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    Predefinito RADICI - Guareschi, il Vangelo dei semplici




    Vi racconto Guareschi

    Chi è il protagonista di Mondo Piccolo? Don Camillo o Peppone? «Il Crocifisso». Intervista al figlio del grande scrittore.

    di Elena Inversetti

    Chi è il protagonista di Mondo Piccolo? Don Camillo o Peppone? «Il Crocifisso».
    Non ha bisogno di pensarci su Alberto Guareschi. D'altronde suo padre l'aveva scritto a chiare lettere: «Adesso vi racconto tutto di me: ho l'età di chi è nato nel 1908, conduco una vita molto semplice, non mi piace viaggiare, non pratico nessuno sport, non credo in tante fantasticherie. Ma in compenso credo in Dio». Detto fatto. Qui sta tutto quello che serve sapere su Giovannino Guareschi (1908-1968) per poter comprendere la sua lunga attività di umorista, giornalista e scrittore. Protagonista del Novecento. Infatti, non a caso, tra le numerose iniziative che quest'anno si susseguono per ricordare il centenario della nascita dello scrittore e i quarant'anni dalla sua morte - emblematicamente avvenuta durante il fatidico Sessantotto -, significativa sarà la mostra "Non muoio neanche se mi ammazzano". L'avventura umana di Guareschi in scena il prossimo agosto durante il Meeting per l'amicizia fra i popoli di Rimini, che quest'anno si intitola O protagonisti. O nessuno. Attraverso il padre di don Camillo e Peppone, infatti, si può ripercorrere un pezzo importante della storia d'Italia. Di cui Guareschi è stato, appunto, protagonista attivo.

    Dopo la militanza come cronista locale fra i borghi della bassa parmense, sua terra natale, e poi a Parma, Giovannino si trasferisce a Milano, dove nel 1936 inizia a lavorare alla rivista satirica Bertoldo pubblicata da Rizzoli. Sono gli anni in cui esce il suo primo libro La scoperta di Milano. «Tutto da ridere, ma che fa anche pensare» ben sintetizza Alberto, indicando in questo modo la linea guida di tutta la produzione del padre. Poi arriva il periodo buio della Seconda guerra mondiale e del lager, vissuto con sguardo disincantato e forza d'animo da Giovannino che era solito allietare con "favolette" i suoi compagni di prigionia per aiutarli a superare i momenti più bui. «Se si vuole capire veramente chi era mio padre, la sua profondità e la sua forza, bisogna leggere il Diario clandestino. Testimonianza di quel periodo», consiglia Alberto. Quando Giovannino torna a casa è il 1945, trova un Albertino cresciuto e conosce Carlotta, la Pasionaria dei Racconti di vita familiare, nata due anni prima. Nello stesso anno inizia l'avventura del settimanale umoristico Candido di Angelo Rizzoli, che con le aspre vignette contro i comunisti, i «trinariciuti» dall'«obbedienza cieca pronta assoluta», è stato protagonista nella campagna elettorale del 1948 cui ha contribuito a scongiurare la vittoria dei social-comunisti.

    Ma il rapporto con il partito al potere, la Democrazia cristiana, non è stato sempre rose e fiori, soprattutto quando sul Candido Giovannino attacca Alcide De Gasperi e viene di nuovo incarcerato, perché «per rimanere liberi bisogna a un bel momento prendere senza esitare la via della prigione». Intanto la saga di Don Camillo e Peppone ottiene il successo internazionale che conosciamo, anche grazie alla riduzione cinematografica, Guareschi lascia il Candido e collabora con prestigiose testate come La Notte, Il Borghese, Oggi, ma all'amore del suo pubblico non corrisponde l'interesse della critica. Isolato e volutamente non capito dalla classe intellettuale, Giovannino si spegne per un infarto il 22 luglio 1968. Al funerale quasi nessun nome conosciuto, mentre l'Unità gli regala come epitaffio poche parole: «Malinconico tramonto dello scrittore che non era mai sorto». Mai giudizio fu così errato. Oggi a quarant'anni di distanza i "nemici" numero uno di don Camillo, ossia i comunisti e i clericali progressisti, annaspano a testa bassa nel grigiore quotidiano, mentre Giovannino è sempre splendido e sorridente, con le sue 22 copie distribuite in tutto il mondo e tradotte anche nelle lingue più improbabili, e con il suo guardo un po' malinconico, certo, ma perché capace di guardare molto più in là del proprio naso.

    http://www.tempi.it/cultura/001720-v...onto-guareschi

  2. #2
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    DON CAMILLO, IL PICCOLO PRETE CHE HA ESORCIZZATO IL ’68

    Un personaggio sempre amato dal pubblico che in un sondaggio lo scelse come sacerdote ideale

    di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro


    Quando venne alla luce, il 28 dicembre di sessant'anni fa, don Camillo non immaginava certo che la sua sarebbe stata la generazione del sessantotto. Chissà quanti compagni di seminario ha visto trasformarsi in preti contestatori o, magari, solo in contestatori. E chissà quanto ci ha sofferto, lui che non ha mai smesso di portare la tonaca, di recitare il breviario e di obbedire al Papa.

    Se le cose sono andate così, lo deve a Giovannino Guareschi, il suo padre letterario. L’antivigilia di Natale del 1946, lo scrittore si trovava nella tipografia milanese della Rizzoli dove stava trafficando per chiudere Candido, il settimanale di cui era direttore. Bisognava tappare un buco in fretta se si voleva che il giornale fosse in edicola il giorno 28. E il destino volle che Guareschi facesse ciò che solo la rapidità del giornalista e il genio del narratore riescono a concepire in una tale circostanza: prese un racconto che aveva scritto per Oggi, il settimanale della Rizzoli con cui collaborava, lo cavò dalla pagina già composta e lo fece ricomporre in un corpo più grosso per il Candido, che così fu pronto per andare in stampa. A Oggi ci avrebbe pensato nella mezz’ora successiva.

    Il racconto si intitolava Don Camillo e cominciava così: «Don Camillo, l’arciprete di Ponteratto, era un gran brav’uomo...». Ora, con l'incipit leggermente modificato, apre la prima raccolta in volume di Mondo piccolo con il titolo «Peccato confessato». La storia è quella ormai celebre dell'assoluzione con annessa pedata nel sedere sparata da don Camillo a Peppone. Quando uscì il 28 dicembre, ebbe un tale successo che costrinse il suo autore a scriverne altri, fino arrivare alla bella cifra di 346: l'intera saga di Mondo piccolo, che, se Candido non fosse stato in affanno per la chiusura, probabilmente non avrebbe mai visto la luce.

