EDMUND BURKE
RIFLESSIONI SULLA RIVOLUZIONE FRANCESE
Parte I
Signore,
Vi siete compiaciuto di chiedermi nuovamente e con certa sollecitudine, le mie opinioni intorno agli ultimi avvenimenti di Francia. Non crediate che io attribuisca ai miei pensieri una importanza tale da meritarmi di essere richiesto e interrogato intorno ai medesimi. Essi sono di troppo piccola importanza perché debbano venire esposti oppure accettati con soverchia sollecitudine. Se ho esitato a farveli conoscere allorché voi me ne avete richiesto la prima volta, ciò fu per riguardo a voi e a voi solo. Nella prima lettera che io ho avuto l'onore di scrivervi e che poi vi ho anche trasmessa, non mi fondavo su giudizi altrui, né pro, né contro; ugualmente in questa. Se commetto qualche errore, colpa mia. Ne è responsabile solamente la mia propria reputazione.
Voi avrete veduto, Signore, leggendo la lunga lettera da me inviatavi, che (sebbene io abbia il più vivo desiderio di veder regnare in Francia uno spirito di ragionevole libertà e sebbene io pensi che secondo tutte le regole di una buona politica voi dovreste affidare ciò a un corpo permanente nel quale tale spirito risieda o ad un organo esecutivo per mezzo del quale esso trovi attuazione) tuttavia con sommo rammarico devo dire che nutro molti dubbi intorno a varie circostanze di fatto inerenti alle ultime vicende politiche del vostro paese.
Voi pensavate, scrivendo la vostra ultima lettera, che io potessi essere annoverato tra coloro che hanno approvato i più recenti avvenimenti di Francia, come è accaduto in due Clubs londinesi chiamati Constitutional Society e Revolution Society che li hanno solennemente sanciti e suggellati.
Io ho certamente l'onore di appartenere a più di un Club nel quale la costituzione di questo regno e i principi della nostra gloriosa rivoluzione sono tenuti in grande riverenza; ed annovero me stesso fra i più decisi difensori di questa costituzione per conservare i principi ai quali essa si informa nella loro massima purezza e nella loro piena efficienza.
E’ appunto per questo mio deciso atteggiamento che desidero togliere di mezzo ogni equivoco. Coloro che hanno il culto delle nostre grandi memorie rivoluzionarie e che si sentono attaccati alla costituzione di questo regno hanno cura di non venire confusi con certuni che, protestandosi zelatori della rivoluzione come della costituzione, troppo di frequente si allontanano dai veri principi dell'una e dell'altra; o sono pronti in ogni occasione a dipartirsi da quello spirito tenace, cauto e deciso, che ha prodotta la prima e che sorregge continuamente la seconda.
Prima ancora che io entri a discutere in merito ai problemi fondamentali proposti nella vostra lettera, permettete che io vi comunichi quelle informazioni che sono riuscito ad ottenere intorno ai deliberati di quei Clubs, che hanno creduto opportuno interferire ufficialmente quali enti collettivi, pronunciandosi in merito agli affari di Francia. Ma innanzitutto vi assicuro che io non sono e non sono mai stato membro di quelle società.
Il primo di tali Clubs che si è attribuito il nome di Constitutional Society o Society for Constitutional Informations (o quale altro titolo si voglia) esiste, io credo, non più che da sette oppure otto anni. Deve la sua esistenza a un motivo lodevole in ragione che è ispirato da benefica intenzione. Questo istituto si è costituito per mettere gratuitamente in circolazione a spese degli associati un certo numero di libri che poca gente avrebbe voluto acquistare e che sarebbero rimasti per ciò nella bottega del libraio, a gran detrimento di questa utile categoria di commercianti. Che questi libri così caritatevolmente messi in circolazione siano anche stati letti con uguale spirito di carità, non potrei assicurarlo. Forse alcuni di essi sono stati esportati in Francia e al pari di altra mercé che qui non trova acquirenti, ha avuto invece nel vostro paese un certo mercato. Ho sentito molto parlare dei lumi che sarebbero scaturiti dai libri inviati laggiù. Quale pregio essi abbiano acquistato attraversando lo stretto (o se sia avvenuto di essi come di quei tali liquori che si migliorano durante il viaggio di trasporto in mare) non saprei dire; io però non ho mai sentito un solo uomo di criterio comune, che avesse un minimo di cultura, spendere una parola di lode per la più gran parte delle pubblicazioni messe in giro da tale società; e le voci sui vantaggi da essa procurati non hanno credito che tra pochi membri della società medesima.
