Riflessioni sulla Rivoluzione francese (Seconda Parte)
La seconda pretesa manifestata dalla Revolution Society consiste nel Diritto di deporre i governanti per la loro “cattiva condotta”. Forse la preoccupazione che i nostri antenati hanno dimostrata per evitare che si formasse un precedente come quello della "Deposizione per cattiva condotta" fece sì che la dichiarazione dell'atto che implica l'abdicazione di Re Giacomo risentì (se mai alcun difetto in essa può venir notato) di una eccessiva cautela o dì uno scrupolo troppo circostanziato (3).
Ma tutti questi riguardi e tutto questo cumulo di avvedutezze serve a dimostrare quale spirito di cautela predominasse nel Concilio Nazionale allorché un gruppo di uomini irritati dall'oppressione e riusciti trionfalmente vittoriosi su di essa, sarebbero stati pronti ad abbandonare sé stessi ad una violenta ed esasperata rappresaglia. Tutto questo dimostra anche la ansietà con la quale i grandi uomini che diressero la cosa pubblica in così gravi frangenti vollero che la rivoluzione fosse generatrice d'ordine e non fomite di ulteriori tumulti.
Nessun governo potrebbe stare in piedi, nemmeno un momento, se potesse venire deposto in base ad un criterio così vago ed indefinito come quello derivante dall'opinione di "cattiva condotta". Coloro che hanno diretto il movimento rivoluzionario non hanno voluto giustificare la virtuale abdicazione di Re Giacomo basandola su l'incertezza di un tale criterio. Essi invece mossero contro il Sovrano l'accusa gravissima di aver mirato (secondo l'evidenza palmare di illegalità ripetutamente compiute) a sovvertire la chiesa protestante e l'ordine dello Stato insieme con le leggi fondamentali e con le inderogabili prerogative della libertà inglese; essi lo incolparono addirittura di avere violato il contratto originale intervenuto tra lui e popolo. Questo è ben più che parlare di cattiva condotta.
Una necessità grave e incoercibile obbligò quegli uomini a compiere il passo che essi compirono; ma ciò fu fatto con estrema riluttanza e quasi obbedendo alla imposizione della più rigorosa fra le leggi. Essi ponevano la loro fiducia nella futura preservazione del sistema costituzionale e non già nella preparazione o nell'attesa di ulteriori moti rivoluzionari. Il fine politico che animava tutti questi grandi sforzi disciplinatori era quello di mettere ogni futuro sovrano quasi nella impossibilità di spingere nuovamente gli eventi del reame fino al punto da rendere necessario l'intervento di rimedi coattivi e violenti.
La Corona fu lasciata nei riguardi del diritto in quella condizione di perfetta irresponsabilità nella quale era sempre stata considerata; ma per elevare ancor di più la posizione della Corona si pensò allora di intensificare la responsabilità sui ministri di Stato. Nello Statuto del primo regno di Re Guglielmo (sez. 2) chiamato "Atto per la dichiarazione dei diritti e delle libertà dei sudditi e per il regolamento di successione alla Corona o fu sancito che i ministri sarebbero stati sottoposti al monarca secondo i termini di quella stessa dichiarazione. E ben tosto fu provveduto a disporre frequenti adunate parlamentari, mediante le quali l'intero governo si sarebbe trovato sottoposto all'ispettorato costante ed al controllo attivo dei rappresentanti popolari e dei magnati del regno.
Nel grande atto costituzionale che seguì a quello indicato, atto del 12° e del 13° anno di regno di Re Guglielmo, a fine di limitare ulteriormente la posizione della Corona e meglio assicurare i diritti e le libertà dei sudditi, fu provveduto a che "nessun motivo di perdono sanzionato col grande Sigillo d'Inghilterra potesse mai essere opposto come eccezione contro un'accusa intentata dai Comuni riuniti in Parlamento". Le norme d'amministrazione sancite nella "Dichiarazione di Diritto", la costante funzione ispettiva esercitata dal Parlamento, 1'azione pratica dell’ impeachment, parvero mezzi infinitamente più adatti a garantire la sicurezza delle libertà costituzionali e a neutralizzare i difetti della pubblica amministrazione che non la riserva generica di un diritto così difficile ad essere tradotto in pratica, così incerto nelle sue espressioni e bene spesso così dannoso nelle sue conseguenze, come quello di "deporre i propri governanti".
