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  1. #1
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    Da Lussin alla Marlera, da Calluda ad Abazia, per il largo e per il lungo torneremo in signoria d'Istria, Fiume, di Dalmazia, di Ragusa, Zara e Pola carne e sangue dell'Italia! Eja Eja Alalà!
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    Predefinito 9 ottobre 1963, la tragedia del Vajont

    2000 vittime innocenti

  2. #2
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  3. #3
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  4. #4
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  5. #5
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    Predefinito 9 ottobre 1963

    La frana che si staccò alle ore 22.39 dalle pendici settentrionali del monte Toc precipitando nel bacino artificiale sottostante aveva dimensioni gigantesche. Una massa compatta di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti furono trasportati a valle in un attimo, accompagnati da un'enorme boato. Tutta la costa del Toc, larga quasi tre chilometri, costituita da boschi, campi coltivati ed abitazioni, affondò nel bacino sottostante, provocando una gran scossa di terremoto. Il lago sembrò sparire, e al suo posto comparve una enorme nuvola bianca, una massa d'acqua dinamica alta più di 100 metri, contenente massi dal peso di diverse tonnellate. Gli elettrodotti austriaci, in corto-circuito, prima di esser divelti dai tralicci illuminarono a giorno la valle e quindi lasciarono nella più completa oscurità i paesi vicini.

    La forza d'urto della massa franata creò due ondate. La prima, a monte, fu spinta ad est verso il centro della vallata del Vajont che in quel punto si allarga. Questo consentì all'onda di abbassare il suo livello e di risparmiare, per pochi metri, l'abitato di Erto. Purtroppo spazzò via le frazioni più basse lungo le rive del lago, quali Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino.

    La seconda ondata si riversò verso valle superando lo sbarramento artificiale, innalzandosi sopra di esso fino ad investire, ma senza grosse conseguenze, le case più basse del paese di Casso. Il collegamento viario eseguito sul coronamento della diga venne divelto, così come la palazzina di cemento, a due piani, della centrale di controllo ed il cantiere degli operai. L'ondata, forte di più di 50 milioni di metri cubi, scavalcò la diga precipitando a piombo nella vallata sottostante con una velocità impressionante. La stretta gola del Vajont la compresse ulteriormente, facendole acquisire maggior energia.

    Allo sbocco della valle l'onda era alta 70 metri e produsse un vento sempre più intenso, che portava con se, in leggera sospensione, una nuvola nebulizzata di goccioline. Tra un crescendo di rumori e sensazioni che diventavano certezze terribili, le persone si resero conto di ciò che stava per accadere, ma non poterono più scappare. Il greto del Piave fu raschiato dall'onda che si abbatté con inaudita violenza su Longarone. Case, chiese, porticati, alberghi, osterie, monumenti, statue, piazze e strade furono sommerse dall'acqua, che le sradicò fino alle fondamenta. Della stazione ferroviaria non rimasero che lunghi tratti di binari piegati come fuscelli. Quando l'onda perse il suo slancio andandosi ad infrangere contro la montagna, iniziò un lento riflusso verso valle: una azione non meno distruttiva, che scavò in senso opposto alla direzione di spinta.

    Altre frazioni del circondario furono distrutte, totalmente o parzialmente: Rivalta, Pirago, Faè e Villanova nel comune di Longarone, Codissago nel comune di Castellavazzo. A Pirago restò miracolosamente in piedi solo il campanile della chiesa; la villa Malcolm venne spazzata via con le sue segherie. Il Piave, diventato una enorme massa d'acqua silenziosa, tornò al suo flusso normale solo dopo una decina di ore.

    Alle prime luci dell'alba l'incubo, che aveva ossessionato da parecchi anni la gente del posto, divenne realtà. Gli occhi dei sopravvissuti poterono contemplare quanto l'imprevedibilità della natura, unita alla piccolezza umana, seppe produrre. La perdita di quasi duemila vittime stabilì un nefasto primato nella storia italiana e mondiale........... si era consumata una tragedia tra le più grandi che l'umanità potrà mai ricordare.

