Parte 5
A vero dire i conquistatori hanno lasciata qualche speranza alle loro vittime mostrando l'intenzione di concedere loro i resti e le briciole del proprio banchetto; quel banchetto dal quale essi li avevano cacciati con tanta violenza a fine di potervi imbandire un festino per le arpie dell'usura. Ma l'aver distolti gli uomini da una condizione di indipendenza costringendoli a vivere d'elemosina, è di per sé una grande crudeltà. Quella che potrebbe essere una condizione tollerabile per una certa categoria di uomini non avvezzi a condurre altro genere di vita, può divenire una condizione miserabilissima allorché tutte le circostanze abbiano subìta una alterazione rivoluzionaria, e tale che la coscienza di un uomo onesto si rifiuterebbe di proporre a titolo di condanna fuorché nel caso in cui l'imputato meritasse una punizione capitale. Ma per molta gente la degradazione e l'infamia costituiscono una pena peggiore della morte. Senza dubbio è una aggravante immensa di questa sofferenza crudele, per quelle persone a cui spetta un doppio riguardo in favore della religione, vuoi per motivo di educazione vuoi per il posto che tengono nelle funzioni amministrative, il fatto — dico — che queste persone debbano raccattare i residui del loro patrimonio, a guisa, di elemosine, dalle mani empie e profane di coloro da cui hanno subito un saccheggio generale delle loro proprietà; con questo, che il sussidio non avviene già in forza di caritatevoli contribuzioni dei fedeli ma per la degnazione insolente di un ateismo riconosciuto e confessato, così da commisurare il mantenimento della religione alla stregua del disprezzo in cui essa è tenuta, e col proposito di rendere coloro che ricevono tali sovvenzioni avviliti e degradati nella stima dell'umanità intera.
Senonché quest'atto di confisca della proprietà costituirebbe, a detta di quegli individui, il risultato di un giudizio legale e non un procedimento di confisca. Essi vogliono far credere che siano stati scoperti negli archivi del Palais Royal e del Club dei Giacobini documenti comprovanti come determinate persone non abbiano diritto di possedere ciò che da un migliaio d'anni stava in loro proprietà secondo uso ininterrotto, riconoscimento giuridico, ratifica delle Corti e prescrizioni accumulate. Sostengono che gli ecclesiastici sono persone fittizie, creature dello Stato, che a loro talento essi possono annullare ed a maggior ragione limitare come a loro piaccia in ogni singolo attributo. E sostengono pure che i beni da questi posseduti non sono veramente di loro proprietà, ma appartengono allo Stato il quale crea la finzione giuridica; e che conseguentemente noi non ci dobbiamo preoccupare di ciò che essi possono soffrire nelle loro persone fisiche in riguardo a ciò che concerne la loro condizione giuridicamente fittizia. Nulla importa dunque sapere sotto qual nome e titolo voi ingiuriate e private dei legittimi emolumenti professionali uomini ai quali tale provento era stato attribuito non soltanto per concessione dello Stato, ma anzi dietro esplicito incoraggiamento di esso, sicché fondandosi sulla garanzia degli emolumenti così accordati essi avevano organizzato il sistema della loro vita, contratte obbligazioni e impegnato una moltitudine di gente a vivere alle proprie dipendenze.
Voi non crederete, o Signore, che io arrechi tanto onore al sofistico argomento che pretende distinguere le due personalità, così da spendergli attorno una lunga discussione. Sono altrettanto spregevoli gli argomenti addotti dalla tirannia quanto spaventosa, è la forza esercitata da essa. Se i vostri confiscatori non si fossero anticipatamente impossessati, a furia di delitti precedenti, di una potestà capace d'assicurare un indennizzo a tutti i crimini dei quali fino a questo momento si sono resi responsabili e che anche in avvenire potranno commettere, non sarebbe il sillogismo del filosofo ma la sferza del giustiziere quella che varrebbe a confutare le sofistiche ragioni addotte a complicità dei furti e dei massacri. I tiranni sofisti di Parigi si scagliano nelle loro declamazioni contro i tiranni regi che nei tempi antichi hanno vessato il mondo. Si permettono di essere tanto audaci solo perché si sentono al sicuro dalle prigioni e dalle gabbie di ferro di cui si valevano i loro antichi maestri.
Dovremmo noi essere più teneri verso i tiranni del nostro tempo, quando li vediamo sotto i nostri occhi perpetrare infamie peggiori di quelle antiche? Non agiremmo noi con la medesima libertà da loro dimostrata, dal momento che avessimo la stessa sicurezza di immunità, e per dire onestamente la verità, non dovessimo far altro che disprezzare le opinioni di coloro i quali con le loro azioni suscitano il nostro aborrimento?