In quel medesimo discorso si condanna, e a ragione, l'uso invalso di presentare ai sovrani delle petizioni concepite in forma adulatoria e ripugnante. Invece di impiegare questo stile sconveniente, si propone che nelle occasioni in cui vengono rivolte al sovrano espressioni congratulanti, si faccia presente "dover essere Sua Maestà riguardato piuttosto come servitore, anziché come sovrano del suo popolo". Per essere un complimento, questa nuova forma di appellativo non sembra contenere invero una troppo intensa adulazione. Coloro che esercitano funzioni di servizio, tanto di nome quanto di fatto, non desiderano venga fatto richiamo alla loro effettiva condizione e tanto meno ai doveri e alle obbligazioni che essa comporta. In una commedia classica uno schiavo dice al suo padrone : Haec commemoratio est quasi exprobatio.
Tutto questo dunque non riesce né piacevole come complimento, né benefico come istruzione. Dopo tutto, anche se il re acconsentisse a fare eco, rispondendo a questo nuovo genere d'appellativo, adottandolo nei medesimi termini e accettando anche nel protocollo dello stile reale l'appellativo di "servitore del popolo", io non posso immaginare come né il Sovrano né i sudditi potrebbero trar giovamento da un tal fatto. Ho visto lettere molto serie firmate con l'espressione "vostro obbedientissimo ed umile servitore". La più orgogliosa tra le potestà dominatrici che mai abbiano esteso sulla terra la propria sovranità assumeva un titolo infinitamente più umile di quello che i nuovi apostoli di libertà vorrebbero proporre ai loro sovrani. Molti sovrani ed intere nazioni furono schiacciati sotto i piedi di un signore che assumeva l'appellativo di "servo dei servi"; e per deporre dei sovrani furono scagliate delle bombe che erano sigillate col titolo di un "pescatore".
A tutta questa faccenda io non avrei dato maggior peso che ad una chiacchierata vana e futile, nella quale alcune persone lasciano svaporare lo spirito della facoltà in una nuvolaglia di fumo; se tutto questo non fosse addotto in appoggio alla teoria che predica la cacciata dei re per cagione della loro cattiva condotta. A questo proposito è opportuno aggiungere qualche osservazione.
I re, sotto un certo aspetto, sono senza dubbio i servitori del popolo, giacché il potere che essi esercitano non presenta altro scopo razionale se non quello di procacciare il bene comune; ma non è niente affatto vero che i sovrani siano nel senso ordinario (e tanto meno in conformità della nostra costituzione) qualche cosa di simile ai servitori; e infatti la situazione di questi ultimi è caratterizzata dal dover essi obbedire al comando di altri e dal poter essere deposti per arbitrio del padrone. Invece il Re d'Inghilterra non obbedisce a nessun altro; anzi tutte le altre persone, sia individualmente che collettivamente, si trovano a lui sottoposte e gli devono obbedienza in conformità della legge. E appunto la legge, alla cui espressione è estranea l'adulazione al pari della contumelia, definisce quest'alto magistrato non già "nostro servitore" (secondo l'espressione tirata fuori da questo povero predicante) ma anzi lo chiama "nostro Sovrano Lord il Re" ; e noi per parte nostra abbiamo imparato a parlare secondo l'antico linguaggio del diritto e non nel gorgo confuso ammannito dal pulpito di questa nuova Babilonia.
Come il re non deve obbedienza a noi, ma noi dobbiamo obbedire alla legge rappresentata nella sua persona, così la costituzione inglese non ha concepito alcuna misura per rendere il sovrano comunque responsabile, come accadrebbe di un subalterno. La nostra costituzione non conosce alcun istituto o magistratura comparabile a quella di Arragon, né alcuna Corte legalmente costituita, né alcuna procedura giuridicamente determinata per sottomettere il re a quel controllo di responsabilità che invece è caratteristico di tutti coloro che detengono posti di servizio. In questo il Sovrano non si distingue dai Comuni né dai Lords, che nell'ambito delle proprie capacità di diritto pubblico non sono tenuti a rendere conto della loro condotta, sebbene alla Revolution Society piaccia di asserire (in diretto contrapposto con uno dei motivi più saggi e più felici del nostro sistema costituzionale) che "un re non è niente di più che il primo servitore della collettività pubblica, da essa creato e responsabile verso la medesima".