    Scampato quel pericolo, oggi don Camillo continua ad avere un esercito di lettori. E non si tratta solo di vecchi arnesi affezionati alla propria giovinezza: ammesso e non concesso che questa possa essere considerata una categoria di ammiratori di cui vergognarsi. Ma si tratta anche di giovani che, attraverso le storie raccontate da Guareschi, scoprono un’Italia di cui nessuno ha mai parlato loro a scuola e, magari, neanche in chiesa o all’oratorio. E non basta. Questi nuovi lettori scoprono la bellezza di un mondo in cui, pur tra le difficoltà della vita, le cose vanno per il verso giusto perché quel luogo è fatto apposta per accogliere la Grazia. Per la prima volta, si trovano a passeggiare per le contrade di un universo capace di mostrare agli uomini quanto siano belli e quanto grande sia il loro destino: basta solo che abbiano l’umiltà di aprire la loro anima al soffio eterno del Creatore. Quel soffio che corre lungo il Grande Fiume e pulisce l'aria per riempirla di invenzioni impastate di terra e di cielo come raramente capita di trovarne nella letteratura contemporanea.

    Non è un caso se don Camillo, nei suoi sessant'anni di vita, dopo aver trovato milioni di lettori, incontra anche uomini che vorrebbero addirittura farsi suoi parrocchiani. Una decina d’anni fa, l'università di Padova commissionò un sondaggio sul sacerdote ideale e, naturalmente, stravinse il parroco guareschiano. Non ci fu uno straccio di prete progressista e contestatore capace di tenere il suo passo.

    Questo, del resto, lo aveva previsto il suo stesso inventore nel 1966. In quell’anno Guareschi scrisse per Oggi una storia intitolata Don Camillo e la ragazza yé-yé, poi uscita incompleta in volume con il titolo Don Camillo e i giovani d’oggi e, quindi, opportunamente reintegrata a cura di Alberto e Carlotta Guareschi in Don Camillo e don Chichì. Il filo conduttore della vicenda è il serrato confronto tra il vecchio pretone e il giovane don Chichì, arrivato in paese con il suo spiderino rosso per spiegare a don Camillo che, come stabilito dal Concilio Vaticano II, i tempi sono cambiati ed è venuto il momento di aggiornarsi.

    Sollecitato dai superiori, il vecchio prete lascia che il nuovo curato, leggendo i segni dei tempi, si dia da fare per ammodernare la parrocchia. Ma, a forza di demitizzare, di svecchiare, di cercare ciò che unisce e lasciare ciò che divide con l’illusione di conquistare i lontani, il poveretto finisce per rimanere da solo. I vecchi se ne vanno perché preferiscono farsi insultare da Peppone, che, almeno, è un comunista come si deve. I nuovi non si vedono perché diffidano delle imitazioni e, pure loro, preferiscono tenersi stretto Peppone.

    Il motivo del fallimento, spiega Guareschi, è molto semplice. Don Chichì, nella smania di buttare via l'acqua sporca, ammesso che lo fosse, ha gettato anche il Bambino: quello nato a Betlemme due millenni fa. Un prete senza Gesù Cristo non va da nessuna parte e don Camillo lo spiega in un dialogo drammatico al suo curato. «Reverendo - urla don Chichì - questa è l'ora della verità e bisogna dire pane al pane e vino al vino!». E il vecchio parroco risponde: «Pericoloso dire pane al pane e vino al vino là dove il pane e il vino sono la carne e il sangue di Gesù».

    Ma questo è un banale discorso da prete, da uomo che si è fatto sacerdote per vocazione. E don Chichì, purtroppo, ci tiene a far sapere che ha preso, si fa per dire, la tonaca per ben altri motivi: «Io - spiega - sono sacerdote non per ispirazione, ma per ragionata convinzione». Un fior di assistente sociale, insomma. Ma gente di sana e robusta costituzione spirituale come quella di Mondo piccolo non può prendere sul serio questo giovanotto che, avendo rinunciato a Cristo, può offrire al prossimo solo la propria disperazione e le proprie miserie.

    Fa ben sperare, pur nel desolante panorama di oggi, che don Camillo abbia tanti lettori. È segno che, nonostante il triste attivismo dei troppi don Chichì, uomini di sana e robusta costituzione spirituale ve ne sono ancora. Tutta gente che si fida dei vecchi parroci e la pensa proprio come Guareschi quando dice: «I vecchi parroci, anche quelli col cuore tenero, hanno le ossa dure e per questo la Chiesa di Cristo che grava principalmente sulle loro spalle resiste a tutte le bufere. Deo gratias».


    QUELL’UOMO LIBERO FINITO IN CARCERE PER LE SUE IDEE

    Giovannino Guareschi (Fontanelle di Roccabianca, 1 maggio 1908 - Cervia, 22 luglio 1968) è stato giornalista e scrittore umorista. La sua creazione più famosa è Don Camillo, il parroco che parla col Cristo dell’altare maggiore e ha come antagonista il sindaco comunista del paese, Brescello, l'agguerrito Peppone. Corteggiato dalla politica, sia a destra che a sinistra, Guareschi è stato prima di tutto un uomo libero. Egli criticò e rese oggetto di satira i comunisti, che lui definiva trinariciuti (la terza narice serviva a far uscire il cervello e far entrare le direttive di partito), ma criticò, soprattutto dopo le elezioni del 1948, anche la Democrazia cristiana, che a suo parere non seguiva i principi cui si era ispirata. Nel 1954 Guareschi fu accusato di diffamazione per avere pubblicato sul Candido due lettere di De Gasperi (allora capo del governo) risalenti al 1944, nelle quali De Gasperi avrebbe chiesto agli Alleati di bombardare Roma. Fu condannato a 12 mesi di carcere in primo grado. Per coerenza si rifiutò di ricorrere in appello (fu incarcerato a Parma) e di chiedere la grazia.


    Il Giornale n. 51 del 2006-12-25 pagina 24

    http://www.fattisentire.net/modules....ticle&sid=2343

  3. #3
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    Lettera di Giovannino Guareschi al suo Don Camillo

    ["Il Borghese", 19 maggio1966]


    Il Papa si chiama Giuseppe
    Lettera a Don Camillo


    Caro Don Camillo,

    so che Lei è nei guai col Suo nuovo Vescovo. Ero a conoscenza che Lei aveva dovuto distruggere l'altare della chiesa parrocchiale e sostituirlo con la famosa « Tavola calda » modello Lercaro, relegando il Suo amato Cristo crocifisso in un angolo, vicino alla porta, in modo che l'Assemblea gli voltasse le spalle.

    Ed ero pure a conoscenza che Lei, la domenica, celebrata la « Messa del Popolo », andava a celebrarne una clandestina, in latino, per i cattolici nella vecchia intatta cappella privata del Suo amico Perletti.

