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  1. #1
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    Smile Il patriottismo dei comunisti

    Il patriottismo dei comunisti [Rinascita 1945]
    Rinascita - Rassegna di politica e di cultura Italiana
    Direttore Palmiro Togliatti
    Anno II - NN. 7-8
    Luglio-Agosto 1945

    Assai spesso, i nemici dei lavoratori tentano di contestare il patriottismo dei comunisti e dei socialisti, invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia. Il comunismo non ha nulla di comune col cosmopolitismo. Lottando sotto la bandiera solidarietà internazionale dei lavoratori, i comunisti di ogni singolo paese, nella loro qualità di avanguardia delle masse lavoratrici, stanno solidamente sul terreno nazionale. Il comunismo non contrappone, ma accorda e unisce il patriottismo e l'internazionalismo proletario poichè l'uno e l'altro si fondano sul risptto dei diritti, delle libertà, dell'indipendenza dei singoli popoli. E' ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. La classe operaia moderna è il nerbo delle nazioni, non solo per il suo numero, ma per la sua funzione economica e politica.
    L'avvenire della nazione riposa innanzi tutto sulle spalle delle classi operaie. I comunisti, che sono il partito della classe operaia, non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono troncare le loro radici vitali.
    Il cosmopolitismo è una ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l'ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trusts internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio. Essi non soltanto vendono, ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri.

    Da: Il patriottismo dei comunisti [Rinascita 1945]

    Direi di partire da questo importante testo che Zeljco ha postato su Rif. Com. per discutere intorno al patriottismo comunista. Io sono convinto che abbiamo bisogno di un Risorgimento Comunista.

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da Outis Visualizza Messaggio
    Il patriottismo dei comunisti [Rinascita 1945]
    Rinascita - Rassegna di politica e di cultura Italiana
    Direttore Palmiro Togliatti
    Anno II - NN. 7-8
    Luglio-Agosto 1945

    Assai spesso, i nemici dei lavoratori tentano di contestare il patriottismo dei comunisti e dei socialisti, invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia. Il comunismo non ha nulla di comune col cosmopolitismo. Lottando sotto la bandiera solidarietà internazionale dei lavoratori, i comunisti di ogni singolo paese, nella loro qualità di avanguardia delle masse lavoratrici, stanno solidamente sul terreno nazionale. Il comunismo non contrappone, ma accorda e unisce il patriottismo e l'internazionalismo proletario poichè l'uno e l'altro si fondano sul risptto dei diritti, delle libertà, dell'indipendenza dei singoli popoli. E' ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. La classe operaia moderna è il nerbo delle nazioni, non solo per il suo numero, ma per la sua funzione economica e politica.
    L'avvenire della nazione riposa innanzi tutto sulle spalle delle classi operaie. I comunisti, che sono il partito della classe operaia, non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono troncare le loro radici vitali.
    Il cosmopolitismo è una ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l'ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trusts internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio. Essi non soltanto vendono, ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri.

    Da: Il patriottismo dei comunisti [Rinascita 1945]

    Direi di partire da questo importante testo che Zeljco ha postato su Rif. Com. per discutere intorno al patriottismo comunista. Io sono convinto che abbiamo bisogno di un Risorgimento Comunista.
    Certo, se avessimo un uomo come Zjuganov o almeno una concezione simile alla sua nel mondo comunista italiano. Peccato che siamo distanti anni luce.

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da My War Visualizza Messaggio
    Certo, se avessimo un uomo come Zjuganov o almeno una concezione simile alla sua nel mondo comunista italiano. Peccato che siamo distanti anni luce.
    Io ritengo che noi stiamo andando nel verso giusto. Diamoci da fare!

  4. #4
    Omia Patria si bella e perduta
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    Predefinito Che cos'è una nazione? Parte I

    Come materiale di discussione mette un bel testo di Ernest Renan dal titolo "Che cos'è una Nazione?" che, pur se un po' lungo, ha il pregio di essere di piacevole lettura e di presentare bene l'idea moderna di Nazione.
    Il testo del 1882, ma è pieno di passi illuminanti soprattutto con il senno di poi.... come per esempio quando dice che chi vuole basare la nazione sulla razza mina le basi stesse della civiltà.


    Che cos’è una Nazione?