Certamente i nostri antenati, al tempo della Rivoluzione, avrebbero demeritata la loro fama di saggezza se non avessero trovata altra garanzia a tutela delle loro libertà che quella di un indebolimento dell'autorità governante, col rendere precario il titolo della sovranità, se cioè essi non avessero trovato miglior rimedio contro l'esercizio arbitrario del potere se non quello di provocare l'anarchia collettiva. Attendiamo che quei tali signori indichino quale sia il pubblico rappresentante davanti al quale, a detta loro, il Re dovrebbe tenersi responsabile a guisa di un servitore. E allora sarà tempo che io metta loro dinanzi agli occhi il testo della legge positiva che sconfessa pienamente tale pretesa.
La cerimonia della deposizione del re, della quale questi messeri parlano con tanta facilità, ben raramente potrebbe essere effettuata senza l'impiego della violenza; e perciò essa determinerebbe un caso di guerra e non uno sviluppo costituzionale. La voce delle leggi è destinata a tacere sotto il fragore delle armi e l'esercizio della giustizia viene meno quando viene meno quella condizione di pace che le stesse leggi non sono in grado di garantire più a lungo. La rivoluzione del 1688 si svolse coll'impiego di mezzi guerreschi ispirati a ragion di giustizia, in quel solo caso in cui una guerra, e per di più una guerra civile, può dirsi giusta. Justa bella quibus necessaria.
Il problema che riguarda la detronizzazione o, per usare una frase che piace meglio a quei signori, " la deposizione " dei Re, sarà sempre, come è sempre stato, un procedimento di Stato con carattere eccezionale e assolutamente fuori dalle norme del diritto; tale questione di stato (al pari di ogni altra simile) si fonda sopra un calcolo di circostanze, sopra una valutazione di mezzi e sopra una presunzione delle conseguenze probabili; non costituisce un problema di diritto positivo. E siccome tale evento sorpassa l'ambito di una consueta infrazione dell'ordine, non può essere discusso né risolto sulla base di un criterio comune.
La linea teorica di demarcazione, dove 1'obbedienza viene a cessare e comincia ad esercitarsi una resistenza, è quant’altra mai dubbia, oscura e di non facile definizione. La resistenza non può venire determinata né da un singolo atto né da un singolo evento. Prima che sia lecito pensare ad un tale estremo bisogna che si siano verificati enormi abusi nel governo e conseguenze di gravissimo danno; e bisogna pure che la prospettiva dell'avvenire sia così malvagia e disperata come l'esperienza del passato. Quando le cose sono arrivate in tale deplorevole estremo la natura stessa del danno deve indicare il rimedio da seguire a quelle persone che per natura sono state designate a somministrare l'amaro medicamento onde salvare in questa critica e ambigua situazione le disperate sorti dello stato. Il tempo, le circostanze e il grado della minaccia sapranno fornire allora il necessario insegnamento.
L'uomo saggio sarà indotto ad agire secondo la gravità del caso; l'uomo irritabile sarà mosso dalla insofferenza dell'oppressione; l'idealista dal disgusto e dall’indignazione che in lui provoca l'evidenza di una potestà, abusivamente esercitata da mani indegne; il polemista passionale affronterà l'onorato cimento per amore di una causa generosa; ma, sia o non sia conforme a diritto, una rivoluzione deve sempre considerarsi come l'estremo espediente a cui possono fare ricorso uomini assennati ed onesti.
Il terzo tra i capisaldi giuridici che vennero sanciti dalla cattedra di Old Jewry, vale a dire il diritto a costituire un Governo da noi stessi, non presenta né in linea di fatto né in linea di principio alcuna relazione con gli eventi svoltisi durante la crisi rivoluzionaria; e, se è possibile, ne sta ancor più lontano di quanto non fossero gli altri due capoversi della dichiarazione sopraindicata. La rivoluzione si concretò a fine di preservare i nostri antichi diritti e le nostre libertà, l'antica costituzione del governo d'Inghilterra che è la nostra unica garanzia di diritto e di libertà. Se mai voi siete desideroso di conoscere lo spirito che sorregge la nostra costituzione e la direzione di vita politica dominante in quel glorioso periodo nel quale si sono consolidate le garanzie di un ordine perenne che a tutt'oggi si conserva, vi prego di attingere informazione dalle nostre storia, dai nostri ricordi nazionali, dagli Atti e dai Giornali Ufficiali del Parlamento, anziché dai sermoni tenuti in Old Jewry e dai brindisi postprandiani della Revolution Society.
