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    Predefinito RADICI - Arturo Michelini, la destra missina




    Arturo Michelini

    "Radicò la destra nella realtà politica italiana"



    Politica concreta

    Cattolico ma non confessionale, atlantico ma non filoamericano, di Destra ma senza essere schiacciato sulle posizioni del capitale, fu una spina nel fianco di una Dc ambigua e compromissoria (Aldo Di Lello)


    Un realizzatore, un realista, un uomo fatto per la politica. Arturo Michelini apparteneva a quella specie di uomini politici che non amavano arrampicarsi sulle grandi costruzioni teoriche ma che, nonostante ciò, possedevano quella dote specialissima, fatta di acume naturale e di grande capacità di sintesi, che li portava sempre al cuore dei problemi storici. La sua lucidità politica era ben rappresentata da questa frase, che egli amava ripetere negli anni della costruzione del Msi: "Noi non siamo i guardiani del museo ma gli eredi di un patrimonio politico e morale che è ancora indispensabile all'Italia e all'Europa e che spetta a noi mettere al servizio della storia".

    C'è qui la visione chiara del grandioso e nobile dramma che avrebbe attraversato un pò tutta la storia del partito della Fiamma: interpretare con coerenza il ruolo di testimonianza ideale, senza alcuna compromissione morale con un regime che negava il valore profondo della Nazione, ma essere comunque dentro l'evoluzione storica, non sconfinando mai nei territori dell'impoliticità e lavorando con determinazione per realizzare nella concretezza della vita italiana un'idea forte dello Stato (cosa ben diversa da un'idea dello Stato forte).

    Di qui la svolte a "Destra" che egli volle imprimere al Msi, con la difesa degli interessi nazionali nel quadro atlantico, con la pratica coerente dell'anticomunismo, con il progetto di costruzione di una "grande Destra" che coinvolgesse monarchici e liberali non lasciando alla Dc il monopolio della rappresentanza dei ceti moderati del nostro Paese. Progetto realizzato sol in parte, vista l'indisponibilità dei liberali, ma progetto che portò comunque in più occasioni il Msi dentro il gioco politico degli anni Cinquanta, risultando fondamentali i suoi voti nell'elezione di Gronchi alla presidenza della Repubblica e importante la sua astensione nella formazione del governo Zoli. E dire che Michelini non si era direttamente interessato di politica negli anni del fascismo anche se un forte senso del dovere verso la Nazione ebbe comunque modo di manifestarlo in guerra partendo volontario e meritando importanti decorazioni sul campo. Le sue capacità realizzative aveva preferito dimostrarle nel campo sportivo e in quello professionale riuscendo a diventare presidente del Coni di Roma , presidente del Moto Club italiano, nonché membro del direttorio nazionale degli operatori assicuratori.

    Quest'uomo concreto e fattivo divenne subito uno dei punti di riferimento, nell'immediato dopoguerra, per il mondo disperso dei reduci della Rsi, desiderosi di costruire comunque una casa politica in un'Italia ostile nonché avvertita come estranea.

    Fu proprio nel suo studio di Roma, in quel 26 Dicembre del 1946, che nacque il nuovo soggetto politico, il Msi, destinato a svolgere un ruolo tutt'altro che marginale nella successiva storia politica pur subendo una forte discriminazione e una lunga emarginazione.

    E Michelini lavoro' subito, quando divenne segretario del Msi, nel 1954, per far pesare nelle istituzioni locali e nazionali la forza di questo partito, un forza in quegli anni numericamente modesta ma potenzialmente capace di rivolgersi alla maggioranza morale del Paese, soprattutto a quei ceti medi che erano stati l'ossatura dell'Italia negli anni del fascismo e che nel dopoguerra s'erano rivolti alla Democrazia cristiana, un partito sostanzialmente conservatore nella su base elettorale ma di tutt'altro segno nelle élite politico-culturali: la classe dirigente scudo-crociata era imbevuta di modernismo, di cattolicesimo progressista e avvertiva la crescente influenza intellettuale del gruppo dossettiano. Non per niente tra i "professorini" (cosi venivano chiamati i sodali di Dossetti) spiccava quell'Amintore Fanfani che sarebbe diventato agli inizi degli anni Sessanta uno degli artefici della svolta a Sinistra della Democrazia cristiana.

    E l'azione del Msi di Michelini, cattolico senza essere confessionale, atlantico senza essere filo-americano, di Destra senza essere schiacciato sulle posizioni del capitale, ma anzi sociale e popolare, come nella migliore tradizione della Destra italiana, era una spina nel fianco di una Dc ambigua e compromissoria, in un partito che tradiva i valori di quel Paese profondo, cattolico e anticomunista, a cui pure si rivolgeva nei momenti elettorali.

    La Dc tento' sempre di ridimensionare la forza di quell'opposizione che vedeva crescere alla sua Destra: la vicenda sfortunata del governo Tambroni dimostro chiaramente che lo Scudocrociato era ormai pronto a tradire definitivamente i valori della propria base elettorale in vista di un'apertura a Sinistra che avrebbe avuto un effetto rovinoso sulla cultura politica diffusa nel nostro Paese. I ceti moderati italiani avrebbero dovuto attendere altri trentaquattro anni prima di ritrovare la loro casa politica.

