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    Predefinito FORMAZIONE - Burke: Riflessioni sulla Rivoluzione francese_4

    Parte 4



    Già è visibile in tutti i procedimenti dell'Assemblea una grande povertà di concezione insieme con una volgarità grossolana, che fa riscontro a quella dei suoi ispiratori culturali. La loro pretesa libertà non è ispirata da veraci sentimenti liberali. La loro scienza si riduce a ignoranza fatta di presunzione. Il loro umanitarismo è selvaggio e brutale.

    Non è bene accertato se quei magnanimi e decorosi principi di tradizione, dei quali ancora rimangono considerevoli tracce, noi inglesi li abbiamo imparati da voi francesi o se invece siete voi che li avete imparati da noi. Io tendo a credere che piuttosto noi abbiamo attinto da voi. Direi che voi siete "gentis incunabula nostrae". La Francia ha sempre più o meno influenzati i costumi inglesi; e quando la sorgente della vostra vita sia inaridita o resa torbida questo influsso non potrà durare più a lungo e non potrà più svolgersi limpidamente né sopra voi né sopra alcun'altra nazione. Tutto ciò fa sì che l'Europa intera si trovi, a mio giudizio, fortemente interessata e vincolata con quello che accade in Francia. Quindi voi mi perdonerete se mi sono a lungo soffermato a considerare l'atroce spettacolo consumatesi il 6 Ottobre 1789, o se ho dato troppo svolgimento a quelle riflessioni che nel mio pensiero sono scaturite in occasione della più grave tra tutte le rivoluzioni, quella che reca appunto tale data, in quanto intacca e sovverte sentimenti, costumi, idee morali. Trattandosi di eventi attuali che vengono a distruggere ogni valore degno di rispetto e minacciano di sradicare anche in mezzo a noi ogni principio di onore, ci si trova quasi costretti a prendere la parola m difesa di quelli che sono i sentimenti comuni dell'umanità.

    Perché penso io così diversamente dal Rev. Dott. Price e da tutto il gregge dei suoi laici seguaci, i quali hanno deciso di accettare i sentimenti manifestati nel uno discorso? Per un motivo molto semplice: perché è naturale che io faccia così; perché noi siamo fatti in modo che a simili spettacoli ci sentiamo turbati da pensieri malinconici, considerando come precaria sia la prosperità dei mortali e quale terribile incertezza gravi sulla grandezza umana; perché da queste naturali esperienze noi possiamo trarre profonde lezioni; perché assistendo ad avvenimenti di questo genere i nostri stessi sentimenti ammaestrano la nostra ragione; perché quando si vedono i re precipitare giù dai loro alti troni per volontà di Colui che dirige questo grande dramma umano, divenendo oggetto di insulto da parte della canaglia e di pietà da parte della gente bennata, noi non possiamo considerare questi disastri, da un punto di vista morale, se non alla stessa maniera con la quale consideriamo un fenomeno prodigioso nell'ordine dei fatti fisici.

    Questi allarmi spaventosi ci inducono a riflessione; le anime nostre (secondo un fenomeno che da lungo tempo è stato osservato) si trovano purificate attraverso il terrore e la pietà; il nostro debole ed incosciente orgoglio si trova umiliato di fronte al dispensarsi di una saggezza misteriosa. Se un tale spettacolo mi si fosse mai presentato, i miei occhi si sarebbero forse inumiditi. Avrei avuto sinceramente vergogna di scoprire in me stesso una emotività così futile e teatrale e di commuovermi per malanni fittizi, mentre avrei dovuto esultare considerando al di sopra di essi la realtà della vita. Se io avessi una psicologia così morbosa non oserei mai scoprire la mia faccia assistendo ad una rappresentazione tragica. La gente potrebbe credere che fossero lagrime d'ipocrisia quelle che mi avevano cavato dagli occhi anticamente "Garrich" e non molto tempo addietro M.me. Siddons; e quanto a me penserei che quelle fossero le lagrime di un matto.

    Senza dubbio, il teatro é migliore scuola di sentimenti morali di quanto non siano le chiese, dove si compiono tanti oltraggi a danno della fede umana. I poeti che hanno a fare con un pubblico non ancora iniziato alle dottrine dei Diritti dell’uomo e che sentono il dovere di conformarsi ai principi della coscienza morale, non oserebbero esibire sul teatro lo spettacolo di un tale trionfo come materia di esultanza. Per questo, quando gli uomini seguono il loro impulso naturale non soffrono di conformarsi alle massime odiose della filosofia politica machiavellica, comunque intesa alla costituzione di una tirannia vuoi di carattere monarchico, vuoi di carattere democratico. Essi rigetterebbero tale ordine di pensieri dall'ambito del moderno teatro così come una volta fecero dall'ambito di quello antico; come accadeva allorquando le enunciazioni scellerate di una tale dottrina non riuscivano tollerabili neppure in bocca di un tiranno personificato che le pronunciava soltanto in via di ipotesi e per conformità a una certa parte assunte sulla scena. Nessuna assemblea di spettatori avrebbe mai tollerato di assistere ad una rappresentazione, la quale riproducesse il corso delle tragiche vicende consumatesi nella trionfante realtà dei giorni nostri; giorni nei quali par di vedere il protagonista del dramma soppesare, quasi sui piattelli di una bilancia issata in un negozio di turpitudini, tanti delitti effettivi contro tanti vantaggi ipotetici, togliendo o rimettendo i pesi di controllo fino a dichiarare che la bilancia propende dalla parte dei vantaggi.

    Quegli spettatori non avrebbero tollerato di vedere i delitti di una nuova democrazia elencati, come nella partita di un libro mastro, di contro all'elenco dei delitti consumati dal vecchio dispotismo, giungendo al risultato che la democrazia moderna apparisse ancora, agli occhi dei bottegai registratori, in debito rispetto all'esperienza precedente, in nessun modo capace o propensa a rimettere in equilibrio il bilancio. In teatro uno spettacolo di questo genere avrebbe dimostrato al primo colpo d'occhio, senza alcun ulteriore processo elaborativo di ragionamento, che un tal criterio di valutazione politica finiva per giustificare ogni sorta di delitti. E avrebbe dimostrato pure che, dato un tale ordine di principio, anche quando fosse stata risparmiata la consumazione dei peggiori delitti, ciò si sarebbe dovuto piuttosto alla accidentalità di circostanze in cui si venivano a trovare i cospiratori anziché alla loro intima intenzione di evitare il compiersi di sanguinosi eccessi. Sarebbe stato anche evidente che l'impiego di mezzi criminali, tollerato che sia una volta, diviene ben presto oggetto di deliberata preferenza. Questi ultimi infatti presentano un modo più sbrigativo per raggiungere lo scopo, a confronto dì quello offerto dalla retta via della virtù. Una volta giustificata la perfidia e legittimato l'assassinio a fine di pubblico beneficio, quest'ultimo non tarderà a diventare un pretesto, laddove perfidia e assassinio rappresenteranno lo scopo; finché la rapacità, la malizia, la vendetta, e la paura che è ancor più terribile della vendetta, non avranno saziato l'implacabile appetito di quelle passioni. Tale è il risultato a cui si perviene allorché sia smarrita, in mezzo al luccicore trionfale dei Diritti dell'Uomo, ogni naturale idea distintiva tra il diritto e il torto.

    Ma il reverendo pastore si entusiasma descrivendo quella "Marcia trionfale", giacché, a suo giudizio, Luigi XVI doveva essere considerato come "un monarca arbitrario"; il che, in altre parole, vuol dire né più né meno che questo: avere avuto quel re Luigi XVI la sfortuna di essere quello che era, e cioè un re di Francia insignito di tutte le prerogative, che una lunga serie di antecessori e un diuturno consentimento di popolo gli avevano attribuito senza che egli compiesse alcun atto per il raggiungimento di questo scopo. Questa disgrazia di essere nato re di Francia è stata ora accanitamente ritorta contro di lui. Ma una disgrazia non è un delitto e una indiscrezione non sempre costituisce colpa di massima gravità. Un principe, il quale durante l'intero corso del suo regno non ha fatto altro che una serie di concessioni ai suoi sudditi, non ha avuto altra mira se non quella di sminuire la propria autorità, rinunciare alle proprie prerogative, rendere il proprio popolo partecipe di tali libertà quali i suoi antenati non avrebbero né riconosciute né desiderate; un principe che (pur non essendo immune dalle debolezze inerenti alla condizione normale degli uomini e da quelle particolari dei regnanti) ha ritenuto necessario una volta sola di fare ricorso alla forza, per fronteggiare in caso disperato i disegni di coloro che manifestamente congiuravano ai danni della sua persona intaccando anche gli ultimi residui della autorità regia, un tal principe, io dico, (pur tenendo presenti tutte le circostanze sopramenzionate) non può essere ritenuto degno né meritevole delle celebrazioni crudeli ed insultanti alle quali egli fu assoggettato in Parigi e di cui appunto fa cenno il Dott. Price.

    Io tremo per la causa della libertà quando vedo che si offrono ai sovrani esempi di tal genere. Temo per la causa dell'umanità quando vedo che rimangono impuniti i delitti oltraggiosi perpetrati: dai più malvagi tra gli uomini. Ma vi è certa gente che ha una mentalità così pervertita e degenerata da essere indotta a guardare con una sorta di compiacente rispetto e di timorosa ammirazione verso quei tali sovrani che hanno fama di reggersi fortemente al proprio posto, gravando con rigidezza la mano sui sudditi onde asserire le loro prerogative, e, con la vigilanza circospetta del più severo dispotismo, fronteggiare preventivamente le avvisaglie iniziali di qualsiasi moto di libertà. Contro sovrani di questo genere, quei tali non elevano alcuna protesta. Essendo uomini privi di qualunque principio e avventurieri per natura, costoro non sanno mai riconoscere alcun merito nella virtù sofferente né alcun delitto nell'usurpazione trionfante.

    Se qualcuno fosse riuscito a dimostrarmi che il re e la regina di Francia (voglio dire: coloro che erano tali prima della celebrazione del trionfo) erano due tiranni crudeli e inesorabili, i quali avevano concepito il deliberato proposito di massacrare tutti i membri dell'Assemblea Nazionale (e infatti io credo d'aver visto accuse di questo genere insinuate di recente in certe pubblicazioni), io potrei pensare che la loro captività fosse giustificata. Se queste accuse fossero veraci molto di più avrebbe dovuto esser fatto a loro carico; ma fatto, a mio giudizio, in altra maniera. La punizione inflitta ad un tiranno, che sia realmente tale, costituisce un atto di giustizia nobile e degno di rispetto; e giustamente si è detto che questo torna di consolazione alla coscienza dell'umanità. Ma se io dovessi punire un re malvagio, nel tempo stesso che vendicherei il delitto avrei riguardo alla dignità e al grado. La giustizia è compito grave e maestoso; e in quanto realizza una funzione punitiva essa appare piuttosto stretta dalla necessità anziché libera nella scelta delle proprie azioni. Fossero stati Nerone, o Agrippina, o Luigi XI, o Carlo IX, oggetto di questa giustizia; oppure Carlo XII Re di Svezia dopo l'assassinio di Fatkul, o ancora la Regina Cristina dopo l'assassinio di Monaldeschi, ammesso — io dico — che tutti costoro fossero cascati nelle mani vostre, caro Signore, oppure nelle mie, sono sicuro che ci saremmo comportati in modo ben differente.

    Se il re francese, o Re di Francia (o con qualsivoglia altro nome egli venga indicato nel vocabolario nuovo della vostra Costituzione) avesse veramente, o nella propria persona o in quella della sua sovrana consorte, provocati gli attuali tentativi inconfessati e invendicati di assassinio, con tutti i susseguenti oltraggi che sono ancor più crudeli dell'assassinio, tale re non sarebbe neppure degno di quelle funzioni subordinate ed esecutive che, a quanto mi si dice, sono ancora oggi attribuite al sovrano; né tanto meno sarebbe egli degno di chiamarsi capo di una nazione che avesse in tal modo oltraggiata ed oppressa. Non si poteva fare scelta peggiore che attribuire nello stato nuovo una carica di tal sorte al sovrano deposto. Ma denigrare ed insultare un uomo come il peggiore dei criminali e poi di bel nuovo affidare a lui la rappresentanza della vostra stessa collettività nei suoi valori più alti, come fosse il più fedele, onesto e zelante servitore dello stato, è cosa che contraddice alla logica del pensiero, alla prudenza della politica, alla sicurezza della patria. Coloro che si sono resi capaci di siffatta attribuzione devono essere ritenuti colpevoli di una violazione di fede più grande di quella che mai sia stata commessa a danno del popolo.
    Essendo quello il solo delitto attribuito al re, gli agitatori della politica francese avrebbero agito rispetto ad esso con incongruenza; io quindi concludo che quelle orribili insinuazioni non hanno fondamento di sorta. E non ho opinione migliore di tutte le altre calunnie.