La violazione compiuta contro il diritto di proprietà fu dissimulata e giustificata in un primo tempo sotto un pretesto che, riguardo al sistema generale della loro condotta, doveva riuscire stupefacente al massimo grado: l'interesse della fede nazionale. I nemici dichiarati della proprietà affettavano di nutrire la più tenera, delicata e scrupolosa ansietà a fine di mantenere gli impegni che la monarchia aveva contratti verso il credito pubblico. Questi dottrinari dei Diritti dell'Uomo sono tanto occupati nel dar lezione agli altri, che non hanno più la possibilità di imparare niente per sé; altrimenti avrebbero saputo che il primo ed originale impegno contratto dalla società civile doveva esser mantenuto nei riguardi della proprietà privata dei cittadini, più ancora che di fronte ai reclami dei creditori dello stato. In questo caso le pretese del cittadino presentano una priorità in ordine di tempo, una superiorità in via di diritto, una prevalenza in linea di equità. I patrimoni individuali, siano essi posseduti in forza di acquisto o di discendenza ereditaria o per virtù di una partecipazione ai beni di una comunità, non fanno parte né esplicitamente né implicitamente della ricchezza vincolata in garanzia, dei detti creditori.
Queste idee non entrarono minimamente nella loro testa quando essi compirono il contratto. Essi sapevano molto bene che il pubblico, sia rappresentato da un monarca o da un'Assemblea legislativa, non può ipotecare niente altro se non le rendite pubbliche; e non si possono dare rendite pubbliche se non con la levata di un'imposta distribuita in giusta proporzione sulla massa dei cittadini. Solamente questo poteva costituire un impegno, e nessun'altra cosa, verso il creditore pubblico. A nessuno è lecito dare in ipoteca la sua propria ingiustizia in pegno di fedeltà.
È impossibile fare a meno di aggiungere qualche osservazione intorno alle contraddizioni causate dall'estremo rigore e dall'estrema rilassatezza della nuova fede pubblica, che ha influito su queste deliberazioni non in conformità alla natura dell'obbligazione ma secondo le qualifiche individuali di coloro che in essa si erano impegnati. Nessuno fra gli atti compiuti dall'antico governo dei re di Francia è stato ritenuto valido dall'Assemblea Nazionale, eccettuati gli impegni di carattere finanziario, cioè proprio quelli che fra tutti presentavano il grado minimo di legalità. Tutti gli altri atti compiuti dal governo regio sono stati considerati in una luce così odiosa che l'avanzare pretese di diritto fondandosi sull'autorità dei medesimi viene riguardato come una specie di delitto. Una pensione che sia accordata a titolo di compenso per un servizio reso allo Stato costituisce certo un motivo di proprietà altrettanto valido quanto quello delle garanzie accordate contro prestazione di denaro allo Stato. Diremo anzi che esso è un titolo più forte; giacché il denaro viene pagato, e ragionevolmente pagato, appunto a fine di ottenere tali servizi. Ma noi abbiamo visto precisamente a questo riguardo una grande quantità di gente, la quale in Francia non era mai stata privata dei propri benefici neppure dai ministri più arbitrari, nei tempi più arbitrari, essere stata inesorabilmente defraudata proprio da quell'Assemblea che aveva proclamati i Diritti dell'Uomo. Coloro si provarono a reclamare quel pane che a prezzo del loro sangue avevano guadagnato; ma fu loro risposto che i servizi da loro resi non erano resi al regime oggi esistente.
Cotale rilassatezza nella fede e nel sentimento pubblico non si limita soltanto ai casi di quei disgraziati individui. L'Assemblea, con una coerenza che deve esserle riconosciuta, è ora meditatamente impiegata a decidere fino a qual limite essa abbia a ritenersi obbligata in forza dei trattati internazionali stipulati con altre nazioni sotto il governo precedente; e il Comitato deve decidere quali di questi trattati dovranno essere ratificati e quali no. Per tal modo l'impegno di fedeltà verso gli stranieri presenta lo stesso grado di vergine illibatezza che quello contratto dal governo nei rapporti interni.
Non è facile comprendere in base a quale principio logico l'antico governo del Re non debba aver avuto, in virtù delle proprie prerogative, tanto il potere di remunerare i pubblici servizi e stringere trattati, quanto il potere di impegnare verso i creditori le rendite pubbliche di carattere attuale e anche potenziale. La disponibilità del tesoro pubblico è la minore fra tutte le prerogative riconosciute al Re di Francia e a qualunque altro sovrano europeo. Il pegno stabilito sulla rendita pubblica implica l'esercizio del dominio sovrano nel senso più ampio sul pubblico tesoro. Questo diritto è assai più esteso che quello di imporre una tassazione in modo temporaneo ed occasionale. E per verità gli atti esercitati in nome di questo potere, che è un potere pericoloso (secondo le caratteristiche che distinguono tutte le attività di un dispotismo illimitato), sono i soli che si siano ritenuti come sacri. Da che nasce questa preferenza data da un'assemblea. democratica a un genere di proprietà che deriva il proprio titolo dalla più critica e perniciosa attribuzione della autorità monarchica? La legione non può fornire alcun criterio per giustificare gli atti incoerenti; né il favore partigiano può essere giustificato secondo principi di equità. Ma l'incoerenza e la partigianeria che non ammettono giustificazioni di sorta, non sono per questo prive di una loro causa particolare; e non credo sia difficile scoprire quest'ultima.