    Ma in quell'Italia così difficile e ostile Michelini non perse certo ne' entusiasmo ne' voglia di combattere. Era consapevole, il segretario missino, delle difficoltà che avrebbe incontrato la realizzazione del progetto politico del Msi e sapeva bene che la disunità del Paese proveniva dall'azione di forze potenti. Ma il suo realismo politico e e la sua indisponibilità a lasciarsi cullare dalle illusioni non gli impedirono mai di coltivare una fede profonda e di trasmetterla ai militanti di Destra. "Da Roma - disse Michelini in uno dei suoi ultimi comizi - assieme ad Almirante e Romualdi, sempre al mio fianco in ogni battaglia, innalzammo dal polverone della guerra perduta la bandiera di un'idea valida, la quale, perchè tale, non poteva essere sommersa e avvilita da vicende contingenti anche se tragiche. A questa bandiera oggi chiediamo la vostra adesione, per le fortune dell'Italia e per un domani migliore non per noi ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli. Forse il cielo non ci concederà di vedere quel giorno, ma sono sicuro che Dio benedirà questi cattolici che si uniranno nel simbolo del Tricolore, questi italiani che rappresentano l'aristocrazia del lavoro, del combattentismo, non per le fortune di un partito ma per quelle dell'Italia". Vi è in queste parole una forza drammatica molto lontana dallo spirito dell'odierna comunicazione politica. Ma il sentimento che esprimevano era condiviso da quella parte d'Italia che si riconosceva nel Msi. E fu l'interpretazione di questo sentimento collettivo, oltre naturalmente alla sua concretezza di esperto uomo politico, che permise a Michelini di radicare il Msi nella realtà politica-i italiana, senza per questo chiuderlo alla dimensione internazionale.

    La sua idea dell'adesione all'Alleanza atlantica, da lui concepita essenzialmente come una protezione dalla minaccia del comunismo sovietico, non gli fece mai perdere di vista la prospettiva dell'unità europea, una vocazione che era, peraltro, parte integrante della cultura del Msi in un grande disegno politico-culturale che aveva trovato in Filippo Anfuso uno dei suoi più autorevoli difensori.

    Politico legato alla tradizione nazionale, Michelini sapeva anche guardare al futuro. Le sue intuizioni nel tempo, si sono dimostrate feconde.


    http://www.nuoviorizzontieuropei.com..._Michelini.htm

  2. #2
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    MICHELINI : PRECORRITORE DI ALLEANZA NAZIONALE ?

    Nello scorso numero del “ Cerchio”, l’amico Giano Accame con un’onestà intellettuale che gli fa onore, ha fatto autocritica su Arturo Michelini, il segretario missino che ha retto il partito per 15 anni ininterrottamente, dal 1954 alla sua prematura scomparsa ( 1969 ), tentando ma inutilmente di farlo uscire dal ghetto politico e culturale. Nel suo articolo, Accame ha ripercorso alcune tappe della storia della destra missina, soffermandosi in particolare sui fatti del luglio 1960 che accelerarono l’apertura a sinistra in Italia.

    Nella primavera del 1960 il Msi decise di sostenere il governo monocolore democristiano di Ferdinando Tambroni, con i voti determinanti dei suoi parlamentari. Al tempo stesso con una decisione quanto meno affrettata, il Msi convocò per i primi di luglio il VI congresso nazionale a Genova.
    Accame giustamente ricorda che la mobilitazione della piazza antifascista, orchestrata dal Pci e dalla Cgil e culminata con i sanguinosi scontri del 30 giugno a piazza De Ferrari, fu pretestuosa. Infatti, fino a pochi mesi prima, l’amministrazione civica di Genova si reggeva con i voti determinanti dei tre consiglieri comunali missini. Nel capoluogo ligure, pur tra mille difficoltà, si erano svolti comizi e manifestazioni della destra.

    I dirigenti del Msi pertanto erano sicuri che il congresso del partito si sarebbe svolto senza incidenti di rilievo e che le forze dell’ordine, come avevano assicurato sia il presidente del consiglio, sia il ministro dell’interno, avrebbero garantito l’ordine pubblico. D’altra parte anche due precedenti congressi si erano tenuti a Viareggio ( 1954 ) e Milano ( 1956 ), all’epoca due città decisamente ostili alla destra, ma non era accaduto nulla.

    Ma perché Michelini, De Marzio, Almirante, Romualdi volevano in quel momento il congresso nazionale? Per far conoscere alle forze politiche, sociali, culturali, alla gente della strada, che il Msi aveva da tempo intrapreso la strada del confronto con gli altri partiti.

    Nella mozione ( “Inseririsi per rinnovare” ) che sarebbe stata sottoposta ai delegati, veniva sancito il rispetto del metodo democratico e l’osservanza della Costituzione che, nel tempo, si poteva anche modificare.
    Il documento ( nelle parti più essenziali) , elaborato da tutte le correnti del partito, era stato approvato all’unanimità dal comitato centrale del partito nella seduta del 14 maggio. Nel corso del dibattito le uniche critiche erano state avanzate da Clemente Manco , Domenico Leccisi ( ambedue deputati) e Giuseppe Niccolai che mal digerivano la posizione troppo “morbida” del Msi nei confronti della Dc. Ma la protesta era rientrata quando si era trattato di votare la linea politica di Michelini.

    Sembrava quindi che la politica moderata del segretario missino venisse premiata. E’ necessario però sottolineare che il progetto micheliniano poteva realizzarsi compiutamente se i liberali e i monarchici avessero accettato l’invito del Msi per la costituzione di una grande destra. Una destra non solo missina, dunque, ma forte del consenso di due partiti che facevano parte dell’”arco costituzionale”. Monarchici e liberali, infatti, avevano partecipato anche se in misura ridotta rispetto alle sinistre alla Resistenza. Già da allora, se liberali e monarchici non avessero lasciato solo il Msi, sarebbe nato il bipolarismo.

    Ma se il congresso fosse stato indetto a Roma o a Bari o in qualche altra località ritenuta più sicura, si sarebbero verificati gli incidenti di Genova ?
    Riteniamo di sì. Il luogo era ininfluente. I “ fascisti” del Msi che “offendevano” la città di Genova “medaglia d’oro della Resistenza” servivano da pretesto per rovesciare il governo Tambroni che, a parere del Pci e dei socialisti, e di gran parte della Democrazia cristiana ormai orientata a sinistra sotto la spinta di Fanfani e di Moro, poteva ritardare la “ svolta a sinistra”.

