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Discussione: Allan Bloom

  1. #1
    Piccolo insipiente
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    Predefinito Allan Bloom

    Ciao a tutti?
    mi potreste dare una mano?
    il 2 agosto sulla pagina culturale del corriere c'era un interessante articolo sul filosofo statunitense allan bloom, e sulla sua riscoperta da parte dei liberal americani...
    http://archiviostorico.corriere.it/2...80802090.shtml
    più o meno ho capito il suo pensiero, ma non sono riuscito a sapere molto di più...non l'ho trovato sul libro di filosofia (quest'anno avrò la maturità) e ho trovato cose molto scarse su internet (in italiano).
    non ho appunto trovato molte pagine su questo filosofo, penso importante, in italiano...
    e wikipedia lo presenta solo in inglese
    http://en.wikipedia.org/wiki/Allan_Bloom
    voi che mi sapete dire?
    mi potreste indicare per sommi capi, se possibile, la sua filosfia e il suo pensiero?
    grazie in anticipo!

  2. #2
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    beh,se si tratta di un pensatore liberal,ti conviene chiedere,anche via pvt,lumi a Benfy

  3. #3
    Piccolo insipiente
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    non penso proprio si trattasse id un liberal, l'articolo del corriere diceva che i liberal dicevano che aveva ragione lui, sulla società americana e sulla cultura americana....

  4. #4
    direttamente dall'Inferno
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    allora prova a chiedere a Christine o a David777,io personalmente non saprei proprio cosa dirti

  5. #5
    Piccolo insipiente
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    oggi il mio prof di filosofia mi ha portato il saggio "la chiusura della mente americana"...ho letto alcune pagine, e sono già molto inteeressanti...non vedo l'ora di iniziarelo...oggi andrò in libreria, voglio vedere se ce l'hanno, è di qualche tempo fa....

    http://www.unilibro.it/find_buy/Sche...americana_.htm
    http://www.libreriauniversitaria.it/.../9788876841101
    http://www.raulmordenti.it/UniversitaEuropa.htm
    http://www.ilportoritrovato.net/html/bibliobellow.html
    http://blog.libero.it/MjkaCat/5188479.html

  6. #6
    Piccolo insipiente
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  7. #7
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    allora, sono stato ieri in libreria con un mio amico...niente, è fuori commercio...vorrà dire che cercherò altrove......oggi l'ho iniziato e, anche se sono solo all'inizio dle primo cpaitolo, è veramente interessante, già dall'introduzione....penso che bloom meriterebbe di essere conosciuto anche in italia...adesso è ancora presto, ma voglio fornire anche a cvoi forumisti qualche pillola di bloom...ovviamente, devo continuare nella lettura, e magari chiedere anche al mio prof, ma comunque, è una lettura che si è rivelata subito interessantissima...

  8. #8
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    http://archiviostorico.corriere.it/2...80802090.shtml
    questo viene dal corriere...ho conservato l'articolo (che sollievo, dopo averne trovato uno di hitchens qualche giorno prima della pubblicazione di quello su bloom!)....l'ho portato a scuola, e un altro mio amico lo ha trovato molto interessante...

  9. #9
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    Ciao amici!

    Solo adesso leggo questa richiesta d'aiuto e vedrò di dare il mio contributo.

    Io conosco bene Bloom perchè fortunosamente qualche hanno fa ho trovato il suo libro in italiano presso un Remainder. "La chiusura della mente americana" è un libro molto bello e interessante (quando uscì fu davvero scioccante) ma anche molto difficile per chi vi si avvicina per la prima volta.
    La prima parte tratta del relativismo culturale, la cui critica è piuttosto semplice da comprendere, e da condividere, soprattutto oggi.

    La seconda invece, è un trattato di filosofia che deve molto all'insegnamento di Strauss. Ma qui iniziano i problemi, in quanto Strauss è un autore che è stato letto esotericamente ed essotericamente dagli stessi conservatori.
    Bloom dice, in poche parole, che il liberalismo lockiano è una base solida per combattere le insidie del tempo presente, dovute alla nuova sinistra che imbarcando il pensiero nichilista ha fatto imboccare all'Occidente contemporaneo un vicolo cieco.
    Ma allo stesso tempo Bloom, che individua in Rousseau la genesi dei problemi contemporanei, non è un liberale classico, non un libertarian. Riscopre anzi certi aspetti del pensiero dello stesso Rousseau (Emilio), insieme a Shakespeare e a Platone.