In conseguenza del vasto debito contratto dalla Francia si era gradualmente venuto accumulando un'enorme interesse che traeva con sé un grande potere. Per gli antichi usi che prevalevano in codesto reame la circolazione generale della proprietà, e particolarmente la mutua convertibilità della terra in denaro e del denaro in terra, ha sempre incontrato motivi di ostacolo. I fedecommessi famigliari molto più serrati di quanto non siano in Inghilterra; jus retractus; la grande massa della proprietà fondiaria appartenente alla Corona, ritenuta inalienabile secondo un principio del diritto francese; la grande estensione della manomorta ecclesiastica; tutte queste circostanze hanno fatto sì che gl'interessi della proprietà fondiaria e quelli del capitale fluttuante fossero in Francia più separati, meno adatti a fondersi, rendendo i proprietari di queste due distinte specie di ricchezza meno ben disposti reciprocamente di quanto non avvenga in Inghilterra.
Il popolo per gran tempo ha guardato di malocchio i detentori del capitale monetario, intuendo che vi era connessione tra le ragioni di quest’ultimo e quelle che determinavano le miserie dei poveri, aggravandole pure. I capitalisti erano anche oggetto di invidia da parte degli antichi proprietari terrieri, un po' per le medesime ragioni che rendevano i primi odiosi al popolo, ma molto più per il fatto che quei primi facendo ostentazione di splendore e di lusso eclissavano le diseredate genealogie e le nude insegne araldiche di parecchie famiglie nobiliari. Anche quando la nobiltà, che rappresenta il più costante fra gli interessi terrieri, per via di matrimoni si metteva, come sovente accade, in rapporto con l'altra categoria, pareva che il denaro salvando dalla rovina la famiglia nobiliare venisse però a contaminarla degradandone il prestigio. In tal modo le inimicizie ed i rancori delle due parti venivano fomentati proprio da quegli stessi motivi, che ordinariamente determinano la cessazione delle discordie trasformando l'ostilità in amicizia. Nel medesimo tempo l'orgoglio dei nuovi ricchi, che non avevano nobiltà o ne avevano una affatto recente, aumentava colla ragione medesima che lo aveva determinato. Questi uomini si risentivano di fronte a una taccia di inferiorità di cui non riconoscevano il fondamento. Non vi era limite di reazione al quale essi non fossero pronti ad arrivare pur di vendicare gli oltraggi inflitti loro dall'orgoglio avversario e dì esaltare per contro il valore della ricchezza fino a quel grado di dignità che essi ritenevano dovuto ad essa. È appunto questa categoria d'uomini che ha colpito la nobiltà attraverso la corona e la chiesa. Attaccarono l'avversario da quel lato che ritenevano particolarmente vulnerabile, vale a dire i possessi della chiesa, che attraverso il patronato della corona venivano generalmente devoluti alla nobiltà; giacché le prebende vescovili e le grandi abbazie beneficate erano, salvo eccezioni, nelle mani della nobiltà.
In questa situazione di sostanziale, quantunque non sempre manifesto, stato di guerra tra l'antica proprietà fondiaria nobiliare e la nuova classe capitalistica, le forze preponderanti e le ragioni più dirette stavano nelle mani di quest'ultima. La quale per intrinseca natura è più adatta ad ogni avventura essendo gli uomini che la compongono meglio disposti ad ogni sorta di nuove intraprese. Essendo formata da poco, questa classe cede più naturalmente alla seduzione di qualsiasi novità. E per questo chiunque voglia intraprendere dei cambiamenti ricorre più facilmente ai detentori della ricchezza fluttuante.