    Ernest Renan


    Conferenza tenuta alla Sorbona l’11 marzo 1882



    Introduzione

    Mi propongo di analizzare assieme a voi un’idea, chiara in apparenza, ma che si presta ai più pericolosi malintesi. Le forme della società umano sono le più varie. Le grandi agglomerazioni di uomini del tipo della Cina, dell’Egitto, della più antica Babilonia; - le tribù alla maniera degli ebrei, degli arabi; - le città del tipo di Atene e di Sparte; . le unioni di paesi diversi sul modello dell’Impero carolingio; - le comunità senza patria unite da il legame religioso, come quelle degli israeliani, dei parsi; - la nazioni come la Francia, l’Inghilterra e la maggior parte delle moderne entità autonome europee; - le confederazioni sul modello della Svizzera e dell’America; - le affinità di razza, o piuttosto di lingua, stabilite tra i diversi rami dei germani, i differenti rami degli Slavi; - ecco le modalità di organizzazione che esistono, o che sono esistite, e che non possiamo confondere le une con le altre senza i più seri inconvenienti. All’epoca della Rivoluzione francese, credevamo che le istituzioni delle piccole città indipendenti, come Sparta e Roma, potessero applicarsi alle nostre grandi nazioni di trenta o quaranta milioni di anime. Ai nostri giorni, commettiamo un errore più grave: confondiamo la razza con la nazione, e attribuiamo a dei gruppi etnografici o piuttosto linguistici una sovranità analoga a quella dei popoli realmente esistenti. Cerchiamo di arrivare a qualche precisione in questa difficile questione, dove la minima confusione sul senso delle parole, all’inizio del ragionamento, può produrre alla fine i più funesti errori. Quello che vogliamo fare è delicato; è quasi della vivisezione; noi tratteremo qualcosa di vivente come di solito si trattato i morti. Noi lo faremo con la freddezza, l’imparzialità più assoluta.

  5. #5
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    Predefinito Che cos'è una Nazione? Parte II

    Capitolo I


    Dopo la fine dell’Impero romano o, meglio, dopo la dissoluzione dell’Impero di Carlomagno, l’Europa Occidentale ci appare divisa in nazioni, di cui alcune, in certi momenti, hanno cercato di esercitare un’egemonia sulle altre, senza mai riuscirci in modo duraturo. Quello che non hanno potuto Carlo V, Luigi XIV, Napoleone I, probabilmente nessuno lo patrà in futuro. La creazione di un nuovo Impero romano e di un nuovo Impero di Carlomagno è diventata impossibile. La divisione dell’Europa è troppo grande perché un tentativo di dominio universale non provochi molto presto una coalizione che faccia rientrare la nazione ambiziosa nei sui confini naturali. Una sorta di equilibrio è stabilito da lungo tempo. La Francia, l’Inghilterra, la Germania, la Russia saranno ancora, per centinaia di anni, e malgrado le vicende che avranno conosciuto, delle individualità storiche, le pedine essenziali di una scacchiera, le cui caselle cambiano senza fine d’importanza e grandezza, ma che non si confondono mai.

    Le nazioni, intese in questo modo, sono qualche cosa d’assai nuovo nella storia. L’antichità non le conobbe: l’Egitto, la Cina, l’antica Caldea non furono in alcun modo delle nazioni. Erano delle greggi condotte dal figlio del Sole o dal figlio del Cielo. Non c’erano dei cittadini egiziani, non più di quanto c’erano cittadini cinesi. L’antichità classica ebbe delle repubbliche e dei reami municipali, delle confederazioni di repubbliche locali, degli imperi; non ebbe delle nazioni nel senso in cui noi le intendiamo. Atene, Sparta, Sidone, Tiro sono dei piccoli centri di ammirabile patriottismo; ma queste sono città con un territorio relativamente ristretto. La Gallia, la Spagna, l’Italia, prima del loro assorbimento nell’Impero romano, erano degli insieme di popolazioni, spesso legate tra loro, ma senza istituzioni centrali, senza dinastie. L’Impero assiro, l’Impero persiano, l’Impero di Alessandro non furono non più delle patrie. Non ci sono mai stati dei patrioti assiri; l’Impero persiano fu una vasta feudalità. Alcuna nazione affonda le sue origini nella colossale avventura di Alessandro che fu ciononostante così ricca di conseguenze per la storia generale della civiltà.

    L’impero romano fu ben più vicino ad essere una patria. In cambio dell’immenso beneficio della cessazione delle guerre, il dominio romano, all’inizio così duro, fu ben presto apprezzato. Questo fu una grande associazione, sinonimo di ordine, di pace e di civiltà. Negli ultimi tempi dell’Impero, c’è stato, presso le anime elevate, i vescovi illuminati, i letterati, una vera percezione della “pace romana” come opposta al caos minaccioso della barbarie. Ma un impero, grande dodici volte la Francia attuale, non avrebbe formato un stato nell’accezione moderna. La scissione dell’Oriente e dell’Occidente fu inevitabile. I tentativi di un Impero gallico, nel III secolo, non riuscirono. E’ l’invasione germanica che introduce nel mondo il principio che, più tardi, è servito da base all’esistenza delle nazionalità.