Leggendo quei documenti autentici voi troverete espresse ben altre idee e con ben altro linguaggio.
Quella terza e indebita pretesa è altrettanto destituita di qualsiasi apparenza d'autorità quanto disadatta alle condizioni della nostra vita nazionale.
La semplice idea di una riedificazione ex novo del Governo è tale che ci riempie di disgusto e di orrore. Al tempo della rivoluzione, come ancora oggi, noi intendiamo sempre derivare ogni attuale possesso da una ragione ereditaria che scende dai nostri padri. Abbiamo sempre avuto cura di non innestare sopra la continuativa struttura di ereditarietà alcun virgulto alieno alla natura della pianta originaria. Tutte le riforme che noi abbiamo fino ad ora avanzate sono procedute dal principio di uno scrupoloso riferimento a tradizioni antiche; ed io spero, anzi sono convinto che anche tutte le altre riforme destinate a realizzarsi in un eventuale avvenire vorranno essere analogamente strutturate e giustificate in ossequio alla autorità di precedenti che servono d'esempio.
La più antica delle nostre riforme è la Magna Charta. Ebbene, voi vedrete che Sir Edward Coke, nostro grande maestro di diritto, ed anche i maggiori pensatori che seguirono a lui, fino a Blackstone (4), tutti si sono ingegnati a dimostrare l'ordine genealogico delle nostre libertà. Essi cercarono di provare che quell'antico testo costituzionale, la Magna Charta sancita sotto Re Giovanni, si riconnetteva ad un altro testo precedente di diritto positivo sancito sotto Enrico e che tanto l'uno quanto l'altro non erano se non la riconferma di una norma legislativa emanata nel regno in epoca ancor precedente.
In linea di fatto questi autori paiono avere in massima parte ragione; forse non sempre; ma se tali giuristi hanno commesso alcun errore in materia di dettaglio, ciò ritorna a più forte sostegno della mia tesi, poiché dimostra il potentissimo attaccamento verso l'antichità che caratterizza l’intendimento di tutti i nostri giuristi e legislatori ed anche del popolo intero che essi venivano ad influenzare; e dimostra pure il carattere persistente e continuativo del nostro andamento politico nazionale, per cui i diritti più sacri e le più gelose franchigie di libertà vengono considerati come un patrimonio ereditario.
In quel famoso testo legislativo, che risale al terzo anno del regno di Carlo I e che si intitola Petizione di Diritto, il Parlamento dice al Re : "I vostri sudditi hanno ereditati questi diritti di libertà": dove si vede che il reclamo non si fonda sopra gli astratti principi dei pretesi "Diritti dell'uomo", ma sopra un preciso patrimonio giuridico derivante ai sudditi inglesi, per ragione atavica, dai loro progenitori. Il Selden e tutti gli altri dottissimi scienziati che redassero quella Petizione di Diritto conoscevano del resto tutte le teorie generali riguardanti i "Diritti dell'Uomo" al pari di quanto le conoscono gli attuali teorici inglesi che vanno proclamandole dai pulpiti o quelli francesi che le agitano dalla tribuna; e cioè in materia la sapevano lunga tanto il Dr. Price quanto l'Abbé Sieyés. Ma per ragioni conformi a quella pratica saggezza che prevaleva sulla astratta teoreticità del loro sapere, essi preferivano attenersi all'osservanza di questo titolo di ereditarietà positiva e tradizionale anziché indulgere a ciò che può solleticare le astrazioni individualistiche dell'uomo e del cittadino, secondo il criterio di un diritto vago e astratto che avrebbe posto quel sicuro patrimonio ereditario in balìa di ogni spirito selvaggio e litigioso, onde ne sarebbe stato fatto scempio.