Insieme con la detta classe di capitalisti una nuova categoria di uomini cominciava a sorgere, con la quale la prima strinse una collaborazione intima e fattiva; alludo agli uomini di lettere interessati nella politica. Gli uomini di lettere, preoccupati di farsi notare, raramente si dimostrano contrari ai progetti innovatori. Fino al momento in cui cominciarono a declinare la vita e la grandezza di Luigi XIV, costoro cessarono di essere presi in grande considerazione o dal sovrano o dal reggente o dai successori alla corona; e non erano più accolti a corte con quei favori e con quegli emolumenti sistematici che furono in voga durante il periodo aureo di quel regno fondato sull'ostentazione, non senza accorgimento politico. Essi cercarono allora di compensarsi per quanto avevano perduto nella antica protezione di corte, organizzandosi da se stessi in una specie di corporazione; e non fu di piccolo aiuto in tale impresa l'unione delle due Accademie di Francia e poi la vasta intrapresa dell'Enciclopedia capitanata da una società di questi gentiluomini. La cabala letteraria aveva organizzato qualche anno addietro alcunché di simile ad un piano regolare inteso a distruggere la religione cristiana. Quei filosofanti perseguivano il loro oggetto con tal grado di zelo che fin qui non si era riscontrato fuorché nei propagatori di qualche sistema religioso. Erano invasi da spirito di proselitismo nella maniera più fanatica; e come conseguenza di questo, secondo una facile progressione, agivano con uno spirito di persecuzione adeguato alle loro possibilità. Ciò che per il conseguimento delle loro grandi finalità non poteva esser tatto mediante azioni dirette ed immediate, veniva preparato di lunga mano operando sull'opinione pubblica. Per comandare a questa opinione il primo passo da compiere è quello di stabilire un dominio sopra coloro che la dirigono. Essi cercarono dunque di impossessarsi, con pertinacia di metodo e grande perseveranza, di tutte le vie che menano alla gloria letteraria; molti di essi infatti giunsero ad occupare ranghi elevatissimi nelle lettere e nelle scienze. Il mondo ha reso loro giustizia dimenticando, per ossequio alla universalità del loro ingegno, le malvagie intenzioni a cui s'ispiravano i loro principi particolari. Fu questo un atto di pura liberalità al quale essi risposero cercando di accaparrare per sé e per i propri seguaci ogni reputazione culturale, artistica e letteraria. Io oserei credere che questo spirito circoscritto ed esclusivista non ha recato minor pregiudizio alle sorti della letteratura e del gusto che a quelle della scienza morale e della verace filosofia. Questi padreterni dell'ateismo hanno una loro speciale bigotteria ed hanno imparato a polemizzare contro i chierici proprio con la mentalità di chierici. Ma sotto certi altri aspetti si dimostrarono consumati uomini di mondo invocando le risorse dell'intrigo a supplire i difetti di argomento e di spirito.
A questo sistema di monopolio letterario si univa una spietata industria intesa ad avvilire e screditare in ogni modo e con qualunque mezzo tutti quelli che non facevano parte della loro camorra. A coloro che hanno osservato il motivo ispiratore della loro condotta, è apparso da lungo tempo manifesto che nulla mancava se non la possibilità materiale affinchè essi tramutassero l'intolleranza della lingua e della penna in una forma di persecuzione ai danni della proprietà, della libertà e della vita.
Le fiacche e temporanee persecuzioni che furono mosse contro questa schiera di scrittori, ispirandosi più a un disgusto per le violazioni della forma e della decenza che non a un'intenzione di severo risentimento, non valsero a fiaccare le loro forze né a rilassare la loro attività. La conseguenza di tutto questo fu che, vuoi a motivo della posizione succitata, vuoi a motivo dei successi ottenuti, si destasse in loro uno zelo violento e maligno del quale al mondo mai si era avuto esempio, sì che la mente di quegli scrittori né fu interamente posseduta rendendo l'opera loro, che altra volta sarebbe apparsa piacevole ed istruttiva, del tutto ripugnante. Uno spirito di mistificazione, di intrigo, di proselitismo, dilagò freneticamente nei loro pensieri, nelle loro parole e nelle loro azioni; e siccome lo zelo per la causa rivolse ben presto le loro idee verso l'impiego della forza, essi incominciarono ad insinuarsi presso principi stranieri ingaggiando corrispondenze. Speravano in tal modo che mediante l'autorità di essi, debitamente coperti di adulazione, fosse loro possibile conseguire quelle trasformazioni che avevano in vista. Era indifferente per loro che questi sovvertimenti si compissero attraverso le formule del dispotismo o attraverso i terremoti di una sommossa popolare. La corrispondenza ingaggiata tra questa combriccola e il defunto Re di Prussia getterà luce non piccola sulle intenzioni recondite di quei messeri (10). Con le stesse finalità per le quali tendevano intrighi col principi stranieri, tenevano a bada in maniera sopraffina gli esponenti del capitalismo francese: e infine, mettendo a profitto i mezzi che stavano a disposizione di quei tali che per il loro ufficio particolare potevano offrire i più estesi ed efficaci strumenti di comunicazione divulgativa, essi giunsero con molta cura ad occupare tutti gli sbocchi della pubblica opinione.