    In Inghilterra noi non diamo ad esse alcun peso. Siamo generosi come nemici, fedeli come alleati. Respingiamo con disgusto e con indignazione gli aneddoti diffamatori di quelli che ci offrono la loro confidenza mascherata di innocente candore. Noi teniamo ancora rinchiuso Lord George Gordon in Newgate; e né il fatto di essere egli uomo che pubblicamente si dichiara seguace del giudaismo, né l'avere egli nel suo furore anticattolico ed anticlericale raccolta un'armata di mascalzoni (scusate il termine che qui è ancora in voga) col proposito di abbattere tutte le nostre prigioni di stato, è valso a conservargli quella libertà della quale ha dato prova di non sapersi rendere degno facendone buon uso. Abbiamo ricostruita la prigione di Newgate e la teniamo in piena efficienza. Abbiamo delle prigioni che sono almeno altrettanto solide quanto la Bastiglia per coloro che osano lanciare libelli contro le regine di Francia. Lasciate che il nobile libellista rimanga in questo recesso spirituale. Lasciate che egli là dentro mediti sopra il suo Talmud fino a che non abbia imparato a condursi in modo meglio adatto alla sua nascita e al suo temperamento e non così sconveniente rispetto alla antica religione della quale egli è diventato seguace; o fino a che qualche persona dall'altra sponda della Manica, per compiacere ai vostri nuovi confratelli ebrei, non prenda impegno di riscattarlo. Egli potrà essere allora in grado di acquistare, con l'antico patrimonio della Sinagoga e con una percentuale molto piccola sopra gli interessi lungo tempo accumulati delle trenta monete d'argento (il Dott. Price ci ha mostrato quali miracoli possono produrre degli interessi accumulati durante 1790 anni), di acquistare — dico — quelle terre che, secondo la recente scoperta, sono state usurpate dalla chiesa gallicana. Mandateci qui il vostro arcivescovo " papista" di Parigi e noi vi manderemo in cambio il nostro rabbino protestante. Tratteremo il vostro inviato secondo i suoi meriti di gentiluomo e di galantuomo; ma lasciate, di grazia, che egli porti con sé i fondi della propria ospitalità, della propria liberalità caritatevole; e voi potete star sicuri che non ci approprieremo un solo scellino di quanto appartiene a quel fondo onorato e pio, e non penseremo mai di arricchire il pubblico tesoro defraudando la cassa dei poveri.

    Quando devo dirvi la verità, mio caro Signore, io credo che l'onore della vostra nazione sia in certo modo interessato a sconfessare tutto quanto si va facendo in questa società di Old Jewry e nella "Taverna di Londra". Io non ho ricevuto procura da alcuni. Parlo unicamente per conto mio quando rinnego (e lo faccio con tutta l'energia possibile) ogni sorta di relazione verso coloro che sono attori di quella celebrazione trionfale o comunque ammiratori di essa. Quando asserisco qualche cosa che riguarda ulteriormente il popolo d'Inghilterra, parlo in base all'esperienza mia e non già in nome di una qualsiasi autorità; questa esperienza l'ho acquistata grazie ad una serie di estese relazioni e di complesse corrispondenze con gli abitanti di questo regno, appartenenti ad ogni rango e ad ogni classe sociale, e dopo una serie di osservazioni attente, che nella mia vita ho cominciato a fare molto presto ed ora ammontano ad una continuità di quasi quarant'anni. Spesse volte io rimango meravigliato se considero il fatto che noi inglesi siamo separati da voi solo da un breve intervallo di circa ventiquattro miglia e le comunicazioni reciproche tra i nostri due paesi sono divenute negli ultimi tempi molto intense; e tuttavia sembra che voi ci conosciate ben poco. Sospetto che ciò derivi dall'essere voi francesi inclini a formarvi un giudizio intorno al nostro paese deducendolo da certe pubblicazioni le quali vi danno invece una idea affatto erronea (se pure siano capaci di fornirne alcuna) delle correnti di pensiero e delle disposizioni generali di spirito che prevalgono in Inghilterra.

    La vanità, la turbolenza, la petulanza, lo spirito di intrigo che caratterizzano certe piccole consorterie, le quali cercano di supplire alla loro intrinseca mancanza di contenuto a forza di clamori, di chiassate, di retorica, di esaltazioni reciproche, tutto questo vi lascia forse credere che la trascuranza dispregiativa nutrita dalla maggioranza del popolo inglese a riguardo di costoro sia tacito segno di una generale acquiescenza rispetto alle loro opinioni. Ma non è così, ve lo assicuro io. Per il fatto che una mezza dozzina di grilli nascosti sotto le felci fanno risuonare il campo con i loro importuni stridori, mentre mille solidissimi armenti riposano sotto l'ombra della grande quercia d'Inghilterra ruminando in silenzio, vi prego di non credere che quelli che stridono siano i soli abitatori del campo e nemmeno che siano molto numerosi; o che, dopo tutto e nonostante il frastuono molestissimo sollevato, siano altra cosa se non una schiera di miserabili e grinzosi insettucci che hanno la vita di un'ora.

    Oso affermare che neppur uno su cento di noi partecipa al "trionfo" della Revolution Society. Se il re e la regina di Francia insieme coi loro rampolli dovessero cadere nelle nostre mani in caso di guerra (sia deprecato un tale evento e deprecata una tale cagione di ostilità) si accorderebbe ben altra sorta di trionfo alla loro entrata in Londra. Già anticamente noi abbiamo avuto il re di Francia in tale condizione; voi avete letto come questo re sia stato trattato dal vincitore sul campo di battaglia e in quale maniera egli sia stato di poi ricevuto in Inghilterra. Quattrocento anni sono passati sulla nostra storia; ma credo che il carattere inglese non sia intrinsecamente mutato da quel giorno. Grazie alla dura resistenza che opponiamo contro tutte le innovazioni, grazie alla cautelata freddezza del nostro carattere nazionale, noi ancora portiamo l'impronta dei progenitori. Non abbiamo, secondo il mio modo di vedere, perduta quella generosa dignità di sentimento che caratterizzava il nostro decimoquarto secolo e non abbiamo ancora sofisticato tanto da ridiventare selvaggi. Non siamo discepoli di Rousseau, né scolari di Voltaire; Hélvetìus non ha trovato credito in mezzo a noi. Non ci lasciamo evangelizzare dagli atei; non accettiamo che le signore dettino legge.

    Siamo persuasi di non aver fatta nessuna scoperta; ma siamo anche persuasi che in materia morale non se ne possono fare, né, tanto meno, in rapporto a quei grandi principi di governo e a quelle idee di libertà, che erano conosciuti molto tempo prima che noi venissimo al mondo e rimarranno in vigore ancor dopo che la morte avrà castigata la nostra presunzione sotto un cumulo di terra ed il silenzio della tomba avrà imposta la sua legge sopra la nostra frivolezza loquace. In Inghilterra non siamo ancora stati spogliati dei nostri visceri naturali e sentiamo pur sempre dentro di noi, con devota compiacenza, quegli innati sentimenti che sono i guardiani fedeli e i monitori vigilanti del nostro dovere e al tempo stesso i fondamenti di ogni etica salda e liberale.

    Noi non siamo stati né imbalsamati né imbottiti come uccelli da museo con un ripieno di paglia e di stracci e di sudici pezzi di carta, sui quali stiano scritti i Diritti dell'Uomo. Conserviamo intatto il patrimonio dei nostri sentimenti integri e nativi, non contaminati da sofisticherie pedanti e sleali. Sentiamo d'avere un cuore vero di carne e di sangue che palpita nel nostro petto. Noi temiamo Dio; guardiamo con riverenza ai re, con affezione agli istituti parlamentari, con devozione alla magistratura, con deferenza al clero, con rispetto alla nobiltà (7). E perché? Perché quando tali idee si affacciano alla nostra mente noi proviamo in via naturale sentimenti di questo genere; perché tutti gli altri modi di sentire sono artificiosi e spuri e tendono a corrompere i nostri spiriti, a viziare le fonti del nostro sentimento morale, a renderci disadatti di fronte all'esigenza razionale della libertà; e insegnando il linguaggio di una insolenza altrettanto servile e licenziosa quanto rilassata, buono per lo spasso triviale di una breve gazzarra, rendono gli uomini meritevoli di subire il giogo della servitù durante il corso intero della loro vita.

    Voi vedete, o Signore, che in questo secolo di lumi io ho abbastanza coraggio per confessare che noi inglesi siamo nella grande maggioranza uomini di sentimento ingenuamente spontaneo; e che invece di respingere tutti i nostri antichi pregiudizi noi siamo affezionati ad essi in modo considerevole; e che quanto più essi risalgono a data antica tanto più ampiamente vengono accolti e devotamente rispettati. Noi ci spaventiamo all'idea che ogni uomo debba vivere e far negozio con il solo patrimonio della sua ragione privata e particolare, perché sospettiamo che questo sia individualmente ben piccolo; e pensiamo che i singoli farebbero molto più utilmente ricorso al grande capitale collettivo della nazione e dei secoli. La maggior parte dei nostri pensatori anziché tendere alla distruzione dei pregiudizi generali, impiegano la loro sagacità a discoprire la recondita saggezza che vive in quei pregiudizi. E se scoprono realmente ciò che andavano cercando (è raro che essi manchino allo scopo) pensano che sia più saggio insistere nel pregiudizio nel quale sta involto un motivo razionale, anziché strappare via la veste del pregiudizio non lasciando sopravvivere altro che un nudo razionalismo; e questo perché il pregiudizio, involgendo la propria ragione, possiede un movente che rende attiva quest'ultima e determina un'affezione che ad essa conferisce persistenza duratura. Il pregiudizio è di pronta realizzazione all'emergenza necessaria; esso previdentemente impegna lo spirito in una disciplina di stabile e virtuosa saggezza e non permette che l’uomo al momento decisivo oscilli nella irresoluzione scettica. Il pregiudizio fa della virtù umana un dato consuetudinario, anziché una serie di azioni frammentarie. E appunto attraverso una serie di pregiudizi legittimi il dovere degli uomini entra a far parte della loro stessa natura.

    I vostri uomini di lettere e i vostri politici, insieme con l'intera categoria dei nuovi illuministi inglesi, manifestano a questo riguardo un'opinione affatto contraria. Essi non nutrono alcun rispetto per l'opinione degli altri; ma in compenso hanno illimitata fiducia nella propria. Costoro ritengono che vi sia sufficiente motivo alla distruzione di un antico ordine di cose nel solo fatto di questa stessa antichità. E quanto alle istituzioni escogitate di recente, non dimostrano alcuna paura né preoccupazione intorno alla durevolezza che potranno avere simili edifici affrettatamente costruiti; questo, perché il problema della durata non interessa a coloro che tengono in piccolo od anche in nessun conto tutto ciò che è stato fatto nel tempo passato, e ripongono tutte le loro speranze nel gusto delle trovate e delle innovazioni.

    Gente di tal fatta coltiva sistematicamente l'idea che tutte le cose aventi forza di perpetuità siano nocive; e per questo vengono ad essere eternamente in guerra contro tutte le istituzioni consolidate. Pensano che le forme del governo debbano variare come varia la moda dei vestiti, senza produrre per questo alcun effetto dannoso; e che non occorra nutrire alcuna ragione di attaccamento verso il sistema costituzionale di uno stato, tranne per qualche preoccupazione di opportunità occasionale. Essi parlano sempre come se fossero d'avviso che l'accordo contrattuale intervenuto tra il popolo ed i suoi reggitori avesse valore per una sola parte contraente, esercitando forza impegnativa a carico dei reggitori medesimi senza reciprocità di vincolo, cosicché la maestà del popolo avrebbe diritto di risolvere a suo piacimento quell'accordo anche senza ragione.

    Persino l'amore che essi dimostrano alla loro Patria è valido solo per quanto viene ad accordarsi con taluni dei loro avventati progetti; ma comincia e finisce in conformità di quella ideologia politica che si adatta alla loro momentanea opinione. Dottrine o piuttosto passioni sentimentali di questo genere paiono oggi prevalere tra i vostri nuovi uomini di stato; ma sono radicalmente diverse da quelle che hanno ispirato la condotta politica del nostro paese.