    Una “ svolta a sinistra” che ormai era vista di buon occhio sia dagli Stati Uniti che dal Vaticano dove , dopo un’accesa contesa tra cardinali conservatori e progressisti, avevano prevalso i secondi, sostenuti dal pontificato di Giovanni XIII. Gli americani speravano che l’ingresso dei socialisti nel governo, avrebbe definitivamente sancito la rottura tra Pci e Psi che, sin dalla rivolta di Budapest contro i sovietici, aveva preso le distanze dai comunisti.
    Le conseguenze dello scivolone di Genova non si fecero attendere. Michelini dovette fronteggiare l’assalto dell’opposizione interna, guidata da Almirante mentre alla sua destra si rafforzò Ordine Nuovo di Pino Rauti ( da tempo uscito dal partito) e nacquero piccoli ma agguerriti gruppi extraparlamentari, come Avanguardia nazionale di Stefano delle Chiaie.

    Nel 1963 ( Roma, Eur ) e nel 1965 ( Pescara ) si svolsero due accesi congressi nazionali, caratterizzati da scontri politici ma anche fisici.
    Altri dirigenti e numerosi iscritti abbandonarono il Msi. Ma Michelini restò saldamente in sella, anzi si rafforzò ulteriormente.

    Si arrivò alla contestazione del ’68. Michelini (con la stragrande maggioranza della classe dirigente anche giovanile ) , dimostrò subito la sua ostilità a quella “rivolta” che considerava pericolosa. La sua preoccupazione : che un “partito d’ordine” quale il Msi si lasciasse sedurre dalla protesta “anarchica”, “incontrollabile”, “ demagogica”, “pilotata dai comunisti”.
    L’atteggiamento della destra, in quella occasione, ovviamente a nostro parere, fu estremamente miope. Ma discuterne ora richiederebbe tempo e… spazio.

    Accame ha rammentato che l’atteggiamento dei giovani non era certamente benevolo nei confronti del segretario missino. In particolar modo chi era tornato dai campi di concentramento o dalla Repubblica sociale italiana ( tanti ragazzi si erano arruolati anche a 16 – 17 anni) , non concepiva, né tollerava la politica micheliniana, pragmatica, tollerante, aperta al dialogo con le altre forze politiche, favorevole agli accordi con i liberali o con i monarchici ai quali si rinfacciava l’atteggiamento di Vittorio Emanuele III nei confronti di Mussolini nel luglio 1943, l’armistizio dell’8 settembre, la fuga da Roma…
    Ma Michelini, che non aveva ricoperto che modesti incarichi nel Partito nazionale fascista e non aveva aderito alla Rsi, guardava al presente. C’è da notare che in precedenza era partito volontario per la Spagna e quindi per Russia, guadagnandosi sul campo anche una medaglia d’argento al valore militare e quattro croci di guerra. Non era dunque un “pusillanime” ma un valoroso, coraggioso combattente.

    A suo parere solo l’alleanza del Msi con altre componenti “costituzionali” della destra e con settori moderati, avrebbe potuto fare uscire dal pantano il partito. Chi avversò questo progetto, non per motivi correntizi e quindi contingenti, ma per scelte ideali, furono specialmente tutti quei giovani che preferivano la lotta al sistema, la contrapposizione al regime discriminatorio e corrotto, la battaglia aperta contro il comunismo. L’ambiente culturale giovanile fu quello più intransigente nei confronti di Michelini. Basta scorrere i giornali e le riviste dell’epoca, di cui Accame ha accennato. Il segretario missino ne era sinceramente dispiaciuto. Ma i giovani “neofascisti” coltivavano l’illusione di un cambiamento radicale del sistema politico che, con una sanguinosa guerra civile, aveva stroncato i loro padri.
    Si sentivano, ci sentivamo “rivoluzionari”. Era un sogno. Un sogno che è stato pagato, anche sul piano personale, a durissimo prezzo.
    Il 15 giugno 1969, il male incurabile che lo aveva accompagnato per due lunghi anni, ebbe ragione della tempra fisica e morale di Arturo Michelini. Aveva soltanto 60 anni.

    Il giorno dopo un grande giornalista come Alberto Giovannini, direttore del “ Roma” rese il più significativo omaggio politico al leader missino che, con tenacia ed equilibrio, aveva tentato con esigui mezzi di cui disponeva, di trasformare un piccolo partito di reduci, di nostalgici del Ventennio, di neofascisti, di sconfitti, in una grande e moderna forza politica: “ Michelini è stato per oltre venti anni praticamente alla testa della formazione più discussa ed inquieta. Non solo ha saputo tenerla fermamente in mano ( una mano sostanzialmente di ferro nel tradizionale guanto di velluto) in tutti i frangenti anche i più delicati, evitando in tal modo che le ondate – sempre pericolose – di anarchismo si sprigionassero ( com’era da temere ) dalla tragedia dei vinti e perseguitati che concluse il secondo conflitto mondiale; ma l’ha trasformata, via via in una forza attiva e cosciente che – per tre legislature e in moltissime occasioni critiche – è stata determinante per l’equilibrio economico e sociale del Paese”.

    Almirante riprese la strada tracciata da Michelini nei primi anni Settanta. Lo dimostrano i variegati tentativi di formare una grande destra che potesse contrapporsi alla Democrazia cristiana e al Partito comunista. Ma, dopo il brillante successo elettorale del 1972 che faceva seguito alle affermazioni nelle amministrative dell’anno precedente, il Msi fu duramente attaccato dalla Dc e perseguitato dai settori politicizzati della magistratura. La destra postfascista fu costretta a ripiegare in trincea e a cambiare strategia politica.
    Dopo la teoria degli “opposti estremismi”, studiata a tavolino dall’ufficio affari riservati del Viminale per colpire destra ed estrema sinistra , iniziava la “ strategia della tensione” per puntellare chi deteneva il potere e per preparare l’accordo con il Pci. Come era accaduto nel passato, furono i giovani a subire le conseguenze della violenza e della ghettizzazione. Nel mezzo della bufera, si verificherà la dolorosa scissione del 1976, quando il Msi perderà gran parte della sua classe dirigente.

