Siamo ora nel bel mezzo della più grande crisi economica e finanziaria dagli anni ’30 del secolo scorso. In un mondo che ha le potenzialità per produrre abbastanza cibo, vestiario, abitazioni e altre amenità di vita per tutti, le fabbriche stanno chiudendo, i lavoratori vengono licenziati, la disoccupazione sta crescendo, le case vengono espropriate e la gente deve tirare la cinghia. Ci sono infatti già ufficialmente registrati 16 milioni di disoccupati nella UE. All’esterno dell’Europa la situazione è peggiore e la gente sta insorgendo perché non può permettersi perfino le necessità di vita fondamentali.
Il capitalismo nei periodi relativamente “buoni” è già abbastanza dannoso, ma in una crisi economica mostra chiaramente a tutti che non è un sistema adeguato per venire incontro ai bisogni della gente. È un sistema basato sulla ricerca di profitti, dove prevale la severa legge economica del “niente profitto, niente produzione”. È perché l’avventata ricerca di profitti ha portato a una situazione in cui non è possibile fare profitti allo stesso tasso di prima che quelli che possiedono e controllano i luoghi dove la ricchezza viene prodotta sono entrati in sciopero – impedendo che questi luoghi siano usati per produrre ciò di cui le persone hanno bisogno, alcune disperatamente. Cosicché, come negli anni ’30, è ancora la povertà ad avere la meglio sulla potenziale abbondanza. Tagli nella produzione accanto a bisogni non soddisfatti. Perché dovremmo sopportare tutto questo?
Ma quello è il modo in cui il capitalismo funziona, e deve funzionare. I politicanti al governo non sanno veramente cosa fare, non che possano fare molto per cambiare la situazione, comunque. Sperano soltanto che le misure antipanico che hanno preso funzioneranno. In Gran Bretagna il governo laburista sta facendo scelte per uscire dalla crisi che sono già state provate in passato e che non hanno mai funzionato. La crisi finirà soltanto quando le condizioni per la produzione proficua saranno state ricreate, e ciò richiede che le retribuzioni reali diminuiscano notevolmente e che le imprese che non producono profitti falliscano. Quindi non c’è modo di evitare i fallimenti, i tagli e i licenziamenti, qualsiasi cosa faccia il governo.
Cosa può essere fatto? Niente all’interno del sistema del profitto. Esso non può essere riparato, quindi deve essere terminato. Ma questo è qualcosa che dobbiamo fare noi stessi. I politicanti di carriera, con le loro vuote promesse e futili misure, non possono fare niente per noi. Abbiamo la necessità di organizzarci per passare a un nuovo sistema dove i beni e i servizi sono prodotti per venire incontro ai bisogni della gente. Ma possiamo produrre ciò di cui abbiamo bisogno solamente se controlliamo i luoghi di produzione. Quindi questi devono essere tolti dalle mani degli individui ricchi, delle società private e degli stati che ora li controllano, per farli diventare l’eredità di tutti, sotto il nostro controllo democratico.
In breve, il socialismo nel suo significato originale (che non ha niente a che fare con il capitalismo di stato fallimentare che esisteva in Russia o con quello che esiste ancora oggi in Cina e Cuba) ossia una società basata sulla proprietà comune, sul controllo democratico e sulla produzione per l’uso non per il profitto, con i beni e i servizi disponibili secondo il principio “da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni”.
(Traduzione da Socialist Standard, gennaio 2009)