracasado este primer intento, pensó en pedir el hábito en otra Orden más austera y, en 1620, llamó a las puertas del convento que tenían los capuchinos en Martina.

    El ambiente de pobreza y recogimiento de aquella casa encantó a José. Los religiosos también quedaron gratamente impresionados al ver su profunda humildad y oírle hablar de las cosas divinas con tanto fervor, por lo que, ad experimentum, le recibieron entre los hermanos legos. Pronto llegaron hasta allí rumores de que se trataba de un haragán histérico, inservible para todo. Las sencillas pruebas a que le sometieron confirmaron estas apreciaciones: la santidad de aquel postulante no parecía muy sólida, ya que lo que le sobraba de oración, le faltaba de obediencia, pues se olvidaba de los encargos o los hacía al revés. A su capacidad deficiente en lo intelectual, se le añadieron raras enfermedades en los ojos y en las rodillas, por lo que hubieron de despedirle con pena por inservible.

    Así plugo al Señor acrisolar a esta alma predilecta suya, llevándole por la penosa senda de las humillaciones y fracasos. Para colmo de desdichas, cuando retornó a su hogar, vio que había muerto su padre, y los acreedores de éste quisieron poner en la cárcel al hijo, para saldar las cuentas familiares; pero ¿de dónde sacaría dinero, si para nada servía?...

    Como José supo que uno de sus tíos franciscanos estaba predicando en Vetrara, decidió encaminarse allá, para impetrar orientación y auxilio.

    El buen franciscano, en vista del doble fracaso de su sobrino, le recibió con mal talante, reprendiéndole por su inconstancia e inutilidades; pero compadecido y edificado al ver su humildad, se animó a recomendarle a sus hermanos de la pequeña residencia de Santa María de Grotella, donde fue admitido, en 1621, como mero oblato, para ayudar en los servicios más ínfimos.

    Aquellos padres conventuales, religiosos de mucho espíritu, supieron apreciar el oro de santidad, encubierto bajo la escoria de las deficiencias del joven oblato, y le admitieron como novicio en 1625, ciñéndole el glorioso cordón franciscano. ¡Todo se lo debía a su Madre del cielo!

    El humilde fray José, al verse tonsurado y recibido entre los aspirantes al sacerdocio, henchióse de santo júbilo; pero no cesaron por eso sus amarguras, pues el nuevo género de vida le obligaba a dedicar largas horas al estudio y sus cortas facultades mentales no daban para tanto. Las letras no entraban en su cabeza y a duras penas logró aprender a traducir el sencillo lenguaje evangélico. Cada examen era para él un martirio y un fracaso...

    Mas sus progresos en la virtud eran extraordinarios y compensaban este retardo mental; en vista de ello, sus superiores decidieron en 1626 concederle la profesión, al terminar su noviciado, y hasta le dispensaron de los exámenes, para que el señor obispo de Nardó, don Jerónimo de Franchis, le concediera las órdenes menores y el subdiaconado, que recibió el 30 de enero y el 27 de febrero respectivamente.

    Al aspirar al diaconado, quiso el señor obispo examinarle personalmente, lo que puso a fray José en un trance peligroso. Temblando fue hacia la sede episcopal, después de haberse encomendado con todo fervor a su querida Virgen de la Grotella. Como de costumbre, presentó el prelado al ordenando los evangelios, para que picase, leyera e hiciese la exégesis del que le correspondiese. Abrió el libro, al azar, por el texto mariano: Beatus venter, qui te portavit... («¡Dichoso el seno que te llevó...!» Lc 11,17), y al punto lo tradujo con tal maestría y lo explanó con tan devota elocuencia, que a todos dejó prendados de su saber, por lo que pudo recibir el diaconado el 30 de marzo del mismo año.

    Salvado así este difícil trance, prosiguió fray José sus estudios con igual tesón e idéntico resultado fatal en el aprovechamiento, hasta que, para aspirar al presbiterado, hubo de presentarse ante el tribunal que presidía el obispo de Castro, don Juan Bautista Detti. Presentóse con otros compañeros de claustro que tenían grandes dotes de talento, por lo que el contraste habría de resultarle muy bochornoso; pero la Santísima Virgen se valió de esto mismo para sacar con bien a su devoto; los primeros examinandos probaron su competencia con tal brillantez, que aquel prelado, aunque tenía fama de riguroso, creyendo que todos los condiscípulos estarían a la misma altura, suspendió la sesión, cuando le iba a tocar a fray José, y dio por aprobados a los restantes... Por tan extraordinario favor pudo recibir el 18 de marzo de 1628 los poderes sacerdotales.

