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    Forumista junior
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    Predefinito Testo completo del dossier della "Tradizione Cattolica" contro il sedevacantismo

    Do una mano al prof. Damiani, altrimenti passerà la notte alla tastiera!! Non serve aver acrobat writer…

    Presentazione
    Cari amici e benefattori,
    Questo numero è un numero speciale a
    due titoli.Si limita,infatti,ad uno studio
    sul quale lavoriamo da tempo e che affronta
    un argomento delicato:la posizione che la
    Fraternità assume di fronte al Papa e le
    obiezioni fatte a questa posizione o al
    nostro silenzio circa queste stesse
    obiezioni.Non abbiamo mai voluto,infatti,
    scendere sul terreno di questa polemica per
    non entrare nel vortice delle risposte alle
    risposte che non risolvono nulla.Abbiamo
    perciò sempre cercato di evitare di entrare
    direttamente nel tema,per rifiuto di una
    polemica vana e senza uscita,e per rifiuto
    di spostare il problema nell ’universo delle
    idee astratte.Questo è stato da sempre
    l ’atteggiamento prudenziale di Mons.
    Lefebvre e della Fraternità San Pio X.
    Insisto sul carattere di questo
    atteggiamento,perché mi sembra che esso
    non sia sempre stato capito e riconosciuto:
    davanti al mistero che attualmente avvolge
    la Chiesa,davanti ad una situazione di crisi
    alla quale nessuno può fornire una
    spiegazione teologica apodittica e
    pienamente soddisfacente,l ’unica
    posizione veramente conforme alla fede,al
    Credo e alla dottrina cattolica,è la scelta
    della via della prudenza,virtù
    soprannaturale che applica i principi
    universali alle situazioni concrete e
    particolari.
    Non sosteniamo affatto e non abbiamo
    mai pensato né detto che,già prima degli
    anni sessanta e soprattutto a partire dal
    Concilio Vaticano II,non ci sia un problema
    gravissimo nella Chiesa:tutti lo sanno
    benissimo.Mons.Lefebvre non eluse mai
    nemmeno il caso del Papa,e si pose spesso
    delle domande private o pubbliche sulla sua
    legittimità:anche questo tutti lo sanno
    benissimo.Però non si ritenne mai
    autorizzato a concludere,lasciando il
    giudizio alla Chiesa o ad un futuro
    Pontefice.Il problema c ’è,ma è un
    problema concreto non un problema
    teorico,matematico o metafisico
    quantunque la metafisica abbia qualcosa da
    dire in proposito;su questo piano della
    realtà concreta,l ’atteggiamento sicuro,che
    assicura di non scivolare su strade
    fuorvianti e pericolose,diverse da quella
    della fede e della speranza,è quello della
    prudenza soprannaturale,radicata appunto
    nella fede nelle promesse di Gesù alla sua
    Chiesa e nella speranza della grazia di
    restare fedeli a Gesù sempre presente nella
    sua Chiesa:questa Chiesa che è sua e non
    quella degli uomini,nemmeno del Papa più
    santo.L ’ordine morale,al quale appartiene
    perfino l ’esercizio delle virtù teologali,è
    regolato dalla virtù della prudenza “auriga
    virtutum ”.
    Questa scelta della via prudenziale è
    stata fatta fin dall ’inizio da Mons.Lefebvre
    e dalla Fraternità.E ’stata esposta e spiegata
    tante volte,ma non è mai inutile ripetere le
    stesse cose.
    Questo studio è l ’opera comune dei
    sacerdoti del Distretto d ’Italia.Frutto dei
    nostri studi personali,delle nostre
    riflessioni,di scambi di pareri,di
    discussioni …riflette quindi il pensiero,del
    quale assumo personalmente la
    responsabilità,di tutti i sacerdoti della
    Fraternità che lavorano in Italia.Non
    pretende essere una presa di posizione
    una dichiarazione ufficiale della Fraternità.