    Se ne andranno Gianni Roberti, Ernesto De Marzio, Gastone Nencioni, Raffaele Delfino, Massimo Anderson, Mario Tedeschi, Pietro Cerullo, Adriano Cerquetti… per costituire Democrazia nazionale, nella speranza di una “ destra più presentabile”, più democratica, più moderata, più conforme alla destra che voleva Arturo Michelini. Per sottrarla infine alla sanguinosa , strisciante guerra civile tollerata scientemente da chi allora governava il Paese.

    A questo punto mi fermo qui. Per valutare obiettivamente , senza pregiudizi e con onestà intellettuale gli eventi che hanno causato la scissione missina ( con le sue prevedibili , negative conseguenze), sarebbe necessario aprire all’interno della destra ( e quindi non solo dentro Alleanza nazionale) un dibattito serio e ponderato. Ma…

    Adalberto Baldoni

    http://www.cerchionapoli.it/4849/adalberto_baldoni.htm

  3. #3
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    LA STORIA SIAMO NOI
    Esuli in Patria. Storia del Movimento sociale Italiano


    Il Movimento Sociale Italiano nasce ufficialmente il 26 dicembre del 1946, nello studio dell’ex vicefederale romano, il ragioniere Arturo Michelini. Il 22 dicembre 1947 sarà promulgata la Costituzione repubblicana, dove al capo XII delle disposizioni transitorie e finali si legge: "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.". Il Movimento Sociale si presenta per la prima volta alle elezioni del 1948 e ottiene il 2,1 % alla Camera. I militanti del Movimento Sociale sono ex esponenti del regime fascista e sopratutto reduci della Repubblica Sociale Italiana e occorre partire da li per capire la genesi e le trasformazioni di questo partitoe più in generale la formazione della classe dirigente della destra italiana.

    L’atto di nascita della Repubblica di Salò è la carta di Verona (17 novembre 1943).

    Per chi ha vissuto quell’esperienza, la Repubblica Sociale di Salò è stato il tentativo estremo di difendere la dignità e l’onore della patria e la continuità dell’ideale fascista. Un tentativo vissuto sotto lo stretto controllo dell’occupazione nazista in Italia. Per molti ha rappresentato la possibilità di realizzare il fascismo delle origini, quello anticapitalista, antiborghese che rifiuta ogni compromesso, con una forte impronta sociale, anche se con forti accenti antisemiti e razzistici.

    Il Manifesto di Verona, emanato il 14 Novembre 1943, durante il primo congresso del Partito Fascista Repubblicano, (nato dalle ceneri del Partito Nazionale Fascista), rappresenta l'atto di nascita della Repubblica Sociale di Salò e ne definisce il programma politico e i principi. I 18 punti della carta dichiaravano decaduta la Monarchia e convocano una costituente.

    Si affermava che la base della Repubblica sociale e della dottrina economica del Partito Fascista Repubblicano è il lavoro (articolo 9); che la proprietà privata, frutto di lavoro e risparmio sarebbe stata garantita ma non si sarebbe dovuta per ciò trasformare in entità disgregatrice della personalità altrui sfruttandone il lavoro (articolo 10). Tutto ciò che era di interesse collettivo, da un punto di vista economico si sarebbe dovuto nazionalizzare (articolo 11). Nelle aziende sarebbe stata avviata e regolata la collaborazione tra maestranze e operai per la ripartizione degli utili e per la fissazione dei salari (articolo 12). In agricoltura le terre incolte o mal gestite sarebbero state espropriate e riassegnate a favore di braccianti e cooperative agricole (articolo 13). L'Ente Nazionale per la casa del popolo avrebbe avuto l'obbiettivo di fornire una casa in proprietà a tutti (articolo 15). Si sarebbe costituito un sindacato dei lavoratori, obbligatorio, e avrebbe riunito tutte le categorie (articolo 16). Ma all’articolo 7 anche che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.”

    Giano Accame: “ Sia la Repubblica Sociale che il Movimento Sociale, sono una conferma di questo fondamentale dato di dignità del nostro paese, non era possibile che quelle punte così elevate di consenso che circondarono il fascismo e Mussolini non rimanesse più niente. Qualcuno doveva testimoniare… Purtroppo la repubblica sociale era caduta in questa trappola delle rappresaglie “. Le rappresaglie dei fascisti contro i partigiani e la popolazione civile espressero troppo spesso una ferocia gratuita a dispetto dai principi contenuti nella Carta di Verona.

    L’amnistia Togliatti

    Durante i primi anni dell’Italia Repubblicana gli ex gerarchi fascisti vivevano in clandestinità ed erano latitanti ricercati dalla legge. Tra questi vi era Giorgio Almirante, che visse un anno e mezzo in clandestinità tra Milano e Torino facendosi chiamare Giorgio Alloni. Un altro latitante eccellente era Pino Romuladi , ex vicesegretario del Partito Fascista della Repubblica di Salò, il più alto in grado tra i gerarchi sopravvissuti alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, su di lui pendeva una condanna a morte.

    Il 22 giugno del 1946, Palmiro Togliatti, ministro della Giustizia del primo governo De Gasperi, vara la cosiddetta "amnistia Togliatti": è la prima amnistia della storia repubblicana. L'intenzione del leader comunista era quella di pacificare il paese, ma il provvedimento finì per tradursi in un vero e proprio colpo di spugna per migliaia di fascisti, compresi i responsabili dei crimini più efferati. Il segretario comunista aveva varato un'amnistia "bipartisan", che avrebbe dovuto comprendere anche i reati commessi dai partigiani ed escludere i reati peggiori, ma in realtà pochissimi uomini della resistenza beneficiarono del condono, mentre moltissimi criminali furono liberati per un vizio di formulazione del testo della legge.

    Togliatti, laureato in giurisprudenza, aveva scritto personalmente la legge, senza neanche farla correggere dagli specialisti. Questo errore di presunzione lasciò molto campo all'interpretazione estensiva della magistratura, composta da uomini anziani e che avevano fatto carriera sotto il regime fascista. Grazie alla formula dell'amnistia che prevedeva l'esclusione "degli autori di sevizie particolarmente efferate", i giudici poterono agevolmente interpretare il provvedimento in senso estensivo. Infatti la Corte di Cassazione di Roma amnistiarono persino chi aveva stretto nelle morse i genitali degli antifascisti perchè la tortura non era durata particolarmente a lungo.