Pare che la vostra Assemblea Nazionale abbia concepita la stessa opinione mia nei riguardi di questo povero Club di carità. Come nazione, voi avete riservati i fiumi della vostra riconoscente facondia per la Revolution Society; quantunque a tale riconoscenza avessero avuto parzialmente diritto anche i signori della Constitutional, per esser giusti. Poiché voi avete voluto scegliere la Revolution Society per farne oggetto fondamentale dei vostri ufficiali ringraziamenti esaltatori, mi scuserete se io appunto muovo le mie osservazioni intorno alla condotta recente di quest'ultima.
La Assemblea Nazionale di Francia ha conferito importanza a quei signori, nominandoli; essi ricambiano il favore operando come un'agenzia inglese per la divulgazione dei principi della Assemblea Nazionale. Per questo noi dobbiamo considerare quella gente come una categoria di persone privilegiate e membri non trascurabili del corpo diplomatico. La vostra è una di quelle rivoluzioni che hanno conferito splendore a cose oscure e distinzione di merito a valori sconosciuti. Fino a quel momento infatti io non ricordo di aver mai sentito parlare di tale associazione. E sono anche certissimo che essa non ha mai occupato per un solo istante il mio pensiero; né quelli, credo, di alcun'altra persona ad eccezione dei suoi affiliati. Sono venuto a conoscere, dietro inchiesta, che ricorrendo l'anniversario della Rivoluzione del 1688 un Club di dissidenti, di non so qual denominazione, ha avuto per lungo tempo l’abitudine di adunarsi in una delle sue chiese per ascoltarvi un sermone; e dopo questo gli associati, come avviene di solito in tutti i Clubs andavano a godersi la giornata all'osteria. Ma non ho mai sentito che in tali festini si siano prese formali deliberazioni inerenti ai problemi della vita pubblica, ai sistemi politici, e tanto meno al merito di costituzioni straniere. Se non che un bel momento, con mia indicibile sorpresa, vedo che quel Club assurge a una specie di pubblica dignità, inviando una espressione di plauso ufficiale a sanzionare gli atti della Assemblea Nazionale di Francia.
Negli originari principi e nella condotta del Club, almeno per quanto viene dichiarato, non vedo nulla a cui si possa muovere eccezione. Credo molto probabile che nuovi membri siano entrati ad ingrossare le file con particolari finalità, e che alcuni cristianissimi politicanti di quelli che amano dispensare i benefizi ma nascondere la mano che li ha prodotti, abbiano fatto di quel Club uno strumento dei loro timorati progetti.
Quali possano essere le ragioni che mi inducono a sospettare circa le manovre private di costoro, io non parlerò con sicurezza se non di quelle cose che sono di dominio pubblico.
Quanto a me sarei spiacente si credesse che io sia direttamente o indirettamente compromesso in queste vicende. Certamente, secondo l'uso generale, io prendo la mia piena parte, in quanto sono un privato cittadino, nell'indagare ciò che è stato fatto o che sta per essere fatto sulla scena pubblica del mondo, cosi nei tempi antichi come nei moderni, sia nella repubblica romana come in quella di Parigi. Ma siccome non mi sento insignito di una apostolica missione e sono cittadino di uno stato singolo e mi trovo quindi vincolato dalla pubblica volontà di questo, io crederei, quanto meno, di commettere azione impropria e scorretta se volessi aprire una formale corrispondenza con il governo attuale di una nazione straniera, senza previa autorizzazione espressa del mio proprio governo.
E tanto meno io vorrei impicciarmi in una tale corrispondenza sotto pretesto di enunciazioni fittizie, le quali potrebbero far credere ai profani che un appello cosiffatto sia opera di persone realmente investite di pubblica autorità sanzionata dalle leggi di questo regno ed autorizzate ad operare in qualità di enti organici rappresentanti una parte di esso. A motivo della ambiguità e della incertezza a cui si ispirava questa presentazione fraudolenta (e non per mera questione formale), la Camera dei Comuni avrebbe respinta qualsiasi petizione, fosse pure sopra un oggetto di importanza non trascurabile.