    Più modestamente esprime ciò che il
    Distretto d ’Italia accetta di affermare di
    fronte alle tesi sedevacantiste,qualunque
    siano.Non pretende nemmeno confutare
    direttamente le dette tesi ma si limita a
    manifestare questo fatto:che tali tesi non
    risolvono nulla,anzi fanno nascere altri
    problemi più gravi e altrettanto insolubili.
    Inoltre,di fronte al mistero della Chiesa
    e a quello della situazione odierna,non 4
    La Tradizione
    Cattolica
    pretendiamo in alcun modo aver capito e
    risolto ogni cosa.Non pretendiamo
    nemmeno di aver emesso qualche sentenza
    teologica o dogmatica definitiva.Non
    pretendiamo di essere infallibili e non
    vogliamo per niente condannare chi non
    pensa come noi.Proponiamo le nostre
    riflessioni a tutte le anime di buona volontà,
    e aspettiamo solo da Dio e dalla Chiesa la
    soluzione definitiva del mistero che stiamo
    vivendo.
    Questo studio si indirizza quindi,non
    ai “maggiori ”,ai dottori o maestri del
    sedevacantismo,ma ai “minori ”,ai
    discepoli e ai semplici,i quali per lo più
    fanno fiducia ai maestri e alle loro doti
    innegabili,ma senza sempre aver studiato
    o senza capire l ’argomentazione di fatto
    sottile e piuttosto astrusa.S ’indirizza anche
    ai fedeli che non aderiscono a queste tesi,
    ma possono essere turbati dalle accuse e
    dalle critiche fatte alla Fraternità,affinché
    sappiano che non siamo così sprovvisti
    d ’intelligenza o di scienza teologica -come
    alcuni cercano di far credere -e nemmeno
    di coraggio per affrontare una situazione
    difficilissima.Anzi,penso che ci vuole più
    coraggio e più equilibrio spirituale e
    teologico per mantenere la posizione
    delicatissima della prudenza che per
    scegliere la strada semplificatrice del
    sedevacantismo.
    Questo lavoro vuole quindi essere un
    atto di misericordia -e in questo stanno i
    suoi limiti -verso le anime inquiete
    turbate,affinché non perdano la speranza.
    “Dio non manca mai nelle cose necessarie;
    se,quindi,permette un gran male,i mezzi
    per porre rimedio a tale male non
    mancheranno,”disse il relatore della fede
    durante il Concilio Vaticano I.Sicuramente
    Dio ha più misericordia per i semplici,che
    non hanno la capacità di proteggersi contro
    l ’errore e il male,che non ne ha per i dotti.
    Il lume della fede e della speranza basta
    dunque ai semplici per sapere dov ’è la
    strada della fedeltà alla Chiesa,senza
    avvertire il bisogno di elaborare teorie
    particolarmente sottili per illudersi di
    risolvere il mistero della Chiesa.
    Infine,semmai qualcuno stimasse che
    siamo troppo severi con gli esponenti delle
    tesi sedevacantiste,da alcuni supposti
    vittime della nostra cattiveria,senza
    permettermi di citare un solo brano della
    loro produzione letteraria alla quale non
    abbiamo mai voluto rispondere per non
    scendere al livello di polemica,ricordo
    solamente che per anni abbiamo sopportato
    in un silenzio quasi totale parecchie accuse
    piuttosto pesanti contro di noi o contro lo
    stesso Mons.Lefebvre .Per non inasprire i
    nostri rapporti con sacerdoti che erano una
    volta i nostri fratelli,o con fedeli che erano
    una volta i nostri amici,abbiamo preferito
    tacere,e continueremo a farlo,lasciando
    alla grazia fare il suo lavoro di verità nelle
    anime la cui volontà è buona.
    Si degni Dio gradire questo studio che
    vuole essere un aiuto ai semplici che hanno
    visto in Mons.Lefebvre il difensore della
    loro fede,e allo stesso tempo rendere
    omaggio e onore a Mons.Lefebvre,la cui
    prudenza è stata ispirata dall ’amore di Gesù
    e di Maria,dall ’amore alla Chiesa e
    dall ’amore del Papa.