Il medesimo criterio politico pervade tutte le leggi che sono state fin qui emanate a difesa delle nostre libertà. In quel famoso Statuto, che si data dal primo anno di Regno di Guglielmo e di Maria e si intitola "Dichiarazione di Diritto", le due Camere non hanno formulata neppure una sillaba per accennare ad un preteso diritto a che il popolo si costituisca da sé medesimo i suoi governanti. Leggendo quell'atto voi vedrete come l’intera preoccupazione del legislatore fosse diretta ad assicurare le sorti della religione, del diritto e delle libertà popolari, quali beni da lungo tempo posseduti e solo allora messi in pericolo. Il legislatore, "prendendo nella più seria considerazione i mezzi che sarebbero apparsi meglio idonei per porre le sorti della religione, del diritto e delle libere franchigie popolari al sicuro dalla minaccia di ulteriori sovvertimenti, cercò di garantire i propri procedimenti segnalando come mezzi meglio idonei a raggiungere lo scopo: in primo luogo il proposito di comportarsi così come in casi analoghi si erano comportati gli antenati per rivendicare i loro antichi diritti e le loro antiche libertà; e in seguito essi pregarono il Re e la Regina perché fosse dichiarato e ordinato che i diritti e le libertà, considerati tanto nel loro insieme quanto singolarmente, erano l'esatta e indubitabile corrispondenza di quei diritti e di quelle libertà medesime onde consisteva l'antico appannaggio del popolo d’Inghilterra".
Voi potrete dunque vedere come dalla Magna Charta fino alla Dichiarazione di Diritto il nostro sistema costituzionale si sia conformato ad una direttiva politica uniforme, facendo ricorso alle nostre asserite libertà come a un patrimonio di carattere ereditario che a noi deriva dai progenitori e che dobbiamo trasmettere ai posteri, essendo questa una dotazione particolare e privilegiata del popolo inglese senza alcun riferimento a qualsivoglia sistema teorico di diritto affermato in via generica ed aprioristica. In questo modo il nostro sistema costituzionale riesce a conservare la propria unità pur nella grande differenza delle partì che lo compongono. Noi abbiamo una corona ereditaria, una nobiltà egualmente ereditaria; anche la Camera dei Comuni ed il popolo godono ereditariamente di privilegi, di franchigie, di libertà derivati da una lunga serie di antenati.
Un'organizzazione politica di questo genere mi sembra essere frutto e risultato di profonda riflessione; o, meglio ancora, il prodotto felice di una risultanza naturale onde la saggezza si esprime spontaneamente senza essere frutto di sforzate meditazioni.
La mania della innovazione improvvisata rivela di solito il risultato di temperamenti egoistici e di angusti orizzonti mentali. Essa è caratteristica di gente che non si preoccupa di guardare innanzi verso la posterità né di volgere il pensiero ai propri antecessori.
Al contrario, il popolo d'Inghilterra ha capito molto bene che il criterio della ereditarietà fornisce un principio sicuro di conservazione e dà anche un principio sicuro di trasmissibilità dell'idea, senza affatto escludere le ragioni di un progressivo incremento. Tale criterio lascia libera la possibilità di nuovi acquisti, ma fornisce la garanzia assicurata di ogni acquisto. Tutti i vantaggi che si conseguono in uno stato secondo l'osservanza di un tale principio, vanno riguardati come una sorta di acquisizione famigliare e quasi afferrati in perpetuo da una forma di manomorta. Secondo quest'ordine di vita costituzionale e di educazione politica conformantesi ai procedimenti della natura medesima, noi riceviamo, teniamo e trasmettiamo il governo e le prerogative nella stessa maniera con la quale usufruiamo della nostra vita e della proprietà privata, ritrasmettendole nuovamente ad altri. Le istituzioni politiche, i beni della fortuna, i doni della Provvidenza, vengono a noi affidati e sono da noi riconsegnati con vicenda uniforme e regolare. Il nostro sistema di vita politica è ordinato in giusta e corrispondente simmetria con l'ordine stesso della vita universale e col modo di esistenza che è proprio degli organismi, che permangono pur essendo composti di elementi transitori; come del pari, per il disposto di una meravigliosa sapienza che fonde insieme la grande e misteriosa compagine della razza umana, l'intera collettività ad ogni istante di sua esistenza non è mai né vecchia, né di mezza età, né giovane, ma si trova in una condizione di inalterabile costanza, intimamente rimossa dal flutto variato di un eterno declinare, soccombere, rinnovarsi e progredire.