    Ora, i capoccia della DC Le hanno fatto la spia e Lei è stato schedato in Curia tra i preti « sovversivi» dopo aver ricevuto dal Vescovo una dura ammonizione.

    Reverendo, questo significa non aver capito niente. È giusto, infatti, che Cristo non sia più sull'altare. Il Cristo Crocifisso è l'immagine dell'estremismo. Cristo era un fazioso, un fascista e il suo « O con Dio o contro di Dio » non è che una scopiazzatura del famigerato « O con noi o contro di noi » di mussoliniana memoria.

    E non si comportava da fascista quando cacciava a manganellate i mercanti dal tempio?
    Faziosità, intransigenza, estremismo che l'hanno portato sulla croce, mentre Cristo, se avesse scelto la democratica via del compromesso, avrebbe potuto benissimo mettersi d'accordo coi suoi avversari.

    Don Camillo: Lei non si rende conto che siamo nel 1966. Le astronavi scorrazzano nel cosmo alla scoperta dell'Universo e la religione cristiana non è più adeguata alla situazione. Cristo ha voluto nascere in Terra e se, quando l'ignoranza e la superstizione facevano della Terra il centro o, addirittura, l'essenza dell'universo, la tradizionale funzione di Cristo poteva andare, oggi con le esplorazioni spaziali e la scoperta di nuovi mondi, Cristo è diventato un fenomeno provinciale. Un fenomeno che, come ha stabilito solennemente il Concilio, va ridimensionato.

    Per Lei i beatnik, i « capelloni », sono dei pidocchiosi da spedire dal tosacani, e le loro partner con le sottane corte coprenti, a malapena, l'inguine, sono per Lei delle sgualdrinelle da sottoporre d'urgenza alla Wasserman. Invece a Roma, per questi pidocchiosi e queste sgualdrinelle, la Superiore Autorità Ecclesiastica ha organizzato una Messa speciale, una Messa beat suonata e urlata da tre complessi di pidocchiosi.

    Lei è rimasto all'altro secolo, reverendo. Oggi la Chiesa si adegua ai tempi, si meccanizza. E, a Ferrara, nella Chiesa di S. Carlo, sulla « Tavola calda » è in funzione la macchinetta distributrice di Ostie. All'Offertorio, il fedele che intende comunicarsi, depone la sua offerta in un piatto vicino alla macchinetta, preme un pulsante e, annunciata da un festoso trillo di campanello, un'Ostia cade nel Calice. E, creda, non è improbabile che, nei Laboratori sperimentali Vaticani, si stiano studiando macchinette più complete, le quali, introdotta una moneta e schiacciato un pulsante da parte del comunicando, caccino fuori una piccola pinza che porge l'Ostia consacrata elettronicamente, alle labbra del fedele.

    Don Camillo: Lei, lo scorso anno, mi ha rimproverato perché in una delle scenette di casa Bianchi, ho raccontato che il giovane prete d'assalto don Giacomo confessava per telefono i fedeli, e, invece di andare a benedire le case, inviava alle famiglie boccettine di « Acqua Santa spray ». Lei mi ha detto che, su queste cose, non si scherza!

    Ebbene, ci stiamo arrivando per iniziativa della Superiore Autorità Ecclesiastica. E non è lontano il tempo in cui, dopo la confessione per telefono, il comunicando riceverà in busta raccomandata l'Ostia Consacrata che egli potrà consumare comodamente a casa servendosi, per non toccarla con le dita impure, di una apposita pinza consacrata fornita dal « reparto meccanizzazione » della Parrocchia. Non escludo che, per arrotondare le magre entrate della parrocchia, il parroco possa far stampare sulla Particola qualche vignetta pubblicitaria.

    Don Camillo: io lo so che, adesso, Peppone La sta sfottendo tremendamente. Però ha ragione lui.

    Certo che, ora, Peppone La sfotte!

    So che Le ha ordinato di togliere dalla canonica il provocatorio ritratto di Pio XII « Papa fascista e nemico del popolo », minacciando di denunciarLa al Vescovo. Peppone ha ragione: le posizioni si sono invertite e non è lontano il giorno in cui la Sezione Comunista Le ordinerà di spostare l'orario delle Funzioni sacre per non disturbare la « Festa dell'Unità » che si svolge nel sagrato.

    Don Camillo: se Lei non si aggiorna e non la pianta di chiamare « senza Dio » i comunisti e di descriverli come nemici della Religione e della libertà, la Federazione Comunista Provinciale La sospenderà a divinis.

    Io che La seguo attentamente da venti anni e Le sono affezionato, non vorrei vederLa finire in modo così triste.

    So benissimo che molti suoi parrocchiani, e non solo i vecchi, sono con Lei, ma so pure che Lei se ne andrebbe in silenzio, nascostamente, per evitare ogni incidente o discussione che potessero portare tormento al Suo gregge.

    Lei, infatti, ha il sacro terrore d'una divisione fra i cattolici.

    Ma, purtroppo, questa divisione esiste già.

    So che Lei inorridirà, ma lo dico ugualmente.

    Pensi, reverendo, quale cosa meravigliosa sarebbe stata e quale nuova forza ne avrebbe ritratto la Chiesa se, alla morte del " Parroco del Mondo " [Giovanni XIII. N. d. R.] (che per la sua bontà e ingenuità tanti vantaggi ha dato ai senza Dio ) il Conclave avesse avuto il coraggio di eleggere, come nuovo Papa il Cardinale Mindszenty!

    Oltre al resto, questo sarebbe stato l'unico modo giusto, coraggioso e virile per liberarlo dalla sua prigionia: infatti, diventato Mindszenty Capo dello Stato indipendente del Vaticano, i comunisti ungheresi avrebbero dovuto lasciargli la possibilità di raggiungere la sua Sede.

    Con Mindszenty Papa, il Concilio avrebbe funzionato ben diversamente, la Chiesa del Silenzio avrebbe acquistato una voce tonante. E Gromyko non sarebbe stato ricevuto in Vaticano e non avrebbe potuto alimentare e consolidare l'equivoco che, creato ingenuamente, a confusione delle già confuse menti dei cattolici da Papa Giovanni, fruttò il guadagno di un milione e duecentomila voti ai comunisti e che forse darà ad essi la vittoria nelle prossime elezioni politiche.

    Quando i parroci potranno spiegare alle rimbambite femmine cattoliche che è peccato mortale solo se si vota per i liberali e i missini, sarà una festa per i comunisti!

    Don Camillo, non m'importa se Lei urlerà inorridito, ma io debbo dirLe che, non solo per me, ma per molti altri cattolici « sovversivi », il Papa al quale guardiamo come al luminoso faro della Cristianità non si chiama Paolo ma Giuseppe.