Al contrario quella denominazione insincera è valsa presso l'Assemblea Nazionale di Francia a far sì che i battenti si aprissero per una accoglienza più cerimoniosa e decorativa di quanto sarebbe accaduto se l'intera rappresentanza ufficiale del popolo inglese avesse dovuto essere colà ospitata ed accolta. Se l'appello che la suddetta società ha creduto opportuno di inviarvi fosse stato semplicemente un brano di dissertazione teorica, importerebbe poco di conoscere il suo contenuto. Non aggiungerebbe e non toglierebbe niente a favore del partito da cui è scaturito tale appello. Ma qui si tratta dì ben altro. Si tratta di ciò che noi chiamiamo voto e risoluzione. In tal caso la forza di un tale documento consiste solo nel suo grado di autenticità ; ma in questo caso la semplice autorità degli individui è assai minore di quanto non sembri. A me pare che, comunque, la loro firma avrebbe dovuto essere annessa al documento. Così il mondo avrebbe avuto modo di conoscere il numero dei firmatari, la loro identità personale; e avrebbe potuto vagliare l'importanza delle loro opinioni secondo il grado di prestigio, di valore sociale, dì cultura, di autorità, che tali firmatari presentano ciascuno per sé. Quanto a me che sono un uomo di idee chiare e semplici, ho l'impressione che il contegno di quei tali signori sia fin troppo ingegnoso e sottile, avente tutta l'aria di uno stratagemma politico usato allo scopo di accrescere, con una qualificazione pomposa, importanza alle pubbliche dichiarazioni del loro Club; importanza che, a esame sostanziale delle circostanze di fatto, apparirebbe molto sminuita. Questo genere di politica somiglia molto alla frode.
Tengo anch'io moltissimo, né più né meno che i componenti di quel Club, alla instaurazione di una libertà moralmente disciplinata; e anzi credo di aver portati buoni servigi a servizio di questa causa durante il corso intero della mia vita pubblica. E la libertà delle altre nazioni è per me oggetto di gelosia né più né meno che per i signori di quel Club.
Ma non posso farmi avanti a distribuire lode o biasimo in ciò che si riferisce alle azioni umane, sulla semplice constatazione di un proposito privo di relazioni con la realtà sperimentata e campato sulla teorica nudità di una astrazione metafisica. Giacché proprio quelle relazioni (che certi signori trascurano di considerare) conferiscono ad ogni principio politico un suo tono particolare traducendolo in un effetto circostanziato. Sono appunto le circostanze di fatto quelle che traducono ogni schema di dottrina politica o in risultati benefici o in risultati nocivi per l’umanità.
Da un punto di vista astratto si può dire che è buono tanto il principio autoritario del governo quanto il principio individuale della libertà. Ma, in norma di senso comune, avrei potuto io dieci anni or sono felicitarmi con la Francia per il suo governo (giacché allora un governo esisteva) senza accertarmi previamente in linea di fatto quale fosse la natura reale di questo governo e quale la sua struttura amministrativa? E posso congratularmi oggi con la stessa nazione a riguardo della sua attuale libertà?
Forse per il fatto che la libertà (intesa astrattamente) può essere classificata tra i benefici dell'umanità, io sarei tenuto a felicitarmi con un pazzo fuggito dalla oscurità protettiva della sua cella, il quale in tal modo abbia riconquistata alla luce del giorno la libera disponibilità di sé stesso? E ancora dovrò rallegrarmi con un ladrone o con un assassino evaso dalla galera per il fatto che egli si è reintegrato nei suoi pretesi diritti naturali di libertà? Ciò equivarrebbe a rinnovare la scena dei criminali condannati al carcere, che vengono liberati dal metafisico eroismo del Cavaliere dalla Triste Figura.
Quando io osservo l'idea della libertà tradotta in forza operativa, non posso fare a meno che riconoscere la potenza efficace di questo principio. E mi limito per ora a questa constatazione di fatto. Somiglia al primo momento di una fermentazione allorché si sprigionano selvaggiamente i gas. Per giudicare i risultati del fenomeno bisogna attendere che la prima effervescenza sia un po’ calmata, che il liquido ritorni trasparente permettendo di scorgervi qualche cosa di più che un semplice ribollimento di superficie. Allo stesso modo, prima che io possa felicitarmi pubblicamente con alcuno per un beneficio è ben certo che io debba preventivamente sincerarmi esser quel beneficio effettivo e reale.
La adulazione corrompe al tempo stesso colui che la riceve e colui che la esprime; è deleteria moralmente ai popoli né più né meno che ai re. Per questo devo sospendere ogni espressione di compiacimento per la nuova libertà di cui gode la Francia fino a che io non abbia assunte informazioni sul modo con cui questa libertà è stata realizzata in rapporto alle funzioni del governo, agli strumenti della forza pubblica, alla disciplina dell'organizzazione militare, al sistema produttivo e distributivo della ricchezza sociale, ai principi della morale o della religione, alla tutela della proprietà, alle garanzie dell'ordine pacifico, alle modalità del vivere civile e sociale. Tutte queste cose in sé medesime rappresentano considerevoli valori; senza di esse la libertà non costituisce un beneficio sostanziale e non può avere lunga durata.
