Dal Corriere della Sera di venerdì 7 marzo 2003.
Gli elementi raccolti dal magistrato non hanno l’idoneità a creare
l’apprezzabile "fumus" di colpevolezza per una partecipazione di Yasser
Arafat ad una presunta collaborazione tra l’Organizzazione per la
Liberazione della Palestina e le Brigate rosse...». Nel 1990 il processo
finì così, assoluzione per insufficienza di prove. E per l’Italia il capo
dell’Olp tornò ad essere soltanto un discusso leader politico e non un
imputato. Carlo Mastelloni, un giudice di Venezia, aveva chiesto un mandato
di cattura internazionale nei suoi confronti: lo riteneva coinvolto nella
fornitura di un carico di armi che l’Olp consegnò «gratuitamente» alle
Brigate rosse nel 1979.
Una vicenda oscura, mai chiarita. Simbolo della fascinazione delle vecchie
Brigate rosse per la causa palestinese. Mastelloni della bontà di
quell’inchiesta è convinto ancora oggi: «Gli incontri di Mario Moretti a
Parigi con i dissidenti dell’Olp testimoniavano l’ambizione delle Br.
Cercavano non solo armi, ma anche un riconoscimento internazionale. E lo
cercarono tra i palestinesi, che nel loro immaginario hanno sempre avuto una
funzione di mito».
Una fascinazione rimasta intatta nel tempo. Nel 2003, Mario Galesi che
confida a Nadia Lioce di volere una sepoltura con la kefiah al collo. Nel
1973, Mara Cagol, la compagna di Renato Curcio uccisa in un conflitto a
fuoco nel 1975, che diceva di ispirarsi a Leila Khaled, la giovane
palestinese specializzata in dirottamenti aerei che all’inizio degli anni
Settanta divenne una specie di icona della lotta armata.
Ma l’influsso del «mito» palestinese portò anche ad atti più concreti. Negli
anni di piombo, molti dei capi Br la pensavano esattamente come Nadia Lioce,
che martedì, dal carcere di Arezzo, ha definito la «resistenza palestinese»
come «il punto di riferimento di tutte le masse arabe e islamiche umiliate
dall’imperialismo, che nel complesso costituiscono il naturale alleato del
proletariato metropolitano dei Paesi europei».
Quel «naturale alleato» venne cercato, blandito, divenne una chimera, sempre
sfiorata, mai completamente abbracciata. La storia dei contatti tra Brigate
rosse e terrorismo palestinese passa attraverso tentativi goffi, piccoli
tradimenti, sospetti reciproci. Una vicenda piccola, nell’enormità di quegli
anni, ricostruita attraverso le testimonianze dei pentiti. E così riassunta
dalla Commissione parlamentare di maggioranza sul caso Moro: «Risulta che
sia le Br, sia Prima Linea hanno stabilito rapporti non occasionali con
gruppi minoritari ed estremisti della resistenza palestinese dai quali, o
tramite i quali, hanno ricevuto forniture di armi, che dopo l’assassinio di
Aldo Moro determinarono un salto qualitativo nell’armamento delle maggiori
organizzazioni terroristiche».
Mario Moretti, capo delle Brigate rosse, nel 1979 girò per il Mediterraneo a
bordo del «Papago» trasportando 150 mitra Sterling, due mitragliatrici, sei
quintali di esplosivo al plastico. Armi destinate alle Brigate rosse, che si
occuparono del trasporto, ma anche all’Ira e all’Eta. I fornitori, secondo
il racconto del pentito Sandro Galletta: «Si trattava di una frazione
dell’Olp, dissidente, ovvero minoritaria». Un pentito storico delle Br,
Antonio Savasta, racconta che i palestinesi, colpiti dall’efficienza
dimostrata dalle Br, offrirono il loro appoggio in cambio dell’impegno dei
terroristi italiani a colpire obiettivi israeliani e Nato. «Una volta
ottenute le armi - scrive la Commissione -, le Br cancellarono dai loro
programmi le azioni promesse ai palestinesi, secondo Savasta per la
difficoltà politica di conciliarle con la strategia dell’organizzazione,
tutta incentrata sulla vicenda italiana». Gli interlocutori palestinesi non
la presero bene, e i rapporti con gli «inaffidabili» italiani si
raffreddarono.
Gli ultimi colpi di coda delle «vecchie» Brigate rosse riportano in primo
piano i rapporti con gli estremisti palestinesi. Il documento di
rivendicazione dell’omicidio (luglio 1984) del diplomatico americano Leamon
Ray Hunt, responsabile delle forze militari Nato nel Sinai, viene firmato
dalle Brigate rosse-Partito comunista combattente, e dalla Farl (Frazione
Armata Rivoluzionaria Libanese), organizzazione legata al Fronte Popolare di
Liberazione della Palestina. Un delitto rimasto senza colpevoli. E senza
spiegazioni, ad iniziare da quella rivendicazione congiunta.
La storia del Pcc sembra finire nel 1989, quando la polizia smantella la sua
ultima cellula. Nove arresti, otto italiani e un giordano, Khalid Hassan
Thamer Birawi, militante del «Consiglio rivoluzionario» di Abu Nidal,
all’epoca primula rossa dell’eversione internazionale, responsabile
dell’attentato del 1982 alla sinagoga di Roma. Secondo gli esperti
dell’antiterrorismo, era stata concordata un’alleanza politica per compiere
un attentato a Roma. In quell’operazione finisce in manette anche Franco La
Maestra, nome di battaglia «Cesare». Era lui che teneva i contatti con
l’inviato di Abu Nidal. Oggi La Maestra è uno degli irriducibili Br, uno di
quelli che dal carcere «ispirano» chi sta fuori. Fu lui a citare
implicitamente la Lioce e Galesi in una intercettazione telefonica dopo il
delitto D’Antona.
Anche Eli Carmon, israeliano, uno dei principali esperti di terrorismo
internazionale è convinto che l’«appello» della Lioce non sia estemporaneo,
ma abbia radici profonde: «Anche nel 1987-88, prima di essere spazzate via,
le Br-Pcc, colpite dal successo della prima Intifada, scrissero documenti in
cui auspicavano una collaborazione con i terroristi palestinesi».
Gli esperti italiani dell’antiterrorismo leggono le parole della Lioce
confrontandole con il documento dei Nipr (Nuclei di Iniziativa Proletaria
Rivoluzionaria), organizzazione che si ispira alle Br-Pcc, che rivendicava
l’attentato del 10 aprile 2001 all’Istituto Affari Internazionali di Roma.
Trenta pagine sulla situazione internazionale. Un’analisi dettagliata sul
Medio Oriente, che esalta «il soggetto palestinese» come «un alleato
naturale nella lotta all’imperialismo».
Sostiene Carmon: «Nelle loro risoluzioni, i terroristi italiani hanno sempre
trascurato l’aspetto religioso della lotta palestinese, che è fondamentale.
Esaltando invece lo sfondo ideologico, i deboli contro i forti». L’aspetto
mitologico. Quello che diceva Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle
Brigate rosse: «I primi Br erano imbevuti dell’alone leggendario della
Resistenza. Verso la metà degli anni Settanta i più giovani invece si
ispirarono alla lotta dei palestinesi». Come Mario Galesi e Nadia Lioce,
oggi.
Marco Imarisio