    Circa diecimila persone beneficiarono del provvedimento soprattutto i gerarchi di più alto grado, che avevano i soldi a disposizione per pagare i migliori avvocati e per oliare i meccanismi della macchina giudiziaria. I 2/3 della base parlamentare del Msi sarà costituito da parlamentari amnistiati.

    La nascita del Movimento Sociale

    Il Movimento Sociale Italiano nasce ufficialmente il 26 dicembre del 1946, ma ha origine da piccoli gruppi di natura eversiva sempre sul crinale della legalità, che nascono sia nella zona occupata dai tedeschi che in quella controllata dagli alleati dando vita a una sorta di resistenza a rovescia, l'esempio più noto è quello del gruppo del principe Valerio Pignatelli della Cerchiara che organizza sabotaggi nelle retrovie alleate in Calabria. (Colarizi).

    La creazione vera e propria del partito è preceduta da un intenso dibattito su numerose riviste dell'area "post-fascista" che erano sorte in quel periodo "Rataplan", "Rosso e nero", "Senso nuovo", "Il pensiero nazionale", "Meridiano d’Italia", "Brancaleone", “Fracassa”, oltre al più noto e diffuso "Rivolta ideale" che diviene l'organo ufficioso del neonato partito, ma il MSI si afferma ben presto come il punto di riferimento di tutto l'ambiente nostalgico. Il Secolo d'Italia divenne ufficialmente giornale del partito solo nel 1963, quando l'allora segretario del MSI Arturo Michelini rilevò la società editrice del giornale, divenendone direttore. Il Secolo era stato fondato a Roma il 16 maggio 1952, come giornale indipendente di destra da Franz Turchi.

    Il Movimento Sociale si indirizza da subito verso una scelta di tipo legalitario, cercando d’inserirsi nel nuovo contesto politico. Il simbolo del partito, scelto nel 1947, è la "fiamma tricolore" l'emblema degli "arditi" della prima guerra mondiale. Nello stesso periodo viene promulgata la Costituzione Repubblicana (22 dicembre 1947), dove al capo XII delle disposizioni transitorie e finali si legge: "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.". La Costituzione entra in vigore il primo gennaio 1948. Il Movimento Sociale si presenta per la prima volta alle elezioni del l8 aprile del 1948 ottenendo il 2,1 % alla Camera.

    Domenico Fisichella: “ I missini erano persone che avevano fatto un certo tipo di scelta e avevano acquisito consapevolezza che l’Italia era cambiata, ma volevano, non restaurare, ma neanche dimenticare”.

    Il dibattito interno al Movimento sociale si articolò nella prima fase nello scontro tra tre principali correnti: quella rivoluzionaria dei socializzatori reduci di Salò; quella moderata corporativista e quella tradizionalista - spiritualista di Julius Evola dal primo congresso che si svolse a Napoli nel 1948 al quinto che si tenne a Milano nel 1956 dove la conflittualità del dibattito fra le componenti raggiunse il culmine.

    La legge Scelba

    La "riorganizzazione del disciolto partito fascista", già oggetto della XII disposizione transitoria della Costituzione italiana, diventa legge nel giugno del 1952 con la cosiddetta Legge Scelba, approvata dopo il risultato delle amministrative del '51 ' e ‘52, dove il Movimento Sociale in alleanza con i Monarchici riesce ad avere successi molto significativi soprattutto nel mezzogiorno. In alcune zone i missini riescono a privare la DC di quasi di un 7% dei voti, e ad ottenere quasi il 14%.

    L'articolo 4 sancisce il reato di “apologia di fascismo” commesso da chiunque: "fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità" di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure da chiunque "pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche".

    La legge detta norme bene precise: "quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista."

    Almirante versus Michelini

    Michelini è considerato dalla base del partito un benpensante, un uomo mite, mentre è Almirante a incarnare l’anima movimentista e carismatica. Michelini poi non aveva partecipato alla Repubblica Sociale di Salò.

    Nel 1946 Michelini propone al neonato MSI di allearsi con la Democrazia Cristiana e di avere una politica estera filo-statunitense, ma è messo in minoranza prima da Giorgio Almirante (col quale non aveva buoni rapporti) e poi da Augusto De Marsanich. Ma all'indomani delle elezioni politiche del 1953 (in cui il movimento raccolse il 5,8% dei voti) viene nominato segretario nazionale. Durante la sua segreteria cerca di far uscire il MSI dall'isolamento che si era venuto a creare, cercando alleanze prima con la DC, poi con il Partito Liberale Italiano e poi con i monarchici: in questa ottica deve essere visto l'appoggio dato al governo Tambroni.

    Nel 1956 Michelini accetta l'Alleanza Atlantica (NATO) e negli anni Sessanta si fece promotore di un'interpretazione corporativistica del capitalismo, che non venne comunque accettata dal centro-sinistra. Quando morì nel 1969 il partito affidò nuovamente l'incarico di segretario nazionale ad Almirante.

    Il governo Tambroni e i fatti di Genova

    Durante la segreteria di Michelini i voti in parlamento dell'MSI furono determinanti a garantire il sostegno ad un governo monocolore guidato dal democristiano Fernando Tambroni (25.03.1960 - 26.07.1960). Il MSI aveva già votato la fiducia ai governi Zoli e Segni II, ma stavolta il suo voto fu determinanto a sostenere l'esecutivo .