L’effetto della libertà per gli individui è questo; che essi possono fare ciò che loro piace: noi dobbiamo aver modo di verificare quale uso praticamente essi facciano della libertà medesima, prima di arrischiare congratulazioni che possono ben presto esser trasformate in compianto. E' cosi che la prudenza ci consiglia di agire verso gli uomini, considerati come individui separati.
Quando poi gli uomini agiscono come gruppi organizzati, allora la libertà si trasforma in potenza. La gente assennata non esprimerà il proprio giudizio in proposito senza aver vagliato preventivamente l'uso che si farà di questa potenza. Giacché l’uso di un potere nuovo in mano di persone nuove costituisce una grande incognita in quanto non si conoscono ancora i prìncipi, i caratteri, le disposizioni di questi individui e ben sovente coloro che figurano sulla scena come direttori del movimento sono invece rimorchiati da altri che rimangono nascosti.
Ma tutte queste considerazioni non toccano la dignità trascendentale della Revolution Society. Mentre stavo alla campagna, donde ho avuto l'onore di scrivervi la prima volta, non avevo che una idea imperfetta delle attività di tale sodalizio. Ma appena ritornato in città mi sono procurato una informazione generale delle direttive a cui esso si ispira. Queste sono state pubblicate e rese note ufficialmente per ordine della società stessa: sono contenute in un sermone del Dr. Price, in una lettera del Ittica De la Rochefoucault e dell'Arcivescovo di Aix, oltre che in pochi documenti allegati. L'insieme di questa produzione, il cui disegno manifesto era di stabilire una connessione reale tra le cose nostre e quelle di Francia e di trascinarci ad imitare la condotta dell'Assemblea Nazionale, mi ha data un’impressione assai penosa.
L'influenza di tale condotta sul potere pubblico, sulle condizioni del credito, divenne di giorno in giorno più evidente; e la forma della costituzione che si sarebbe stabilita divenne pure ad ogni ora più palese. Siamo oggi arrivati al punto da poter discernere con sufficiente chiarezza la natura verace dell'oggetto che ci viene proposto ad esempio. Se vi sono circostanze in cui la prudenza, la riservatezza e una certa dignità suggeriscono che si conservi il silenzio, ve ne sono altre nelle quali una prudenza di ordine superiore giustifica il fatto che si dia pubblicità ai propri convincimenti. Il principio della confusione che si è generata è in verità al presente abbastanza tenue; ma in Francia ne abbiamo visti di ancora più tenui acquistare improvvisamente una forza impreveduta, accumulare montagne su montagne e finire per dichiarare la guerra ai cieli.
Quando la casa del vicino comincia a bruciare non è male che le pompe lavorino un poco anche sulla nostra. E' meglio peccare per eccesso di precauzione che andare in malora per aver nutrito troppa fiducia.
Siccome la tranquillità del mio paese è cosa che mi sta a cuore sopra tutto, senza per questo che io trascuri di considerare ciò che riguarda le cose del vostro paese, io darò a questa comunicazione un'ampiezza maggiore di quanto non avevo precedentemente destinato di fare a soddisfazione soltanto della vostra richiesta. Ad ogni modo terrò sempre presenti gli affari che vi interessano e continuerò a indirizzarmi a voi. Permettendomi pure di proseguire nella forma di una conversazione epistolare, vi prego di lasciare che io esponga i miei pensieri ed esprima i miei convincimenti con quella libertà con cui essi si presentano alla mia mente, facendo poca attenzione alla forbitezza formale dell'eloquio.
Comincerò col prendere in considerazione gli atti della Revolution Society, ma non mi limiterò a questi soltanto. E infatti come sarebbe ciò possibile? Mi sembra di trovarmi in mezzo ad una grande crisi, nella quale non è interessata solamente la Francia, ma l'Europa intera; e forse neppure soltanto l'Europa. Considerando tutte le circostanze, bisogna riconoscere che la Rivoluzione Francese è l'avvenimento più stupefacente che nella storia del mondo si sia mai prodotto fino ad ora. Le cose più sorprendenti sono state eseguite in parecchie circostanze con mezzi assolutamente assurdi e ridicoli, ed evidentemente con l'impiego di strumenti e di metodi spregevoli. Tutto sembra fuori di natura in questo strano caos in cui si mescolano leggerezza e ferocia, in questa confusione di delitti e di follie travolti insieme. Nella visione di questa scena tragicomica vediamo succedersi necessariamente conflitti di opposte passioni che talvolta si mescolano bizzarramente le une con le altre; il riso si confonde colle lacrime, lo scorno si mescola all'orrore.