    E' un libro che non si può comprendere se non lo si inquadra nel dibattito conservatore e straussiano degli anni ottanta.

    PS: Riguardo Bloom è uscito anche un romanzo di Saul Bellow, "Ravelstein", incentrato sulla figura del professore. Bellow usa un linguaggio per iniziati, come gli straussiani, pur non essendo egli stesso uno straussiano.

    PS: Consiglio anche la lettura del saggio di Giuliana Paraboschi, "Leo Strauss e la destra americana", Editori Riuniti. E' abbastanza vecchio, ma dovrebbe trovarsi ancora in giro.

  10. #10
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    Amore e amicizia per Allan Bloom, nemico del conformismo modernista


    Esiste la natura umana? Ha qualcosa di di irriducibile al tempo, alle mode, alle smanie moderne del contesto storico, del determinismo scientista, dell'astrazione razionalistica? E questo qualcosa non avrà a che fare con l'anima e il bene e il male, con la ragione e il vizio e la virtù?Non sarà fragile come un reperto antico, da tenere sotto vetro in un museo? E se è un valore in sé, una norma superiore e vincolante, cosa potremmo fare mai noi postmoderni, stanchi e delusi dall'utopia che vedeva la vita umana come un artefatto plasmato dall'autonomia dell'io e dalla libertà del volere? Le domande che pone la Lettera ai Vescovi del cardinale Ratzinger, in fondo, sono le stesse che si poneva Leo Strauss, il filosofo ebreo tedesco costretto dal nazismo a migrare negli Stati Uniti, e assurto di recente all'onore di cronaca come il maestro della generazione di neoconservatori oggi al potere. Leo Strauss infatti non faceva altro, quando si interrogava sull'ordine buono e giusto, o si sforzava di smantellare la pretesa avalutativa delle scienze sociali, cercando di contrastare il relativismo e i suoi guasti: l'indifferenza morale, l'apatia civile, la svalutazione dell'uomo e della sua esperienza. Strauss passò tutta la sua vita a studiare Platone e Aristole, a riflettere su Hobbes, Spinoza e Machiavelli, addirittura concepì la dissimulazione come una risorsa filsofofica per schivare l'attrito col potere. Non si sarebbe mai sognato di lasciare i ristretti cenacoli accademici, per fare capolino sui rotocalchi. Eppure è successo. E' successo vent'anni fa, quando Allan Bloom, che era un suo allievo, si mise in testa di denunciare il conformismo americano e scrisse “The Closing of the American Mind”. Da un giorno all'altro quell'intellettuale dandy, figlio di due assistenti sociali di Indianapolis, che aveva trovato il suo riscatto nella Kultur, il traduttore di Platone e di Rousseau, il professore a Yale, Cornell e Chicago che coi suoi seminari incantatori cambiava la vita di chi li frequentava, diventò ricco e famoso, restando quello che era, un filosofo della politica. In pochi mesi, infatti, il libro vendette mesi mezzo milioni copie. Il primo a esserne sorpreso fu lo stesso Bloom, che visse la cosa come una piacevole sorpresa di cui scherzare con gli amici, continuando a prendere in giro se stesso, con la serietà di un buffone abituato a cercare la verità pur sapendo di essere un paria, un isolato, un eccentrico spregiatore del moderno. L'idea di scrivere quel libro gliela aveva data Saul Bellow, di cui Bloom era amico, mentore confidente, essendo anch'egli un puro prodotto dell'emigrazione ebraica del Midwest. Di Bellow, anzi, finirà per essere anche l'ispiratore in “Ravelstein”, un ritratto struggente uscito nel 2000, che non è altro se non la sua biografia in forma di romanzo. Come Bellow, anche Bloom soffriva terribilmente per l'indigenza morale dell'uomo contemporaneo. Quello che l'altro raccontava, lui lo pensava, sicché in “The Closing of the American Mind” si può leggere la genealogia intellettuale delle miserie di Moses Herzog e di Augie March. Il libro è un epitaffio dell'educazione liberale, un atto d'accusa contro l'università americana, il dilagare