    All'inizio del mese di maggio del 1960 si diffuse la notizia che il Movimento sociale era in procinto di organizzare il suo congresso a Genova, città Medaglia d'Oro della Resistenza: la scelta di questa città da parte del movimento era intenzionalmente provocatoria. Da notare che presidente di quel congresso era stato nominato l'ex prefetto fascista Basile, fortemente indiziato di collaborazionismo con i nazisti. Immediatamente la protesta in Liguria esplose in manifestazioni e scioperi, ma a cavallo fra il giugno ed il luglio del 1960 vi furono anche in tutto il resto d'Italia violentissimi scontri di piazza con le forze dell'ordine. A Genova furono chiamati funzionari esterni della Polizia e dei Carabinieri ed i Reparti Celere si trovarono di fatto ad ingaggiare nei caruggi una sorta di guerriglia urbana coi manifestanti. I manifestanti stavano prendendo il sopravvento costringendo la Polizia a ripiegare e fu necessaria una soluzione politica per riportare l'ordine. Al MSI fu impedito di tenere quel congresso; gli scontri successivi, particolarmente a Roma e Palermo, non furono meno violenti e provocarono una decina di morti, culminando con la strage di Reggio Emilia il 7 luglio 1960. In seguito ai fatti di Genova il governo Tambroni fu costretto alle dimissioni il 26 luglio 1960.

    Nella contraddizione tra recupero della tradizione e spinta della modernità porta l’MSI a una crisi , alla morte di Michelini succede alla segreteria del partito Giorgio Almirante. Ma dopo la caduta del governo Tambroni e in seguito ai fatti di Genova, il MSI è emarginato dalla scena politica. Neanche il ritorno alla segreteria di Giorgio Almirante, riesce a migliorare questa situazione. In questo periodo viene coniata la locuzione "arco costituzionale" per indicare tutti partiti meno il MSI (la locuzione però si fondava anche sul rigetto, da parte del movimento, dei valori antifascisti contenuti nella Carta). Negli anni successivi il MSI sarà tenuto al bando dalla vita politica nazionale.

    http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/s...ta.aspx?id=381



    Michelini vs Almirante (video)

    http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=381

  4. #4
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    Arturo Michelini
    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


    Arturo Michelini (Firenze, 17 febbraio 1909 – Roma, 15 marzo 1969) è stato un politico italiano.

    Biografia

    Si avvicinò al fascismo durante la guerra civile spagnola (1936-1939) cui egli partecipò in favore delle truppe nazionaliste del caudillo Francisco Franco. Nominato al suo rientro vice-segretario del Partito Nazionale Fascista da Benito Mussolini, all'indomani dell'armistizio di Cassibile sostenne la Repubblica Sociale Italiana ed al termine della seconda guerra mondiale fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano.
    Nel 1946 propose al neonato MSI di allearsi con la Democrazia Cristiana e di avere una politica estera filo-statunitense. Messo in minoranza prima da Giorgio Almirante (col quale non aveva buoni rapporti) e poi da Augusto De Marsanich, all'indomani delle elezioni politiche del 1953 (in cui il movimento raccolse il 5,8% dei voti) venne nominato segretario nazionale. Durante la sua segreteria egli cercò di far uscire il MSI dall'isolamento che si era venuto a creare, cercando alleanze prima con la DC, poi con il Partito Liberale Italiano e poi con i monarchici: in questa ottica deve essere visto l'appoggio del Msi dato al governo Tambroni, che cadde in seguito ai fatti di Genova del 30 giugno 1960.
    Nel 1956 Michelini accettò l'Alleanza Atlantica (NATO) e negli anni Sessanta si fece promotore di un'interpretazione corporativistica del capitalismo, che non venne comunque accettata dal centro-sinistra. Quando morì, il partito affidò nuovamente l'incarico di segretario nazionale ad Almirante.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Arturo_Michelini

  5. #5
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    Autocritica su Arturo Michelini

    di Giano Accame


    Queste riflessioni, sollecitate da Giulio Rolando, prendono l’avvio dalla documentata e impegnativa ricostruzione storica su La Destra in Italia (1945- 1969) fatta da Adalberto Baldoni per l’Editoriale Pantheon. Chiudere il libro sul ’69 ha per Baldoni un senso ben preciso e non si riferisce alle più note vicende dell’autunno caldo. Per il Movimento sociale infatti quello è l’anno in cui, il 15 giugno, si spegne il segretario nazionale Arturo Michelini. E’ evidente da parte di Baldoni l’intenzione di tributargli un omaggio facendo ruotare intorno alla sua morte una periodizzazione nella storia della destra. Indotto a ripensarci mi rendo conto d’aver riservato a Michelini solo delle critiche quel paio di volte che ho scritto di lui. La prima volta fu su Rabula Rasa, una rivista che feci nel 1956 con Fabio De Felice, Cesare Pozzo, Mario Pucci e Roberto Melchionda. Non riesco ora a trovarla, ma ricordo d’aver criticato la classe dirigente missina per essersi gettata tra le braccia del segretario amministrativo sino a affidargli la guida del partito. Stava maturando in me già allora quell’insofferenza verso il potere del denaro, che mi avrebbe portato decenni dopo a scrivere un libro su Ezra Pound economista (Settimo Sigillo, 1995) e a teorizzare la “destra sociale”.

    Il Movimento sociale era stato fondato nel dicembre 1946 nello studio di Michelini, che ne divenne l’amministratore, ma non solo. Maneggiava i fondi del partito perché era proprio lui che li trovava, conoscendo di persona chi ne aveva. Disponeva d’entrature mancanti alla nuova classe dirigente composta in gran parte di giovani e di reduci spiantati, che s’affacciavano per la prima volta alla politica. Né il federale Ferruccio Lentini, né noi delegati di Savona riuscimmo a partecipare al primo congresso nazionale del Msi, perché non avevano i soldi per pagarci nemmeno il viaggio in terza classe fino a Napoli, sede del congresso. L’esempio credo serva a far capire quanto contasse un minimo di finanziamenti. Chi ne aveva la chiave poteva salvare le federazioni dallo sfratto, i loro telefoni dal rischio di venir staccati, oppure lasciare che sprofondassero nell’attesa d’una classe dirigente più capace di sbrigarsela o col suo aiuto o senza. Il segretario nazionale amministrativo capitalizzava motivi di riconoscenza da parte di quei dirigenti periferici che giudicava meritevoli d’essere salvati dai debiti, procurandosi i consensi per la scalata alla massima carica politica. Ma l’autorevolezza gli veniva anche dal buon senso d’una scherzosa, sorridente intelligenza pratica, che incuteva fiducia. Piaceva la finta modestia delle sue battute da ora dell’aperitivo al bar: <Poco se mi considero, molto se mi confronto>. Con Enzo Erra persino la corrente giovanile d’ultradestra, detta dei “figli del Sole”, s’avvicinò piuttosto a lui che ad Almirante e gli mise alle costole, come elemento di collegamento Gheddo Formisano, un ragazzo intelligente, attivo, che in breve diventò il suo inseparabile fidato segretario.