    Josef Mindszenty, il Papa dei cattolici che provano disgusto davanti alle macchinette distributrici di Ostie, alla « Tavola calda » che ha distrutto gli altari e cacciato via il Cristo, alle « Messe yé-yé » e ai patteggiamenti con gli scomunicati senza-Dio.

    Un'altra delle profezie di Nostradamus si è avverata. I cavalli cosacchi si sono abbeverati alle acquasantiere di S. Pietro. Anche se si trattava dei Cavalli-vapore (HP) della limousine di Gromyko. E senza escludere che mons. Loris Capovilla, per rendere omaggio al Gradito Ospite, abbia fatto il pieno al radiatore della macchina di Gromyko con Acqua Santa.

    Don Camillo, se ho bestemmiato, me ne pento. Per penitenza ascolterò sei volte il Pater Noster cantato da Claudio Villa.

    Ma non si preoccupi: la diplomazia vaticana lavora e, minacciando di sospenderlo a divinis, riuscirà a spegnere l'ultima fulgente fiamma di cristianità, costringendo Mindszenty a venire a fare il bibliotecario a Roma.

    O, magari, no. Se Dio ci assiste.


    Giovannino Guareschi


    http://www.unavox.it/ArtDiversi/div0...reschiADon.htm

  4. #4
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    Il profetico Guareschi e quei bambini fatti d’aria

    CON IL SUO "EMBRIONE" GIOVANNINO GUARESCHI CAPÌ TUTTO

    di Luigi Santambrogio
    da LIBERO (26/01/08)


    Fosse ancora tra noi, sarebbe stato certamente il primo firmatario e forse anche qualcosa di più, dell’appello lanciato da Giuliano Ferrara per la moratoria mondiale sull’aborto. Anzi, lui di quel Manifesto a difesa degli embrioni dallo sterminio e dal freezer, sarebbe stato senza dubbio l’interprete più efficace. La secca prosa di Giovannino Guareschi ha anticipato di quarant’anni le raffinate argomentazioni dell’Elefantino di Ferrara. E come l’ateo devoto e raziocinante direttore fogliante, Guareschi si prese lo scomodo della censura e pagò intero il prezzo della vigliaccheria editoriale.

    Forse il primo a prestare voce a quel pezzetto di vita, capo di una classifica che a tutt’oggi non arriva a cinque. L’incazzosa antipapista, poi convertita sulla brucica a Ratzinger, Oriana Fallaci doveva ancora venire con la sua “Lettera a una bambino mai nato”. A gettare scompiglio nel ranch delle puledre femministe e un po’ di polvere negli occhi degli arieti radicali. Lo straordinario creatore di Peppone e don Camillo aveva compreso tutto già alla fine degli anni Sessanta, intuito in quale secca di disgregazione e follia umana si sarebbe cacciata la società italiana. A quei tempi, i termini sottoghiaccio di bioetica, tecnoscienza, eugenetica, ancora non erano entrati nel lessico orwelliano (oggi così famigliare) della nuova civiltà del desiderio unico e del diritto omicida. Il racconto di Guareschi, infatti, è del 1967: si intitola “L’Embrione” e resterà inedito perché il direttore del settimanale che doveva pubblicarlo anziché in pagina lo imbucò direttamente nel cestino. L’aborto letterario ha un luogo e una data: Milano, 23 marzo 1967. Guareschi, ci informa il professor Mario Palmaro, nonostante le condizioni di salute non siano le migliori (un cuore matto e l’ulcera che lo tormenta) continua a lavorare alacremente, e ad annotare con l’abituale meticolosità i suoi impegni, registrandoli in un lunario. Un po’ come ai tempi della prigionia in Germania, documentata nel “Diario clandestino”. Accanto al giorno 23 di marzo, nel calendario Giovannino annota di aver inviato il racconto al settimanale “Oggi”, e subito dopo scrive un “No” con tanto di punto esclamativo. Il direttore del periodico Rizzoli, Vittorio Buttafava, seppure a malincuore, ha deciso di non pubblicare la storia destinata alla rubrica “Telecorrierino delle famiglie”. Scrive Buttafava: «Caro Guareschi, al momento di impaginare il tuo ultimo pezzo mi è mancato il coraggio. Figurati se non condivido le tue opinioni, ma come posso pubblicare su questo giornaletto per famiglie un attacco così provocatorio verso i magistrati?» Il direttore di “Oggi” si riferisce al «vecchio signore in toga intento a consultare certe carte» di cui si parla nel racconto, e che Guareschi definisce un usciere,ma che in realtà incarna proprio la magistratura. L’obiettivo della satira guareschiana è, questa volta, la normativa sul delitto d’onore: Giovannino non riesce ad accettare la logica che tende a giustificare l’omicidio compiuto dal coniuge tradito. Soprattutto quando a fare le spese dell’odio e della violenza è un innocente, il più innocente e indifeso essere umano: il nascituro. «Un bambino piccolo piccolo», scrive Guareschi, «che pareva fatto d’aria». E ancora: «Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me».

    Buttafava decise di cancellare il racconto, ma il primo a soffrirne fu proprio lui: «Mi spiace usarti una scortesia proprio a Pasqua (quell’anno si celebrò il 26 marzo, ndr), mentre dovrei mandarti centomila auguri e ringraziamenti, ma come posso rischiare così? “Oggi” è sotto milioni di occhi spesso malevoli; i più malevoli (detto tra noi) sono all’interno della stessa Rizzoli». E qui Buttafava sembra alludere in particolare a un importante giornalista che non vedeva di buon occhio la collaborazione di Guareschi con la casa editrice. Insomma, nulla di nuovo. Oggi, miliardi di bimbi urlano nel vento. A loro, come al figlio di Esterina viene ribattuto: «Non si può uccidere chi non è nato. Se un individuo non è nato, legalmente non esiste». Ci si affida agli acchiappafarfalle del diritto e delle linee guida. Che come il giudice di Guareschi, scuotono il capo e indignati esclamano: «Che gioventù. Non sono ancora nati e già accampano diritti». Ironia amara e profetica, che fa piazza pulita del bon ton dell’abortista dalle mani pulite. Per cui si chiama Ivg (interruzione volontaria della gravidanza) ciò che è omicidio, e feto il bambino nell’utero. Commenta Palmaro: «Guareschi prefigura il drammatico scenario del rapporto tra la vita umana prenatale e la società moderna. Scenari per i quali aveva già trovato una risposta decisa, inoppugnabile, espressa in quella frase ironica che contiene una verità rovesciata. Sembrano fatti d’aria anche oggi quei bambini, perché il mondo non riesce a vederli, a coglierne la presenza. Quasi fossero una verità di fede, un dogma cattolico. E non una faccenda di carne e sangue, di muscoli e di tendini, un cuore pulsante». E questa semplice verità, la ragione, senz’altri attributi, davvero non la può capire? Consigliamo la lettura di Guareschi anche a tutti i professoroni Veronesi d’Italia che simpaticamente e col sorriso sulle labbra vorrebbero ripulire l’aria dove quei “piccolini” invisibili vagano come microbi solitari e senza pace. E per quelli che ce la faranno ad uscire dal ventre materno, ci sarà sempre una buona morte a toglierli dall’impaccio della vita. Ci penseranno gli stessi eutanasici medici da fitness-room che poi ti consigliano la dieta vegetariana: perché ingollarsi di carne fa venire il cancro. Prosit a Umberto, grande chirurgo-manager, e a tutti i doctor House dell’eugeneticamente corretto. Noi, invece, facciamo parlare Guareschi: l’embrione che fantasticamente torna in vita a rivendicare i suoi diritti, vale più di un meeting all’Ieo (la casa madre dello sciccoso Veronesi). La narrazione parte da un fatto di cronaca nera, un delitto d’onore. L’embrione è il bambino dell’Esterina, uccisa dal marito, Nazareno. Guareschi dialoga con un’immaginaria Giò, la colf «l’unica che non aspiri a diventare una diva tv».