Così, conservando anche nell'organismo statale i metodi che sono propri della natura, non ci troviamo interamente nuovi per ogni progresso conseguito, non ci troviamo interamente vecchi per ogni tradizione conservata. Aderendo in questo modo e secondo questi principi ai valori del passato noi non ci lasciamo guidare dalla idolatria superstiziosa dell'antico, ma dalla coscienza filosofica di una analogia continuativa. Nella scelta di un tale criterio di ereditarietà abbiamo ricostituita la nostra organizzazione politica a immagine delle relazioni di consanguineità, abbiamo stretta intimamente la costituzione del nostro paese con i più cari vincoli della vita domestica, accogliendo lo spirito fondamentale delle nostre leggi nel cuore delle affezioni famigliari; ed uniamo indissolubilmente con un vincolo di caldo amore tutti questi sacrati doni che mutuamente si integrano e si combinano: la nostra Patria, i nostri focolari, le nostre tombe e i nostri altari.
Attenendoci al medesimo criterio di conformità alle leggi di natura nella formazione delle nostre istituzioni politiche e richiamandoci sempre per aiuto all'infallibile istinto della natura medesima per corroborare le fragili ed imperfette costruzioni della nostra ragione astratta, noi abbiamo ottenuto alcuni altri vantaggi e di non piccolo conto, sempre con l'intendere le nostre libertà come espressioni di un principio di ereditarietà. Tenendo ognora presente nei nostri comportamenti l'ammaestramento esemplare dei progenitori e quasi ergendo a valore di canone i loro precetti, lo spirito della libertà, che per sua natura tende all'eccesso ed alla prevaricazione, è stato contenuto nella temperanza e nel rispetto di una maestosa gravità. Questa idea della trasmissione ereditaria della libertà ispira a noi il sentimento di una dignità naturale e nativa, la quale ci preserva da quella forma di grossolana arroganza che è la infelice e quasi inevitabile caratteristica di coloro che solo di recente sono assurti a qualche distinzione. Ed in questa maniera la nostra libertà diviene un titolo di distinzione nobiliare. Essa porta con sé un carattere di imponente maestà; vanta una genealogia di illustri predecessori; vanta saldi fondamenti ed insegue illustri. I suoi fasti sono consacrati da una galleria di ritratti o da una serie di monumentali iscrizioni; i suoi archivi annoverano una serie di titoli insigni e di egregi ricordanze. Noi portiamo verso le nostre istituzioni civili quel medesimo rispetto che la natura c'insegna a portare verso l'individuo umano; rispetto che aumenta coll'avanzare dell'età e con la maggiore dignità della discendenza atavica. Tutte le nuove sofisticherie bandite in terra di Francia non possono produrre alcun risultato che si adatti al fine di una libertà ragionevole e costante, meglio che il corso dell'esperienza fino ad oggi compiuta da noi Inglesi; esperienza secondo la quale, a preservazione e tutela del nostro grande patrimonio di diritti e di privilegi, abbiamo preferito sempre seguire l’ordine della natura anziché l'astrazione speculativa, e l'osservazione profonda anziché l'escogitazione teorica.
Voi Francesi avreste potuto, se aveste voluto farlo, trarre profitto dal nostro esempio; e ricostituendo i principi della libertà civile avreste potuto conferire ad essa tali dignità. I vostri antichi privilegi, sebbene storicamente interrotti, non erano tuttavia cancellati dalla memoria. E' bensì vero che la vostra costituzione sofferse devastazione e rovina durante il tempo nel quale cessavate di usufruirne; ma tuttavia di essa voi possedevate ancora in parto le vecchie mura ed erano interamente conservate le fondamenta di quel nobile antico castello. Ben potevate restaurare quelle mura; ben potevate su quelle antiche fondamenta cominciare l'opera di ricostruzione. Il vostro sistema costituzionale sofferse interruzioni innanzi di giungere a compimento; ma pure voi avevate già in mano gli elementi di una costituzione assai prossima al raggiungimento della desiderata perfezione. Nell'aggregato dei vostri antichi stati voi già possedevate la varietà di elementi parziali che corrispondevano a quella molteplicità di composizione la quale felicemente caratterizza l'insieme della vostra comunità nazionale. Voi avevate già tutta quella armonia e quella opposizione di interessi, quel sistema di azioni e di reazioni, che nel mondo politico, a somiglianza di quello naturale, crea l'armonia della vita universale traendola dall'antagonismo reciproco di energie discordi.