    La seconda critica che mossi a Michelini riguardava non tanto lo sfortunato congresso di Genova del 1960, quanto un precedente “errore” politico da cui s’innescarono i disordini da cui venne impedito. Sono cose che ho scritto in Una storia della Repubblica (Bur Rizzoli 2000) e di lì riprendo. Tutto partì da una scissione della Democrazia cristiana in Sicilia che nel 1958 permise agli opposti estremismi (missini e comunisti sino a allora ghettizzati) d’entrare nella giunta regionale presieduta da Silvio Milazzo, composta da tre assessori democri­stiani come lui dissidenti, quattro monarchici, due missini (di cui uno, il poeta Dino Gramma­tico, che da studente durante la guerra era stato condannato a morte per aver partecipato a azioni di resistenza contro gli angloamericani), un indipendente di destra eletto nelle liste del Msi, un socialista e un indipendente di sinistra eletto nelle liste del Pci. Il dosaggio fu quindi aperta­mente favorevole alle destre, ma Togliatti alla Camera il 6 dicembre 1958 avallò egualmente le convergenze che si sono determinate. Esse hanno dato luogo alle so­lite inette arguzie sul comunista e sul missino che si stringono la mano, si abbraccia­no e così via. Si tratta di un problema di fondo, che deve essere riconosciuto e ap­prezzato in tutto il valore. Noi ci auguriamo che gli uomini che in Sicilia si sono uniti per difendere l'autono­mia dell'Isola e realizzare migliori condizioni di esistenza per il popolo siciliano possano fare dei passi avanti e dichiariamo che daremo il nostro contributo attivo a che passi in avanti vengano compiuti, anche se qualcuno potrà rimproverarci di col­laborare, a questo scopo, con uomini che non appartengono al nostro partito né condividono la nostra ideologia.

    Era una mano tesa, che Michelini non colse. Si lasciò invece con­vincere dai democristiani a ritirare i suoi dalla giunta Milazzo contribuen­do a farlo cadere nel 1960. Essendo entrambi discriminati poteva convenire a missini e comunisti rivendicare insieme pieno diritto di cittadinanza democratica anziché esasperare la gara che hanno poi proseguito, ciascuno tentando d’intessere rapporti con la Dc, chi in nome dell'anticomunismo e chi in nome dell'antifascismo. I missini non si sarebbero probabilmente trovati allo sbaraglio nel luglio 1960 a Genova, se a Palermo avessero mantenuto ancora il Pci in condizione d'in­teresse a prolungare la tregua iniziata con la convergenza sulla giunta Milaz­zo. Se l’ipotesi può sembrare stravagante, ma l’ho colta e fatta mia da una ricostruzione di Carlo Pinzani per la Storia d’Italia delle edizioni Einaudi. Tra i motivi di carattere contingente che scatenarono i fatti di Genova anche a Pinzani non sembrò azzardato individuarne uno nella fine dell'etero­genea alleanza politica che sosteneva la giunta Milazzo in Sicilia, determinatasi proprio nel marzo del 1960, in mezzo a confuse manovre politiche ed esperimenti, tra i quali vi era stato anche quello di una giunta di centro-sinistra. Finalmente, la Democrazia cristiana siciliana si era orientata per una giunta di centro-destra, liberando così sul piano nazionale i partiti di sinistra, e in particolare i comunisti, dalle re­more derivanti dall'esperienza siciliana>. Riconosco tuttavia che questa tesi riflette le mie inclinazioni trasversali (una decina d’anni dopo il milazzismo mi si riaffacciarono con la contestazione giovanile), che non tutti erano tenuti a condividere. Credo sempre più necessario rompere gli schemi di destra e sinistra per tentare nuove sintesi politiche, ma mi rendo conto che non è affatto facile. Ci riuscirono d’Annunzio a Fiume (vedi il bel libro di Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume, il Mulino 2002) e Mussolini, ma in situazioni eccezionali, che non si ripresentarono ai tempi del Msi, e con capacità particolari, che né Michelini né dopo di lui Giorgio Almirante, se anche avessero voluto tentare, non presunsero d’avere. Sapevano di rappresentare un mondo sconfitto e Almirante lo fece con straordinaria maestria nella parola, Michelini tentando di far politica alleandosi con la destra Dc. Per far politica i tempi erano peraltro prematuri non solo nel ’60, ma anche anni dopo quando Ernesto De Marzio e Raffaele Delfino ci riprovarono con Democrazia nazionale. Per arrivare a Alleanza nazionale c’è voluto prima mezzo secolo a leccarsi le ferite della guerra. Nel rimproverare ai capi missini d’aver fatto o non aver saputo fare certe cose, occorre chiedersi se in quelle condizioni era possibile agir diversamente da come decisero d’agire o non agire.

    http://www.cerchionapoli.it/47/Michelini.htm

  6. #6
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    Arturo Michelini e la destra missina

    di Piero Vassallo


    (…)

    Il Msi era di fronte a due ipotesi di lavoro: costituirsi come movimento (“rivoluzionario”) e rivolgersi alla sinistra (in ultima analisi al salotto azionista e alla massoneria), oppure agire come partito dell’autentica tradizione nazionale ed influire sulla Dc, nel tentativo di obbligarla ad una politica coerente con la tradizione italiana.