    Talvolta, io sento, si va dicendo in Francia che tutto quanto si compie laggiù è ispirato all'esempio dell'Inghilterra. Vi prego di lasciarmi dire che ben poche volte si è compiuta presso di voi alcuna cosa che, in via di fatto o in via di intenzioni, abbia avuto origine dall'esempio pratico o dall'opinione prevalente del popolo inglese. Aggiungo pure che noi siamo tanto mal disposti a ricevere simili lezioni dalla Francia che sicuramente non abbiamo mai avuto l'idea di darne in contraccambio. I vociferatori che oggi in Inghilterra acclamano agli eventi di Francia si riducono per ora ad una schiera, affatto esigua; ma se per disgrazia, a forza di intrighi, di predicazioni, di pubblicità, di speranze fondate sull'aspettativa di alleanze spirituali o materiali con la nazione francese, quella gente potesse mai ingrossare la propria fazione con un numero considerevole di nuovi aderenti, tentando seriamente di raggiungere qualche effetto pratico ad imitazione di quanto si è compiuto in Francia, da tutto questo (oso lanciare una profezia) deriverà soltanto una loro completa disfatta, come conseguenza di qualche disordine che saranno riusciti a provocare nel loro paese. Il popolo inglese in età remote ha ricusato di introdurre cambiamenti nel suo sistema di diritto, senza cedere rispetto alla infallibilità del Papa; non vorrà oggi introdurvi alterazioni per ingenua fede nel dogmatismo dei filosofi; e questo nonostante che il primo si facesse forte dell'anatema e delle crociate, che i secondi si armino di libelli e di patiboli.

    In un primo tempo i vostri affari riguardavano soltanto voi. Noi ci siamo interessati ad essi solo in quanto siamo uomini, pur tenendoci sempre a debita distanza perché non siamo cittadini di Francia. Ma oggi che questi affari (vengono proposti come modello alla nostra imitazione, dobbiamo richiamarci al nostro sentimento di inglesi e tenere una condotta da inglesi. I vostri affari, nostro malgrado, vengono oggi ad interessarci, almeno quanto basta per metterci nella necessità di tenere a distanza le vostre panacee pestilenziali. Se anche si tratti di panacee, dichiariamo di non averne bisogno; conosciamo bene le tristi conseguenze di una cura non necessaria. Se si tratta di una pestilenza, essa è di tal natura che sarebbe necessario istituire in via precauzionale la più severa quarantena per difendersi da essa.

    Da tutte le parti sento dire che una sofisticheria cabalistica, autodecorata col nome di filosofia, raccoglie le glorie maggiori delle vostre gesta recenti; e che le opinioni ed i sistemi in essa indicati contengono l'essenza ispiratrice di tutto il vostro movimento. Non ho mai sentito parlare in Inghilterra di alcun partito letterario o politico il quale si distinguesse per queste caratteristiche.

    Non ve n'ha uno presso di voi, composto di quel tali uomini che il popolo, colla sua parlata volgare e disadorna, comunemente definisce atei ed infedeli? Se si tratta di questo, ammetto che anche noi abbiamo avuti alcuni scrittori di simil genere: scrittori che al loro tempo hanno fatto qualche rumore, ma che oggi riposano nella più completa dimenticanza. Fra quanti sono nati nell'ultimo quarantennio chi mai ha letta una sola parola di Collins, di Toland, di Tindal, di Chubb, di Morgan e di tutta quella razza d'individui che definivano se stessi come liberi pensatori? E chi legge più Bolingbroke? Chi mai è riuscito a leggerlo per intero? Domandate a un libraio di Londra che successo hanno avuto tutti questi illuminatori dell'umanità. In pochi anni l'esigua schiera dei loro successori andrà a raggiungerli presso il sepolcreto famigliare di "Tutti i Capuleti"; ma chiunque siano stati o siano in mezzo a noi i rappresentanti di questa categoria, essi rimangono nelle condizioni di individui singolari ed isolati.

    Non hanno mai agito come corpo organizzato, non sono mai stati riconosciuti come una frazione nello stato e non hanno mai presunto di esercitare influenze in nome collettivo o come rappresentanti di un partito sopra le vicende della nostra vita pubblica. Se poi fazioni di tal genere abbiano diritto all'esistenza o debbano comunque avere facoltà di azione, questo è un altro quesito. Ma siccome tali conventicole non hanno mai avuto esistenza in Inghilterra, così lo spirito di esse non ha mai esercitato alcuna influenza sulla formazione originaria del nostro sistema costituzionale né sopra alcuno di quei procedimenti riformativi ed integrativi che la costituzione ha subiti. Tutto quanto si è compiuto a questo riguardo, si è compiuto sotto gli auspici della religione e della pietà ed è stato confermato dalla sanzione di queste. L'intero sistema istituzionale è stato un'emanazione di quello spirito di semplicità che contraddistingue il nostro carattere nazionale ed ha una forma di nativa ingenuità e di retto intendimento, che per lungo tempo hanno caratterizzati gli uomini successivamente assurti a dignità autoritaria in mezzo a noi. Una cosiffatta disposizione d'animo si mantiene ancora, almeno nella grande maggioranza del nostro popolo.

    Noi sappiamo e (ciò che è anche meglio) noi siamo intimamente persuasi che la religione costituisce la base della società civile e la sorgente di ogni beneficio e di ogni conforto (8). In Inghilterra noi siamo così convinti di questo principio che il novantanove per cento della nostra popolazione preferirebbe all’empietà la superstizione, per quanto essa abbia potuto accumulare nel corso dei secoli tutte le assurdità dello spirito umano. Noi non saremo mai così pazzi da fare ricorso ad un elemento nemico ogni qual volta occorra rimuovere qualche difetto, supplire a qualche manchevolezza od introdurre qualche perfezionamento nel corpo di un sistema. Se le nostre opinioni religiose dovessero mai richiedere alcuna ulteriore delucidazione, noi non faremo ricorso a principi ateistici per interpretarle. Non accenderemo nel nostro tempio bagliori di fuochi profanatori ma lo illumineremo con ben altre lampade, vi spargeremo i profumi di ben altri incensi che non quelli infettati da una adulterata metafisica di importazione. Se le nostre istituzioni ecclesiastiche avessero mai bisogno di una revisione, non sarà l’avarizia né la rapacità pubblica o privata che noi impiegheremo a fine di incamerare le sacre rendite di esse per usarne con rinnovati criteri. Senza scagliare condanna violenta né contro il rito religioso dei Greci, né contro quello degli armeni e neppure contro quello romano (dacché gli odi sono cessati), noi preferiamo essere protestanti; e questo non perché pensiamo che la nostra religione contenga una minore inspirazione cristiana, ma anzi perché, a nostro avviso, questa ispirazione è in essa più grande. E siamo protestanti non a cagione della nostra indifferenza ma a cagione del nostro zelo.

    Sappiamo, ed è nostro orgoglio sapere, che l'uomo per sua propria costituzione è animato da spirito religioso; sappiamo che l'ateismo contrasta non soltanto con la nostra ragione ma anche col nostro istinto e che non può prevalere a lungo. Ma se, in un momento di disordine ed in mezzo al delirio ebbro di una infatuazione ispirata alle più infernali alchimie, come è quella che oggi furiosamente ribolle in Francia, noi dovessimo scoprirci a nudo respingendo quella religione cristiana che è stata fino ad ora il nostro orgoglio e la nostra consolazione, oltre che una grande sorgente di civiltà così come è avvenuto in molte altre nazioni, se tutto questo avvenisse, noi, ben convinti che l'animo umano non sopporta una condizione di vacuità, dovremmo temere che qualche grossolana, perniciosa degradante superstizione non subentrasse al posto dell'antica fede. Per questa ragione prima di negare alle nostre istituzioni quel naturale tributo di stima che umanamente tributiamo ad esse e prima di rovesciar loro addosso l'espressione del dispregio come avete fatto voi (voi che oggi meritate di incorrere in una pena adeguata per ciò che avete fatto), noi desidereremmo che ci venisse presentato alcun altro surrogato onde poter compiere la sostituzione. Soltanto così avremmo la possibilità di formarci un’opinione.

    In conformità di questi principi, anziché biasimare le istituzioni stabilite, come hanno fatto alcuni che eressero questa loro ostilità contro le istituzioni al grado di una nuova filosofia e di una nuova religione, noi ci stringiamo più fortemente a quelle. Siamo risoluti a mantenere una chiesa stabilita, una monarchia stabilita, un'aristocrazia stabilita e una stabilita democrazia; ciascuna cosa nel grado attuale, e non di più. Io vi mostrerei al presente in qual grado noi possediamo ciascuna delle cose indicate.

    È stata la disgrazia del nostro secolo e non, come dicono quei signori, la gloria di esso quella per cui tutto deve essere rimesso in discussione; come se la costituzione del nostro paese dovesse eternamente rappresentare un argomento di alterco anziché un motivo di gioia. Per questo motivo ed anche per soddisfare coloro tra i vostri compatrioti, seppur ve ne sono, che sappiano trarre profitto dagli esempi, io corro il rischio di importunarvi aggiungendo poche considerazioni relativamente a ciascuna delle nostre istituzioni stabilite. Non credo che sia stata priva di saggezza l'usanza degli antichi romani i quali, allorché avevano in animo di riformare le loro leggi, inviavano commissari presso gli stati vicini che fossero meglio costituiti.

    Anzitutto vi prego di lasciarmi accennare al problema della nostra chiesa stabilita, che costituisce il primo fra i nostri capisaldi; esso non è destituito di ragione, ma anzi implica una profonda e vasta saggezza. Parlo di esso prima che di ogni altra cosa, giacché questo problema occupa la mente degli Inglesi da capo a fondo. Basandoci sopra un sistema religioso come quello che ora possediamo, noi continuiamo ad operare secondo una antica ispirazione di umanità che ininterrottamente è pervenuta sino ad oggi. Questo sentimento non soltanto a guisa di sapiente architetto ha promosso il sorgere dell'augusto edificio statale, ma a guisa di proprietario previdente ne ha preservata la struttura da qualsiasi profanazione; e come un tempio sacro, lo ha detergo da tutte le impurità della frode, della violenza, dell'ingiustizia, della tirannia; ha consacrato solennemente e per sempre la base del vincolo sociale e tutte le funzioni che ad esso si riferiscono. Questa consacrazione è fatta allo scopo che tutti coloro i quali amministrano e governano altri uomini, rappresentando la figura stessa della divinità, abbiano alta e dignitosa coscienza del proprio operato e della propria missione; e che le loro speranze siano invase dal desiderio dell'immortalità; e che essi non si rivolgano a considerare il vantaggio miserabile del momento presente né l'apprezzamento occasionale e transeunte degli uomini volgari, ma soltanto a conseguire una solida ragione di permanenza in ciò che vi ha di eterno nella natura umana, raggiungendo una fama ed una gloria imperiture nell'esempio che danno di se al mondo, come ricca eredità.

    Principi così sublimi dovrebbero essere infusi nello spirito di tutti coloro che si trovano in posizioni preminenti; e le istituzioni religiose dovrebbero essere indirizzate così da poter continuamente ravvivare ed intensificare quei principi medesimi. Ogni sorta, di istituzione, sia essa morale, civile o politica, in quanto intensifica come incremento ausiliare i vincoli naturali e razionali che elevano l'intelletto umano e il sentimento dei mortali fino alla Divinità, si dimostra profondamente necessaria al completamento di quell'organismo meraviglioso che è l'Uomo. Prerogativa di quest'ultimo è appunto quella di essere per gran parte una creatura formata dalla opera propria e che quando ha raggiunto il necessario grado di compimento è destinata ad occupare un posto non piccolo nella scala della creazione. Ma dovunque un uomo sia posto gerarchicamente al disopra di altri uomini, in conformità del principio selettivo che impone l'emergenza dei valori più alti, sarà particolarmente necessario che il gerarca elevato s'avvicini quanto più è possibile all'ideale della perfezione.

    (continua)

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    Questa consacrazione dello stato, ottenuta in forza di una chiesa stabilita, è anche necessaria a fine di agire con adeguata riverenza sopra una massa di cittadini liberi; giacché appunto per garantire la loro libertà essi devono godere di una discreta parte di potere. A questo fine una religione connessa collo stato ed ossequiente ai doveri verso quest'ultimo diviene anche più necessaria di quanto non sia in quelle società dove il popolo, per la differente struttura dei suoi rapporti di sudditanza, è messo in balia di sentimenti individuali che si dirigono agli interessi particolari delle singole famiglie. Tutte le persone che detengono una parte di potere devono essere fortemente convinte del principio che esse agiscono in base a mandato fiduciario e che sono tenute a rendere conto della loro condotta a Colui che è supremo padrone, autore e fondatore della società stessa.

