Lettera ai sardisti
(agosto 1974)
PREMESSA.
La nascita del Partito Sardo d’Azione segna il momento della prima presa di coscienza dei sardi come popolo e rappresenta il fatto più singolare e caratterizzante della Storia moderna della Sardegna.
Il Partito Sardo d'Azione, quali che siano stati i suoi errori e le difficoltà di una sua affermazione, dal 1921 a oggi ha esercitato un ruolo di innegabile importanza sulla scena dell' Isola, e nella lotta per l'autonomia ha svolto addirittura una funzione-guida. Questo è un punto fermo.
Pertanto le critiche, spesso severe, che saranno formulate in questa Lettera, non vogliono essere né demolitrici né gratuitamente scioccanti, bensì la necessaria premessa per il ricupero dello slancio combattivo e dello spirito rivoluzionario che animava le masse popolari del primo sardismo. Le stesse critiche risultano necessarie per una rielaborazione del programma, in termini attuali, attraverso un dibattito.
L'intera materia della Lettera, dunque, va considerata occasione e invito a uno scambio dì idee, sincero e democratico, tutto rivolto alla conquista della migliore "forma" possibile del Partito, a una definizione di obiettivi e alla ricerca di vie e di strumenti idonei allo loro realizzazione.
IL XVII CONGRESSO.
Il Congresso del febbraio scorso, per lo scontro e l'inconciliabilità di due tesi, fu vicino a concludersi con una scissione. Già da molti anni infatti, all'interno del Partito Sardo d'Azione, fermentano e si agitano idee e propositi, non tutti nuovi e non tutti vecchi, in contrasto con la linea ufficiale adottata dal 1948 in poi.
Molte di tali idee si fecero strada nel Congresso del 1968 e risultano espresse nei primi sei articoli dello Statuto, che fu rinnovato quell' anno; ma il rinnovamento, portato avanti senza una effettiva partecipazione della base, non modificò le strutture né gli indirizzi del Partito.
I sardisti sono invitati a rileggere questi articoli - che saranno riprodotti alla fine di questa Lettera - a meditarne il contenuto e a giudicare se quelle linee ideologiche negli ultimi anni abbiano determinato, sul piano pratico, un nostro conseguente orientamento politico. L'opinione corrente è che quegli articoli abbiano adornato inutilmente lo Statuto. Si pensi alla Autonomia Statuale dell'art. 1 e alle specificazioni dell'art. 3: ( ... ) risorgimento della Comunità Etnica Sarda e il conseguimento di quella unità d'intenti e di aspirazioni che consenta ai Sardi di darsi il governo e le istituzioni che meglio rispondano alle loro inclinazioni e alle loro esigenze attuali e future; si pensi alle chiare proposizioni di questi articoli e alla dura opposizione espressa da alcuni esponenti del Partito, durante il Congresso di febbraio, nei confronti del "separatismo" per rendersi conto che le conclusioni congressuali del 1968 sono tutte da divulgare, sviluppare e rendere operanti .
Ciò spiega perché all'ultimo Congresso una "parte" dei sardisti abbia tentato di avviare un dibattito ideologico con l'altra "parte", la quale non sembrava porsi problemi di sorta al di fuori di quello di non turbare il sonno del Partito insistendo nella comoda affermazione che la responsabilità dei guai della Sardegna ricade tutta sui sardi, "ingrati e corrotti".
Il dibattito, in verità., fu appena accennato e dichiaratamente rinviato, perché proprio gli esponenti delegati a guidarlo e a portarlo avanti si adattarono a riconoscere che, alla vigilia delle elezioni, nulla era più importante della compattezza, almeno provvisoria e apparente, del Partito. Ma la base ebbe modo di esprimere il suo malumore e la sua impazienza asserendo che il rinvio era una colpevole rinunzia; che una falsa convergenza di opinioni non avrebbe salvato il Partito dal disastro elettorale; che l'ambiguità ideologica era la causa principale del decadimento del Partito; che la chiarezza sarebbe stata la prima pietra per la sua ricostruzione e il suo rilancio.
Oggi, dopo il deludente risultato delle elezioni di giugno, è difficile dire se il rinvio di un chiarimento sia stato utile, elettoralmente, oppure dannoso. Non si hanno infatti oggettivi elementi di giudizio. Soltanto chi pensa e difende un diverso ruolo del Partito, indipendentemente dalla fortuna o dalla sfortuna elettorale, può affermare senza esitazioni che il rinvio di un dibattito ideologico, profondo e risoluto, è stato un grave errore perché ha lasciato i sardisti, dentro e fuori del Partito, in una penosa incertezza.
Non c'è dubbio che il Congresso fu chiuso con un documento debole, piuttosto confuso e non privo di contraddizioni. Persino il brano in cui si menziona la posizione indipendentista di una "parte", inserito all'ultima ora nel corso di una difficile discussione tenuta fuori dall'aula., lasciò una diffusa insoddisfazione e alimentò il fermo desiderio che al più presto si conseguisse qualche mutamento di rilievo.
Il 10 marzo, alla prima riunione del Comitato Direttivo Centrale, si procedette al rinnovo delle cariche mediante votazioni a scrutinio segreto, un procedimento espressamente previsto dallo Statuto ma da lungo tempo in disuso. Questa innovazione, che era la legittima restaurazione di una prassi democratica, consenti qualche spostamento delle cariche al vertice, apparentemente in modo indolore ma in realtà provocando risentimenti le cui conseguenze non sono ancora valutabili.
Di tali avvicendamenti è piena la storia di tutti i partiti, ma nel Partito Sardo ciò comporta una tempesta di affetti e un drammatico turbamento dei rapporti di amicizia, che furono sempre cosi vivi da condizionare, e tanto spesso paralizzare, i convincimenti politici.