  6. #6
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    9 ottobre 1963, quando la logica del profitto diventa più importante della vita umana....









  7. #7
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    Gli annali storici relativi a quest'area di montagna riportano spesso tragedie collegate ad eventi naturali. Piogge torrenziali che si trasformano in inondazioni, scosse sismiche che provocano danni ingenti alle abitazioni, crolli parziali o totali di pezzi di montagna.
    Questi eventi, nel giro di poche ore, annientavano decenni di dura fatica e di cospicui investimenti, mandando rapidamente in fumo una ricchezza costruita con immani sacrifici dalle popolazioni alpigiane. La popolazione, con il solo apporto dei singoli, ha sempre saputo ricostruire i centri distrutti, gran parte dei quali edificati nelle vicinanze di corsi d'acqua, in prossimità quindi di un importante elemento naturale che se favoriva l'espandersi di una certa struttura produttiva, dall'altra, con le sue piene periodiche, provocava danni notevoli alla comunità. L'inondazione del 1882 portò addirittura alla scomparsa definitiva di vari insediamenti, che non furono più ricostruiti sul vecchio sito. I precedenti storici relativi a questi avvenimenti sono molti, tanto da costituirne un pensiero costante nella vita di un popolo che, soprattutto nel passato, ha dovuto fare i conti con una natura non sempre prodiga.
    Per quanto riguarda la tragedia del Vajont, le avvisaglie di quanto poteva succedere si erano avute dapprima con la frana di Pontesei, nella vicina valle di Zoldo, e poi con quella del 4 novembre 1960, che aveva interessato proprio il versante instabile del M. Toc. Sarebbe stato sufficiente cogliere il significato del toponimo della montagna suddetta (Toc = monte che va a pezzi, a tocchi), o delle montagne vicine, per evitare una delle più grandi tragedie del genere umano............. ma ancora una volta altri interessi vennero considerati prioritari rispetto alla vita di migliaia di persone umane.

  8. #8
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    Alle ore 22,39 del 9 ottobre 1963 si compie l'ultimo atto di una tragedia umana. Una frana gigantesca provoca un'onda che cancella, in pochi secondi, un territorio e quasi 2.000 vite umane. La morfologia delle valli del Vajont e del Piave viene sconvolta: i danni materiali incalcolabili. Di Longarone restano solo poche case; Erto viene graziato ma spariscono gran parte delle sue frazioni. Ma oltre alle vittime e alla distruzione territoriale la popolazione superstite subisce le conseguenze di indelebili danni morali, che sono quelli che hanno fatto soffrire e continuano a far soffrire persone singole e comunità.
    La natura esce ancora una volta vincitrice nei confronti dell'uomo...........

  9. #9
    Vis et Honor
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    Onore alle vittime e solidarieta' ai familiari!

  10. #10
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    Predefinito La frana





    Le dimensioni del corpo franoso erano enormi: due chilometri quadrati di superficie e circa 260 milioni di metri cubi di volume roccioso. Questa massa, da molto tempo instabile, precipitò nel sottostante bacino idroelettrico del Vajont ad una velocità stimata attorno ai 20-25 m/sec.

    Il fronte compatto già era lambito dalle acque del lago ed aveva una lunghezza di 2000 metri, con un'altezza media di oltre 150 metri.
    Il tremendo impatto con la sponda opposta portò la frana a risalire anche per più di centosessanta metri, sbarrando la valle e modificandola in maniera definitiva. Probabilmente le scaglie e i detriti generati della massa in movimento furono trascinate in avanti riempiendo la gola del Vajont, costituendo quindi uno strato plastico che ha agevolato l'appoggio e lo scorrimento della frana stessa.

    Questo improvviso accrescimento del corpo franoso entro il bacino della diga permise la formazione dell'onda e determinò le caratteristiche dinamiche della stessa.





    Tabella riassuntiva relativa al corpo franoso

    superficie
    2 Kmq

    volume
    260.000.000 mc

    lunghezza del fronte
    2.000 m

    altezza media
    150 m

    velocità
    72-90 Km/h

    risalita del fronte
    160 m

 

 
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