Gli scrittori, soprattutto quando agiscono in massa presentando una direzione costante di pensiero, esercitano grande influenza sullo spirito pubblico; e per questo l'alleanza stabilitasi tra gli uomini di lettere e i detentori della ricchezza monetaria (11) non è stata di piccolo effetto nel rimuovere gli effetti dell'odiosità e dell'invidia che il popolo nutre particolarmente verso quella categoria di ricchi. Questi scrittori, come del resto tutti i propagandisti rivoluzionari, ostentavano un grande zelo a favore delle classi povere e degli ordini sociali più bassi, laddove facevano oggetto di satira le deficienze delle corti, della nobiltà e del clero, cercando di renderle odiose a forza di esagerazioni. Essi divennero a modo loro del demagoghi. E servirono come legami onde stringere insieme, per favorire un intento particolare, le ragioni polemiche della classe ricca con la turbolenta disperazione della classe povera. Avendo queste due diverse categorie di individui assunta la parte dominante nelle recenti vicende politiche, la loro cooperazione reciproca serve a spiegare come semplice causa di fatto, e non certo come ragione di ordine giuridico o politico, le ragioni per cui tutta la proprietà fondiaria delle corporazioni ecclesiastiche sia stata attaccata con furore generale; e spiega anche perché si sia presa gran cura di tutelare gli interessi capitalisti che traevano origine dall'autorità della Corona; e ciò contraddicendo ai pretesi principi professati da quei dottrinari. Tutti i motivi di odio portati contro i detentori della ricchezza e della potenza vennero artificialmente diretti contro altre categorie di ricchi. Quali diversi motivi, fuor che quelli indicati, si potrebbero addurre a giustificazione di un fatto così straordinario ed innaturale come quello per cui le proprietà ecclesiastiche (che resistettero incolumi durante tanto volgere di età e tanti sconvolgimenti di rivoluzioni interne, sempre rispettate secondo pregiudiziali di giustizia), siano state oggi impiegate a pagamento dei debiti recenti, odiosamente contratti da un governo screditato ed irregolare?
La rendita pubblica era garanzia sufficiente al debito pubblico? Supponiamo di no e supponiamo che una perdita fosse in qualche modo inevitabile. Dal momento in cui la sola rendita legalmente posseduta, e che le parti contraenti facevano oggetto di considerazione nel momento in cui stipulavano il loro accordo, sembrasse venir meno, chi avrebbe dovuto subirne la pena secondo i principi dell'equità naturale e giuridica? Senza dubbio tal pena avrebbe dovuto essere sopportata o dalla parte che aperse il credito o da quella che aveva consigliata l'accettazione del rapporto fiduciario; oppure da tutte e due; ma non mai da parte ai terzi che non avevano in alcun modo partecipato alla contrattazione. In caso di insolvenza, avrebbe dovuto rimanerne vittima o colui che fu tanto debole da garantirsi sulla base di un'ipoteca non sicura o colui che frodolentemente ne aveva offerta una senza valore di garanzia. Le leggi non conoscono altre norme di decisione. Ma secondo i nuovi istituti dei Diritti dell'Uomo le sole persone che in linea di equità avrebbero dovuto subire la perdita sono invece le sole che se la cavano con indennizzo; e risponderanno del debito coloro che non furono né mutuanti né debitori e che non avevano convenuta alcuna ipoteca.
Che cosa aveva da fare il clero con tutte queste vicende? Che rapporto aveva esso col sistema degli impegni pubblici, oltre il limite del suo proprio debito? Quanto a quest'ultimo, è certo che il patrimonio ecclesiastico vi si trovava impegnato fino all’ultimo jugero. Niente può meglio spiegare lo spirito genuino dell'Assemblea che si raduna per esercitare pubbliche confische, secondo i suoi nuovi criteri di equità e di morale, quanto l'analisi di ciò che essa ha compiuto nei riguardi del debito ecclesiastico. L’assemblea dei confiscatori, fedele agli interessi dei capitalisti a vantaggio dei quali si rendeva violatrice di tutti gli altri interessi, trovò che il clero era competente per contrarre un debito legale. In conseguenza di questo dichiarò che il clero aveva titolo legale sulla proprietà implicata nel potere di contrarre debito e di imporre ipoteca sulla ricchezza; cosicché i diritti dei cittadini perseguitati venivano riconosciuti con quell'atto medesimo in base al quale tali diritti erano grossolanamente violati.
Se, come ho detto, vi erano persone tenute a rendere ragione del deficit verso i creditori dello Stato (facendo astrazione dal pubblico in generale), esse dovevano coincidere con quei tali che avevano trattato l'accordo reciproco. Perché dunque non sono stati confiscati i beni di tutti i controllori generali? Perché non quelli appartenenti alla lunga successione di ministri, di finanziera di banchieri, che si sono arricchiti mentre la nazione andava impoverendosi in conseguenza delle loro manovre e del loro divisamenti? Perché i beni del Signore di Laborde non sono stati confiscati in luogo di quelli appartenenti all1'Arcivescovo di Parigi, il quale non si era mai per nulla immischiato negli affari concernenti la costituzione o l'emissione dei fondi pubblici? Se voi volevate intenzionalmente confiscare i beni dell'antica proprietà fondiaria a favore di coloro che speculano sul denaro fluttuante, perché avete colpito di penalità una sola categoria di proprietari? Io non so se le spese compiute dal Duca di Choiseul abbiano consentito di fare alcun avanzo sopra le immense ricchezze che egli aveva ricevute dalla prodigalità del suo signore durante gli eventi di quel regno che largamente contribuì, con ogni specie di prodigalità in guerra, e in pace, alla costituzione dell'attuale debito pubblico di Francia. Ma se di quelle somme qualche cosa rimane, perché non ve ne appropriate?