Tuttavia non si può negare che a taluno questo strano spettacolo appare da un punto di vista affatto differente, cosicché esso non ha ispirati altri sentimenti se non di esultanza ed estasi. Gente così fatta non ha visto negli eventi della Francia che una manifestazione gagliarda e affinata dello spirito di libertà; e nel complesso così concorde con i principi della morale umana e della pietà religiosa, da conformarsi non soltanto alla approvazione secolare di quei politici che fanno professione di machiavellismo, ma anche alla effusione di sentimenti devoti e di sacra eloquenza.
Il 4 novembre ultimo scorso il Dott. Richard Price, ben conosciuto ministro di fede non conformista, predicava nella riunione dei dissidenti tenuta in Old Jewry, come sede sociale del suo Club, sfoggiando nella sua eloquenza un sermone di gusto veramente eccezionale. In esso si mescolavano le espressioni di alcuni sentimenti morali e religiosi indiscutibilmente buoni e bene manifestati, con una serie ben differente di opinioni e di riflessioni d'altra natura; ma l'ingrediente fondamentale di questa eterogenea composizione era la rivoluzione francese. L'appello che la Revolution Society ha lanciato all'Assemblea Nazionale per mezzo del Conte Stanhope trae indubbiamente origine dai principi di quel sermone ed è al tempo medesimo un corollario di esso. E' il predicatore medesimo che lo ha promosso. Gli ascoltatori che ne avevano tratta ispirazione entusiastica lo hanno adottato così come stava, senza sottoporlo a censura o a controllo, né espresso né implicito. Se tuttavia taluno dei signori che sono interessati in questa faccenda desidera far questione distinta del sermone così com'era, dai risultati che ad esso sono conseguiti, sa come deve fare per accettare rimo e disapprovare gli altri. Egli può bensì far questo; io no.
Quanto a me, dunque, considero l'avvenuta predica come dichiarazione pubblica di un uomo che si è molto immischiato in cabale letterarie e intrugli filosofici con politicanti della teologia e teologi politicastri, così in patria come all'estero. So benissimo che questo autore è stato portato avanti come una specie di oracolo perché, con le più belle intenzioni del mondo, egli è naturalmente portato a filippizzare e canta i suoi inni profetici perfettamente all’unisono con le mire dei suoi ammiratori.
Questo sermone è di tale stile e di tale gusto che io credo sia senza esempio nella storia del nostro regno, almeno per quanto è stato detto fin qua dall'alto di pulpiti o tollerati o protetti dopo l’anno 1648, allorché un predecessore del Dr. Price, il Rev. Hugh Peters, fece rintronare le volte della stessa cappella reale nei palazzo di St. James parlando dei privilegi dei santi, i quali "avendo nella bocca gli elogi di Dio e nelle mani una spada a doppio taglio, stavano per eseguire il giudizio sui pagani e per esercitare la punizione sul popolo; caricare di catene i sovrani medesimi e mettere in ceppi ferrei i loro stessi vassalli" (Salmo 149). Poche arringhe pronunciate da un pulpito, quando si eccettuino i tempi della Lega di Francia o quelli pure della nostra solenne Lega e del nostro Covenant in Inghilterra, possono essere paragonate con quella tenuta ad Old Jewry quanto alla mancanza di spirito di moderazione in essa manifestatosi.
Ma anche ammettendo che in quella predica a scopo politico si fosse potuto notare qualche cosa di simile al sopraccennato spirito, tuttavia sta sempre il fatto che la politica e il pulpito sono due termini che vanno poco d'accordo l'uno coll'altro. In chiesa non si deve intendere altra voce che quella moderatrice ispirantesi alla carità cristiana. La causa della libertà, civile e del pubblico reggimento, al pari come la causa della religione stessa, ha poco da guadagnare da questa confusione. Quando si vedono uomini che si spogliano delle loro caratteristiche per assumerne altre che loro non appartengono, si può esser certi che costoro in massima parte sono incapaci di rappresentare e neppure di esercitare decisamente così la parte che hanno abbandonata come quella che hanno assunta. Costoro, trovandosi affatto nuovi ed inesperti di quel mondo di cose nelle quali hanno fretta di mescolarsi e privi di esperienza nelle vicende che ad esso conseguono e negli affari sui quali essi sentenziano con tanta disinvoltura, dalla vita politica non sanno trarre altro se non incentivo alle passioni inferiori che questa viene eccitando. Certamente la chiesa è il posto dove le inquietudini quotidiane devono trovare sosta affinchè si ricompongano in armonia le animosità e i dissensi del genere umano.
Ho considerato questa strana ripresa di predicazione polemica che ritorna dopo cosi lungo intervallo, come un fatto nuovo; ma di una novità che non va priva di rischio.
