Era dai tempi di Almirante e della destra più patriottarda che in Italia non si sentivano frasi come quelle - che riporto fedelmente - pronunciate dal candidato del Pd alla presidenza del governo italiano. Nella sua lettera a Berlusconi chiede la sottoscrizione di
"questi quattro fondamentali principi: la difesa dell'unità nazionale, che è il bene più prezioso che abbiamo, il legame che ci fa sentire italiani e orgogliosi di esserlo; il rifiuto di ogni forma di violenza, attuata o anche solo predicata, e per questo portatrice di divisione e di odio; la fedeltà ai principi contenuti nella prima parte della nostra Costituzione, fedeltà che non solo non contraddice, ma dovrà guidare, ogni impegno di adeguamento della seconda parte della Carta; il riconoscimento e il rispetto della nostra storia, della nostra identità nazionale e dei suoi simboli, a cominciare dal tricolore e dall'inno di Mameli".
In campagna elettorale, tutto o quasi tutto è consentito ed è legittimo il tentativo di Veltroni (come suppongono molti giornali) di attirare a sé il voto di quegli elettori di An che sono ancora sedotti dal nazionalismo neo-fascista e degli elettori di "La destra" di Sorace. Dubitando che il loro schieramento possa superare lo sbarramento dell'8 per cento al Senato potrebbero sentirsi sicuri di essere rappresentati dalla svolta nazionalista di Veltroni e magari farci un pensierino sulla opportunità di non disperdere il voto. I voti, come i denari, non puzzano.
Ma possono accettare e condividere questo rigurgito di giacobinismo e di nazionalismo grande italiano, coloro che in Sardegna ritengono compatibile la militanza nel Pd con la difesa della Nazione sarda?
PS - La stessa domanda vorrei porre all'ex consigliere regionale sardista Beniamino Scarpa, approdato al Pd proprio il giorno che Veltroni gridava il serrate le fila intorno alla intangibilità dello Stato napoleonico.