Questo gioco di interessi opposti e contradditori che voi Francesi considerate come un danno grave dell'antico vostro sistema costituzionale e del sistema inglese a tutt'oggi vigente, è invece quello che oppone una resistenza salutare a tutte le risoluzioni precipitate, che rende ogni pubblica deliberazione oggetto non di scelta arbitraria ma di necessità e fa sì che ogni mutazione operata nell'ordine pubblico si riguardi come frutto di un compromesso richiedente una moderazione naturale. Per tal modo esso produce dei contemperamenti che prevengono e neutralizzano i danni di riforme precipitate, violente e cervellotiche, rendendo così irrealizzabili una volta per sempre i maneggi abusivi di un potere arbitrario, sia esso esercitato da pochi oppure da molti. Attraverso questa molteplicità di organi e di interessi la libertà generale trova altrettante guarentigie quante sono le differenti opinioni manifestantisi in ogni singolo ordine; e traendo l’intera collettività dentro l’orbita organizzata di un potere monarchico efficiente, le singole parti costitutive sarebbero state salvaguardate dal rischio di disgiungersi allontanandosi dal posto d'ordine loro assegnato.
Voi avevate già tutti questi vantaggi nel vostro antico stato; ma avete preferito agire come se foste un popolo che non vanta alcun passato di civiltà e deve riprendere la sua vita tutta da capo. Avete cominciato male, perché avete cominciato col disprezzare tutto ciò che già vi apparteneva. Avete intrapresa la vostra organizzazione commerciale senza possedere sufficiente capitale. Se la generazione che immediatamente precedette la vostra non vi sembrava sufficientemente provvista di prestigio, avreste potuto fare riferimento ad una più antica schiera di predecessori, trascurando quella. Nutrendo un religioso culto verso le memorie dei predecessori, in esse voi avreste potuto rappresentare le immagini esemplari della virtù e della saggezza, molto al di sopra di quanto sia stato compiuto nella pratica volgare del tempo presente; ed avreste riconosciuto fin dagl'inizi i grandi esempi ai quali aspirate oggi conformarvi. Tributando omaggio ai vostri predecessori avreste sentita maggior dignità anche di voi stessi; e non avreste preferito considerare il popolo francese come se fosse un popolo sorto ieri, o come una nazione di miserabili perdurata nella condizione del più vile servaggio fino all'anno di emancipazione 1789. Per fornire, a scapito del vostro stesso onore, un titolo di scusante a coloro che intessono le vostre apologie e per giustificare alcune enormità che da voi si compiono, non avreste dovuto accontentarvi di rappresentare la parte di tanti servi appena scampati dalle strettoie della galera, e quindi perdonabili se abusano di quella libertà che non sono abituati a godere.
Non sarebbe stato meglio, mio caro amico, che invece di tutto questo voi aveste pensato, come io ho sempre pensato per mio conto, esser la Francia una nazione generosa e nobilissima, per lungo tempo fuorviata a proprio danno a cagione di un romanzesco sentimento di fedeltà, di lealismo, di onore; e aveste pensato pure che gli eventi virarono bensì sfavorevoli ma che voi, per interna disposizione d'animo, eravate tutt'altro che ridotti in condizioni di schiavitù o di servilità; e che nella vostra maggior devozione di sudditanza operavate in conformità a un principio di onore nazionale, per cui riverendo la persona del monarca voi intendevate porgere omaggio all'idea stessa della Patria?
E se voi aveste lasciato capire che riconoscevate d'esser giunti assai più lontano dei vostri stessi antenati proseguendo nella via errata ed elusiva di questo equivoco ispirato a sentimento d'onore, e che sarete stati pronti ad invocare nuovamente i vostri antichi diritti e privilegi conservando inalterato lo spirito del vostro antico e recente lealismo; o se pure, diffidando di voi stessi e non discernendo più con chiarezza le linee della quasi obliterata costituzione che i vostri antenati sancirono, voi aveste tratto esempio da paesi vicini al vostro, nei quali gli antichi principi e i grandi modelli del vecchio comune diritto europeo, migliorato ed adattato alle condizioni dell'epoca nostra, erano stati preservati in piena, efficienza, allora soltanto seguendo i dettami della saggezza voi Francesi avreste offerte al mondo prove rinnovate di senno e di prudenza.