Ricordo di essere stato a Parigi durante i tempi dell'antico regime. Era proprio là immediatamente dopo i giorni in cui il Duca di Auguillon era riuscito a sfuggire (secondo la voce corrente) al capestro per il soccorso protettivo dell'autorità dispotica. Egli fu ministro ed era stato in certo modo responsabile degli sperperi consumati in quel lasso di tempo. Perché non vedo i suoi beni fondiari devoluti alle municipalità nelle quali sono situati? La nobile famiglia di Noailles è stata per lungo tempo al servizio (servizio pieno di merito, io lo riconosco) della Corona di Francia ed ha avuto buona parte nei benefìci di quest'ultima. Perché non sento dir nulla della devoluzione dei suoi beni a beneficio del debito pubblico? E perché il patrimonio del Duca di La Rochefoucauld sembra più sacro ed intangibile che quello del Cardinale di La Rochefoucauld?
Il primo è, non ne dubito, una degnissima persona; e, se non si commettesse una sorta di profanazione giudicando dell’impiego che un tale fa della proprietà privata quasi per legittimare il titolo della proprietà medesima, possiamo dire che egli ha fatto buon uso delle sue rendite; ma senza mancare di rispetto a lui ai può anche riconoscere, sulla base di informazioni garantite ed autorevoli, che l’uso fatto della proprietà, ugualmente legittima, da parte di suo fratello il cardinale arcivescovo di Bouen, era di gran lunga più lodevole e meglio ispirato alla pubblica utilità (12). E’ possibile senza indignazione e senza orrore apprendere la notizia che persone simili sono state proscritte dopo la confisca di tutti i loro beni? Non è uomo colui che non prova tali sentimenti di fronte a simili misfatti. E non merita il nome di uomo libero colui che non ha il coraggio di esprimere quanto sente.
Pochi conquistatori barbarici hanno perpetrato una così tremenda rivoluzione del diritto di proprietà. Al tempo dell'antica Roma nessuna fazione politica, sia imponendo " crudelem illam hastam " sia con ogni altra attività rapinatrice, è mai giunta a vendere i beni dei cittadini, sopraffatti in un modo così enorme. In favore di quei tiranni dell'antichità si deve riconoscere che difficilmente essi calcolavano a sangue freddo l'effetto di tali loro azioni. Le loro passioni erano infiammate, i loro spiriti erano esasperati, i loro intelletti offuscati dal desiderio di vendetta per le rappresaglie innumerevoli e reciproche provocate dall'incessante antagonismo delle violenze sanguinarie e delle rapine. Si trovavano spinti oltre ogni limite di moderazione per il timore che le famiglie di coloro che essi avevano oltraggiato senza speranza di perdono, ritornando nelle antiche proprietà riacquistassero pure il potere perduto.
Quei confiscatori romani, i quali conoscevano soltanto i rudimenti della tirannia e non avevano ancora imparato secondo i Diritti dell'Uomo a esercitare ogni sorta di rappresaglie crudeli anche senza alcuna provocazione, tuttavia sentivano il bisogno di mascherare la loro ingiustizia con una specie di vernice. Atteggiavansi come se considerassero il partito vinto essere composto di traditori che avevano portate le armi o comunque agito ostilmente ai danni della cosa pubblica; e mostravano di considerarli come persone decadute dai toro diritti di proprietà in conseguenza di atti criminali.
Quanto a voi, che vi trovate in condizione evoluta di progresso umano, non avete neppure avuto bisogno di questi infingimenti formali. Voi avete fatto man bassa sopra una rendita annua di cinque milioni di sterline e avete cacciato fuori dalle loro case quaranta o cinquantamila creature umane perché "così vi accomodava". Enrico VIII, il tiranno d'Inghilterra, che non era più illuminato di un qualunque Mario o di un qualunque Silla dell'epoca romana e non era venuto ad istruirsi nelle vostre nuove scuole, non immaginava neppure quale efficace strumento di dispotismo si sarebbe potuto trovare in questo grande magazzino di armi offensive che si chiama "Diritti dell'Uomo". Quando egli decise di saccheggiare i beni delle abbazie, né più né meno di quanto i Giacobini abbiano saccheggiato tutto il patrimonio ecclesiastico, si preoccupò di mettere su una commissione col pretesto che esaminasse quali delitti e quali abusi fossero stati perpetrati in quelle comunità. Come ci si poteva attendere, quella commissione mescolò nei suoi rapporti delle verità, delle esagerazioni, delle falsificazioni. Ma, a ragione o a torto, essa denunciò una serie di abusi e di violazioni. Tuttavia, sia che gli abusi potessero venire corretti sia che i delitti di pochi individui non dovessero implicare un danno per l'intera comunità, sia perché la proprietà in quel secolo di tenebre non era ancora apparsa come frutto di un pregiudizio, tutti quegli abusi, quantunque segnalati in rilevante numero, non poterono essere considerati giustificazione sufficiente al compiersi di quella confisca che era il fine di tutto il procedimento. Cosicché il tiranno non poté fare altro che procurarsi un atto di formale rinuncia a tutti questi beni. Questi faticosi espedienti dovettero essere escogitati da uno dei tiranni più espliciti che la storia ricordi, come preliminari necessari prima che egli osasse chiedere al parlamento un atto di sanzione a conferma del suo iniquo operato, dopo avere corrotto i membri servili delle due Camere, promettendo loro una parte del bottino insieme con una perpetua esenzione dalle tasse. Se il destino avesse fatto nascere quel tiranno ai nostri giorni, egli avrebbe potuto risparmiarsi tutti quei fastidi procedurali; sarebbe bastato che egli pronunciasse niente più che una formula incantatrice : "Filosofia, Lumi, Liberalità, Diritti dell’Uomo".