Non voglio attribuire effetti ugualmente pericolosi a tutto il discorso pronunciato, in ciascuna delle sue parti. L'allusione fatta a un nobile e reverendo teologo laico, che si suppone tenga un alto ufficio in una delle nostre università, (1) e ad altri teologhi laici "che occupano un certo grado nel mondo e nella letteratura" sarà conveniente e opportuna, ma alquanto nuova. Se i nobili — ricercatori — non trovassero sul vecchio mercato della chiesa nazionale o in tutto il ricco e vario assortimento dei magazzini delle congregazioni dissenzienti, nulla che soddisfi le loro pie fantasie, il Dott. Price li consiglia di perfezionare il non conformismo e di impiantare, ciascuno di essi separatamente, una casa di riunione, sui propri particolari principi (2). È abbastanza notevole che questo reverendo teologo sia così zelante per la costituzione di nuove chiese e così perfettamente indifferente circa la dottrina da insegnarsi in esse. Il suo zelo ha un curioso carattere. Non è per la diffusione di opinioni sue proprie, ma di qualunque opinione. Non per la diffusione della verità, ma per spargere la contraddizione. Purché i nobili maestri dissentano, non ha importanza per lui precisare da chi o da che cosa dissentano. "Una volta garantito questo punto essenziale, è ovvio che la loro religione sarà razionale e seria. Io dubito se la religione raccoglierà tutti i benefici che il teologo calcolatore attende da questa "Grande compagnia di grandi predicatori". Sarà certamente una pregevole aggiunta di campioni non ancora descritti alla vasta collezione di classi, generi e specie che sono già noti e che attualmente abbelliscono l’hortus siccus dello scisma. Il sermone di un nobile duca o di un nobile marchese o di un nobile conte o di un baldo barone, accrescerà e varierà certamente i divertimenti, di questa città, che incomincia a esser sazia della giostra monotona creata dai suoi insipidi passatempi. Io potrei a mala pena ammettere che questi nuovi curati in toga e corona siano in grado di mantenere qualche aderenza ai principi democratici ed egualitaristi banditi ufficialmente dai loro pulpiti. Io scommetto che i nuovi evangelisti deluderanno le speranze in essi poste. Essi non diventeranno, nella lettera come nell'aspetto, dei teologhi battaglieri, né saranno così preparati a addestrare le loro congregazioni in modo ch'esse possano, come nei beati tempi passati, predicare le loro dottrine ai reggimenti di dragoni e ai corpi di fanteria e di artiglieria. Tali compromessi, favorevoli d'altra parte alla imposta libertà civile e religiosa, non saranno allo stesso modo apportatori della tranquillità nazionale. Io spero che queste poche restrizioni non saranno considerate come segni manifesti di intolleranza, né esplicazioni di dispotismo violento.
Ma io ben posso dire del nostro predicatore: "utinam nugis tota illa dedisset tempora saevitiae".
Ma non tutto è cosi innocuo come sembra. Le dottrine di quest’uomo intaccano la nostra costituzione nelle sue parti vitali. Appunto nel suo sermone politico egli dice dinanzi alla sopraindicata società che il Re d’Inghilterra "è pressoché il solo sovrano che al mondo eserciti legalmente i suoi diritti, perché è il solo che deve la sua corona alla scelta fatta dal popolo". Quanto a tutti gli altri sovrani dell'universo, che questo pontefice massimo dei diritti dell'uomo (dall'alto del suo grado dignitario e con una solennità più grande di quella con cui parla il Papa e con un fervore più ardente di quello che emanava dal Soglio Pontificio nella meridiana pienezza del secolo XII) fa oggetto di bando e di anatema proclamandoli usurpatori per fatta l'estensione delle longitudini e delle latitudini che ricoprono l'intero globo terrestre, a me pare che spetti proprio ad essi di considerare in qual modo possono venire ammessi nei loro territori missionari apostolici di tal fatta, i quali vanno dichiarando presso i sudditi la illegalità dei titoli sui quali si fonda la sovranità regia. Facciano bene attenzione a codesta gente. Quanto a noi inglesi, importa che prendiamo in seria considerazione il grado di fondatezza della opinione sopra espressa, che afferma essere il consenso popolare unico titolo giustificatore dei diritti sovrani; cosicché il Re d'Inghilterra è riconosciuto da tal gente unicamente sotto quel punto di vista e per quel motivo. Ognuno comprende che questo problema c'interessa urgentemente e da vicino.