    Questo principio deve essere impresso nella coscienza di coloro che esercitano la sovranità in corpo collettivo, anche più profondamente che nella coscienza dei principi, i quali governano isolatamente. Se non hanno adeguati istrumenti, questi principi non possono fare nulla. Chiunque fa impiego di mezzi strumentali, cercando di trarre aiuto vi ritrova altresì degli impedimenti; il potere dei principi, dunque, non è mai assolutamente completo, ne di esso potere può esser fatto a man salva un abuso estremo. Tali personaggi, per quanto possano essere infatuati dalla adulazione, dall'arroganza, dalla presunzione, devono avere coscienza che, siano essi soggetti o meno al controllo del diritto positivo, in un modo o nell'altro debbono rendere ragione anche in questo mondo degli abusi commessi nell'adempimento del loro mandato fiduciario.

    Quand’anche essi non vengano detronizzati per forza di legittima ribellione, corrono il rischio di venire strangolati da quegli stessi giannizzeri che avevano assunti per garantirsi contro la minaccia di altra ribellione. E cosi che noi abbiamo visto il re di Francia essere venduto da parte del suoi stessi soldati per il miraggio di un aumento di paga.

    Ma là dove l'autorità popolare è assoluta ed illimitata il popolo rimette una confidenza infinitamente più grande nell'esercizio del proprio potere medesimo, in quanto essa è molto meglio fondata. Il popolo infatti trova per gran parte in se medesimo i propri strumenti d'azione. È più vicino al conseguimento del proprio oggetto. E oltre a questo si trova sciolto di responsabilità verso quel potere che sulla terra esercita una delle più grandi facoltà di controllo, vale a dire il senso della reputazione e della stima. La parte di infamia, che in tal caso deve ricadere quale conseguenza di pubblici atti sopra ogni singolo individuo, si riduce ad essere ben piccola; giacché l'azione della pubblica opinione si trova in proporzione inversa al numero di quelli che. commettono abusi di potere. L'approvazione che il popolo da a se medesimo per ogni atto che esso compie, assume l'apparenza di un pubblico giudizio espresso in suo favore. La democrazia assoluta è per questo la forma istituzionale più spudorata che esista al mondo. E allo stesso modo come essa non conosce scrupolo di vergogna, non conosce neppure cautela di timore. Nessun individuo può mai temere di diventare oggetto di punizione in persona propria.

    Certamente il popolo come massa non potrà mai costituire tale oggetto: giacché tutte le sanzioni punitive non hanno altro che una funzione esemplare, intesa alla preservazione del popolo in generale e per questo il popolo in massa non potrà mai costituire esempio a se medesimo né potrà essere punito mai da alcuna mano d’uomo (9).

    E’ dunque cosa di importanza grandissima il far sì che il popolo non immagini mai essere la sua volontà prevalente su quella dei re come criterio discriminante del diritto e del torto.

    Sarà necessario generare la persuasione che il popolo non è affatto autorizzato ad esercitare un qualsivoglia potere in modo arbitrario, non essendo ciò consentaneo con l'esigenza della sua salvezza medesima, e che per conseguenza non deve sotto una falsa apparenza di libertà esercitare di fatto una dominazione che inverte l'ordine naturale, esigendo tirannicamente da coloro che rivestono cariche pubbliche nello stato non tanto quella intera devozione all'interesse del medesimo che è suo diritto pretendere, quanto piuttosto una abbietta sottomissione all'arbitrio occasionale dei dominatori; e infatti, facendo in quel modo si estinguerebbe nell'animo di coloro che hanno funzioni subordinate ogni principio morale, ogni senso di dignità, ogni chiarezza di giudizio, ogni consistenza di carattere; e quindi il popolo stesso con una tale condotta si renderebbe preda meritata, legittima eppur supremamente disprezzabile, all'ambizione servile del sicofanti popolari e dei cortigiani adulatori.

    Quando il popolo si sia purgato da tutte le passioni dell'egoismo arbitrario, il che non può assolutamente avvenire senza l'aiuto della coscienza religiosa, quando esso sia cosciente di esercitare (esercizio che nell'ordine della delegazione si realizza forse al più alto grado) un potere che per essere legittimato deve accordarsi con quella legge eterna ed immutabile in cui si identificano i movimenti del volere e i criteri della ragione, in quel caso il popolo dimostrerà grande cura di non rimettere l'esercizio del potere a mani indegne ed incapaci. Nell’eseguire le nomine ai pubblici uffici l'esercizio dell'autorità non verrà attribuito a guisa di meschina incombenza, ma col valore di una sacra funzione; e non sarà asservito al sordido interesse dell'egoismo personale né al volubile capriccio né all'arbitrio soggettivo; ma il popolo saprà conferire questa potestà, che è tale da far tremare chi la dà e chi la riceve, solamente a coloro nei quali si possano discernere predominanti una virtù attiva ed una saggezza che insieme unite generano il presupposto adatto alla funzione; almeno per quanto una simile condizione possa realizzarsi nella grande ed inevitabile mescolanza delle imperfezioni e delle infermità umane.
    Quando il popolo sarà abitualmente persuaso che nessun male può rendersi accettabile, sia in forma di atto che in forma di consenso, a Colui che è la bontà per essenza, sarà meglio adatto ad estirpare dalla coscienza di tutti i magistrati, siano essi civili, ecclesiastici o militari, tutto ciò che porta anche la più lontana rassomiglianza coi caratteri di una dominazione prepotente ed illegale.

    Ma uno dei primi e basilari principi che consacrano i fondamenti dell'ordine pubblico e delle leggi è quello di evitare che i possessori temporanei dei beni e coloro che vivono di rendita, scordando i benefici ricevuti dagli antenati e i doveri che hanno verso la posterità, si comportino a guisa di padroni dispotici; e che vogliano annoverare fra gli altri loro diritti quello di interrompere la linea di successione o violare il processo ereditario, distruggendo a piacer loro il fondamento originario della società nella quale vivono, arrischiando di trasmettere ai successori un cumulo di macerie anziché una costruzione abitabile, e insegnando agli stessi a violare il rispetto delle nuove istituzioni così come essi medesimi hanno violato quello che si riferiva all'opera degli antenati. Con la dissennata facilità che induce a trasformare lo stato in modo così radicale e così vario quante sono le fluttuanti fantasie della moda, tutta la concatenazione continuata dell'ordine collettivo verrà ad essere spezzata. Non una sola generazione riuscirà a connettersi coll'altra; e gli uomini diventeranno poco meglio che tante mosche estive.

    Prima di tutto la scienza della giurisprudenza, orgoglio dell'intelletto umano, la quale, nonostanti i suoi difetti, le sue ridondanze e i suoi errori, rappresenta la sintesi razionale di tutte le epoche in quanto combina i principi originali della giustizia con l'infinita varietà dei rapporti umani, non verrà più a lungo studiata, quasi fosse un cumulo dì vecchie e vergognose superstizioni. Accadrà allora che uomini presuntuosi ed arroganti, quelli cioè che non hanno mai fatto esperienza di saggezza superiore al loro piccolo discernimento, usurperanno le funzioni della magistratura. Di conseguenza nessuna norma precisa, capace di stabilire in modo invariabile le ragioni della speranza o del timore, saprà più imprimere alle azioni umane una direzione sicura né incanalarle ad uno scopo definitivo. Nessun criterio costante, quanto al modo di preservare i diritti di proprietà o di esercitarne le funzioni, potrà mai offrire un solido fondamento al quale le famiglie facciano ricorso a fine di educare le nuove generazioni o di suggerire ai figli un criterio di scelta per la futura posizione che essi prenderanno nel mondo.

    E così nessun principio potrà mai entrare per tempo nell'ordine educativo dell'abitudine acquisita. Non appena il più abile dei maestri istruttori abbia portato a compimento il corso laborioso delle funzioni educative, anziché essere in grado di licenziare il suo allievo armato di virtuosi insegnamenti disciplinari e pronto a guadagnarsi l'attenzione e il rispetto del mondo oltre al suo posto nella società, troverà tutte le condizioni alterate radicalmente; e s'accorgerà che la sua fatica non è giunta ad altro risultato se non quello di esporre la disgraziata creatura alla sprezzante derisione del mondo, nella più completa ignoranza dei motivi che procacciano la stima ed il successo. Chi mai vorrà istillare nei primi battiti di un cuore umano un sentimento tenero e delicato dell'onore allorquando nessuno può prevedere quale sarà il conto che di esso si terrà in una nazione che altera continuamente il valore di questo principio?

    Nessun elemento della vita potrà manifestare una persistenza dei valori acquisiti. Forme di regresso barbarico intaccheranno la scienza e la letteratura, l'imperizia entrerà nell'esercizio delle arti e della manifattura, infallibile conseguenza di una mancata stabilità educativa e di una deficiente fondatezza di principi.

    In tal modo nel giro di poche generazioni anche lo stato sarà dissolto e si sfalderà in una polverosa disgregazione ai individualismi per essere ben tosto disperso a tutti i venti.

    È appunto per evitare i danni di tale inconsistente mutevolezza, danni mille volte peggiori che quelli derivanti dai più ciechi ed ostinati pregiudizi, che noi abbiamo consacrato lo stato in modo che nessuno osi avvicinarsi ad esso per criticare i suoi lati difettosi o corrotti, se non con la dovuta cautela; e perché nessuno sogni mai di poter cominciare un'opera di riforma sovvertendone l'ordine, ed anche perché si apprenda a considerare i difetti eventuali dello stato con quella disposizione d'animo con cui un figlio considererebbe le ferite del genitore, vale a dire con pia devozione e con tremante sollecitudine. In base a queste sagge pregiudiziali noi siamo portati a guardare con orrore quei figli della loro Patria che si dimostrano pronti a dilacerare con violenza dissennata il corpo della antica genitrice e a gettarlo d'entro la caldaia di qualche taumaturgo, sperando che a forza di esalazioni velenose o di sortilegi selvaggi si possa rimodernare la costituzione di quel materno organismo e rinnovare in esso la viltà.

    Senza dubbio la società è di essenza contrattuale. Ma le contrattazioni di carattere subordinato, che riguardano oggetti di interesse puramente occasionale, possono essere dissolte a piacimento; invece lo Stato non deve essere considerato come risultanza di un contratto simile a quello che da esistenza ad una società per il commercio del pepe o del caffè, del cotone o del tabacco, o di alcun altro oggetto di interesse momentaneo e tale da potersi liquidare nei limiti di un’intrapresa privata, suscettibile di venire dissolta secondo l'arbitrio delle parti. Con ben altro rispetto deve essere riguardato lo Stato, giacché esso non si riduce ad una associazione per finalità condizionale soltanto ai fini pratici dell'esistenza materiale e ai contingenti bisogni della natura mortale. Esso al contrario investe come vincolo associativo tutto il sistema della scienza, dell'arte, dell'etica, fino ai massimi ideali. E siccome ai fini di questa suprema associazione non si può ottemperare nemmeno nel corso di molte generazioni, consegue il fatto che essa estende la sua forza vincolatrice non solo tra quelli che sono viventi in un determinato tempo, bensì tra i viventi e i trapassati ed anche tra questi ed i nascituri. Ogni contratto che si stipula dentro un singolo stato non è che una clausola del grande contratto primordiale per cui la società, come valore eterno, vincola i gradi inferiori a quelli superiori, connette il mondo visibile con quello invisibile, conformandosi ad un ordine fissato che trova sanzione nel giuramento inviolabile onde sono insieme serrati i valori del mondo fisico e del mondo morale, ciascuno secondo il grado assegnategli. Questa legge non può essere soggetta alla volontà di coloro che, trovandosi vincolati da un obbligo di grado infinitamente superiore, devono necessariamente sottostare al comando della legge medesima. Le corporazioni municipali, che fanno parte di questa potestà universale, non hanno moralmente né la libertà né l'autorizzazione di ottemperare secondo il loro capriccio a un interesse contingente, separandosi interamente e spezzando i vincoli di subordinazione che le ricollegano alla comunità, così da dissolvere quest’ultima in un caos di elementi primordiali che risulterebbero incoerenti, antisociali ed anticivili. Soltanto una necessità di carattere supremo, tale che non dia luogo a scelta, che consenta una assoluta capacità di deliberazione senza possibilità di discussione e senza bisogno di prova, soltanto una simile necessità può autorizzare il ricorso all'anarchia. Ma in tal caso essa non costituisce una eccezione alla regola; perché la necessità stessa appartiene a quell'ordine di circostanze morali e fisiche alle quali l'uomo deve sottostare o per amore o per forza. Ma se questa, che è soltanto sottomissione alla necessità, diventi mai oggetto di arbitrio, allora la legge è violata, l'ordine di natura è infranto e i ribelli si pongono fuori dal diritto, si mettono al bando dal mondo della razionalità, della pace, della virtù, della giustizia punitiva, entrando nel mondo opposto, che è quello della pazzia discorde, della confusione viziosa, del danno inutile.

