Il pacifismo fu un atteggiamento mentale condiviso da tutti i partiti politici, presenti nell'Assemblea Costituente; questa componente del pacifismo venne incorporata nell’articolo 11.
Dapprima fu proposto di riprendere la norma che già si trovava nella Costituzione spagnola del 1931, la quale, a sua volta, recepiva il Patto Kellog-Briand del 1928, in cui si condannava la guerra come "strumento di politica nazionale".
Nel corso dei lavori preparatori, il concetto di "condanna della guerra come strumento di politica nazionale" fu abbandonato e si pensò di usare il concetto più preciso di "ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli". Dalla lettura degli atti dell'Assemblea Costituente (Atti Assemblea Costituente, seduta del 24 marzo 1947, in De Siervo Ugo, Scelte della Costituente e cultura giuridica, Bologna, 1980, p. 538) risulta molto evidente che si preferì non utilizzare la formula del Patto Kellog-Briand perché "quell’espressione non aveva un senso chiaro e determinato, mentre la Costituzione rivolgendosi direttamente al popolo doveva essere capita", pertanto era necessaria una formulazione non ambigua e più chiara nel suo contenuto e venne scritto l'art. 11 come oggi lo ritroviamo nella Costituzione Italiana.
Un’altra formula proposta era quella di rinunciare alla "guerra di conquista";
Molti costituenti (ad esempio Ruini, Nitti e altri) osservarono come "avrebbe fatto un po’ ridere" pensare che l’Italia fosse, in astratto, capace di fare delle guerre di conquista. l’Italia era uscita così mal ridotta dalla seconda guerra mondiale che prevedere anche la remota possibilità di guerre di conquista sarebbe stato un pò grottesco (Atti Assemblea Costituente, seduta del 18 marzo 1947, in De Siervo Ugo, Scelte della Costituente e cultura giuridica, Bologna, 1980, p. 538).
Non ci si limitò a parlare del ripudio della guerra in generale, ma si disse: la guerra noi la rifiutiamo in quanto sia strumento di offesa alla libertà degli altri popoli; non ci fu cioè un accoglimento generico e fumoso del pacifismo, ma un preciso intendimento del "Ripudio della guerra di aggressione e della guerra rivolta a decidere controversie insorte con altri stati" (Bon Valsassina, Il ripudio della guerra nella Costituzione Italiana, 1955).
L’unica guerra consentita dalla Costituzione fu la legittima difesa, cioè una guerra che serva a difendere lo Stato ed il territorio italiano, o l’indipendenza politica italiana, da eventuali attacchi o aggressioni di altri Stati.
Alla base del ripudio della guerra vi fu, tra i padri fondatori della Costituzione italiana, una motivazione molto importante: l’intendimento di trasferire sul piano internazionale quei principi di libertà, di uguaglianza e di sostanziale rispetto della persona umana, che si volevano affermare ed attuare nell’ordine interno nazionale.
L’articolo 11 della Costituzione, però, non si limita al ripudio dello strumento bellico, ma ha costituito e costituisce la base giuridico-costituzionale per l’adesione italiana alle organizzazioni internazionali (ad esempio l’O.N.U.) e per le reciproche limitazioni di sovranità che hanno condotto alla nascita dell’Unione Europea.
Intorno all'art. 11 si sono sviluppate analisi e dibattiti circa la sua efficacia giuridica, con l'intento di snaturarne il suo contenuto molto chiaro.
Secondo alcuni (Balladore - Pallieri, Diritto Costituzionale, 465) l'art. 11 non avrebbe un particolare valore giuridico in quanto scritto per ragioni di politica estera, in modo da consentire l'ingresso dell'Italia nell'O.N.U. e quindi sarebbe solo indicativo di direttive generali di politica estera.
Secondo altri (Bon, Il principio del ripudio della guerra, 66 segg.; Lavagna, Basi per uno studio, 55 segg.) l'art. 11 contiene un "carattere imperativo" e fanno discendere, dagli obblighi assunti dallo stato Italiano, delle pretese azionabili avanti alla Corte Costituzionale, anche da parte di stati esteri.
L'art. 11 è posto nella Costituzione Italiana nella parte dei "Principi fondamentali", ne consegue che dallo stesso non possono che scaturire "veri e propri vincoli giuridicamente rilevanti" e non delle semplici dichiarazioni ad uso di politica estera.
I nostri Costituenti, forse, non erano del tutto consapevoli che cosa fosse una politica di pace ma certamente conoscevano perfettamente il significato della guerra, memori delle devastanti esperienze dei due conflitti mondiali.
La guerra era ritenuta sempre una sconfitta; una sconfitta della ragione, del diritto, della politica , dell'etica e della religione. Una sconfitta, una grande e terribile sconfitta, della civiltà occidentale e per questo hanno scritto nell'art. 11 "mai più guerra!".
Oggi (anno 2001, 2002) il clima è cambiato e, di fronte al terrorismo islamico ed alle sue azioni dell'ottobre 2001 negli Stati Uniti d'America, il ripudio della guerra sancito dalla nostra Costituzione sembrerebbe non avere più alcun valore normativo, ma un semplice e vago significato programmatico, un nobile auspicio per tempi migliori.
Silvio Berlusconi (attuale Presidente del Consiglio, Forza Italia) ha sostenuto questa tesi nel discorso alla Camera dei Deputati del 25 settembre 2002 e Massimo D'Alema ha detto pressappoco lo stesso, nell'intervento alla Direzione dei Democratici di Sinistra del 14 ottobre 2002.
E' diventato opinione comune che la formulazione dell'art. 11 della nostra Costituzione sarebbe il frutto di un'altra età, in cui i conflitti venivano scatenati "tra stati e non per la sicurezza degli individui", pertanto è ormai opportuno abbandonare il tabù "pacifista" e tale termine è ormai, nel lessico politico italiano, anche a sinistra, un termine usato per irridere gli avversari, come sinonimo di "codardo", "vile" e "vigliacco", di un uomo che "per viltà sfugge il pericolo".
La nuova interpretazione dell'art. 11 legittima la "guerra preventiva", nel pieno rispetto dell'ordine che arriva dall'amministrazione americana e dal suo presidente George Bush.
Secondo gli americani la miglior difesa è un buon attacco, occorre colpire per primi il nemico potenziale e questa azione non deve essere considerata un'aggressione ma un'autodifesa.
Avanti con la guerra preventiva, oggi in Iraq, domani in Corea, dopodomani chissà e fino a quando non verrà raggiunta la vittoria globale del "bene contro il male" e tutti i nemici saranno annientati.
La guerra riuscirà a far dimenticare la crisi economica, la disoccupazione, l'incapacità di governare e la politica intesa come il raggiungimento di obiettivi e di interessi di pochi a danno della collettività.
Ma l'Italia a questo programma non può partecipare, perché la Costituzione non lo consente.
Se le intenzioni sono invece di aderire alle iniziative americane e inglesi occorre prima modificare l'art. 11 della Costituzione, diversamente ogni decisione del Parlamento si porrebbe in netto contrasto con la norma costituzionale, violando uno dei suoi "principi fondamentali".
Se questa modifica non ci sarà e l'Italia interverrà nel conflitto, si sarà imboccata una strada molto pericolosa, giuridicamente inaccettabile e intollerabile, che porta indietro le lancette dell'orologio a prima del 27 dicembre 1947, con tutte le conseguenze politiche, economiche, morali e sociali della scelta effettuata.
http://www.qsl.net/ik1qew/altro/articolo_11.htm