Una dottrina di tal genere, quando venga applicata al principe che ora siede sul trono d'Inghilterra, deve considerarsi o un assoluto non senso, e in tal caso essa non è né vera né falsa; oppure bisogna riconoscere che essa sancisce un punto di vista completamento infondato, pericoloso, illegale e contrario al principi della costituzione. Secondo il ragionamento di quel metafisico professore di politica, bisognerebbe arrivare alla conclusione che, ove S. M. non dovesse la corona al fatto della elezione popolare, il diritto sovrano non sarebbe legittimato. Orbene, non v'è niente che sia così falso come affermare che il nostro Re detiene la corona sotto questo titolo. Tanto è vero che se dovessimo accettare un tale sofisma ne conseguirebbe che il re d'Inghilterra (il quale certamente non ripete le origini del suo alto ufficio da alcuna forma di elezione popolare) non sarebbe degno di maggior rispetto che tutto il resto della sopra accennata banda di usurpatori in veste sovrana; usurpatori che, a detta di quel tal signore, più che regnanti non sarebbero altro che una compagnia di delinquenti, sparsi su tutta la faccia di questo miserabile globo terrestre a rapinare i popoli soggetti, senza alcuna sorta di diritto né alcun titolo di sovranità.
Le conclusioni politiche derivanti da un tal principio astratto saltano all'occhio con sufficiente evidenza. I propagandisti di questo Vangelo politico sperano che i principi da loro affermati in via teorica (e cioè che l’elezione popolare è condizione necessaria alla esistenza legale del potere sovrano e della magistratura) possano venire più facilmente accettati dimostrando che il re d'Inghilterra non viene da essi intaccato nella sua posizione; e sperano che nel tempo medesimo le orecchie del pubblico si vengano gradualmente abituando a tali enunciati teorici così che alla fine questi sarebbero accettati come postulati fondamentali e fuori discussione. Per il momento queste idee agirebbero soltanto in via astratta, preservata nell'ambito privilegiato dell'eloquenza religiosa; e sarebbero così tenute pronte per una eventuale realizzazione avvenire. Condo et compono quae mox de promere possim. Il fine di questa mossa politica è di togliere al nostro Governo (allontanandone i sospetti con una lusinghiera riserva enunciata in suo favore e della quale, per vero, esso non ha alcun bisogno) il fondamento sul quale posa la sua sicurezza; fondamento comune a tutti i governi, almeno per quanto l'opinione pubblica possa costituire un dato di garanzia.
Questo è il modo col quale procedono i politicanti di tal fatta, per quanto le dottrine che essi bandiscono possano parere trascurabili; ma quando i medesimi vengano messi alle corte dietro un esame serrato delle loro parole e delle finalità a cui si ispirano le loro dottrine, allora entrano in gioco gli equivoci le sofisticherie. Quando, ad esempio, essi dicono che il re deve il suo privilegio sovrano al fatto di essere stato eletto dal popolo deducendo che il re d'Inghilterra è il solo sovrano legittimo in tutto il mondo, mostrano di professare tale teoria solo in quanto questa si riferisce al fatto che alcuni predecessori dell'attuale re d'Inghilterra sono effettivamente stati chiamati al trono con una sorta di elezione popolare. E di qui deducono che anche l'attuale sovrano debba il suo potere a quella circostanza medesima. Cosi tal gente spera di mettere al sicuro la propria posizione con un miserabile gioco di sotterfugi equivocando sopra un'interpretazione grottesca.
Essi ben meriterebbero dì essere puniti per l'offesa che recano al principio sovrano, se pure non trovino scusante diretta nella loro demenza medesima. Giacché se si accetta una interpretazione di tal fatta, come può l'idea che essi hanno della elettività differire da quella che noi abbiamo della ereditarietà? E come potrebbe l’investitura della corona nel ramo di Brunswick, discendente da Giacomo I, costituire un titolo legale che sia valido per il nostro monarca più che per il sovrano di qualsivoglia nazione vicina alla nostra! E’ certo che in un tempo o nell'altro tutti coloro che hanno fondato dinastie sono stati eletti al governo da parte del sudditi. Su questa base è abbastanza fondata l'opinione che tutti i regni d'Europa furono in un tempo remoto di natura elettiva, trovandosi l'eletto più o meno vincolato nell'esercizio del potere conferitegli. Ma comunque i re possano aver assunto il potere qui o altrove, magari mille anni or sono, e comunque possa aver avuto principio l'autorità dinastica delle stirpi regnanti in Inghilterra o in Francia, sta di fatto che il re della Gran Bretagna è oggi investito della sua alta funzione in base ad una norma fissa che regola la successione al trono in conformità con i princìpi costituzionali del popolo inglese. E se le condizioni legali che determinano l'esercizio del potere sovrano sono dal re osservate (ed effettivamente lo sono), egli detiene la sua corona a dispetto delle velleità elettorali manifestate dalla Revolution Society; la quale per di più non possiede nel proprio seno né individualmente né collettivamente neppure un singolo voto che le dia diritto di influire sull'elezione del re; sebbene io non metta in dubbio che i sullodati signori abbiano in animo di costituirsi ben presto in collegio elettorale non appena gli eventi sembrino maturi per tradurre in effetto il loro proposito. E del resto la corona continuerà ad essere trasmessa per via di regale successione a tempo e luogo dovuto, con pieno scarto della scelta elettiva di cui va arrogandosi il diritto tale società, allo stesso modo come la sovranità è stata fino ad oggi trasmessa.