    Cosa fecero i popoli germanici, in effetti, tra le loro grandi invasioni del V secolo fino alle ultime conquiste normanne del X? Cambiarono di poco il carattere delle razze; ma imposero delle dinastie e un’aristocrazia militare a delle parti più o meno consistenti dell’antico impero di Occidente, che presero il nome dei loro invasori. Da ciò una Francia, una Borgogna, una Lombardia; più tardi una Normandia. L’improvvisa preponderanza presa dall’Impero franco rifece per un momento l’unità dell’Occidente; ma questo impero si ruppe irrimediabilmente verso la metà del IX secolo; il trattato di Verdun tracciò delle divisioni immutabili in linea di principio, e da allora la Francia, la Germania, l’Inghilterra, l’Italia, la Spagna si incamminarono per delle vie spesso contorte e attraverso mille avventure, verso la loro piena esistenza nazionale, come noi le vediamo fiorire oggi.

    Che cos’è che caratterizza in effetti questi differenti stati? E’ l’integrazione delle popolazioni che li compongono. Nei paesi che abbiamo citato, non c’è nulla di analogo a quello che troverete in Turchia, dove il turco, lo slavo, il greco, l’armeno, l’arabo, il siriano, il curdo sono distinti oggi come lo erano al momento della conquista. Due circostanze essenziali contribuiscono a questo risultato. Anzitutto il fatto che i popoli germanici adottarono il cristianesimo dal momento in cui ebbero dei contatti frequenti con il greci e i latini. Quando il vincitore e il vinto sono della stessa religione, o piuttosto, quando il vincitore adotta la religione del vinto, il sistema turco, la distinzione assoluta degli uomini per la religione, non può prodursi. La seconda circostanza fu, dal parte dei conquistatori, l’oblio della loro lingua. I nipoti di Clodoveo, Alarico, Gundobado, Alboino, di Rollone, parlavano già volgare. Questo fatto è la conseguenza di un altro particolare importante; ovvero che i franchi, i burgundi, i goti, i longobardi, i normanni avevano poche donne della loro razza con loro. Per più generazioni, i capi non si sposarono che con donne germaniche; ma le loro concubine sono latine, le nutrici dei bambini sono latine; tutta la tribù sposa delle donne latine; questo fece in modo che la lingua franca, la lingua gotica, non ebbero, dopo lo stanziamento dei franchi e dei goti in terre romane, che un breve destino. Non fu così in Inghilterra; poiché l’invasione anglosassone aveva senza dubbio delle donne con sé; la popolazione bretone fuggì, e d’altronde, il latino non era più, o forse, non fu mai dominante in Gran Bretagna. Se si fosse generalmente parlato il gallico nella Gallia, nel V secolo, Clodoveo e i suoi non avrebbero abbandonato il germanico per il gallico.

    Da ciò il risultato capitale che, malgrado la violenza dei costumi degli invasori germanici, il modello che imposero divenne, con i secoli, il modello stesso della nazione. Francia divenne molto legittimamente il nome di un paese in cui non era entrata che un’impercettibile minoranza dei franchi. Nel X secolo, nelle prime chansons de geste, che sono uno specchio perfetto dello spirito del tempo, tutti gli abitanti della Francia sono dei francesi. L’idea di una differenza tra le razze nella popolazione della Francia, così evidente in Gregorio di Tours, non si presenta in alcun modo tra gli scrittori e i poeti francesi posteriori a Ugo Capeto. La differenza tra un nobile e un villano è la più accentuata possibile; ma la diversità l’uno e l’altro non ha nulla di una differenza etnica; è una distinzione di coraggio, di attitudine e di educazione trasmessa ereditariamente; l’idea che l’origine di tutto ciò sia una conquista non viene a nessuno. Il falso sistema secondo il quale la nobiltà deve la sua origine a un privilegio conferito dal re per dei grandi servigi resi alla nazione, ovvero che ogni nobile sia stato nobilitato, è un sistema stabilito come dogma nel XIII secolo. La stessa cosa successe in seguito a quasi tutte le conquiste normanne. Dopo una o due generazioni, gli invasori normanni non si distinguevano più dal resto della popolazione; la loro influenza non era stata per questo meno profonda; avevano dato al paese conquistato una nobiltà, delle abitudini militari, un patriottismo che non aveva prima.