    Madre delle Santa Speranza,
    convertiteci.
    Don Michele Simoulin

    Il sedevacantismo:
    una falsa soluzione a un vero problema

    PARTE PRIMA:CHE COS ’È IL SEDEVACANTISMO
    PREMESSA
    Tra coloro che si oppongono agli insegnamenti del Concilio Vaticano II ed
    all ’insieme delle deviazioni dottrinali,liturgiche e pastorali di cui esso è stato foriero
    esistono sfumature diverse,tutt ’altro che insignificanti,circa il modo in cui
    relazionarsi all ’attuale gerarchia ecclesiastica ed in particolare alla persona di colui
    che ne è al vertice.
    Tra queste posizioni si colloca quella detta “sedevacantista ”,secondo cui la
    Sede di Pietro,almeno a partire dal 7 dicembre 1965,non sarebbe più occupata da
    un vero pontefice;di conseguenza Giovanni Paolo II (come del resto Paolo VI,
    almeno a partire da quella data)non avrebbe l ’autorità pontificia ed il suo nome
    non dovrebbe essere citato nel canone della Messa nel luogo in cui le rubriche
    liturgiche prescrivono di menzionare il papa.
    L ’intento delle riflessioni che seguono è molto preciso:ci domandiamo -dopo
    aver chiarito in cosa consista la posizione sedevacantista,come si articoli e come
    si giustifichi -che cosa significhi concretamente per un fedele,un sacerdote o un
    vescovo abbracciare una tesi che ad essa si ispiri.In altri termini il fine di questo
    studio è quello di fornire concretamente validi elementi di valutazione a chi
    legittimamente si interroga sulla possibilità attuale e concreta di professare il
    sedevacantismo,a chi dubiti pur avendolo abbracciato o a chi pur avendolo già
    abbracciato non si renda perfettamente conto di che cosa significhi la propria presa
    di posizione.
    Prima di entrare nel dettaglio ci sia permessa tuttavia una riflessione che
    riteniamo ancor più imprescindibile:poiché questa tesi è stata abbracciata da
    confratelli che non si sono più riconosciuti nella posizione della Fraternità San Pio X,
    è nostro proposito evitare qualunque tipo di riferimento o caricatura relativi alle
    singole persone,ai caratteri o ad eventuali difetti personali che avrebbero come
    unico effetto quello di ostacolare una serena e spassionata riflessione
    sull ’importantissimo quesito che ci poniamo;speriamo di deludere nel modo più
    radicale quegli animi -se ce ne siano -sempre a caccia di pettegolezzi o di materia
    prima per dialettizzare nel modo meno opportuno.
    Se per argomentare saremo costretti a citare dei testi e quindi degli autori
    protestiamo di non farlo per colpire delle persone o dei confratelli,bensì nell ’unico
    intento manifestato.
    Ci auguriamo in questo modo di contribuire alla creazione di un clima di autentica
    carità che possa servire da piattaforma per la valutazione della realtà e delle eventuali
    divergenze:forse proprio la precarietà di questa piattaforma ha impedito fino ad
    oggi di trattare tranquillamente questo tema.
    Va pure riconosciuto che tra le file del sedevacantismo stesso non manca chi
    auspica un confronto sereno e spassionato sul problema presente e tenti,forse
    talora con qualche imperfezione,di creare un clima costruttivo.
    La carità però,oltre a spingerci a cogliere questa necessità,ci obbliga anche a
    dire la verità.
    IL PUNTO DI PARTENZA COMUNE:IL RIFIUTO DEL CONCILIO
    Intendiamo intraprendere la nostra analisi sul sedevacantismo con una
    presentazione del tema a carattere storico,il più possibile semplice,per permettere
    al lettore di cogliere il problema di fondo nella sua concretezza e nella sua
    immediatezza,evitando il più possibile un periodare ed un frasario eminentemente
    tecnici ed accademici che spesso hanno avuto l ’effetto di rendere inaccessibile
    queste tematiche a chi,malgrado ciò,si è visto costretto a compiere scelte circa
    questo delicato problema o comunque a confrontarsi con esso.