    Como reconocía que su ordenación era un singular favor de la Santísima Virgen de la Grotella, en este reducido santuario quiso celebrar su primera misa, para dedicar las primicias del sacerdocio a su celestial Madre.

    Desde entonces se repitieron casi diariamente los éxtasis y comenzó a prodigar favores milagrosos a cuantos necesitados de auxilio recurrían al convento. Una vida tan extraordinaria y tales hechos taumatúrgicos originaron envidias, habladurías y rumores calumniosos, que llegaron hasta las oficinas curiales, por lo que cierto vicario se creyó obligado a delatar el caso de fray José al Santo Tribunal de la Inquisición, que funcionaba en Nápoles. Tremenda y afrentosa era esta prueba, ya que este Tribunal se cuidaba de extirpar la plaga de herejes y hechiceros. Los inquisidores tomaron cartas en asunto de tanta resonancia en la provincia de Bari y citaron a juicio al acusado.

    Harto prolijo y a fondo debió ser el examen, ya que duró dos semanas y le dedicaron tres largas sesiones, indagando su género de vida y arguyéndole sobre las cuestiones teológicas más debatidas entonces, a todo lo cual respondió con una seguridad y acierto asombrosos. Más aún, pues allí mismo verificó un milagro, ya que le mandaron leer en un breviario las lecciones históricas de Santa Catalina de Sena, que contenían un error histórico y, no viendo lo que tenía ante sus ojos, hizo por tres veces una lectura correcta y exacta. Nada encontraron aquellos doctos y ecuánimes jueces que fuera censurable o erróneo en fray José, por lo que proclamaron su inocencia y sabiduría, pues era evidente que tenía ciencia infusa.

    Esta gracia gratis data se comprueba mejor en los atestados hechos para el proceso de su canonización. Pero aún hay otro testimonio de más valía, dado por la boca de un pequeñuelo que apenas sabía hablar. Cuando se le presentó su madre al Santo, acaricióle éste, rogándole que repitiera: «Fray José es un pecador, que merece el infierno», y con voz clara el chiquitín dijo: «Fray José es un gran santo, que merece el cielo»...

    Como la fama de tales portentos se dilataba cada vez más, de todas partes acudían al convento donde residía el frailecito de Cupertino, por lo que el padre ministro general de los conventuales, fray Juan B. Berardiceldo, decidió llamarle a su residencia de Roma. Recibióle con cautela y dio órdenes para que se le aposentara en la más apartada celda de aquel convento.

    Todo fue en vano. Los éxtasis y los milagros se multiplicaron, y las más altas dignidades eclesiásticas se preocupaban de ver al taumaturgo. Hasta el mismo Papa manifestó deseos de conocerle, y, conducido por el padre ministro general, fue recibido en audiencia particular por el papa Urbano VIII; pero hete aquí que, nada más ver al Vicario de Cristo, se quedó extático fray José y, en suave levitación, permaneció suspenso en el aire por largo rato, hasta que su superior le mandó que descendiera. Al terminar la audiencia, el Papa dijo al general: «Si este fraile muriese durante nuestro pontificado, Nos mismo daríamos testimonio de lo sucedido hoy».

    Tan extraordinario fenómeno místico llegó a ser cosa corriente en la vida de fray José. Parecía como que su mortificada carne estaba ya exenta de las leyes ordinarias de la gravitación y, en cuanto una idea u objeto le recordaba algo divino, sus sentidos se enajenaban y el cuerpo ascendía por los aires, a veces hasta unirse con la imagen, que le atraía como suave imán, pasando por encima de las velas encendidas, sin que sus llamas quemaran el pobre sayal.

    En 1639 fue destinado al observante convento de Asís, donde le sobrevinieron graves crisis de aridez espiritual y lúbricas tentaciones, a lo que se juntaron otras penosas enfermedades y humillaciones; pero, cuando su general le volvió a trasladar a Roma en 1644, se le acabaron todas estas pruebas y comenzó otra serie de compensaciones gloriosas, que continuaron después, al retornar a vivir junto al sepulcro de su padre; allí prodigó los milagros, compuso discordias, purificó las costumbres y evitó una sangrienta revuelta, por todo lo cual llegó a merecer que las autoridades y el pueblo le proclamasen hijo adoptivo de aquella histórica ciudad, perla de la Umbría.