    L’oblio, e direi perfino l’errore storico, sono dei fattori essenziali nella creazione di una nazione, ed è così che il progresso degli studi storici è spesso una minaccia per la nazionalità. L’investigazione storica, in effetti, riporta alla luce le violenze successe all’origine di tutte le formazioni politiche, anche di quelle le cui conseguenze sono state le più positive. L’unità si fa sempre brutalmente; la riunione della Francia del Nord e della Francia del Mezzogiorno è stato il risultato di uno sterminio e di un terrore continui per più di un secolo. Il re di Francia, che ha creato la più perfetta unità nazionale che è, oso dirlo, il tipo ideale di un cristallizzatore secolare; il re di Francia, che ha creato la più perfetta unità nazionale che ci sai; il re di Francia, visto troppo da vicino, ha perso il suo prestigio; la nazione che aveva formato l’ha maledetto, e, oggidì non ci sono che gli spiriti colti che sanno quello che valeva e quello che ha fatto.

    E’ grazie alla contrapposizione che le grandi leggi della storia dell’Europa diventano tangibili. Nell’impresa che il re di Francia, in parte per la sua tirannia, in parte per la sua giustizia, ha così ammirabilmente condotto a termine, molti paesi hanno fallito. Sotto la corona di Santo Stefano, i magiari e gli slavi sono rimasti così distinti come lo erano ottocento anni fa. Lungi dal fondere gli elementi diversi dei loro domini, la casa degli Asburgo li ha tenuti distinti e spesso opposti gli uni agli altri. In Boemia, l’elemento ceco e l’elemento tedesco si sono sovrapposto come l’olio e l’acqua in un bicchiere. La politica turca della separazione delle nazionalità grazie alla religione ha avuto ben più gravi conseguenze: ha causato la rovina dell’Oriente: Prendete una città come Salonico o Smirne, ci troverete cinque o sei comunità di cui ciascuna ha la sua memoria collettiva e che non hanno quasi nulla in comune. Ora l’essenza di una nazione è che tutti gli individui abbiano molte cose in comune e che tutti abbiano dimenticato qualche cosa. Nessun cittadino francese sa se è burgundo, alano, taifalo, visigoto; tutti i cittadini francesi devono aver dimenticato la notte di San Bartolomeo, il massacro del Mezzogiorno del XIII secolo. Non ci sono in Francia dieci famiglie che possono fornire la prova di un’origine franca, e ancora una tale prova sarebbe difettosa, in seguito ai mille incroci sconosciuti che possono rovinare tutti i sistemi dei genealogisti.

    La nazione moderna è dunque un risultato storico creato da una serie di fatti convergenti nel medesimo senso. Talvolta l’unità è realizzata da una dinastia, com’è il caso per la Francia, talvolta è stata la volontà diretta delle province com’è il caso per l’Olanda, la Svizzera, il Belgio; talvolta da uno spirito generale, tardivamente vincitore sui capricci della feudalità, com’è il caso per l’Italia e la Germania. Sempre una profonda ragion d’essere ha presieduto a queste formazioni. I principi teorici, in casi simili, si fanno giocare dalle sorprese più inattese. Noi abbiamo visto, ai nostri giorni, l’Italia unificata dalle sue disfatte, e la Turchia demolita dalle sue vittorie. Ogni sconfitta faceva avanzare la causa dell’Italia; ogni vittoria perdeva la Turchia; poiché l’Italia è una nazione, e la Turchia, fuori dall’Asia Minore, non lo è. E’ la gloria della Francia d’aver, con la Rivoluzione francese, proclamato che una nazione esiste per se stessa. Noi non dobbiamo pensare che sia una brutta cosa che ci imitino. Il principio delle nazioni è il nostro. Ma che cos’è dunque una nazione? Perché l’Olanda è una nazione, mentre l’Hannover o il Granducato di Parma non lo sono? Come può la Francia continuare ad essere una nazione, quando il principe che l’ha creata è sparito? Come può la Svizzera, che ha tre lingue, due religioni, tre o quattro razze, essere una nazione, quando la Toscana, per esempio, che è così omogenea, non lo è? Perché l’Austria è uno stato e non una nazione? In che cosa il principio di nazionalità differisce dal principio di razza? Ecco dei punti su cui bisogna concentrarsi per trovare una soluzione. Gli affari del mondo non si regolano con questo tipo di ragionamenti, ma gli uomini istruiti vogliono portare qualche ragione e ridurre la confusione in cui si imbrogliano gli spiriti superficiali.

  6. #6
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    Molto molto bene! Tra questa discussione e quella su Rif. Com. sta venendo fuori qualcosa di buono.