Nulla io posso dire in lode di simili atti tirannici, che nessuna voce fino ad ora si è levata a difendere sotto pretesto delle loro fittizie motivazioni; tuttavia appunto in quelle fittizie motivazioni era contenuto l'omaggio che il dispotismo tributava al principio di giustizia. Quella podestà, che stava al disopra di ogni paura e di ogni rimorso, non si sentiva però superiore alla vergogna; e fintanto che la vergogna mantiene la propria efficacia, segno è che nel cuore la virtù non è completamente estinta e lo spirito della moderazione non è ancora interamente bandito dalla coscienza del tiranno.
Credo che ogni galantuomo convenga in questa impressione col nostro poeta politico, nei riguardi delle circostanze attuali; e se mai cotali atti di rapacità dispotica dovessero presentarsi alla sua esperienza o alla sua immaginazione, egli farà voti perché se ne distorni il presagio: ".... Possa una simile tempesta risparmiare i nostri tempi, evitando una riforma rovinosa. Dimmi (o Musa) qual mostruosa e crudele offesa, quali delitti abbiano potuto infiammare di tanta ira un re cristiano. Se fu brama o incontinenza. O se Egli per conto proprio era dedito a temperanza, a castità e a giustizia. Erano questi i delitti compiuti? Dovevano a maggior ragione gravare su di lui? Ma la ricchezza è sempre apparsa un delitto agli occhi di colui che nulla possiede".
È ancora la stessa ricchezza che in tutti i tempi e in tutte le organizzazioni politiche è apparati alla ingorda rapacità dei vangelizzatori come un delitto di lesa nazione; è ancora la medesima che vi ha indotti a violare la proprietà, il diritto e la religione, unificati in un solo scopo. Ma era lo stato della Francia così deteriorato ed irreparabile che a preservarne l'esistenza non rimanesse altra risorsa se non un atto di rapina? Desidererei su questo punto avere qualche informazione. Dopo l'ultima riunione degli Stati generali la condizione delle finanze francesi era veramente tale che, neppure a forza di economizzare secondo principi di giustizia equamente applicati in tutti i dipartimenti, ripartendo con equità gli oneri sopra i diversi ordini, fosse assolutamente Impossibile portarvi riparo? Se una simile ripartizione equitativa degli oneri fosse stata sufficiente, voi sapete benissimo che era in vostro potere di compierla facilmente. Il Necker nel rapporto presentato, come direttore generale delle Finanze e per ordine del Re, il 5 maggio 1789 agli Ordini assembrati in Versailles, ha fatto un'esposizione dettagliata dello stato della nazione francese.
Se dobbiamo credere a lui non era necessario fare ricorso ad alcuna nuova imposizione per mettere le entrate del bilancio francese in equilibrio con le uscite. Egli stabilì l'ammontare delle spese permanenti di ogni specie, compresi gli interessi di un nuovo prestito di 400 milioni, in franchi 531.444.000; calcolò le entrate fisse in franchi 475.294.000, computando un deficit di 56.105.000 corrispondente a 2.200.000 sterline. Per coprire quest'ultimo fece un lungo calcolo preventivo di risparmi e di incrementi di rendita considerati come infallibilmente sicuri, i quali ammontavano assai più che al totale del detto deficit; e concluse con queste parole enfatiche: "Quel pays, Messieurs, que celui ou, sans impóts et avec de simples objets inapercus, on peut taire disparoitre un deficit qui a fait tant de bruit en Europe". Quanto al rimborso e all'estinzione del debito e a tutti gli altri oggetti riguardanti il credito pubblico e gli espedienti politici indicati nel discorso di Necker, non può darsi alcun dubbio che con una imposizione molto moderata, estesa proporzionalmente a tutti i cittadini senza distinzione, si sarebbe provveduto ad ogni riparo nel senso più desiderabile.
Se quella esposizione di Necker era falsa, l'Assemblea deve ritenersi colpevole al massimo grado per avere costretto il re ad accettare come ministro e per avere poi impiegato come ministro proprio un uomo capace di abusare così sfacciatamente della fiducia del sovrano e di quella dell'Assemblea, e ciò in materia di così grande importanza con diretta attinenza al suo unitelo particolare. Ma se l'esposizione era esatta (per mio conto non dubito che così fosse, dato che al pari di voi ho sempre concepito un alto grado di rispetto verso il Necker) allora che cosa si può dire in favore di quei tali che invece di applicare una contribuzione generale, moderata e ragionevole, hanno a sangue freddo e senza alcuna necessità costrittiva fatto ricorso a una confisca crudele e partigiana?