    Questi, mio caro Signore, sono, furono e saranno, io credo, per molto tempo i sentimenti che animano i ceti più nobili e più colti del regno d'Inghilterra. Le persone incluse in questa designazione alimentano le loro opinioni a fonti degne dì loro. Un'altra classe di persone trae i propri convincimenti dall'autorità dei primi, senza che abbia motivo di vergognarsi per la necessità in cui fatalmente si trova di basarsi sulla fiducia in altri. Entrambe queste categorie di uomini agiscono in direzione identica pur movendo da posizioni, diverse; entrambe procedono secondo l'ordine dell'universo riconoscendo fedelmente quella grande antica verità che dice : Quod illi principi et praepotenti Deo qui omnem. hunc mundum regit, nihil corum quae quidem fiant in terris acceptius quam concilia, et coetus hominum jure sociati quae civitates appellantur. Quegli uomini conservano tale massima nella memoria e nel cuore, non tanto in ossequio al grande nome dell'Immediato autore né a quello ancor più grande da cui deriva la ricordata verità, ma in omaggio al principio che solo può conferire un peso ed una sanzione di autorità a qualsivoglia massima dottrinale, vale a dire la natura comune degli uomini nelle loro mutue relazioni. Acquistata la persuasione che tutte le cose devono essere fatte con riferimento al principio supremo, come a un centro comune dentro il quale devono convergere tutte le azioni umane, in questo unico caso gli uomini si sentono obbligati non solamente come individui nel santuario della propria coscienza, o come corpo organizzato nell'esplicazione della loro competenza personale, a rinnovare la memoria della loro alta origine di schiatta ; ma sì sentono anche obbligati, come corporazione organizzata, a tributare omaggio nazionale verso Colui che è istitutore, autore e protettore della società civile; senza la quale l'uomo non può in alcun modo arrivare alla perfezione di cui la sua natura è capace, e neppure ottenere un larvato e parziale avvicinamento ad essa. Concepiscono insomma che Colui, il quale ha assegnato alla natura umana il compito di perfezionarsi in forza della propria virtù, ha imposti anche i mezzi che sono necessari al conseguimento dì questa perfezione. Per ciò egli ha voluta l'esistenza dello Stato, perché si riconnettesse alle fonti e agli archetipi originali di ogni perfezione.

    Coloro che sono convinti di questa volontà divina, la quale è legge delle leggi e sovrana dei sovrani, non possono disapprovare che noi, prestando corporativamente un giuramento di fedeltà e riconoscendo il dominio di quest'altra signoria e, oserei dire, offrendo in olocausto lo Stato medesimo come degna offerta sull'altare della, gloria universale, adempiamo o questi riti con tutta la imponenza pubblica che e propria degli atti solenni; e cioè con decoro di edifici, con celebrazioni musicali ed oratorie, con dignità di distintivi personali che si accordano alle tradizioni dell'umanità secondo la sua verace natura; la quale richiede un giusto splendore, uno sfarzo ragionevole, una misurata maestosità. Per queste considerazioni gli uomini ragionevoli ritengono che una congrua parte della ricchezza nazionale sia utilmente impiegata a titolo di prestigio individuale. Ciò costituisce un .pubblico decoro ed una pubblica soddisfazione oltre che nutrire le speranze collettive. Anche il più povero degli uomini può ritrovare in tutto questo la propria importanza e la propria dignità, laddove la ricchezza e l'orgoglio degli individui costringono ad ogni momento gli uomini di mediocre fortuna e animo a prendere coscienza della propria inferiorità come condizione avvilita e degradata. È appunto per gli uomini di umile condizione, è appunto per elevare la loro natura e per porre dinanzi a loro senza tregua una situazione nella quale i privilegi della ricchezza dovranno cessare allorquando si sia raggiunto un grado di eguaglianza naturale ed anche di preminenza meritoria, è appunto per tutto questo che una parte della ricchezza generale del paese viene in quel modo impiegata e santificata.
    Assicuro che non ho alcuna ambizione di far l'originale. Vi rendo note le opinioni che in mezzo a noi sono state accettate da tempo molto lungo e fino ad oggi hanno riscosso una continua e generale approvazione; d'altra parte queste idee si sono così compenetrate nella mia mente che sono incapace di distinguere quanta parte di esse io abbia appreso dagli altri e quanta parte invece sia il risultato delle mie proprie meditazioni.

    Appunto in base a questi principi il popolo d'Inghilterra, lungi dal considerare illegale resistenza di una religione nazionale stabilita, ben difficilmente riterrebbe legale il fatto di vivere senza questa. Voi in Francia vi sbagliate profondamente se pensate che gl'inglesi non siano attaccati alla loro religione sopra ogni altra cosa e più di qualunque altra nazione; e allorché questo popolo ha commesso qualche atto insipiente ed ingiustificato nei riguardi della religione, il che certamente alcuna volta si è verificato, negli stessi errori compiuti avreste modo di riconoscere il segno del suo zelo.

    Questo principio trova la sua affermazione attraverso l'intero sistema della politica inglese. Noi non consideriamo la chiesa stabilita come oggetto di convenienza ma come elemento essenziale del nostro stato; non come cosa eterogenea e separabile, qualche cosa di aggiuntivo e di accessorio che possa essere conservato od abbandonato secondo criteri di opportunità estemporanea. Gli Inglesi considerano la religione come il fondamento di tutto il sistema costituzionale, con cui essa compone in ogni singola parte una indissolubile unità. Nella loro mente la Chiesa e lo Stato costituiscono due idee inseparabili e difficilmente l’una può essere richiamata senza che si richiami anche l'altra.

    La nostra educazione è formata così da confermare e ribadire questo principio; la nostra educazione è, in certo modo, confidata per intero nelle mani degli ecclesiastici e questo in ogni momento, dall'infanzia all'età virile. Anche quando la nostra gioventù, uscita dalle scuole e dalle università, entra in quel periodo importantissimo della vita che fonde insieme l'esperienza, e lo studio, e così preparata si accinge a visitare i paesi stranieri, in luogo di vecchi domestici (che noi abbiamo visto in altre nazioni porsi come istitutori a fianco degli uomini più rappresentativi) tre quarti di quelli che accompagnano all'estero i giovani figli della nobiltà e della alta borghesia inglese sono ecclesiastici; essi non vanno né come pedagoghi austeri né come semplici servitori, ma tengono il posto di amici e di compagni che hanno mente più posata e non di rado vantano natali elevati quanto i loro pupilli medesimi. Con questi ultimi per solito essi mantengono poi intime relazioni durante l’intero corso della vita; e appunto in virtù di queste relazioni sentiamo che i gentiluomini inglesi serbano attaccamento alla Chiesa ed esercitano un'influenza liberale su di essa mettendola in rapporto con le figure preminenti della nazione.

    Siamo stati così tenaci nella conservazione degli antichi riti e degli istituti ecclesiastici, che ben piccole alterazioni si sono apportate ad casi dal 14° e dal 15° secolo fino ad oggi. Anche a questo riguardo, come in tutte le altre cose nostre, ci siamo attenuti al vecchio principio che raccomanda di non scostarsi mai né per intero né in parte dal costume tradizionale. Noi troviamo che queste antiche istituzioni sono profondamente consone allo spirito della morale e della disciplina e siamo convinti che esse siano suscettibili di emendamento senza bisogno di alterazioni radicali. Pensiamo che siano capaci di accogliere, migliorare e soprattutto preservare le acquisizioni della società e della letteratura nell'ordine successivo in cui vengono prodotte. E, dopo tutto, con questa educazione di stile gotico e monacale (giacché essa è tale nel suo fondamento) ben possiamo reclamare una partecipazione ampia ed antica in tutti gli incrementi delle scienze, dell'arte, della letteratura, che hanno illuminato ed ornato il mondo moderno; e questo al pari di qualsiasi altra nazione europea. Noi pensiamo che una delle cause fondamentali di quest'incremento è dovuta al fatto di non aver disprezzato il patrimonio di cognizioni che ci fu lasciato dai nostri progenitori.

    Dal nostro attaccamento alla Chiesa stabilita consegue che la nazione inglese non abbia ritenuto saggio di subordinare questo grande e fondamentale interesse della collettività alla instabile precarietà delle contribuzioni individuali, il che non ha fatto neppure riguardo ai servizi pubblici e militari. E siamo andati anche più in là. Non abbiamo mai tollerato né certamente tollereremo che la dotazione fissa della Chiesa sia convertita in una pensione dipendente dal tesoro, subordinata a dilazioni inceppanti o magari minacciata di esaurimento a cagione di fiscali difficoltà; difficoltà che talvolta potrebbero nascondere pretesti di intenzione politica e in via di fatto sono prodotte sovente dalla negligenza stravagante e dalla rapacità dei mestatori politici. Il popolo in Inghilterra crede che esistano ragioni di ordine costituzionale e religioso contro ogni progetto che minacci di trasformare l'indipendenza del clero in una forma di pensione ecclesiastica dello Stato. Esso tremerebbe per la propria libertà di fronte alla influenza di un clero che dipendesse dalla Corona; e tremerebbe per la tranquillità pubblica di fronte alla minaccia di un clero fazioso e disordinato che dipendesse da altra autorità all'infuori della Corona. Per questo il popolo inglese ha costituita la propria Chiesa indipendente al pari del re e della nobiltà.

    Nella considerazione inseparabile della religione e della politica costituzionale, e per la convinzione di un dovere che impone dì provvedere con sicurezza alla assistenza dei deboli e all'istruzione degli ignoranti, la nazione ha incorporata ed equiparata l'entità patrimoniale della Chiesa con la massa della proprietà privata, di cui lo Stato non è proprietario e non può usare né disporre ma è soltanto custode e regolatore. Si è voluto perciò che le rendite del patrimonio ecclesiastico fossero altrettanto sicure quanto la terra su cui esso si fonda e non fluttuassero come l'Euripo dei fondi pubblici e delle azioni.

    Gli uomini d’Inghilterra, intendo quelli che hanno mente illuminata e funzioni gerarchiche e il cui ingegno è comunque aperto e dritto, avrebbero vergogna di professare a parole una religione che mostrassero con gli atti di tenere in dispregio. Se con la loro condotta (il solo linguaggio che difficilmente inganna) essi dimostrassero di considerare il grande principio normativo che regge il mondo morale e naturale come una pura invenzione escogitata per tenere in obbedienza gli uomini volgari, comportandosi così verrebbero a sconfessare la finalità politica tenuta di mira. Troverebbero difficile far sì che altri presti fede a un sistema di idee al quale essi stessi manifestamente non prestano fede. Gli uomini di stato cristiani in questo paese vorrebbero anzitutto provvedere a ciò che interessa la moltitudine per il solo fatto che essa è moltitudine e per questo costituisce l'oggetto fondamentale delle istituzioni ecclesiastiche al pari che di altre istituzioni. Da molto tempo essi hanno appreso che il fatto d'essere stato il Vangelo predicato ai poveri è una delle circostanze probatrici più forti della sua vera missione; dunque pensano che non hanno fede in esso coloro che non si prendono cura di farlo predicare ai poveri. Ma avendo coscienza che la carità non sì limita a una sola classe d'uomini, bensì deve rivolgersi a tutti coloro che ne hanno bisogno, essi non mancano di rivolgere un tributo di ansiosa pietà verso i grandi che sono angustiati dal dolore. Non si lasciano respingere da un senso di suscettibile avversione di fronte all'arroganza presuntuosa di quelli, e prodigano medicine spirituali sulle piaghe della niente e della coscienza. Hanno la convinzione che l'istruzione religiosa torni qui più necessaria che in ogni altro caso per la particolare forza delle tentazioni a cui tal gente si trova esposta, per le gravi conseguenze che derivano dai loro errori, per l'effetto contagioso del loro cattivo esempio, per la necessità di piegare il loro capo ribelle e pieno di ambizioso orgoglio al giogo della moderazione e della virtù, e per la conoscenza della fatua stoltezza e della grande ignoranza che, riguardo alle più importanti e delicate questioni, dominano nelle corti dei principi, alla testa delle armate e nelle assemblee legislative, non meno che nelle officine e nei campi.