  7. #7
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    Predefinito Che cos'è una nazione? Parte III

    Capitolo 2


    Ad ascoltare certe teorici politici, una nazione è prima di tutto una dinastia, rappresenta un’antica conquista, conquista prima accettata, poi dimenticata dalla massa del popolo. Secondo i politici di cui parlo, il raggruppamento di province effettuato da una dinastia, con le sue guerre, con i suoi matrimoni, con i suoi trattati, finisce con la dinastia che lo ha creato. E’ vero che la maggior parte delle nazioni moderne sono state create da una famiglia di origine feudale, che ha stipulato un matrimonio con la terra e che è stata in qualche modo un nucleo di centralizzazione. I confini della Francia nel 1789 non avevano niente di naturale né di necessario. L’ampia area che il casato capetingio aveva aggiunto agli stretti limiti del trattato di Verdun fu assolutamente un’acquisizione personale di questa famiglia. All’epoca in cui furono realizzate le annessioni, non si aveva idea né dei limiti naturali, né dei diritti delle nazioni, né della volontà delle province. L’unificazione dell’Inghilterra, dell’Irlanda e della Scozia fu parimenti un fatto dinastico. L’Italia ha tardato lungamente ad essere una nazione perché, tra le numerose dinastie regnanti, nessuna, prima del nostro secolo, non fu centro dell’unità. Cosa strana, è a partire dell’oscura isola di Sardegna, terra appena italiana, che ha preso il suo titolo reale. L’Olanda, che si è creata da se stessa, per un atto di eroica risoluzione, ha nondimeno contratto un matrimonio intimo con il casato di Orange, e correrà dei seri pericoli il giorno in cui questa unione sarà compromessa.

    Una tale legge, pertanto, è assoluta? No, senza dubbio. La Svizzera e gli Stati Uniti, che si sono formati come della agglomerazione di elementi successivi, non hanno alcuna base dinastica. Non discuterò la questione per quanto riguarda la Francia. Bisognerebbe conoscere i segreti del futuro. Diciamo soltanto che questo grande reame francese era stato così altamente nazionale, che, all’indomani della sua caduta, la nazione ha potuto tenersi senza di esso. E poi il XVIII secolo aveva cambiato ogni cosa. L’uomo era tornato, dopo dei secoli di decadenza, allo spirito antico, al rispetto di se stesso, all’idea dei suoi diritti. Le parole patria e cittadino avevano recuperato il loro senso. Così ha potuto compiere l’operazione più ardita che sia stata mai praticata nella storia, operazione che possiamo paragonare a quello che sarebbe, in fisiologia, il tentativo di far vivere nella sua identità primitiva un corpo a cui sono stati tolti il cervello e il cuore.

    Bisogna dunque ammettere che una nazione può esistere senza principio dinastico, e anche delle nazioni che sono state create da delle dinastie possono separarsene senza per questo cessare di esistere. Il vecchio principe che non teneva conto che del suo diritto sarà eliminato; oltre il diritto dinastico, c’è il diritto nazionale. Questo diritto nazionale, su quale criterio di fonda? Da quale elemento si riconosce? Quali fatti tangibili lo generano?

  8. #8
    Omia Patria si bella e perduta
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    Predefinito Che cos'è una nazione? Parte IV

    I. – La razza, dicono molti con sicurezza


    Le divisioni artificiali, risultanti dalla feudalità, dai matrimoni principeschi, dai congressi diplomatici, sono caduche. Quello che resta fermo e fisso, è la razza delle popolazioni. Ecco quello che costituisce un diritto, una legittimità. La famiglia germanica, per esempio, secondo la teoria che espongo, ha il diritto di riunire i rami sparsi del germanesimo, anche quando questi rami non domandano di essere riuniti. Il diritto del germanesimo su questa provincia è più forte del diritti degli abitanti su loro stessi. Si crea così una sorta di diritto primordiale analogo a quello dei re di diritto divino; all’origine delle nazioni vi hanno sostituito il diritto dell’etnografia.. Questo è un grave errore, che, se divenisse predominante perderebbe la civiltà europea. Tanto il principio delle nazioni è giusto e legittimo, quanto quello del diritto primordiale delle razze è sbagliato e pieno di pericoli per il vero progresso.

    Nelle tribù e le città antiche, il retaggio della razza aveva, noi lo riconosciamo, una importanza di prim’ordine. La tribù e la città antica non erano che un’estensione della famiglia. A Sparta, a Atene, tutti i cittadini erano parenti a dei gradi più o meno prossimi. Era lo stesso presso gli ebrei; è ancora così nelle tribù arabe. Da Atene, Sparta, le tribù israelite, trasferiamoci nell’Impero romano. La situazione è completamente diversa. Formato anzitutto dalla violenza, poi mantenuto dall’interesse, questa grande agglomerazione di città, di province assolutamente differenti, portò all’idea della razza il colpo più duro. Il cristianesimo, con il suo carattere universale e assoluto, lavorò ancora più efficacemente nello stesso senso. Contrasse con l’impero romano un’alleanza intima, e, per effetto di questi due incomparabili agenti d’unificazione, la ragione etnografica è scartata dal governo delle cose per dei secoli.