    Ecco uno stralcio del racconto “L’embrione” (1967) di Giovannino Guareschi, tratto dal volume “Baffo racconta” (Rizzoli, 2004, pp. 196, euro 8,4). Il racconto, scritto nel 1967, è rimasto a lungo inedito. Fu rifiutato in quell’anno dalla rivista “Oggi”.


    «Caro feto, lei non esiste. Non si azzardi ad accampare alcun diritto»

    di GIOVANNINO GUARESCHI,
    da LIBERO 26 gennaio 2008

    «Come s’è detto, il caso era di normale amministrazione: il bravo Nazzareno fu condannato a due anni di carcere e, avendo interposto appello, “uscì liberamente dall’aula con un sorriso trionfante e fu accolto nel corridoio con applausi dal pubblico numeroso che aveva seguito il processo...”».

    «Scusi - esclamò Giò interrompendomi. - ma questo è semplicemente quanto sta scritto sul giornale!».

    «No, - risposi. - Sul giornale si dice pur che la giovane donna stava per diventare madre ed è logico pensare che il bravo Nazzareno abbia tenuto presente questo particolare e, mentre collocava qualcuno dei tanti colpi nel ventre della traditrice, abbia esclamato: “Crepa anche tu, figlio di malafemmina!”. Ed è qui che incomincia la mia storia.

    «Accadde infatti che, allorquando era già finito da un’ora, un vecchio signore in toga ancora sostasse in ufficio, intento a consultare certe carte.

    «A un tratto, sentì qualcuno tirargli l’orlo della toga e, chinatosi, vide che si trattava d’un bambino piccolo piccolo, che pareva fatto d’aria.

    - Che cerchi? - domandò burbero l’uomo togato.

    - Cerco giustizia - rispose il piccolino.

    - E vieni a cercare giustizia proprio qui? - ridacchiò l’uomo. - Tu devi davvero essere piovuto giù da un altro mondo.

    - Effettivamente sì - rispose il piccolino. - Io sono il figlio dell’Esterina. Ammazzando mia madre, mio padre ha ammazzato anche me. E di questo si doveva pure tener conto!

    - No, ragazzino. Non si può uccidere chi non è nato. Se un individuo non è nato, legalmente non esiste. Il Codice parla chiaro: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito, sono subordinati all’evento della nascita”.

    «Il piccolino che, mentre aspettava s’era sfogliato i Codici, replicò: - E allora come mai è stabilito che chi interrompe la maternità di una donna senza il consenso di lei è punibile con la reclusione da 7 a 12 anni? Mia madre non aveva davvero acconsentito che lui ammazzasse anche me!

    - Non facciamo confusione, ragazzino - disse l’uomo togato. - Prima di tutto, qualora la maternità venga interrotta per “motivi d’onore”, si può ottenere lo sconto anche del 50 per cento. Secondariamente, l’art. 554 non è qui applicabile perché l’azione di Nazzareno non aveva lo scopo di interrompere la gravidanza di tua madre, bensì quello di uccidere tua madre. Se Nazzareno voleva semplicemente interrompere la gravidanza di una madre, non occorreva davvero che ammazzasse anche il suo amante. Il fatto che abbia ucciso anche l’amante della moglie, dimostra le intenzioni perfettamente legali della sua azione.

    - D’accordo - esclamò il piccolino. - Ma siccome, ammazzando mia madre ha ammazzato anche me, praticamente si tratta di un crimine contro la maternità!

    - No, ragazzino. Prima di tutto, quando si agisce per “motivi d’onore”, le pratiche cosiddette “illecite” non sono da considerare contro la maternità. Esempio: secondo un marito, il figlio che la moglie sta per dargli è il prodotto di una relazione extraconiugale: se il marito interrompe la gravidanza della moglie non si tratta di pratiche contro la maternità, ma contro la paternità. Egli non agisce contro il figlio della moglie ma contro il figlio dell’amante della moglie. Secondariamente tu non hai nessun diritto da accampare perché non sei una persona fisica. Tant’è vero che non sei nato! - Però sono morto!

    - E come può morire chi non è nato? D’altra parte, se non volevi grane, dovevi sceglierti una madre più onesta!

    - O magari un padre meno cornuto! - replicò il piccolino perdendo la calma.

    «Il vecchio togato s’indignò: - Screanzato! Come osi offendere un uomo che, per tutelare il suo onore, non ha esitato ad ammazzare la moglie e l’amante di lei? Nessuno ha più il diritto di chiamare il buon Nazzareno con quel termine dispregiativo. Perché Nazzareno è a posto con la coscienza e con la legge. Gli articoli 551, 578, 587 eccetera del codice penale sono stati creati per consentire a tutti i galantuomini offesi nell’onore, di ammazzare la moglie infedele!

    - Ma signor Giudice!...

    - Io non sono un giudice! Io sono l’usciere e mi sono appartato qui per studiarmi in pace gli ambi ritardati. La toga me la sono buttata sulle spalle perché avevo freddo. Comunque anche un giudice non avrebbe potuto risponderti diversamente. Credi, non c’è niente da fare: dura lex sed lex. Oltre al resto io non capisco come tu ce l’abbia tanto con quel bravo giovanotto di tuo padre. Alla fine, che t’ha fatto di male?