    In Inghilterra il popolo vede con soddisfazione che agli uomini altolocati le consolazioni della fede religiosa sono altrettanto necessarie quanto gli insegnamenti che da essa emanano. Anche quegli uomini infatti sono soggetti alla comune infelicità; provano sofferenze personali e vengono colpiti da domestiche sciagure. In tutto ciò essi non vantano alcun privilegio ma sono obbligati a pagare in pieno il contributo che grava sulla progenie dei mortali. Hanno bisogno di questo balsamo sovrano onde sopportare le ansietà della vita, giacché, questo genere di sofferenze, mentre ha limitati rapporti coi bisogni elementari dell'esistenza animale, si estende senza limiti diversificandosi per infinite combinazioni nella regione immensa e primordiale dell'immaginazione. Essi hanno sovente bisogno di un soccorso caritatevole, questi nostri fratelli assai spesso infelici, a fine di riempire l'oscuro vuoto che regna nello spirito di coloro, i quali sulla terra nulla hanno da sperare ne da temere; qualche cosa che possa tornar di sollievo al mortale languore ed alla tormentosa stanchezza di coloro che hanno niente da fare; qualche cosa che possa eccitare il desiderio di vivere nella snervata sazietà conseguente alla soddisfazione di tutti i piaceri possibili, allorché gli impulsi naturali sono impotenti a smuoversi da soli e perfino i desideri sono anticipati, sì che il godimento è paralizzato dalla meditazione preventiva delle delizie pregustate e nessun intervallo, nessun ostacolo si interpone mai tra un desiderio e la sua soddisfazione.

    Il popolo inglese sa quanto debole sarebbe, secondo ogni apparenza, l'influsso esercitato dai ministri della religione di fronte ai privilegi acquisiti dalla ricchezza e dalla potenza di lunga data; o quanto minore tale influsso sarebbe rispetto agli uomini assurti di recente alla fortuna, quando gli stessi ministri non si presentassero in modo adeguato a coloro verso i quali intendono stringere rapporti di confidenza e sopra i quali possono anche, in alcuni casi, esercitare una certa influenza. Quale idea potrebbero costoro concepire intorno a tale categoria di maestri se non li vedessero in alcun modo elevarsi oltre il rango dei loro domestici servitori? Se la povertà fosse volontaria la cosa sarebbe differente. Gli esempi forti di abnegazione personale esercitano una potente influenza sui nostri spiriti; e un uomo che si ponga al disopra di tutte le necessità personali acquista un grado massimo di libertà, di fermezza ed anche di prestigio.

    Ma siccome la grande maggioranza degli uomini, a qualunque categoria appartengano, non va oltre la linea normale della mediocrità umana e non può essere tale da accettare la povertà in via volontaria, accadrebbe che la disistima generica da cui è colpita ogni forma di povertà nel mondo laico non sarebbe risparmiata neppure al mondo ecclesiastico.

    Questo è il motivo per cui la nostra previdente costituzione si è preoccupata affinchè coloro che hanno il compito di correggere con l'istruzione la presuntuosità degl'ignoranti, coloro che hanno compito di esercitare una censura sopra l'insolenza del vizio, non debbano incorrere nel disprezzo altrui né vivere d'elemosina; così che i ricchi non siano tentati a trascurare la verace medicina dei loro spiriti.

    Per queste medesime ragioni mentre noi anzitutto ci preoccupiamo di soccorrere i poveri con spirito di fraterna sollecitudine, non abbiamo relegata la religione, come fosse alcunché di vergognoso a mostrarsi, nelle oscure municipalità o nei villaggi rustici. No. Vogliamo anzi che essa elevi la sua fronte mitrata al cospetto delle corti e dei parlamenti; vogliamo trovarla alleata attraverso tutte le vicende della vita e fusa con tutte le classi sociali. Il popolo d'Inghilterra saprà mostrare a tutti i più alti potentati del mondo ed anche ai loro verbosi e sofistici difensori che una nazione libera, generosa e cosciente di sé onora gli alti magistrati della propria chiesa; e non tollererà che l'insolenza dei titoli o del censo o alcun’altra specie di presuntuoso orgoglio vada gettando il disprezzo sopra ciò che la nazione considera con somma riverenza; e non permetterà che si faccia getto di quella nobiltà personale acquisita, che secondo i suoi detrattori si ritiene essere sempre stata una ricompensa della saggezza, della pietà, della virtù, laddove non costituisce affatto la ricompensa di queste cose (e infatti qual ricompensa potrebbe mai darsi?); ma è invece sovente il frutto delle medesime.

    In Inghilterra siamo abituati a vedere senza pena e senza rancore un duca lasciare la precedenza a un arcivescovo, e a sapere che un vescovo di Winchester percepisce una rendita annua di 10.000 sterline; e nessuno pensa che questa gomma stia nelle sue mani meno degnamente che in quelle di un conte o di alcun altro Squire, pur essendo vero che il primo non mantiene così grande quantità di cani né di cavalli, né li pasce col frutto di una ricchezza che dovrebbe esser destinata a nutrire i figli del popolo. È bensì vero che non tutte le rendite ecclesiastiche vanno fino all'ultimo scellino in opere di carità; e forse non sarebbe nemmeno necessario che così fosse; ma la grande maggioranza di esse è per solito impiegata a tal fine. È molto meglio rispettare i principi della virtù umanitaria lasciando libero campo all'esplicazione del discernimento volontario, sia pure incorrendo in qualche perdita, anziché tentare di ridurre gli uomini al livello di tanti strumenti meccanici di una beneficenza politica. A conti fatti il mondo guadagnerà sempre con la libertà, senza la quale non può esistere alcuna virtù.

    Una volta che lo Stato ha stabilito il principio della proprietà ecclesiastica, non è più possibile ragionevolmente far questione di quantità maggiore o minore. Intavolare una discussione di questo genere sarebbe come tradire l'essenza stessa della proprietà. Nessun danno può nascere dalla concentrazione di una quantità di ricchezza nelle mani di alcuni, fino a tanto che l'autorità suprema detiene su di essi pieni diritti di sovrintendenza sovrana, al pari che sulla massa generale della proprietà privata, per impedire ogni forma di abuso ed intervenire nel caso di eventuali deviazioni a rimettere le cose in direzione conforme agli scopi che le diverse istituzioni si prefiggono.

    In Inghilterra vi sono molte persone le quali pensano che verso coloro i quali appaiono sovente come iniziatori della propria fortuna si levi una forma di malignità invidiosa, la quale nulla ha da vedere collo spirito antiegoistico di automortificazione proprio delle antiche tradizioni ecclesiastiche: e ciò fa sì che taluno consideri con occhio geloso le distinzioni, gli onori, gli appannaggi, i quali senza far torto ad alcuno sono però riservati al riconoscimento della virtù. Nel popolo inglese il senso dell'udito è molto fino. Gente di tal fatta si riconosce dal modo di parlare. La lingua stessa li tradisce. Essa non è che un gergo di frode, un accento convenziona le di ipocrisia. Il pubblico inglese non potrebbe pensare diversamente allorché codesti cialtroni affettano la pretesa di riportare il clero a quello stato primitivo di evangelica povertà che nella intenzione spirituale di esso deve pur sempre esistere (e nostro malgrado dovrebbe esistere anche in noi tutti), ma che in via di tatto deve avere subita uno modificazione fondamentale, dal momento in cui i rapporti tra la Chiesa e lo Stato hanno subito alterazioni e i costumi, le maniere di vita e l'intero ordine delle cose umane hanno subìto una rivoluzione totale. Noi cominceremo a credere che questi propugnatori di riforma siano degli entusiasti in buona fede e non, come oggi pensiamo, dei mentitori astuti, allorché li vedremo far getto dei loro beni privati e conferirli in comune, sottomettendosi essi medesimi all'austera disciplina della chiesa antica.

    Essendo queste le idee radicate nella coscienza degli inglesi, la grande maggioranza di essi nei momenti di crisi nazionale non ricorrerà mai all'espediente di confiscare i beni della Chiesa o dei poveri. Né il sacrilegio né la proscrizione si annoverano tra gli strumenti impiegati dal nostro comitato di finanze. Neppure i giudei della Changhe Alley hanno mai osato spingere le loro speranze fino al progetto di ipotecare le rendite che appartengono alla giurisdizione di Chanterbuy. Non ho paura di essere smentito se io vi assicuro che non vi è un solo uomo pubblico di rango rispettabile in questo regno, neppure un solo uomo in tutti i partiti e in tutte le categorie, il quale non riprovi la disonesta, perfida e crudele confisca che l'Assemblea Nazionale di Francia è stata costretta a fare in danno di una proprietà che era suo primo dovere di tutelare.

    Non è senza esultanza mista di orgoglio nazionale che io vi assicuro essere stati oggetto di disapprovazione quei tali, che in mezzo a noi hanno inteso plaudire agli eventi di Parigi bevendo nella coppa delle aberrazioni ivi consumate. Il saccheggio perpetrato ai danni della vostra chiesa ha ribadita la sicurezza delle possessioni della nostra. Ha aperto gli occhi al popolo, il quale ha considerato con orrore pieno d'allarme la vergognosa enormità di quell'atto di proscrizione; ha risvegliate sempre più le coscienze intorno all'egoistica ingordigia intenzionale e al sentimento di fittizia liberalità che è proprio di quei procedimenti insidiosi, i quali avendo cominciato con l'ipocrisia e con la frode nascosta sono poi finiti in aperta e violenta rapina. Anche in casa nostra verifichiamo inizi di questo genere. Stiamo in guardia contro il riprodursi di conclusioni analoghe.

    Spero che noi non avremo mai perduto così completamente il sentimento del dovere, impostoci dal principio dell'unione sociale, da confiscare i beni anche di un solo cittadino inoffensivo, pretestando un motivo di pubblica utilità. Chi mai, se non un tiranno (nome che esprime tutto ciò che di più viziato e di più degradante possa offrire la natura umana), potrebbe pensare a confiscare la proprietà di uomini scevri di colpa, senza ascoltarli né giudicarli, estendendo l'espropriazione a intere categorie di centinaia e migliaia d'individui? E chi mai, che non abbia perduta anche l'ultima traccia di sentimento umano, oserebbe gettare giù dai ranghi delle sacre funzioni uomini di elevatissima categoria, dei quali alcuni sono per ragione d'età oggetto di reverenza particolare e di compassione; pensare di deporli dai più alti gradi che essi occupano nello stato, mantenendovisi in forza della loro proprietà fondiaria, e precipitarli nel grado infimo dell’indigenza e del disprezzo?


    Note


    (7) Mi pare che gli Inglesi siano malamente rappresentati in una delle lettere che furono rese di pubblica ragione da parte di un uomo reputato ministro dissidente. Allorché scrivendo al Dr. Price intorno allo spirito dominante nelle vicende di Parigi egli dice: "Lo spirito popolare in questo paese ha avuto tutte le orgogliose distinzioni che il re e i nobili avevano in esso usurpate, sia che essi parlino del re, dei nobili o del clero, essi impiegano un linguaggio simile a quello del più illuminato e dei più liberale tra gli inglesi d'oggi". Se chi parla così intende limitare l'attribuzione del termini "illuminato e liberale" a una sola setta inglese, egli può avere ragione. Ma in termini generali non e così.

    (8) Cfr. Cicerone, de Legibus, l. 2.

    (9) Quidtquid multis peccatur inultum.



    (Fine quarta parte)

  3. #3
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    Anche questa quarta parte delle Riflessioni burkeane è densa di spunti di riflessione.

    Il primo spunto è di stretta attualità e riguarda l'essenza stessa del chiamarsi liberali. Burke si chiede se sia lecito da parte dei radicali di collegarsi al vero liberalismo. E circostanzia questa critica sottolineando del radicalismo:

    - una scienza presuntuosa che conduce all'ignoranza.
    - un umanitarismo selvaggio e brutale.

    Queste accuse possano essere rivolte anche e soprattutto al pensiero liberal contemporaneo, diretto discendente dal radicalismo illuminista, che ha deviato e corrotto le istanze del liberalismo autentico.


    Il secondo spunto riguarda il rifiuto del machiavellismo, la cui natura tirannica può conformarsi tanto ad una monarchia quanto ad una dittatura. Per Burke l'antidoto a ciò sta nell'impulso naturale dell'essere umano. Quando l'uomo segue la propria coscienza morale non corre di simili pericoli.

    Illuminante il concetto che: Una volta giustificata la perfidia e legittimato l'assassinio a fine di pubblico beneficio, quest'ultimo non tarderà a diventare un pretesto, laddove perfidia e assassinio rappresenteranno lo scopo.
    Burke stigmatizza i moderni Diritti dell'Uomo, e il suo sguardo prefigura già i crimini perpetrati dal totalitarismo politico che si volle appunto interprete dei pubblici benefici. Ma è una critica che può calzare anche ad un sistema democratico, nella misura in cui per calcoli utilitaristici ed edonistici si arriva a disconoscere il primo dei diritti umani, che è il diritto alla vita dal concepimento.

    Un altro punto sul quale è possibile soffermarsi riguarda l’orgoglio della vecchia Inghilterra (la contemporanea Britannia è ahinoi altra cosa), di cui Burke è fiero sostenitore, per il proprio tradizionalismo, il proprio conservatorismo politico e sociale (Grazie alla dura resistenza che opponiamo contro tutte le innovazioni, grazie alla cautelata freddezza del nostro carattere nazionale, noi ancora portiamo l’impronta dei progenitori).

