Forse - viste le ripetute contestazioni di coloro che, sprovvisti di argomenti, hanno inteso criticare tale questione, senza adeguate motivazioni - è bene che sia chiarito un punto nevralgico della netiquette di questo forum cattolico. Vale a dire il problema circa l'autorità del Card. Montini come romano pontefice.
Di questo argomento si è avuto modo di disquisire in varie occasioni.
Non starò qui a riproporre gli argomenti già sostenuti nel thread in cui, motivando, si sosteneva la tesi circa il difetto radicale di autorità di Paolo VI (v. Ma Benedetto XVI considera "papa" Paolo VI? Una riflessione).
Qui in sintesi mi limiterò a ribadire quegli argomenti. Tutto parte dal m.p. di Benedetto XVI sulla Messa di S. Pio V. Sostiene il papa, in quel documento, che la Messa di S. Pio V non sia mai stata abrogata.
Quest'affermazione, di per sè curiosa, porta a due inevitabili conseguenze:
- o papa Ratzinger ha mentito, sapendo di metire, alterando la "storia" liturgica della Messa;
- ovvero Montini non poteva giammai abrogare la Messa di S. Pio V, in quanto privo della necessaria autorità.
Non si sfugge a queste due possibilità. O si accetta che Benedetto XVI abbia dimostrato quantomeno disonestà intellettuale o Montini non era papa, cioè non aveva ricevuto da Dio, nonostante legalmente eletto, quell'investitura a supremo pastore del gregge di Cristo. Tertium non datur. Non si sfugge all'inevitabilità degli argomenti.
Quindi, o si salva Montini come "papa", ma deve ammettersi che papa Raztinger ha quantomeno alterato la storia liturgica; o, si salva l'onestà intellettuale dell'attuale pontefice e si scarta Montini. Delle due l'una.
Perché si sostiene che Ratzinger avrebbe alterato la storia o Montini non sarebbe papa?
Semplice, perché rivedendo il complesso dei documenti, attraverso una lettura sistematica ed organica di questi, ci si rende conto che Montini ha ritenuto di agire, nel promulgare la sua messa, come S. Pio V, sostituendo ad un rito preesistente - quello, appunto, del V.O. - uno nuovo. Peraltro, questa era la prassi della stessa Curia romana, almeno sino al 1999; prassi, che, da un punto di vista canonico, assume valore dirimente del significato di norme di legge che potrebbero presentera diverse chiavi di lettura.
E passiamo alle obiezioni formulate.
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1° obiezione: la cost. apostolica Missale Romanum non abroga espressamente il vecchio rito.
Risposta: è falso, visto che ridisciplina ex novo l'intera materia della Messa, con la conseguenza che al caso de quo deve applicarsi il can. 22 del Codice piano-benedettino, ripreso dal can. 20 del nuovo Codice, trattandosi di un'ipotesi di abrogazione tacita (detta piú esattamente “obrogazione”). Il legislatore, infatti, emanando una legge “direttamente contraria” alla precedente o quanto meno riordinandone “interamente tutta la materia”, mostra “chiaramente” di non volere piú la legge preesistente.
2° obiezione: l'indulto sarebbe la prova che il V.O. non è mai stato abrogato.
Risposta: è vero il contrario. L'indulto è una lex specialis, derogatoria della generale, con la quale si accorda una facoltà, in via d'eccezione, venuta meno con la legge generale.
3° obiezione: se il V.O. fosse venuto meno, nemmeno un papa avrebbe potuto renderlo valido per alcune categorie di persone.
Risposta: e perché mai? Il Papa - un vero papa - è sovrano: può dare e togliere o può anche ridare. Negare o limitare il potere apostolico è un'eresia. Egli è capo visibile della Chiesa e può fare ciò che ritiene opportuno.
4° obiezione: L'espressione di Benedetto XVI "numquam abrogatam" è chiara: il V.O. non è mai stato abolito.
Risposta: si è chiara, il V.O. non è mai stato abolito. D'accordissimo. Il problema è semmai vedere che significato questa mancata abrogazione assuma.
5° obiezione: l'abrogazione è una cosa impossibile.
Risposta: perché mai? Il Papa può abrogare, cioè togliere vigenza ad un atto o a una legge o ad un rito. Ha il potere giuridico di "legare e sciogliere". Negare tale possibilità significa cadere nell'eresia. E' un potere di cui si avvalse S. Pio V. Ed ha inteso compiere, analogamente, ciò pure Montini. Altro problema è se quest'ultimo vi sia riuscito; cioè se l'abrogazione sia avvenuta e per quale ragione essa non sia avvenuta.
6° obiezione: Paolo VI ha compiuto un'abrogazione di fatto e non di diritto.
Risposta: qui si vede la carenza di argomentazioni giuridiche. L'abrogazione di fatto è anche abrogazione di diritto: è un tipo di abrogazione, cioè quella tacita, detta in diritto canonico obrogazione.