    «Il piccolino spalancò le braccine: - Visto in che razza di mondo avrei dovuto vivere - borbottò - direi che mi ha reso un buon servizio. «Poi s’infilò in una fessura del pavimento e scomparve.

    «Il vecchio scosse il capo: - Che gioventù - gridò indignato.

    - Non sono ancora nati e già accampano dei diritti ! E si erigono a giudici del padre!...

    «Non è una grande cosa, ma la storia c’è - ammise Giò. - Però non è valida perché basata su elementi fuori dalla realtà. Non è verosimile che il figlio di uno che ha ammazzato la moglie per motivi d’onore, parli così male del padre. Io ho letto fior d’inchieste e sempre i figli che avevano avuto la madre uccisa per motivi d’onore parlavano con entusiasmo ed orgoglio del padre. Si dicevano fieri che il padre fosse universalmente ammirato e stimato come “uomo d’onore”.»

    «E se il ragazzino non fosse figlio...», prese a insinuare Margherita.

    Ma io l’interruppi: «No, Margherita! Qui niente applausi per gli assassini! Qui non siamo in tribunale e qui i morti si rispettano!»


    http://cristianesimocattolico.splind...areschi+e+quei+

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    Malinconico ma profetico. Ecco l'ultimo Guareschi

    Chi crede di sapere già tutto su Giovannino Guareschi farà bene a prendere in mano, e a studiarsi con attenzione, questa nuova raccolta di Mondo Candido appena uscita da Rizzoli…


    Chi crede di sapere già tutto su Giovannino Guareschi - uno scrittore un tempo escluso dal consesso civile, e oggi di gran moda - farà bene a prendere in mano, e a studiarsi con attenzione, questa nuova raccolta di Mondo Candido appena uscita da Rizzoli. Vi troverà un Guareschi che non conosce, e rimarrà stupito nel vedere come quell'uomo avesse anticipato, quasi cinquant'anni fa, (...) gran parte dei temi di dibattito dei nostri giorni. Ma andiamo con ordine. Il volume, innanzitutto. Raccoglie gli articoli e le vignette pubblicate da Guareschi sul Candido negli anni dal 1958 al 1960. Va detto subito che quello non era più il Candido di Guareschi. Nel senso che Guareschi non era più il direttore del settimanale, ma solo un collaboratore. Lo ricordiamo ai più giovani e a quelli che non sanno: Candido, il più famoso settimanale satirico della storia d'Italia, era stato fondato nel dicembre del 1945 da Guareschi e da Giovanni Mosca, e subito s'era imposto al grande pubblico per memorabili battaglie, come quella in occasione delle prime elezioni politiche dell'Italia repubblicana, nel 1948. Candido appoggiò la Dc, non tanto perché Guareschi fosse democristiano (era monarchico) quanto perché era evidente che solo una vittoria dello scudo crociato poteva fermare comunisti e socialisti, allora riuniti nel Fronte Popolare. Una vittoria dei "rossi" avrebbe portato l'Italia nell'orbita di Stalin, con le conseguenze che tutti possono immaginare. Fatto sta che Candido, grazie anche alle geniali vignette di Giovannino (come quella con il celeberrimo motto «In cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no»), contribuì in modo determinante alla sconfitta di comunisti e socialisti. Quel Candido ebbe un successo straordinario per un motivo molto semplice: perché erano straordinari i talenti di cui era zeppo. Un po' come una squadra di calcio che si trova all'improvviso, e quasi per caso, ad avere in rosa setteotto fuoriclasse, Candido si trovò a poter contare, fra redattori e collaboratori, su geni assoluti come appunto gli stessi Guareschi e Mosca, come Indro Montanelli e Leo Longanesi, come Carletto Manzoni e Walter Molino, come Oreste Del Buono e Nino Nutrizio. Di quel Candido, Guareschi e Mosca furono condirettori fino al 1950; dopo quella data Rizzoli allontanò Mosca e Giovannino rimase solo al comando. Sempre con grande successo (anche la serie di Don Camillo nacque sulle pagine del settimanale) e con un crescente seguito di pubblico. Senonché, la vita di Guareschi è come spezzata in due da una brutta faccenda: la condanna al carcere per diffamazione nei confronti di De Gasperi. Accadde nel 1954. Non è il caso di ricostruire quella storia, tutt'altro che chiara. Fatto sta che - benché certo della propria innocenza - Guareschi non volle appellarsi alla sentenza, non cercò la grazia, non s'inventò complotti ai suoi danni, e reagì dicendo: m'avete condannato? E io in galera ci vado davvero. Così fece. Il 26 maggio del 1954 entrò nel carcere di Parma, per uscirne il 4 luglio del 1955. Restando, formalmente, direttore di Candido. Ma è chiaro che qualcosa si era rotto per sempre. Il 10 novembre del 1957 Guareschi abbandonò la direzione del settimanale, lasciando il posto ad Alessandro Minardi. Restò collaboratore, come detto: ma si sentiva ormai fuori, non tanto da Candido quanto da un mondo che non gli apparteneva più. Aprì un bar alle Roncole, di fianco alla casa natale di Giuseppe Verdi, e nel 1964 vi aggiunse un ristorante: il locale c'è ancora, ma non vi si mangia più, ci sono i figli Alberto e Carlotta che tengono desta la memoria del padre con una mostra permanente e mille altre attività. Senza Guareschi alla guida, il declino di Candido fu inevitabile e inarrestabile. Il 22 ottobre 1961 Giovannino decise di interrompere anche la collaborazione, e Rizzoli reagì con l'unica decisione che poteva prendere: chiuse il giornale. Quello di questo quinto volume di Mondo Candido è dunque un Guareschi crepuscolare, amareggiato, confinato dal mondo dell'editoria al ruolo di impresentabile. Ecco perché dicevamo, all'inizio, che è un Guareschi che pochi conoscono. Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare a un Guareschi sul viale del tramonto. Era intristito, sì: anche le fotografie di quel tempo ci presentano un uomo ben più vecchio dei 52 anni che aveva (era nato nel 1908, e morì precocemente nel 1968). Era intristito ed era molto solo, emarginato da tutti o quasi. Però non aveva perso la sua lucidità. Anzi. Come spesso accade alle persone che soffrono, anche Guareschi nella sofferenza diventò perfino più lucido. E nelle pagine dell'ultimo Candido troviamo articoli e vignette che, con stupefacente preveggenza, anticipano molti temi divenuti attuali nel nostro tempo: la corruzione del mondo politico, l'antiamericanismo dell'Europa, la crisi della famiglia, la mercificazione del sesso, l'illusione di poter dominare la vita con la tecnica, e soprattutto la sottomissione di ciascun valore al dio denaro. Anche l'anticomunismo di Guareschi ha tratti profetici: c'è una vignetta del 1959 in cui si prendono di mira, in un colpo solo, il mito nascente (Cuba) e quello di sempre (la Resistenza). Si vede infatti Fidel Castro che rimprovera un suo giannizzero: «Solo cinquanta giustiziati in una giornata? Qui non si conclude niente di buono: bisogna fare venire dall'Italia una missione di esperti dei CLN!». In un'altra vignetta Guareschi sfotte, con largo anticipo sui tempi, l'ipocrisia dei radical-chic: si vede Nilde Jotti che passeggia impellicciata, e un comunista dice a un compagno «non ti pare una stonatura una pelliccia così borghese?». Si sente rispondere «No: basta saperla portare con spirito proletario». È un Guareschi malinconico, questo degli anni 1958-'60. Sembra pessimista. Ma há la vista lunga, molto lunga.