    Le invasione dei barbari fu, malgrado le apparenze, un passo di più su questa strada. Le divisioni dei reami barbarici non hanno nulla di etnografico; sono regolate dalle forze o dal capriccio degli invasori. La razza delle popolazioni che sottomisero era per loro assolutamente indifferente. Carlomagno rifece alla sua maniera quello che Roma aveva già fatto: un impero unico composto dalle razze più diverse; gli autori del trattato di Verdun, tracciando imperturbabili le loro due grandi linee da nord a sud, non ebbero la minima preoccupazione delle razze che si trovavano a sinistra o a destra. Gli spostamenti di frontiera che si operarono nel seguito del Medio Evo furono al fuori di qualsiasi logica etnografica. Se la politica seguita dal casato capetingio è arrivata a raggruppare circa, sotto il nome di Francia, i territori dell’antica Gallia, non è per effetto di una tendenza che avrebbero queste ragioni a ricongiungersi. Il Delfinato, la Bresse, la Provenza, la Franca Contea non si ricordano più della loro origine comune. Tutta la coscienza gallica era perita nel II secolo della nostra era, e non è che attraverso l’erudizione che, ai nostri giorni, si ritrova retrospettivamente l’individualità del carattere gallico.

    Le considerazioni etnografiche non hanno dunque alcun ruolo nella costituzione delle nazioni moderne. La Francia è celtica, iberica, germanica. La Germania è germanica, celtica e slava. L’Italia è il paese dove l’etnografia è la più intricata. Galli, etruschi, pelasgi, greci, senza parlare di ben altri elementi, si incrociano in un indecifrabile miscuglio. Le isole britanniche, nel loro insieme, offrono un insieme di sangue celtico e germanico le cui proporzioni sono singolarmente indecifrabili.

    La verità è che non esiste la razza pura e che far appoggiare la politica sull’analisi etnografica, vuol dire farla poggiare su una chimera. I più nobili paesi, l’Inghilterra, la Francia, l’Italia, sono quelli in cui il sangue è più mescolato. La Germania fa su questo punto un’illusione? E’ un paese germanico puro? Che illusione! Tutto il Sud è gallico. Tutto l’Est, a partire dell’Elba, è slavo. E le altre parti che si pretendono realmente pure lo sono effettivamente? Noi tocchiamo qui uno dei problemi sui quali è più importante farsi delle idee chiare e di provenire i malintesi.

    Le discussioni sulle razze sono interminabili, perché la parola razza è intesa dagli storici filologi e dagli antropologi fisiologi in due sensi assolutamente differenti. Per gli antropologi, la razza ha lo stesso senso che in zoologia; indica una discendenza reale, una parentela di sangue. Ora lo studio delle lingue e della storia non conduce alle stesse divisioni della fisica. Le parole dei brachicefali, dei dolicocefali non hanno posto né in storia, né in filologia. Nel gruppo umano che ha creato le lingue e le discipline ariane, c’erano già dei brachicefali e dei dolicocefali. Si può dire altrettanto del gruppo primitivo che creò le lingue e le istituzioni dette semitiche. In altri termini, le origini zoologiche dell’umanità sono enormemente anteriori alle origini della cultura, della civilizzazione, del linguaggio. I gruppi ariano primitivo, semitico primitivo, turco primitivo non avevano alcuna unità fisica. Questi gruppi sono dei fatti storici che hanno avuto lungo in una certa epoca, mettiamo 15 o 20 mila anni fa, mentre l’origine zoologica si perde nelle tenebre più profonde. Quello che chiamiamo filologicamente e storicamente la razza germanica è sicuramente una famiglia distinta all’interno della specie umana. Ma è una famiglia in senso antropologico? No, sicuramente. L’apparizione dell’individualità germanica nella storia non avviene che poco prima di un secolo prima di Gesù Cristo. Apparentemente i germani non sono sorti dalla terra in quest’epoca. Prima, fusi assieme agli slavi nella grande massa indistinta degli sciti, non avevano un’individualità a parte. Un inglese è un tipo particolare nell’insieme dell’umanità. Ora il tipo di ciò che chiamiamo molto impropriamente la razza anglosassone non è né il bretone dei tempi di Cesare, ne l’anglosassone di Hengist, né il danese di Knut, né il normanno di Guglielmo il Conquistatore; è il risultato di tutto ciò. Il francese non è né gallo, né franco, né burgundo. E’ ciò che è uscito dal grande calderone dove, sotto la presidenza del re di Francia, si sono mescolati insieme gli elementi più diversi. Un abitante di Jersey o di Guernesey non differisce per nulla, nelle sue origini, dalla popolazione normanna della costa vicina. Nel XI secolo, l’occhio più penetrante non avrebbe trovato tra i due lati del canale la più leggera differenza. Circostanze insignificanti fecero che Filippo Augusto non prese queste isole insieme al resto della Normandia. Separate le une dalle altre per più di settecento anni, la due popolazioni sono diventate non solo reciprocamente straniere, ma assolutamente dissimili. La razza, come la intendiamo noialtri storici, è dunque qualcosa che si fa e si disfa. Lo studio della razza è capitale per i saggi che si occupano di storia dell’umanità. Non ha alcuna applicazione in politica. La coscienza istintiva che ha presieduto alla confezione della carta dell’Europa non ha tenuto in alcun conto la razza, e le prime nazioni dell’Europa sono delle nazioni con il sangue essenzialmente mescolato.