7° obiezione: sull'atto di Paolo VI ci sono diverse interpretazioni. Ora, il fatto che vi siano diverse interpretazioni significa che l'atto di Paolo VI non è stato chiaro. Che non ci sono elementi sicuri, all'interno dell'atto, per definirlo categoricamente in un senso o nell'altro (abrogazione o sostituzione).
Risposta: errato. L'interpretazione prospettata dallo stesso legislatore (Montini) e dalla Curia è stata SEMPRE ed univoca sino al 1999. Peraltro proprio l'indulto di Giovanni Paolo II, quale lex specialis, confermava che trattavasi di un'eccezione alla legge generale, quella, appunto, che abrogava il V.O.
8° obiezione: un legislatore potrà decidere della liceità di un rito non della sua validità.
Risposta: qui si confondono impropriamente questioni filosofiche con questioni giuridiche. La filosofia qui non c'entra nulla. C'entra solo il diritto. La liceità è vero che è cosa diversa dalla validità. Ma attenzione. Qui non si discute di validità: l'abrogazione non fa venir meno quella che è stata la validità di un preesistente atto. Ma toglie vigenza. Paolo VI non dichiarò nulle, invalide, le Messe celebrate secondo il rito di S. Pio V. Ci mancherebbe! Con la sua nuova messa, dichiarò non più vigente quel rito, cioè non utilizzabile lecitamente, sebbene perfettamente valido. Il problema, quindi, relativo ad un'abrogazione, non è quello della validità, ma delle vigenza.
Quando Benedetto XVI dice che il V.O. non è mai stato abrogato, significa dire che è stato sempre vigente, che non era mai stato fatto venir meno e che era, in sostanza, sempre lecito utilizzare, nonostante la messa montiniana. Montini, invece, ha abrogato il rito, cioè ha tolto vigenza a questo. L'abolizione non attiene alla validità, che neppure Montini ha contestato, ma alla vigenza, cioè alla lecita utilizzabilià.
9° obiezione: questa tesi dell'abrogazione porta al sedevacantismo.
Risposta: non è vero, in quanto ci si affida sempre ad un giudizio di un Papa, sebbene formulato in via implicita. E non mi pare che considerare una persona ascesa al trono di Pietro priva di autorità significhi sposare il sedevacantismo. Infatti, così coerentemente, come si dovrebbe qualificare chi ha negato l'autorità, ad es., di un papa Cristoforo? O di un altro personaggio pur salito sul trono di Pietro?
La risposta migliore poi che questa tesi non porta al sedevcanatismo è data dal fatto che, mentre i sedevacantisti, gli amici di TC, rilevata la contraddittorietà tra il m.p. e gli atti posti in essere da Montini, concludono che, entrambi, non derivano dalla Chiesa, nel mio caso, invece, si conclude che il m.p. viene ed è voce autentica della Chiesa. Ciò che non è tale sono stati gli atti di Montini. La differenza è sostanziale.
10° obiezione: in materia liturgica non possono farsi discorsi analoghi a quelli operanti normalmente nel diritto canonico così come in materia di magistero. Ad es., quando un papa promulga un nuovo catechismo, quello precedente non è abrogato nè viene sancita alcuna nuova dottrina. Ma quello vecchio e quello nuovo si pongono in continuità. La stessa cosa vale in liturgia: quando una forma liturgica subentra ad un'altra, quella previgente non è abrogata e quella nuova si pone in continuità con la precedente.
Risposta: Quest'obiezione interessante è stata recentemente prospettata dal prof. A. S. Sánchez-Gil, nel saggio Gli innovativi profili canonici del Motu proprio «Summorum Pontificum» sull’uso della Liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, pubblicato sulla rivista Ius ecclesiae, 2007, vol. 3.
Noi, però, ci sentiamo di non condividerla.
A prescindere dal fatto che quest'osservazione non spiega la ragione per la quale il messale romano secondo il rito di S. Pio V, a partire da Montini, non fosse più ristampato e per di più che avesse in animo di celebrare quel nobile rito subiva persecuzioni e restrizioni; a prescindere dal fatto che l'indulto già di per sè implica che la legge liturgica era stata abrogata e che questa era la prassi di Curia almeno sino al 1999, il saggio non spiega la ragione per la quale le leggi liturgiche si comporterebbero diversamente rispetto a tutte le altre leggi e siano quindi sottratte alla normale disciplina che le regola.
Il riferimento al catechismo mi sembra improprio. Un papa, infatti, non abroga un catechismo precedente, in quanto esso è sempre un atto di magistero. Nel nostro caso, invece, no. Una legge liturgica non è un atto di magistero e, quindi, essa non è sottratta ai criteri ed alle regole proprie di una legge. Del resto, nel senso prospettato depongono diversi fatti sopra segnalati, ivi inclusa la prassi di Curia, che, purtroppo, viene sistematicamente ignorata da questi studi.
La conclusione è - salvo che non si voglia tacciare Benedetto XVI di aver "manipolato" la stortia liturgica - che Montini non è un vero papa, in quanto non aveva l'autorità di agire come pastore della Chiesa universale.