    di Michele Brambilla
    LIBERO 9 nov. 2006


    http://www.fattisentire.net/modules....ticle&sid=2244

  6. #6
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    Domizia CARAFOLI
    Qui succede un ’48. Guareschi

    tratto da: Il Giornale, 13.4.2008.

    Per la campagna delle elezioni di 60 anni fa la Dc "arruolò" Giovannino Guareschi. Ora una mostra a Trieste ci permette di rivivere, attraverso le vignette dello scrittore, l’atmosfera di quei giorni


    Chi oggi, prima di entrare nel seggio, getterà un’ultima occhiata ai manifesti elettorali pensando «però, in fondo, che noia», non sa o non ricorda quali passioni abbiano agitato in altri tempi le piazze elettorali d’Italia. Tempi in cui slogan sbiaditi e rugiadosi come «We care» (ve lo ricordate?) o l’attuale veltroniano «Si può fare» non sarebbero stati concepibili (e neppure capiti): perché la politica era carne e sangue degli italiani, ognuno alle proprie idee credeva fino in fondo e aveva appassionata fiducia in chi le rappresentava. E i leader politici che a quegli italiani si rivolgevano, non lo facevano certo attraverso le trovate di un ufficio di pierre che conia slogan per un partito come per una marca di caffè.

    Il prossimo 18 aprile saranno sessant’anni dalle elezioni che segnarono la grande svolta del dopoguerra. Come oggi, si fronteggiavano due vasti schieramenti: la Dc e i suoi alleati di centro da un lato, il Partito comunista e il Partito socialista uniti nel Fronte democratico popolare dall’altro. La posta in gioco era altissima e ben lo compresero sia i contendenti sia gli elettori, consci che quelle elezioni avrebbero rappresentato uno spartiacque politico. Dai risultati delle urne sarebbe scaturita la definitiva collocazione occidentale del Paese o il suo scivolamento verso il blocco sovietico. «Fu uno scontro senza quartiere - scrive lo storico Giuseppe Parlato nel catalogo della mostra «Guareschi e le elezioni del 1948» che si apre il 18 aprile nelle sale di Palazzo Gopcevich a Trieste. La Dc si presentò come la “diga” in grado di fermare l’avanzata del Pci e di salvare la società occidentale. A sostegno della Dc e dei centristi scese in campo la Chiesa... Le comunità italo-americane intervennero invitando le popolazioni del meridione a votare per la Dc...».

    Trieste rimase forzatamente fuori della mischia perché ancora sotto l’amministrazione alleata. I triestini non poterono votare ma ci sono pochi dubbi su chi avrebbero scelto i cittadini che non avevano certo dimenticato i quaranta giorni di terrore dell’occupazione titina. È forse questo uno dei motivi per cui Trieste dedica ora una rassegna alle indimenticabili vignette e ai manifesti che Giovannino Guareschi disegnò per la campagna elettorale, concessi dall’Archivio Guareschi e dall’Archivio Croce di Piacenza, con il contributo degli studi di Simonetta Bartolini, Guido Conti e Giuseppe Parlato.

    Perché anche Guareschi fu arruolato, anzi si arruolò volontariamente nella campagna contro il fronte social-comunista (il «Fro-De-Pop», come lo chiamava lui) mettendo al servizio delle forze antimarxiste la sua vena di polemista, la sua celebre matita e la testata di quel settimanale, “Candido”, che aveva fondato con Giovanni Mosca nel dicembre del 1945, appena rientrato dalla prigionia in Germania. Lo scontro, come abbiamo detto, non era certo all’acqua di rose e Guareschi non risparmiò neppure uno dei temi che potevano fare più presa sull’animo dei votanti. Si rivolse al buon senso della gente comune, sottolineando l’importanza di decidere individualmente e di sottrarsi alle suggestioni della propaganda di massa. Forse il più celebre fra i disegni esposti a Trieste è quello che mostra un operaio intento a tracciare il segno sulla scheda e la scritta «Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede Stalin no». Ma Guareschi si rivolse anche alla vocazione individualista dell’Italia contadina a quel tempo ancora consistente: «Contadini non votate per il Fronte! Lo stato comunista metterà il contatore anche alle vostre galline». E non si fece scrupolo di evocare il dramma dei prigionieri italiani morti nei campi di prigionia sovietici. Di forte suggestione emotiva è il manifesto con lo scheletro di un soldato dell’Armir aggrappato al filo spinato, il quale, indicando la falce e martello e la stella a cinque punte, invoca: «Mamma, votagli contro anche per me!».

    Gli esponenti del Fronte popolare trovavano ovviamente bastardissimi questi slogan. A Udine gruppi di attivisti invasero una tipografia per bruciare migliaia di manifesti con il soldato. Particolarmente in bestia li mandavano le vignette che avevano come soggetto i «trinariciuti» (i comunisti avevano tre narici, sosteneva Guareschi, la terza serviva per scaricare il fumo che avevano nella testa) e che portavano come titolo «Obbedienza cieca pronta assoluta». Fra le più esilaranti, la vignetta di una donna che porta al braccio un cestino e copre la scheda elettorale con l’opulento seno. Sullo sfondo un omino disperato grida «Contrordine, compagni! La frase pubblicata oggi sull’Unità “Nella cabina non perdete la cesta e mettete il seno su Garibaldi” contiene un errore di stampa e pertanto va letta: “Nella cabina non perdete la testa e mettete il segno su Garibaldi”».