Avreste reso così la causa della libertà venerabile agli occhi di ogni retta coscienza, a qualunque nazione appartenga. Ed avreste al cospetto di tutto il mondo coperta di obbrobrio la causa del dispotismo dimostrando che la libertà non soltanto è conciliabile col principio del diritto ma, se ben disciplinata, torna ad esso di rinforzo. Ne avreste avuto un risultato non oppressivo, anzi fecondo. Avreste anche avuto un commercio florido, atto ad alimentare le rendite; ed anche un libero sistema costituzionale, una potente monarchia, un esercito disciplinato, un clero rinnovato e degno di venerazione, una nobiltà regolata e pur valorosa, capace di sollevare il prestigio della vostra virtù anziché deprimerlo, e un ordinamento liberale dei Comuni onde trarre e reclutare la classe dirigente; ed avreste potuto vantare ugualmente una popolazione ben difesa nei suoi diritti, soddisfatta nei suoi bisogni, laboriosa nei suoi compiti, consapevole del fatto che la felicità, quando si fondi sulla virtù, può essere conseguita in qualsiasi condizione sociale; e che appunto in essa consiste il vero principio egualitario dell'umanità, e non nella mostruosa finzione che, ispirando idee fallaci e vane speranze ad uomini destinati a lavorare nelle oscure strade di un'esistenza faticosa, serve soltanto a rendere più grave e più amara quella reale forma di ineguaglianza che nessuno potrà mai sopprimere e che l'ordine della vita civile ribadisce, tanto a beneficio di coloro che sono destinati a vivere in umile condizione quanto di coloro che possono aspirare a gradi più alti e più brillanti ma non più felici.
Era aperto dinanzi a voi un largo e facile cammino di felicità e di gloria, forse più di alcun altro che la storia del mondo abbia sin qui annoverato; ma voi avete preteso che le difficoltà tornano utili all'uomo. Fate il computo dei vostri guadagni; calcolate qual frutto avete ricavato da quelle stravaganti e presuntuose teorie che appresero ai vostri capi a disprezzare tutta l'esperienza dei predecessori e quella dei contemporanei e perfino la propria, così da giungere al punto che il disprezzo ricadde sopra loro medesimi. Mettendosi a seguire così falsi miraggi la Francia è andata incontro ad inenarrabili calamità, pagandole a più caro prezzo di quanto non fecero altre nazioni per l'acquisto di sicuri benefici. La Francia ha fatto acquisto di miseria a prezzo di delitti! E non è a dire che essa abbia sacrificato il proprio onore al proprio interesse, ma anzi ha trascurato l'interesse per prostituire il suo onore. Tutte le altre nazioni, trattandosi dì costituire un nuovo sistema di governo o di riformare un sistema antico, hanno cominciato col creare dalle basi o col rinvigorire quanto più tenacemente possibile una serie di riti e di principi religiosi. Tutti gli altri popoli hanno stabiliti i fondamenti della libertà civile istituendo severe discipline ed inaugurando sistemi, di più austera e di più maschia moralità. Invece la Francia, nel momento stesso in cui spezzò le redini della autorità regia, raddoppiò la licenziosità feroce e dissoluta dei costumi e l'insolenza dei pensieri e delle pratiche antireligiose; e in tutti i ranghi della vita vide estendersi (quasi che si trattasse di ridistribuire privilegi o di elargire benefici per lungo tempo rimasti occulti) tutte quelle malaugurate forme di corruzione che sono per solito il triste privilegio conseguente alla condizione dei ricchi e dei potenti. E questo è uno dei nuovi prìncipi d'eguaglianza che si bandiscono in Francia.
La Francia, per la perfidia di coloro che comandano, ha completamente messo in discredito il gabinetto del Re per il tono e lo stile della conciliatezza garbata che neutralizza l'efficacia degli argomenti più forti. Basa ha consacrato le oscure e sospettose massime proprie della tirannide diffidente, insegnando ai sovrani la paura (come in seguito sarà detto) di fronte al plauso ingannatore dei teorizzanti della politica. I sovrani riguarderanno d'ora innanzi quelli che loro consigliano di collocare illimitata confidenza nel popolo come sovversivi che minacciano la sicurezza del trono, come traditori che mirano alla sua distruzione inducendo le nature facili e confidenti dei principi, mediante pretesti cavillosi, ad accogliere una divisione di potere con uomini audaci e senza scrupoli.