    Spietata è l’ironia burkeana che lo porta ad affermare, contro i pericoli del razionalismo, frasi che oggi risuonano terribilmente scorrette, del tipo: Non abbiamo ancora sofisticato tanto da ridiventare selvaggi.

    E, ancora, il netto rifiuto dei philosophes illuministi e delle mode di Parigi: Non siamo discepoli di Rousseau, né scolari di Voltaire; Helvetius non ha trovato credito in mezzo a noi. Non ci lasciamo evangelizzare dagli atei; non accettiamo che le signore dettino legge. (Un altro affondo contro il secolarismo e uno dei suoi bracci armati, il femminismo.)

    Importante, poi, la sottolineatura: Siamo persuasi di non aver fatta nessuna scoperta. (…) che in materia morale non se ne possono fare, né, tanto meno, in rapporto a quei grandi principi di governo e a quelle idee di libertà, che erano conosciuti molto tempo prima che noi venissimo al mondo.


    Un omaggio alla Verità che sgorga dall’animo nobile e non dal mero ragionamento: Noi temiamo Dio; guardiamo con riverenza ai re, con affezione agli istituti parlamentari, con devozione alla magistratura, con deferenza al clero, con rispetto alla nobiltà. E perché? Perché (…) proviamo in via naturale sentimenti di questo genere.
    Burke ci trasmette il concetto che il principio di lealtà a ciò che è bello, buono e giusto, non si impara ma lo si eredita. Che si nasce conservatori e non lo si diventa (al massimo, si scopre di esserlo sempre stati).


    Si giunge quindi ad uno dei punti fondanti del pensiero burkeano: l’elogio del pregiudizio.
    Burke afferma che l’uomo non possa e non debba vivere relazionandosi al solo patrimonio della sua ragione privata, che è ben piccolo. Al contrario, deve far ricorso al grande capitale collettivo della nazione e dei secoli. E’ più saggio, ci dice l’autore, insistere in un pregiudizio che contiene un motivo razionale, anziché abbandonarsi ad un nudo razionalismo. Il pregiudizio rappresenta il patrimonio collettivo di culture ed esperienze, che nell’antica data ha la sua ragion d’essere.
    Il pregiudizio è anche un efficace antidoto all’irresoluzione scettica, in quanto impedisce all’uomo di perdersi in quei dubbi amletici che hanno portato al nichilismo contemporaneo.


    Un ulteriore spunto di interesse riguarda la pungente critica di Burke ad un altro famoso pensatore inglese, ovvero il Bolingbroke. Bolingbroke era un tory, mentre Burke un old whig. Tuttavia il toryismo del Bolingbroke si accompagnava al progressismo filosofico, mentre il liberalismo di Burke al conservatorismo. Questa è una delle ragioni per cui, prima della nascita dei moderni partiti conservatore e liberale che domineranno a lungo la scena inglese, non si può in alcun modo considerare le antiche fazioni tory e whig come espressioni della destra e della sinistra politica, del conservatorismo e del progressismo. I tories e i whigs rappresentavo unicamente due diverse visioni riguardo le prerogative della Corona e del Parlamento.


    Altra tesi fondamentale esposta in queste pagine è la denuncia ferma dell’ateismo e la perentoria affermazione che la religione costituisca la base della società civile e la fonte di ogni beneficio e conforto.
    Burke sostiene che l’uomo è un essere religioso per natura e che se venisse a mancare la luce della Verità cristiana egli si abbandonerebbe alla superstizione e non certo all’empietà di chi non crede in un assoluto. Ecco dunque il tremendo pericolo ventilato da Burke ed oggi purtroppo avveratosi. In mancanza della Verità si fa strada la Menzogna, che attraverso grossolane e degradanti superstizioni prende il posto dell’antica fede. Se guardiamo all’incremento di santoni e pseudo religioni scientifiche e di matrice orientale che distolgono oggi dall’insegnamento biblico, non possiamo che rimarcare anche in questo caso la giustezza di queste acute prefigurazioni.

    Ma Burke non difende solo la religione cristiana. Egli difende contro i non conformisti del suo tempo l’importanza delle istituzioni stabilite, e dunque di una chiesa stabilita accanto ad una monarchia stabilita, un’aristocrazia stabilita e una stabilita democrazia.

    Burke non condanna in sé la democrazia, ma la democrazia assoluta che nega in quanto tale la gerarchia.


    Un altro punto di fondamentale importanza riguarda la concezione dello Stato. Burke riconosce che la società è di natura contrattuale, ma – discostandosi da Hobbes e Locke – non dice la stessa cosa dello Stato. Lo Stato, per Burke, non è un’associazione costituita a vantaggio dei meri fini pratici dell’esistenza materiale (e questo è un punto di rottura col liberalismo moderno, che proprio ciò sostiene), ma al contrario investe la cultura, la scienza e i massimi ideali, estendendo la propria forza vincolatrice non solo sui viventi, ma sui viventi, i trapassati e i nascituri. I contratti che vengono stipulati all’interno di uno stato non sono che clausole di un contratto primordiale per il quale la società, in quanto valore eterno, vincola i gradi inferiori a quelli superiori, il mondo visibile con quello invisibile.

    Lo Stato è il mezzo dato da Dio all’uomo affinché egli potesse perfezionare le proprie virtù, connettendosi alle fonti e agli archetipi originari di ogni perfezione.

    Burke considera perciò la Chiesa stabilita il fondamento di tutto il sistema costituzionale, con cui essa compone in ogni singola parte una indissolubile unità. E plaude alla consuetudine dell’epoca di confidare per intero l’educazione dei giovani nelle mani degli ecclesiastici.


    * * *

    Questi spunti oltre a rendere le Riflessioni un documento fondamentale per i conservatori di ieri e di oggi, rendono assolutamente problematica – a mio avviso – la relazione di Burke con il pensiero liberale moderno e contemporaneo. Nella mentalità corrente le tesi esposte da Edmund Burke verrebbero tacciate di clericalismo e il suo schietto anglicanesimo considerato papista da buona parte del protestantesimo contemporaneo che rifugge, com’è noto, da ogni associazione tra Chiesa e Stato.
    Non a caso c'è ancora chi considera Burke un reazionario difensore dei privilegi dei pochi contro i bisogni dei molti, per quanto l’Autore si sia premurato di volere le autorità subordinate alla legge umana e divina. Ma è sulla difesa del pregiudizio, esposta da Burke, che si fonda il rifiuto contemporaneo di un autore equiparato al mondo dei vinti dal progresso, della reazione, dell’antico regime.
    Il un mondo dominato dalla Dea Ragione qual è tuttora il nostro il bisogno di giustificare razionalmente ogni cosa relega il pregiudizio a superstizione e come tale viene considerato una bizzarria del mondo che fu. E poiché nella logica corrente tutto ciò che non è razionale non è reale, lo stato gerarchico, aristocratico e cristiano caro ad Edmund Burke è indifendibile con i meri parametri fornitici dalla ragione.
    Su tali basi il conservatorismo burkeano rischia di risultare perciò inevitabilmente perdente nella battaglia delle idee. Di questo si è accorto recentemente un filosofo che ha fatto di Edmund Burke il proprio riferimento intellettuale, Roger Scruton, che ha accettato la sfida posta dal razionalismo relazionando per la prima volta il pensiero conservatore con quello della filosofia contemporanea.