    È probabile che alcune di quelle vignette facessero ridere anche l’elettorato di sinistra. Ma man mano che ci si avvicinava al fatidico 18 aprile, il clima si andava riscaldando. Guareschi e Mosca, che avevano scelto di invitare tutto l’elettorato moderato a sostenere la Dc, lavoravano senza sosta. Scrive Beppe Gualazzini nel suo libro Guareschi (Editoriale Nuova, 1981): «La tiratura settimanale del “Candido” si avvicinò al mezzo milione di copie: divenne il giornale più letto d’Italia; Guareschi e Mosca furono tra i più importanti opinion leaders dell’epoca... Anche dall’estero osservatori e politici interpellarono i direttori di “Candido” per sapere quale fosse la reale situazione italiana...». Lo scontro non fu solo verbale. Sui due giornalisti e sulle loro famiglie piovvero minacce. L’arcivescovo di Milano, Ildefonso Schuster, preoccupato, si offrì di ospitarli in arcivescovado. Loro rifiutarono e si limitarono a dormire ogni sera in un albergo diverso.
    E finalmente arrivò il giorno delle elezioni. Alla schiacciante vittoria moderata (il 48,5 per cento della Dc più il 13,4 degli alleati contro il 31 per cento del Fronte popolare) indubbiamente Guareschi e il Candido avevano dato un sostanziale contributo. Sul numero successivo alle elezioni, il 25 aprile 1948, la vignetta d’apertura mostra un gruppo di attivisti scuri in volto. Uno imbraccia il mitra. Ma un altro uscendo dal seggio, dice semplicemente: «Contrordine, compagni!».

    Con la svolta del 1948 Guareschi considerava chiuso il periodo di quella che lui chiamava «l’Italia provvisoria», il lungo e difficile dopoguerra. Sperava in una rinascita concorde e affidò i suoi voti a una vignetta del 16 maggio: il presidente del consiglio De Gasperi si avvia verso il Parlamento ma un’Italia turrita e sorridente lo ferma sulla soglia: «Il distintivo in guardaroba, presidente!». Era un invito rivolto al politico ad agire nell’interesse comune e non dei partiti. La delusione arrivò molto presto.


    http://www.storialibera.it/epoca_con...8.%20Guareschi

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    Ecco come Giovannino amava dipingersi, con la bandiera della Patria in una mano e lo stemma del suo partito nell'altra.

    PARMA RICORDA GIOVANNINO GUARESCHI
    ALLA PRESENZA DI S.A.R. IL PRINCIPE AMEDEO DI SAVOIA



    Parma, Sabato 10 Maggio 2008 - la splendida Città ducale ha ricevuto S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia in occasione della commemorazione ufficiale, organizzata dall'Unione Monarchica Italiana, del grande scrittore Giovannino Guareschi.
    Accolto dal Presidente regionale U.M.I. per l'Emilia Romagna Massimo Nardi, dal Coordinatore Provinciale Dr. Edoardo Tarditi e dal Vice presidente nazionale U.M.I. Avv. Alessandro Sacchi, alle ore 16.00, il Principe Amedeo si e’ recato presso la Chiesa si Santa Maria della Steccata per deporre una corona d’alloro alle tombe dei Farnese e dei Borbone-Parma.
    Ad attendere S.A.R. per il toccante rito vi erano il Principe Diofebo Luigi di Soragna, custode della cripta, insieme al Sindaco di Noceto Fabio Fecci. Ai lati dell’altare situato nella cripta, due Guardie d’Onore alle Reali Tombe del Panteon hanno atteso il Principe Amedeo per deporre la corona d’alloro, conferendo al gesto un'austera marzialità.
    Il Duca d'Aosta ha poi visitato in forma privata il museo all’interno della Chiesa, nel quale ha potuto ammirare gli splendidi oggetti custoditi nella Sagrestia nobile, e la sede dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio.
    Il Principe Amedeo si è quindi recato presso la sede della Camera di Commercio per il convegno su Giovanni Guareschi. Durante il percorso S.A.R. e’ stato salutato da diversi cittadini che, riconosciutolo, hanno voluto stringergli la mano e manifestargli il proprio apprezzamento e la propria stima.
    Alle 17.30 il Presidente nazionale dell'Unione Monarchica, Avv. Gian Nicola Amoretti, ha dato inizio al convegno.
    Dopo due brevi interventi di saluto da parte di Nardi e Tarditi, ha preso la parola il Segretario nazionale dell'U.M.I. Sergio Boschiero.
    Si sono poi succeduti gli altri oratori: il Presidente della Consulta dei Senatori del Regno Prof. Aldo A. Mola, il Senatore Gustavo Selva (mitico direttore Rai anche definito “radio belva”), il Dr. Giuseppe Benelli Presidente del “Premio Bancarella” di Pontremoli, l’Avv. Alessandro Sacchi, che ha letto con passione un brano tratto da uno dei libri di Guareschi su “Don Camillo”, e il Senatore Giuseppe Basini.
    Il Dott. Francesco Veirana, Coordinatore del Club Reale “Giovannino Guareschi” di Savona, ha omaggiato i presenti con una cartolina raffigurante Guareschi che impugna una bandiera del Regno d'Italia, con la frase: “Dodici mesi e passa di galera non mi han fatto scordar la mia bandiera”.
    Fra gli intervenuti ricordiamo l'On. Fabio Rainieri, neo eletto alla Camera dei Deputati, il Consigliere Regionale Avv. Roberto Corradi della Lega Nord, i Consultori del Regno Conti Arrigo e Pietro Luca, il Conte Fabio Furlotti, il Presidente del circolo culturale “Raimondo Montecuccoli” Paolo Carraro e il Vice segretario nazionale del Fronte Monarchico Giovanile Amedeo de Dominicis.
    Al termine del convegno molti fra i partecipanti all'evento hanno voluto intrattenersi con il Principe Amedeo.
    La serata e’ terminata con un brindisi in onore di S.A.R., che ha ringraziato complimentandosi per la splendida giornata trascorsa.









    Dal sito internet dell'Unione Monarchica Italiana:
    http://www.monarchia.it/attivitasvol...schiparma.html
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    La vignetta di Guareschi che é diventata una leggenda: la repubblica giacobina ed atea ammaina la bandiera Sabauda, ma lo stemma rimane in alto nel Cielo.
    NOI SIAMO LA VERA ITALIA !
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  9. #9
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    La copertina di Diario Clandestino, che narra le vicende dell'internamento, per fedeltà al Re, durante la seconda guerra mondiale, in un campo di concentramento nazista.
    NOI SIAMO LA VERA ITALIA !
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    L'immagine simbolo della fedeltà di Guareschi, mai piegata e venuta meno.
    Sua Maestà Vittorio Emanuele III é morto in esilio, incolpevole, incolpato di tutto, con la sola colpa di aver servito la nazione meglio di chiunque altro.
    Arrivato in Paradiso, lo attendono i soldati italiani caduti nella Grande Guerra, allineati con le bandiere al vento.
    NOI SIAMO LA VERA ITALIA !
    RICOSTRUIAMO LA NOSTRA PATRIA !

 

 
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