    Esta serie de éxitos ruidosos despertó otra de nuevas contradicciones y hasta de diabólicas venganzas.

    En cierta ocasión, caminando a caballo de uno a otro convento, al pasar por un estrecho puente, la furia infernal espantó a la noble bestia y el jinete cayó al río; pero lo maravilloso fue que fray José salió del agua tranquilamente con el hábito seco. Contaba después este lance con su ordinaria sencillez, diciendo que fue el diablo quien le dio un empujón, exclamando: «¡Muere aquí, fraile hipócrita, abandonado de Dios!»; pero que él le había respondido: «En todo momento quiero esperar en el Señor, que siempre me ayuda, y no habrá quien me haga desconfiar de Él...»

    También debió ser otra diabólica trama la nueva persecución, suscitada en Roma contra el Santo de Cupertino. Cuando subió al solio pontificio Inocencio X, decidió acabar de una vez con todas las disputas que había en torno a los hechos portentosos de fray José y, para esclarecer la verdad y evitar posibles amaños, mandó que se le recluyera en el escondido convento capuchino de Petra Rubra, para librar así a los conventuales de calumniosas maledicencias. Todo fue en vano; pues el ambiente aislador se trocó en nueva exaltación, y aquella recóndita casa convirtióse en centro de peregrinación y manantial de prodigios, creciendo más el frenesí de los fieles. Esto motivó un nuevo traslado a Fesonbrone, pero continuaron allí los éxitos del taumaturgo igual que antes.

    Con el cambio de Pontífice, pudieron lograr los conventuales que se permitiera al discutido fraile retornar a vivir entre sus hermanos de la primitiva Orden, y sus superiores le señalaron como residencia claustral a Osimo, en la región de Las Marcas.

    Desde que llegó a la que iba a ser su última morada, hasta que enfermó en ella el 10 de agosto de 1663, puede decirse que pasó el ocaso de su vida en un continuado y dulcísimo rapto. Hubieron de separarle de la comunidad y señalarle un oratorio interior, para que celebrase con sus extraordinarios fervores el santo sacrificio, que solía durar casi una hora.

    El don de profecía, que había mostrado antes en favor de otros, sirvióle también entonces para conocer la proximidad de su muerte.

    Preparóse para el trance final con singular fervor, y pidió él mismo que le administrasen los últimos sacramentos.

    Aunque yacía consumido por la fiebre en su pobrísimo lecho, al sentir el toque de la campanilla que anunciaba la proximidad del viático, como impulsado por el resorte de su amor, dio su postrer vuelo para salir, de hinojos sobre el aire, al encuentro de Jesús, exclamando: «¡Oh, véase libre cuanto antes mi alma de la prisión de este cuerpo, para unirse con Vos!»

    Después entró en suave agonía, fijos los ojos siempre en lo alto y repitiendo el Cupio dissolvi... [cf. Flp 1,23: “Deseo partir y estar con Cristo...”] ¿Qué contemplaría entonces quien durante su vida disfrutó de tan dulcísimos raptos?... ¡Misterios de la vida interior! Sólo sabemos que sus últimas palabras fueron: Monstra te esse Matrem..., del himno a la Virgen Ave, maris stella. Así entregó su espíritu a Dios este fino amante de María el 18 de septiembre de 1663. Aquel perfume milagroso y celestial, que tantas veces había descubierto su presencia en los recovecos de los conventos, se difundió por todas partes y duró en su celda más de trece años.

    Fonte: José María Feraud García, San José de Cupertino, en Año Cristiano, Tomo III, Madrid, Ed. Católica (BAC 185), 1959, pp. 716-723

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    GIOVANNI PAOLO II

    DISCORSO AI PELLEGRINI CONVENUTI A ROMA
    IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO
    DELLA NASCITA DI SAN GIUSEPPE DA COPERTINO


    Sabato, 25 ottobre 2003

    Carissimi Fratelli e Sorelle!