Forse che alcuna parte del clero o alcuna parte della nobiltà avevano avanzato il pretesto dei loro privilegi per sottrarsi all'obbligo della contribuzione? No certamente. Quanto al clero, esso medesimo aveva prevenuti i desideri del Terzo Stato. Prima della riunione degli Stati Generali il clero aveva in tutte le sue istruzioni espressamente avvertito i propri deputati perché rinunciassero a tutte le immunità che lo ponevano sopra un piede distinto dalla condizione di tutti gli altri sudditi. In quest'atto di rinuncia il clero fu anche più esplicito della nobiltà.
Ma supponiamo che il deficit fosse rimasto alla cifra di 56 milioni (corrispondenti a 2.300.000 sterline) secondo lo stanziamento originale del Necker. Ammettiamo pure che tutte le risorse da lui suggerite per compensare tale deficienza non fossero che vuote e spudorate finzioni; e supponiamo che questa. Assemblea (specie di Lords of Articles di stile giacobino) (13) fosse per questo giustificata di avere assegnato l'intero ammontare del debito a carico del clero. Pure ammettendo tutte queste circostanze, un fabbisogno di 2.200.000 sterline non giustifica una confisca che ammonta a 5 milioni. Un'imposizione di 2.200.000 sterline a carico del clero come parte, isolata, sarebbe stata bensì oppressiva ed ingiusta ma non sarebbe stata al tempo medesimo esiziale alla classe sulla quale venne a gravare. Senonchè appunto per questo essa non avrebbe corrisposto ai propositi reali di coloro che promossero l'impresa.
Forse taluno, scarsamente informato delle cose di Francia, sentendo dire che il clero e la nobiltà erano privilegiati dal punto di vista fiscale, potrebbe essere indotto a credere che anteriormente alla rivoluzione queste due classi non avessero contribuito alle necessità dello Stato. Sarebbe un grande errore. Certamente esse non contribuirono sulla base di parità, né alcuna delle due ugualmente cooperò col terzo stato. Ciò non ostante entrambe portavano un largo contributo. Né la nobiltà né il clero godevano di alcuna, esenzione dalle tasse di consumo, dai diritti doganali o da alcun'altra delle numerose imposte indirette che in Francia, al pari di ogni altro paese, costituivano così gran parte nella massa totale dei pubblici contributi. La nobiltà pagava la tassa, per censimento individuale. Pagava anche il Land-Tax, chiamato del "ventesimo", in proporzione di tre e qualche volta quattro scellini per sterlina; entrambe queste imposte dirette non erano di lieve peso e davano gettito non trascurabile. Il clero delle provincie annesse alla Francia per forza di conquiste e corrispondenti a una ottava parte circa del territorio complessivo, ma che detiene una proporzione di ricchezza di gran lunga maggiore, pagava l'imposta di capitazione e quella del ventesimo in ragione identica al pagamento fatto dalla nobiltà. Il clero delle antiche provincie non pagava l'imposta di capitazione; ma l'aveva già riscattata per una somma di circa 24 milioni, corrispondente a poco più che un milione di sterline. Questo era esente dalla tassa del ventesimo; ma faceva dei donativi gratuiti, contraeva debiti per conto dello Stato ed era soggetto a vari oneri d'altro genere, per un totale che ammontava a circa un tredicesimo della sua rendita netta. Questa parte del clero avrebbe dovuto pagare annualmente circa quarantamila sterline in più, per trovarsi a pari grado con le contribuzioni versate dalla nobiltà.
Quando il terrore minacciato dalla terribile proscrizione indusse il clero a fare un'offerta di contributo per mezzo dell'Arcivescovo di Aix, questa per la sua anormalità non avrebbe dovuto essere accettata. Ma con tutta evidenza essa tornava verso i creditori dello stato di vantaggio indubbiamente più grande di tutto quanto si potesse ragionevolmente sperare di conseguire in forza di confisca. Perché non è stata accettata? La ragione è semplice. Non si desiderava che la Chiesa s'impegnasse al servizio dello Stato. Il servizio dello Stato divenne un pretesto inteso alla distruzione della Chiesa. Scegliendo questo modo per distruggere la Chiesa gli autori del misfatto non si facevano scrupolo di distruggere nel tempo stesso il loro paese; il che effettivamente avvenne. Una delle finalità fondamentali del progetto sarebbe venuta meno se si fosse attuato un piano di estorsione anzi che un processo di confisca. Non si sarebbe cioè potuto creare un nuovo sistema d'interessi fondiari connesso con la struttura della nuova Repubblica e vincolato alla sua intrinseca esistenza. Questa fu una delle ragioni per cui non venne accettato quello strano progetto di riscatto.
(continua)