Comunque si possa tentare di evadere dal grossolano errore di fatto che suppone essere il diritto della sovranità fondato sulla elezione popolare, tuttavia non può venire messa in dubbio la esplicita dichiarazione avanzata da quei signori, secondo la quale il popolo avrebbe diritto di scelta sui propri governanti; diritto che essi ribadiscono tenacemente ed affermano con piena aderenza. Tutte le equivoche insinuazioni riguardanti il principio elettivo si fondano su questa proposizione e sono riferibili ad essa; e per timore che l'esclusione accordata al re d'Inghilterra in favore del titolo legale della sua sovranità fosse considerata come una semplice dichiarazione fatta con fine adulatorio, il predicatore politicante procedette addirittura ad un asserto dogmatico ed affermò che in base ai principi della rivoluzione il popolo inglese ha acquistato tre diritti fondamentali, i quali — a dire di quel signore — costituirebbero un sistema organico e si combinerebbero insieme quasi in una formula sentenziosa; quanto a dire che il popolo inglese ha acquistato diritto:
1) di scegliere i propri governanti.
2) di deperirli se essi tengano cattiva condotta.
3) di costituire un governo da sé medesimo.
Siamo qui di fronte a un Bill of rights di nuovo genere e mai conosciuto fino ad oggi; sebbene esso sia stato dichiarato in nome del popolo intero, appartiene invece di fatto alla iniziativa privata, di quei tali signori, e basta. Il popolo d'Inghilterra come collettività non ha alcuna parte in questa dichiarazione; anzi la disapprova colla massima forza ed è pronto ad opporsi alle conseguenze pratiche che eventualmente derivassero da tale asserto anche a prezzo della vita e di tutti i suoi beni. Questo deve esser fatto come obbligo derivante dai principi del diritto nazionale sancito al tempo della grande rivoluzione; rivoluzione il cui nome viene abusato a pretesto di un fittizio diritto da parte di un sodalizio che ha usurpato il nome stesso.
I signori che hanno firmato la dichiarazione di Old Jewry in tutti i loro ragionamenti sulla rivoluzione dei 1688 hanno davanti agli occhi e dentro la loro fantasia i modelli degli eventi rivoluzionari che agitarono l'Inghilterra circa 40 anni addietro e quelli recentissimi che sconvolgono la Francia, a tal punto che finiscono per confondere insieme quelle tre cose diverse. Ma è necessario che noi teniamo ben separato ciò che essi indebitamente mescolano. Noi dobbiamo richiamare le fantasie degenerate di codesta gente ai veri "atti" della Rivoluzione, che teniamo in grande reverenza, a fine di scoprire i principi veraci sui quali essa si fonda.
Se vi è alcunché in cui è possibile precisare l'intima essenza dei principi rivoluzionari del 1688, ciò si trova nello statuto chiamato Declaration of Right.
In questa dichiarazione che è supremamente saggia, sobria ed avveduta, e che è stata formulata per opera di grandi giuristi e di grandi uomini di Stato e non già da individui con la fantasia riscaldata e privi d'esperienza, non è detta neppure una parola, non è fatta neppure un'allusione ad un preteso diritto generico "riguardo alla scelta dei governanti, alla loro deposizione per motivi di cattiva condotta, e alla costituzione di un governo che il popolo dia a sé medesimo".
Questa Dichiarazione di Diritto (atto del primo anno di regno di Guglielmo e di Maria, sess. 2, c. 2) essendo stata ribadita ed arricchita e posta come un principio fondamentale, con un valore perpetuo, costituisce la pietra angolare della nostra costituzione. Si intitola "Atto per la dichiarazione dei diritti e della libertà dei sudditi e per fissare l'ordine di successione alla corona". Ben si vede di qui come quei diritti e quella successione siano stati dichiarati in un sol corpo e figurino indissolubilmente vincolati gli uni all'altra. (continua)