    Arturo Michelini, sostenuto da Augusto De Marsanich, Nino Tripodi, Gianni Roberti, Carlo Costamagna, Ernesto De Marzio, Nicola Foschini, Pino Romualdi, Filippo Anfuso, Vanni Teodorani, Gioacchino Volpe, Julius Evola e dai più brillanti esponenti del raggruppamento giovanile (Enzo Erra, Fausto Belfiori, Fausto Gianfranceschi, Gianfranco Legittimo, Fabio De Felice, Carlo Casalena, Giano Accade, Roberto Melchionda, Piero Buscaroli, Bartolomeo Zanenga, Primo Siena, Augusta Ribotta, Vittorio Sardella, Carlo Amedeo Gamba, Edoardo Formisano, Roberto Garufi, Franco Zusic, Sergio Pessot, Giovanni Frangini, Arturo Bellissimo, Massimo Anderson, Franco Dragoni, Pinuccio Tatarella, Amleto Ballerini, Domenico Mennitti, Giancarlo Zonghi) tentò la costruzione di una grande destra, capace di influire sulla Dc e di piegarla alla strategia ispirata da Pio XII. Giorgio Almirante, Angelo Tarchi, Ernesto Massi, Goffredo Olivari, Manlio Sargenti, Franco Servello, Alfredo Cucco, Dino Grammatico, Ivo Laghi, Castrenze Civello, Umberto Guglielmotti, Pino Rauti, Giuseppe Niccolai, Francesco Palamenghi Crispi, Franz Maria D’Asaro, Mirko Tremaglia, Giorgio Pisanò, Massimo Aureli, Silverio Bacci, Gabriele Moricca, Giorgio Pini, Giuseppe Tricoli, Giovanni Fettarappa Sandri, Nino Capotondi, Sergio Bozzoli, Alberto Donadio, Marcello Perina, Paolo Andriani, Luciano Lucci Chiarissi, Mauro Ravenna, si attestarono sulla linea della più rigida e astratta intransigenza “ideale”.

    Entrambe le soluzioni incontravano però l’ostacolo dei due grandi partiti antifascisti, eredi, a modo loro, del deprecato ventennio. Ma la soluzione di destra moderata, oltre che rappresentare la continuità con le scelte realistiche di Mussolini, aveva un aperto sostegno in Pio XII, nei Comitati Civici e in Luigi Sturzo, le autentiche fonti del prestigio e del potere democristiano. Il sussiegoso politologo Ernesto Galli della Loggia ha svalutato pesantemente la strategia politica elaborata dalla corrente moderata del Msi, che perseguiva l’alleanza con la Dc, in sintonia con la curia vaticana, i Comitati Civici e Don Sturzo. Nell’intervista sulla destra dimostra di non aver capito la posta che era in gioco: Michelini, infatti, è definito clericofascista, e “il più tipico portatore d’acqua alla Dc. Ha ridotto i fascisti ad ascari del potere democristiano, fino a che Almirante ha guidato la riscossa in nome della fedeltà agli ideali fascisti”. Curiosamente, Della Loggia afferma una tesi identica a quella di Pino Rauti e degli estremisti del vecchio Msi, ferocemente avversi al realismo politico di Michelini. E proclama la sua tesi proprio nel momento in cui la destra italiana è vincente in forza di una scelta di campo, che era stata anticipata da Michelini e non da Almirante. In realtà, Michelini interpretava con grande equilibrio i valori della tradizione italiana e del realismo mussoliniano. Benché i suoi spocchiosi avversari lo denigrassero come una persona incolta, egli dimostrò di possedere saggezza e moderazione. Alberto Giovannini, il più equanime tra i sostenitori della destra, riconobbe alla segreteria micheliniana il merito di aver evitato che dalla tragedia dei vinti perseguitati si sprigionassero ondate di anarchismo: “Michelini ha trasformato il Msi in una forza attiva e cosciente, che per tre legislature e in molte occasioni critiche è stata determinante per l’equilibrio economico e sociale del Paese”.

    La lungimirante politica micheliniana incontrò enormi difficoltà, a cominciare dalla composizione del vertice democristiano, nel quale militavano uomini rancorosi, attaccati alla passione antifascista e, quel che era peggio, incapaci di comprendere la Santa Sede, ai loro occhi colpevole della scelta concordataria che aveva premiato Mussolini, emarginato De Gasperi e penalizzato duramente i modernisti.

    La politica di Michelini era tuttavia l’unica dotata di senso e di futuro. La politica di sostegno alla Dc era in grado di legittimare, con quarant’anni di anticipo, la destra italiana e facilitarne l’inserimento nella normalità democratica. Non si può dimenticare che la legittimazione del Msi era più facile dopo il 1948 che nell’anno del congresso di Fiuggi; l’antifascismo, infatti, si diffuse al centro e si trasformò in ideologia “consociativa” solamente dopo il 1960.

    La scelta di una politica impegnata a “sfondare a sinistra”, lo ha dimostrato a posteriori l’esito rovinoso della segreteria di Rauti, era invece soffocata nella morsa dell’illogicità e dell’infedeltà allo spirito del Mussolini statista. Non a caso l’ascesa della sinistra missina fu accompagnata dalla diffusione di una cultura tendente a screditare il fascismo italiano e a sostituirlo con suggestioni ellenistiche e indiane della Germania wagneriana, nietzschiana e hitleriana.



    Tratto da Piero Vassallo, Le culture della destra italiana, edizioni Effedieffe

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    La riflessione politica di Arturo Michelini a mio dire è stata molto importante per la destra Italiana. Assieme all'Almirante della Destra Nazionale rappresenta uno dei personaggi che hanno tentato di costruire una Destra autenticamente conservatrice e pienamente di Destra in Italia, tentativo concretizzato dal congresso di Fiuggi e da AN,ma tradito dalla scellerata leadership di Fini che al posto di mettersi a fare la Destra preferisce rincorrere i progressisti sul loro terreno di tolleranza,diritti e buonismo. Apprezzo molto la riflessione di Michelini quando dice che lo statalismo non ha nulla di sociale,ciò è perfettamente vero,lo statalismo per la Destra è stato sempre un male.

 

 

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