    La razza, capitale all’origine, va dunque sempre perdendo la sua importanza. La storia umana differisce essenzialmente dalla zoologia. La razza non è tutto, come tra i roditori o i felini, e non si ha il diritto di andare in giro a palpare il cranio della gente, e poi prenderla per la gola dicendo: “Tu hai il nostro sangue; tu sei dei nostri!”. Oltre ai caratteri antropologici, c’è una ragione, la giustizia, il vero, il bello che sono le stesse per tutti. Attenzione, questa politica etnografica non è sicura. Voi la utilizzate contro gli altri; poi voi la vedrete ritorcersi contro di voi. E’ sicuro che i tedeschi, che hanno elevato così in alto la bandiera dell’etnografia, non vedranno gli slavi venir ad analizzare, a loro volta, i nomi dei villaggi della Sassonia e della Lusazia, a cercare le tracce dei Wiltzi e degli Obotriti, e di domandare il conto dei massacri e delle espropriazioni in massa che gli ottoni inflissero ai loro antenati? Per tutti è meglio saper dimenticare.

    Mi piace tanto l’etnografia; è una scienza di raro interesse; ma, dato che la voglio libera, la vedo senza applicazioni sulla politica. In etnografia, come in tutti gli studi, i sistemi cambiano; è la condizione del progresso. I limiti degli stati seguiranno le fluttuazioni della scienza. Il patriottismo dipenderà da una dissertazione più o meno paradossale. Si verrà a dire al patriota: “Voi vi sbagliate; voi versate il vostro sangue per quella causa; voi credete di essere celta; no, voi siete germano”. Poi, dieci anni dopo, si verrà a dirvi che voi siete slavo. Per non falsificare la scienza, dispensiamola dal dare la sua opinione su questi problemi, dove sono impegnati tanti interessi. Siate sicuri che, se la incarichiamo di fornire degli elementi alla diplomazia, la si sorprenderà spesso in flagrante delitto di complicità. Ha di meglio da fare: domandiamole semplicemente di dire la verità.

  9. #9
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    Predefinito Che cos'è una nazione? Parte V

    II.- Quello che abbiamo detto della razza, bisogna dirlo della lingua.

    La lingua invita a riunirsi; senza imporlo. Gli Stati Uniti e l’Inghilterra, l’America spagnola e la Spagna parlano la stessa lingua e non formano una sola nazione. Al contrario la Svizzera, così ben fatta, poiché è costruita con il consenso delle sue differenti parti, conta tre o quattro lingue. C’è qualche cosa di superiore alla lingua: è la volontà. La volontà della Svizzera di essere unità, malgrado la diversità degli idiomi, è un fatto molto più importante di una similitudine ottenuta con i soprusi.