nietzscheo-heideggeriano della decostruzione, la piattezza culturale dei giovani, “nice”, “cool”, e tutti così ironici, spassionati, e così inclini alla pratica del “sex, drug and rock and roll” da ignorare che il senso della vita possa avere una qualche relazione con l'audacia, il coraggio, la virtù. Il successo fu tale che gli fece venire la voglia di scrivere un altro pamhplet contro i guasti della rivoluzione sessuale. E fu “Love and Friendship”, libro ancora più acuminato sulla morte dell'eros e la fine dell'amore, nel tentativo ostinatato e controcorrente di riscoprirne la forza e il rischio, attraverso i suoi massimi conoscitori. Il libro, mai tradotto in Italia, è una summa di strepitose riflessioni a partire dai grandi della letteratura, Shakespeare, Montaigne, Rousseau, Tolstoj: “C'è un tale impoverimento nel nostro linguaggio riguardo a quella che un tempo era considerata l'esperienza più interessante della vita, che oggi per parlarne servono le parole dei grandi poeti che l'eros l'hanno preso sul serio”. In realtà, niente di più alieno dell'eros dal mondo moderno, dopo la mortificazione del rapporto Kinsey (“parla di uomini e donne come se fossero animali”) e del pansessualismo di Freud (“la psicoanalisi ci insegna i motivi reconditi delle nostre azioni, ma rafforza la nostra incapacità di vivere senza riserve, senza usare l'ironia e l'autorinia”). La parola amore oggi serve a tutto, tranne a indicare l'attrazione irresistibile di un individuo per un altro. Dilaga invece il sesso, timido termine pseudoscientifico, che defraudato dalla forza dell' immaginazione, indica solo certi bisogni corporali, come mangiare, bere, dormire, e domina in modo esplicito sui giornali, dove abbondano inchieste fra i liceali sul quanto, il dove, il come, o nei talk show, dove scrittori, politici, attori tengono a informarci in dettaglio della “prima volta”. Il lamento sull'oltraggio alla virtù è diventato impossibile. E ormai mandare a una signora un fascio di rose passa per un gesto di molestia sessuale. Di sesso si parla in modo freddo, caustico o spavaldo. Tramontato il senso di vergogna puritano, caduta in disuso la delicatezza dei sentimenti, ormai è solo un aspetto incidentale di problemi di disagio o di potere. Finita la vecchia idea che il pudore delle parole appartenga alla natura, alla sacra natura dell'eros, nessuno pensa più che parlarne sbeffeggiandolo significa fraitenderlo. Come mai siamo arrivati a tanto? Il fatto è che sono scomparsi dal nostro orizzonte mentale, e quindi sociale, sia il rischio sia la speranza legati all'eros. Il desiderio di un altro ha smesso di significare la preferenza esclusiva che porta a dimenticare se stessi, liberando l'io dal proprio egoismo: si è ridotto al bisogno di un singolo, alla sua soddisfazione privata e alla sua sazietà individuale. Due che oggi si amano dicono “stiamo insieme”, parlano di “rapporto”. Ma Giulietta e Romeo avrebbero mai parlato del loro rapporto? E' questa la miseria del nostro tempo, l'isolamento, l'autismo, la mancanza di contatto profondo con gli altri, vilipeso dal neutralismo scientista, mentre l 'industria della psicoterapia ci inibisce di prendere sul serio l'amore e la sua molla che è “la realtà della perfezione immaginata nell'altro”. Quando il libro uscì, nella primavera del l 1993, il National Catholic Report ne elogiò “l'attacco al sesso facile, divenuto nella società di oggi un fatto meccanico, clinico, amorale”, e paragonanò il libro all'enciclica “Humanae Vitae” con cui Paolo VI nel 1968, affrontando il problema del controllo delle nascite, aveva celebrato il matrimonio. Bloom però non lo seppe mai. Era morto sei mesi prima, facendo appena in tempo a rivedere l'ultimo giro di bozze, e a dedicare il libro al suo amore, Michael Z.Wu.

    Marina Valensise

    IL FOGLIO, 7 agosto 2004

 

 
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