    1. Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto a tutti voi, convenuti a Roma in occasione delle solenni celebrazioni per il quarto centenario della nascita di san Giuseppe da Copertino. Saluto innanzitutto i cari Frati Minori Conventuali, accompagnati dal loro Ministro Generale, P. Joachim Giermek, che ringrazio per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti i presenti. Uno speciale pensiero va al Cardinale Sergio Sebastiani e ai Pastori delle Comunità ecclesiali che prendono parte all’odierno pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli. Saluto infine voi, carissimi pellegrini giunti dalla Puglia, dall’Umbria e dalle Marche, luoghi particolarmente legati al passaggio terreno e alla memoria del "Santo dei voli".

    Come indicavo nel Messaggio pubblicato nel febbraio scorso, Giuseppe da Copertino continua ad essere un Santo di straordinaria attualità, perché "spiritualmente vicino agli uomini del nostro tempo", ai quali insegna "a percorrere la strada che conduce ad una santità ‘feriale’, contrassegnata dal compimento fedele del proprio quotidiano dovere" (n. 9).

    2. San Giuseppe, infatti, è innanzitutto maestro di preghiera. Al centro della sua giornata stava la celebrazione della Santa Messa, a cui seguivano lunghe ore di adorazione dinanzi al tabernacolo. Secondo la più genuina tradizione francescana, egli si sentiva affascinato e commosso dai misteri dell’Incarnazione e della Passione del Signore. San Giuseppe da Copertino ha vissuto in intima unione con lo Spirito Santo; era interamente posseduto dallo Spirito, dal quale apprendeva le cose di Dio per tradurle poi in linguaggio semplice e a tutti comprensibile. Coloro che lo incontravano ascoltavano volentieri le sue parole perché, come tramandano i biografi, pur essendo ignorante di lingua e zoppicante di calligrafia, quando parlava di Dio si trasformava.

    3. In secondo luogo, il Santo copertinese continua a parlare ai giovani e, in particolare, agli studenti, che lo venerano come loro patrono. Egli li spinge ad innamorarsi del Vangelo, a "prendere il largo" nel vasto oceano del mondo e della storia, rimanendo saldamente ancorati alla contemplazione del Volto di Cristo.

    Il mio auspicio è che voi, cari giovani e studenti, come pure voi, che operate nell’ambito culturale e formativo, seguiate l’esempio di san Giuseppe, impegnandovi a coniugare la sapienza della fede con il metodo rigoroso della scienza, affinché il sapere umano, sempre aperto alla trascendenza, proceda sicuro verso una conoscenza della verità sempre più piena.

    4. San Giuseppe da Copertino rifulge infine come esemplare modello di santità per i suoi confratelli dell'Ordine Francescano dei Frati Minori Conventuali. La costante tensione per appartenere solo a Cristo fa di lui un’icona del frate "minore", che, alla scuola del Poverello d'Assisi, assume il Cristo come centro dell’intera propria esistenza. Diventa eloquente il suo deciso impegno per riportare costantemente il cuore verso Dio, perché nulla lo separi dal "suo" Gesù, amato sopra ogni cosa e ogni persona.

    La testimonianza di questo grande Santo, che risplende di luce singolare in questa ricorrenza centenaria, costituisce un incoraggiante messaggio di vita evangelica. Per quanti hanno abbracciato gli ideali della vita di consacrazione, egli rappresenta un forte richiamo a vivere protesi sempre verso i valori dello spirito, totalmente consacrati al Signore e ad un necessario servizio di carità verso i fratelli.

    5. Come tutti i Santi, Giuseppe da Copertino non passa di moda! A quattro secoli di distanza, la sua testimonianza continua a rappresentare per tutti un invito a essere santi. Anche se appartiene ad un’epoca per certi aspetti assai diversa dalla nostra, egli addita un itinerario di spiritualità valido per ogni tempo; ricorda il primato di Dio, la necessità della preghiera e della contemplazione, l'ardente e fiduciosa adesione a Cristo, l’impegno dell’annuncio missionario, l’amore alla Croce.

    Mentre rinnovo l’auspicio che le celebrazioni centenarie contribuiscano a far meglio conoscere il "Santo dei voli", invoco su quanti le hanno promosse e vi prendono parte la celeste protezione della Vergine Maria.

    Con questi sentimenti e voti, imparto di cuore la Benedizione Apostolica a voi, qui presenti, alle vostre Comunità ed ai tanti devoti del Santo da Copertino dell’Italia e del mondo.

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    Angelo Pastrovicchi, Frontespizio del Compendio della vita, virtu', e miracoli di S. Giuseppe di Copertino, Roma, 1768 (incisione di Angelo Ferri)

 

 
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