    Un fatto onorevole per la Francia, è che non ha mai tentato di ottenere l’unità della lingua attraverso misure di coercizione. Non si può forse avere gli stessi sentimenti e gli stessi pensieri, amare le stesse cose con delle lingue differenti? Noi parlavamo prima degli inconvenienti che ci sarebbero nel far dipendere la politica internazionale dall’etnografia. Non ce ne sarebbero meno dal farla dipendere dalla filologia comparata. Lasciamo a questi interessanti studi la libertà di discutere; non mescoliamoli in cose che altererebbero la loro serenità. L’importanza politica delle lingue deriva dal fatto che alcuni le guardano con gli stessi criteri con cui altri guardano le razze. Niente di più falso. La Prussia, in cui non si parla che il tedesco, parlava slavo qualche secolo fa; il Galles parla inglese; la Gallia e la Spagna parlavano l’idioma primitivo di Alba Longa; l’Egitto parla arabo; gli esempi sono innumerevoli. Anche alle origini, la similitudine delle lingue non implicava la similitudine della razza. Prendiamo le tribù proto-ariane o proto-semitiche; vi si trovavano degli schiavi che parlavano la stessa lingua del loro padrone. Ripetiamolo: le divisioni delle lingue indoeuropee, semitiche o altro, create con una così ammirabile arguzia dalla filologia comparata, non coincidono con le divisioni dell’antropologia. Le lingue sono delle formazioni storiche, che dicono poco sul sangue di coloro che le parlano, e che, in ogni caso, non dovrebbero limitare la libertà umana quando si tratta di determinare la famiglia con cui ci si unisce per la vita o per la morte.

    Questa considerazione esclusiva per la lingua ha, come l’attenzione troppo forte data a una razza, i suoi pericoli, i suoi inconvenienti. Quando si esagera, ci si ingabbia in una cultura determinata, ritenuta nazionale; ci si limita. Si abbandona la grande aria che si respira nel vasto campo dell’umanità, per rinchiudersi nelle conventicole dei compatrioti. Niente di più nefasto per lo spirito; niente di più pericoloso per la civiltà. Non abbandoniamo questo principio fondamentale, che l’uomo è un essere ragionevole e morale, prima di essere incasellato in questa o quella lingua, prima di essere membro di questa o quella razza, di aderire a questa o quella cultura. Prima della cultura francese, della cultura tedesca, della cultura italiana, c’è la cultura umana. Guardate i grandi uomini del Rinascimento; non si ritenevano né francesi, né italiani, né tedeschi. Avevano trovato grazie alla loro frequentazione dell’antichità, il segreto della vera educazione dello spirito umano, e vi si dedicarono anima e corpo. Come fecero bene!

  10. #10
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    Predefinito Che cos'è una nazione? Parte VI

    III. – La religione non potrà non più offrire una base sufficiente alla creazione di una nazione moderna.

    All’origine, la religione era alla base dell’esistenza stessa del gruppo sociale. Il gruppo sociale era un’estensione della famiglia. La religione, i riti erano dei riti di famiglia. La religione di Atene, era il culti di Atene stessa, dei suoi fondatori mitici, delle sue leggi, dei suoi usi. Non implicava alcuna teologia dogmatica. Questa religione era, in tutto il senso del termine, una religione di stato. Non si era ateniesi se si rifiutava di praticarla. Era in fondo il culto dell’Acropoli personificata. Giurare sull’altare d’Aglauro, era prestare giuramento di morire per la patria. Questa religione era l’equivalente quello che è presso di noi il culto della bandiera. Rifiutare di partecipare a un tal culto era quello che sarebbe nelle società moderne rifiutare il servizio militare. Era dichiarare che non si era ateniesi. Dall’altro lato, è chiaro che un tale culto non aveva senso per coloro che non erano di Atene; così come non veniva fatto alcun proselitismo per spingere gli stranieri ad accettarlo; gli schiavi di Atene non lo praticavano. Fu lo stesso nelle piccole repubbliche del Medioevo. Non si era dei buoni veneziani se non si giurava su San Marco; non si era dei buoni amalfitani se non si metteva Sant’Andrea al di sopra di tutti gli altri santi del paradiso.

    Quello che era vero a Sparta, ad Atene, non lo era già più nei reami sorti dalla conquista di Alessandro, e non lo era assolutamente più nell’impero romano. Le persecuzioni di Antioco Epifane per imporre all’Oriente il culto di Giove Olimpico, quelle dell’impero romano per mantenere una pretesa religione di stato furono un errore, un crimine, una vera assurdità. Ai nostri giorni, la situazione è perfettamente chiara. Non ci sono più masse uniformi di credenti. Ciascuno crede e pratica a suo modo, quello che può, quando vuole. Non ci sono più religioni di stato; si può essere francesi, inglesi, tedeschi pur essendo cattolici, protestanti, israeliti, non praticando alcun culto. La religione è diventata una affare individuale; riguarda la coscienza di ciascuno. La divisione delle nazioni in cattoliche, protestanti, non esiste più. La religione, che, 52 anni fa, fu un elemento importante nella formazione del Belgio, ha ancora la sua importanza nell’intimo di ciascuno; ma non fa più parte dei fattori che identificano i popoli.

 

 
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