  4. #4
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    La Rivoluzione francese rischia di sconvolgere l'intero continente europeo, e non è escluso neppure un conflitto fra Francia ed Inghilterra. Quest'ultima ha beneficiato in passato delle influenze gallicane, tra le quali il rispetto della tradizione e dei buoni principi. Tuttavia, l'interruzione di tale flusso positivo rischia di compromettere non solo la situazione inglese (e i sermoni del Dr. Prince costituiscono già la prova di un deterioramento del clima), ma pure quella degli altri Stati. Ciò che accade al di là della Manica può essere definito come un vero dramma, ma peggio ancora è assistere agli applausi di coloro che non si rendono ben conto dell'orrore rivoluzionario, e anzi ne difendono la causa. I cosiddetti "Diritti dell'Uomo", il principio della "Libertà", sono continuamente disattesi con dei pretesti che giustificano atti ignominiosi. La "democrazia moderna" è intrisa di sangue come e più dell'antico regime che si vuole cambiare.
    Verso i sovrani sono lanciate le accuse più infamanti, tra le quali il tentativo di assassinio e di repressione di tutti i rappresentanti dell'Assemblea Nazionale. Se una simile accusa fosse vera, secondo Burke, non ci sarebbe nessun motivo di recriminazione nei confronti della cattività del re, il quale meriterebbe una pena ancora maggiore, pur nel rispetto della dignità del suo grado e condizione, come da consuetudine inglese.
    Ma Luigi XVI è innocente, e lo dimostra il fatto che l'Assemblea lo ha sì posto de facto sotto il suo controllo, ma gli ha tolto solo una parte delle sue funzioni. Il re è ancora nominalmente tale, e ciò comprova che neppure l'Assemblea ha le prove sufficienti per punire il sovrano, dileggiandolo ulteriormente. Può del resto l'Assemblea mantenere nelle sue funzioni colui che voleva annientarla? Evidentemente questo non è possibile. La punizione verso il tiranno è un atto di giustizia, ma non è il caso in questione: Luigi XVI ha solo avuto la "sfortuna" di nascere re, con tutte le incombenze connesse con una simile responsabilità, ma non può considerarsi despota e assassino.
    Burke -e in questo ricorda una formula a noi nota, quella della "minoranza chiassosa" contrapposta ad una "maggioranza operosa e silenziosa"- si impegna poi a sminuire l'impatto effettivo dei sermoni, dei libelli e della propaganza rivoluzionaria di clubs e società inglesi. Essi rappresentano senza dubbio un pericolo da non sottovalutare, ed effettivamente la loro voce così amplificata produce clamore, ma neppure l'1 per cento degli inglesi in realtà condivide le loro idee. La stragrande maggioranza del popolo resta in silenzio, non partecipa attivamente alla polemica (come invece fa Burke stesso con la sua opera), ma ciò non equivale nel modo più assoluto a condivisione, bensì a fastidio e noncuranza. Gli inglesi vogliono tranquillità, sono ben attaccati a consuetudini e tradizioni, e non stanno neppure a sentire prediche e propaganda rivoluzionaria varia.
    Delle sofisticherie illuministe e razionalistiche di Voltaire, di Russeau, di Helvetius, gli inglesi non se ne fanno nulla, perchè essi preferiscono (e a ragione) conservare il patrimonio dei sentimenti integri e nativi, che comprendono il rispetto ed il timor di Dio, l'affezione per la monarchia e l'istituto parlamentare, la devozione per la magistratura e la deferenza per il clero e la nobiltà. Gli illuministi commettono il grave errore di riporre la loro totale fiducia nella ragione dei singoli, senza apprezzare il grande capitale collettivo formato dalle esperienze dei popoli e delle nazioni, forgiato nei secoli e depositario delle tradizioni.
    Essi disprezzano le antiche istituzioni solo per il fatto di essere di lontana origine; amano le innovazioni e le trovate estemporanee, senza curarsi della loro solidità e concreta possibilità di realizzazione. Vogliono modificare i sistemi costituzionali di comprovato funzionamento, e per far questo sono anche pronti a mettere in secondo piano la lealtà verso la Patria, pur di raggiungere l'obiettivo. Sono smaniosi per il nuovo, ma non si rendono conto del valore del patrimonio lasciato dal passato, dagli antichi uomini, dai propri padri, un vero e proprio "tesoro" di esperienze e conoscenze a cui possono attingere tutti. Sono arroganti, si basano solo sulla propria ragione, e non accettano le opinioni degli altri; e pensano che il contratto sociale valga solo per un contraente, per il popolo, che avrebbe il diritto di abbattere i governanti anche senza un valido motivo.
    Ma fortunatamente i Lumi in Inghilterra sono ancora incerti e scarsi, così come i loro esponenti, ben lontani da costituire organizzazioni e movimenti influenti, e gli scrittori illuministi sono lasciati nel dimenticatoio. E tuttavia la pestilenza rivoluzionaria, unita alla propaganda, ai libelli, ai sermoni, alle prediche dei clubs, potrebbe aggravare la situazione anche nella tranquilla terra inglese, che fino a questo momento, però, è rimasta immune ai tentativi di introduzione di germi esterni, ed estranei al sistema costituzionale. L'Inghilterra ha saputo resistere al potere del Pontefice e alla pretesa della sua infallibilità; potrà senz'altro essere in grado di respingere le false teorie illuministe, atee ed empie.
    E il popolo inglese sopra ogni cosa va fiero della propria religione, a cui non rinuncerebbe mai. La peculiare caratteristica del protestantesimo inglese (quello che noi oggi definiamo con anglicanesimo) sta nel suo stretto contatto con lo Stato: entrambi si sostengono a vicenda, per sorreggere insieme l'intero sistema istituzionale inglese. Il sovrano è a capo della Chiesa anglicana, protetta dalle leggi. Grande è il rispetto per la fede, che sta alla base dell'uomo, animato per costituzione da spirito religioso. Nessun inglese permetterebbe mai ciò che accade in Francia, con una Chiesa spogliata e prevaricata, con i suoi beni requisiti e dati in pasto ai rapaci e ai corrotti.
    Il popolo è fermo nel mantenimento di uno Stato e di una Chiesa stabiliti, e nel respingere qualsiasi sofisticheria dal sapore ateo e materialista, qualunque sovvertimento dell'ordine naturale e costituito.
    La religione costituisce dunque elemento essenziale, irrinunciabile, e gli uomini di chiesa hanno l'altissimo compito di preservare e ravvivare tale sentimento, e di lasciarlo come ricca eredità ai posteri. Per tale ufficio di così alto valore, il clero merita deferenza e rispetto. Una Chiesa forte significa uno Stato forte, e viceversa: la prima deve rispettare l'autorità civile, e non contestarla, mentre i funzionari pubblici devono tenere a mente che un giorno renderanno conto a Dio del loro operato.
    La democrazia assoluta è in ogni caso la forma istituzionale più spudorata esistente al mondo. Essa deresponsabilizza l'individuo: infatti non è il singolo ad agire, ad occuparsi del proprio ufficio, ma è il popolo tutto a muoversi, travolgendo ogni cosa. Ma è chiaro che nessun individuo in una situazione del genere teme di essere punito, e soprattutto ogni azione, anche la più criminale, becera, ingiusta e sanguinaria può essere giustificata dal "popolo" in "nome del popolo". La collettività presa per intero infatti non può essere punita da essa stessa: da ciò la fine di ogni senso del dovere, di stima, di reputazione. E' quindi estremamente importante assicurare che la volontà del popolo non sia mai sentita come superiore a quella del re e dei governanti, per evitare ogni ribaltamento dell'ordine naturale, e l'esercizio dal basso del potere arbitrario. I pubblici uffici devono agire per il bene collettivo, e questo è un sacro compito a cui possono ambire solo i più preparati, gli uomini addestrati, acculturati, preparati a dovere da maestri, i quali provvederanno a trasmettere un sapere antico, proveniente dalle generazioni passate. E' doverso consegnare ai posteri, ai propri figli, non delle macerie, ma un edificio solido, stabile, ben costruito, in grado di oltrepassare i secoli, con radici piantate, consolidate semmai con risistemazioni graduali, con la stessa cura e dovizia con cui si curano i genitori. Le riforme non devono trasformarsi in rivoluzione, in sovvertimento dell'ordine e delle radici del sistema di governo, ma vanno attuate con efficacia e responsabilità, soppesando tutti gli elementi, per evitare crolli repentini e pericolosi. Chi lavora per distruggere il lascito dei padri, degli antenati, rischia di tagliare quell'unico filo che lega le generazioni, di rompere irrimediabilmente il patrimonio della tradizione, e di lasciare l'Uomo da solo, senza più contatto con il passato, e senza più nulla da consegnare ai posteri.
    Il contratto che dà origine allo Stato non è come qualsiasi altro di tipo privato e commerciale, stipulato su tempi brevi coinvolgendo pochi uomini, e con fini materiali. Allo Stato deve rivolgersi la considerazione ed il rispetto di tutti, perchè esso lega i singoli, ma anche le idee, le scienze, gli scambi, i commerci, i saperi, le tradizioni. Lo Stato unisce il visibile all'invisibile, all'idea, e per questo il giuramento inviolabile da cui scaturisce non può essere infranto. Lo Stato va oltre all'individuo, alla singola generazione, al singolo secolo, e ciascuno ha il preciso dovere di preserverlo, per consentire il recepimento e la trasmissione della Tradizione.
    La Rivoluzione francese è respinta da quasi tutti gli inglesi anche per il suo carattere violento nei confronti della religione e dell'istituzione ecclesiastica. La confisca delle terre, la requisizione indiscriminata delle rendite per il sostentamento del clero, rappresentano degli atti inammissibili che mettono in dubbio il principio della proprietà e che tolgono ai sacerdoti e agli ordini religioso ogni decoro e possibilità di esercizio di funzioni importantissime, come l'educazione dei fanciulli. Questo attentato alla religione rischia di polverizzare il patrimonio di saperi e conoscenze trasmesse dagli uomini di fede, privati del sostentamento necessario, e obbligati a sottomettersi con la forza allo Stato. In Inghilterra infatti la Chiesa stabilità viene rispettata, le leggi la proteggono e nessuno si sognerebbe mai di toccare le rendite ecclesiastiche, che preservano la dignità del clero. Anzi, sono proprio gli ecclesiastici a formare gli uomini d'ingegno, a trasmettere le scienze, le arti, la letteratura, ad educare i nobili accompagnandoli nel lungo percorso della formazione. Gli inglesi considerano la religione il fondamento stesso del sistema costituzionale; e Chiesa e Stato sono inseparabili, unite in un sol corpo, a garanzia della stabilità e dell'ordine. Anche per questo le autorità si preoccupano di non lasciare la Chiesa in balia delle contribuzioni individuali, delle elemosine, o di pensioni scarse e fluttuanti dipendenti dal Tesoro, sempre minacciate da crisi fiscali, e pronte ad essere untilizzate come "arma" per svilire il clero e sottometterlo alle angherie. Quest'ultimo non può dipendere dai capricci dello Stato, ma deve identificarsi con esso, e preservare allo stesso tempo le proprie proprietà e rendite, di cui lo Stato è solo custode, protettore e regolatore. Ed è altresì da respingere l'idea di una Chiesa completamente defraudata dei suo beni, lasciata in miseria, senza più alcuna possibilità di provvedere ai doveri del culto e dell'insegnamento. Chi polemizza e pretende una Chiesa spogliata di tutto, è solo un ipocrita ben lungi dal rinunciare spontaneamente ai suoi beni e proprietà. Per questi motivi, gli inglesi guardano con orrore e disgusto a quanto accade in Francia, dove il clero è spogliato, sottomesso, ricondotto alle dipendenze di una autorità rivoluzionaria empia e in molti casi atea, senza fede. La Chiesa gallicana, insultata, resa indigente, privata delle sue proprietà, non potrà più conseguire il suo alto uffizio, con danno per i bisognosi, per la cura delle anime, per il culto divino, per l'educazione.

  5. #5
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    Praticamente da questa esperienza verranno fuori due libri (casa editrice il Conservatore), uno con la traduzione dell'opera di Burke, l'altro con i commenti all'opera di Andrea Zaffonato . Devo dire che le sintesi di Andrea sono puntualissime, fedeli al pensiero burkiano e storicamente ineccepibili.
    www.interamala.it - Visitatelo che ci tengo

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da templares Visualizza Messaggio
    Praticamente da questa esperienza verranno fuori due libri (casa editrice il Conservatore), uno con la traduzione dell'opera di Burke, l'altro con i commenti all'opera di Andrea Zaffonato . Devo dire che le sintesi di Andrea sono puntualissime, fedeli al pensiero burkiano e storicamente ineccepibili.
    Ti ringrazio per i complimenti (in effetti conserverò questi appunti -ancora grezzi e da rivedere, e in molte parti influenzati negativamente da stanchezza o comprensione insufficiente- per possibili sviluppi ulteriori); ma devo dire che è la sintesi di Florian che ci spinge più in là. Io mi limito ad un "riassunto" con "parole mie", ma il pensiero di Burke viene mirabilmente distillato da Florian, che aggiunge conoscenze anche più vaste (io di taluni autori citati da Burke non so nulla).
    Si potrebbe un giorno tentare una felice unione fra le due "produzioni", ma su questo si vedrà.

  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da zaffo Visualizza Messaggio
    Ti ringrazio per i complimenti (in effetti conserverò questi appunti -ancora grezzi e da rivedere, e in molte parti influenzati negativamente da stanchezza o comprensione insufficiente- per possibili sviluppi ulteriori); ma devo dire che è la sintesi di Florian che ci spinge più in là. Io mi limito ad un "riassunto" con "parole mie", ma il pensiero di Burke viene mirabilmente distillato da Florian, che aggiunge conoscenze anche più vaste (io di taluni autori citati da Burke non so nulla).
    Si potrebbe un giorno tentare una felice unione fra le due "produzioni", ma su questo si vedrà.
    Il buon zaffo ha eccessiva fiducia nelle mie capacità. In realtà lui è dottore in storia ed io no.


    Comunque, se avremo raggiunto un buon risultato in quanto a commenti, si potrà vedere di stilare un documento finale che riassuma le nostre considerazioni. Ma prima di arrivare a ciò bisogna pedalare, ragazzi...

  8. #8
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    Sto ancora terminando la lettura, ma volevo rendervi partecipi della mia piccola riflessione.
    Burke ci parla col cuore in mano della sua terra e del suo popolo, orgoglioso di poter dire che essi sono uomini sinceri e semplici, che preferiscono seguire i pregiudizi figli di secoli di saggezza che la loro propria ragione di singoli (che sanno essere limitata). Per questo, dice l'autore, le idee rivoluzionarie non fanno breccia che in una piccolisima percentuale della popolazione, che tra l'altro lui considera marginale e "radical chic".

    Sembra che non ci sia spazio nella società inglese di allora per il relativismo etico e per il progressismo scellerato che vanno propugnando i giacobini.

    Ebbene, a poco più di due secoli di distanza, invece, l'Inghilterra è diventata terra di conquista per i musulmani, la sua società si sfalda sotto il peso del consumismo, la sua gioventù è violenta e ignorante, aborto e pratiche eugenetiche sono a livelli sconcertanti, e la pratica religiosa (almeno quella anglicana) è ormai molto minoritaria.
    Cosa è successo nel frattempo?

    La Nazione che ha dominato il mondo per quasi un secolo, costruendo il primo vero impero marittimo globale della storia, ha perso sé stessa...
    Chissà cosa direbbe Burke oggi di fronte agli scandali di casa Windsor, alle sparate sincretiste dell'Arcivescovo di Canterbury, alle donne-prete e allo spettacolo desolante dei costumi corrotti dei britannici...

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da UgoDePayens Visualizza Messaggio
    Sto ancora terminando la lettura, ma volevo rendervi partecipi della mia piccola riflessione.
    Burke ci parla col cuore in mano della sua terra e del suo popolo, orgoglioso di poter dire che essi sono uomini sinceri e semplici, che preferiscono seguire i pregiudizi figli di secoli di saggezza che la loro propria ragione di singoli (che sanno essere limitata). Per questo, dice l'autore, le idee rivoluzionarie non fanno breccia che in una piccolisima percentuale della popolazione, che tra l'altro lui considera marginale e "radical chic".

    Sembra che non ci sia spazio nella società inglese di allora per il relativismo etico e per il progressismo scellerato che vanno propugnando i giacobini.

    Ebbene, a poco più di due secoli di distanza, invece, l'Inghilterra è diventata terra di conquista per i musulmani, la sua società si sfalda sotto il peso del consumismo, la sua gioventù è violenta e ignorante, aborto e pratiche eugenetiche sono a livelli sconcertanti, e la pratica religiosa (almeno quella anglicana) è ormai molto minoritaria.
    Cosa è successo nel frattempo?

    La Nazione che ha dominato il mondo per quasi un secolo, costruendo il primo vero impero marittimo globale della storia, ha perso sé stessa...
    Chissà cosa direbbe Burke oggi di fronte agli scandali di casa Windsor, alle sparate sincretiste dell'Arcivescovo di Canterbury, alle donne-prete e allo spettacolo desolante dei costumi corrotti dei britannici...

    E' successo che la Old England, di burkeana memoria, ha progressivamente lasciato il posto alla Cool Britannia beatlesiana, i cui usi tu giustamente stigmatizzi nonostante ottengano il plauso delle masse indottrinate dai Caprarica e dai Severgnini.

  10. #10
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    Avendo ormai terminato la lettura di questa parte del libro, vorrei fare due parole a riguardo del ruolo primario che la religione e la Chiesa rivestono nel modello di società che Burke vede.

    Non solo, ma è chiaro come la religione sia qualcosa di molto distante dal solo instrumentum regni. Essa serve anzitutto a chi ha responsabilità di governo, è una garanzia, una diga contro le potenziali devianze. Un re che sappia infallibilmente di dover rispondere non solo al suo popolo, ma prima di tutto a Dio, dal quale deriva ogni potere (compreso il suo), non diventerà mai un tiranno sanguinario.

 

 

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