    Tutti i “tradizionalisti ”sono gli eredi di quell ’opposizione agli errori conciliari
    che ha avuto durante il Concilio stesso una sua prima espressione concreta e che
    ha preso forma visibilmente in particolare attorno alle figure del Coetus
    Internationalis Patrum ;a partire dal 1969 pure il rifiuto -anche se con sfumature
    diverse -della riforma liturgica ha caratterizzato l ’oggetto delle battaglie intraprese
    al Concilio.Esula dal nostro intento tracciare la storia interessantissima di questi
    protagonisti della prima ora,tuttavia -anche se può sembrare banale sottolinearlo
    -notiamo subito come pure il sedevacantismo nascerà da questo apprezzamento
    negativo sui contenuti dottrinali del Concilio e non da un giudizio a priori contro
    Paolo VI.
    Chi si era opposto e continuava ad opporsi al Concilio si trovò infatti confrontato
    ad un problema che sussiste tuttora:in che termini relazionarsi alla gerarchia
    ufficiale ed a colui che la cristianità riconosceva come papa legittimo a tutti gli
    effetti.Come era possibile per un cattolico continuare a doversi opporre al papa in
    nome della fede cattolica allorché questi ne è il garante?

    L ’ORIGINE DEL SEDEVACANTISMO
    Davanti a questo problema la stragrande maggioranza dei vescovi che avevano
    lottato contro le riforme conciliari si sottomise e,magari morendo di crepacuore,
    le accettò per “spirito di ubbidienza ”(talora mista a un pizzico di comodità e di
    debolezza).La vicenda di questi vescovi,assimilabile a quella analoga di tanti
    “simpatizzanti ”o dei gruppi legati all ’“Ecclesia Dei ” non interessa direttamente
    le nostre riflessioni,per il semplice fatto che a prescindere dalla nobiltà soggettiva
    di intenti,questa posizione significava e significa la piena integrazione nella
    compagine conciliare,quantunque testimonia certamente un dramma di coscienza.
    Sull ’altro versante invece,ovvero tra coloro che continuarono ad opporsi agli
    errori conciliari,questo problema avrebbe un giorno scatenato non solo semplici
    divergenze bensì fratture dolorose ed insanabili tra chi continuava a riconoscere la
    legittimità di Paolo VI,e dei suoi successori,e chi decise di rifiutarla.La prima
    posizione fu quella di mons.Lefebvre ed è tuttora quella sostenuta dalla Fraternità
    San Pio X;la seconda,quella sedevacantista,si diversificò a sua volta in ulteriori
    prese di posizione che meritano la nostra attenzione per cogliere appieno le attuali
    articolazioni ed istanze del mondo sedevacantista.
    La prima presa di posizione pubblica di sapore sedevacantista la si deve al
    gesuita messicano Saenz y Arriaga che nel 1973 pubblica l ’opera Sede Vacante ;se
    da una parte il titolo ci fornisce indicazioni sul pensiero di fondo dell ’autore,bisogna
    tuttavia riconoscere che si tratta ancora di un sedevacantismo allo stato embrionale
    e comunque molto atipico.Quanto alle argomentazioni,esso fa astrazione
    dall ’elemento cruciale su cui si baseranno in seguito la maggioranza delle
    dimostrazioni sedevacantiste ovvero l ’approvazione definitiva da parte di Paolo VI
    della Dignitatis Humanae,nell ’ambito della promulgazione del Concilio (7
    dicembre 1965).Il padre Saenz basa infatti le proprie riflessioni piuttosto sulla
    Nostra Aetate,sull ’ecumenismo,sulla collegialità e sul Novus Ordo Missae (art.
    7).Se da una parte il padre Saenz testimonia un grande malessere e indignazione
    nei confronti del Concilio e del suo spirito,i suoi scritti non sono affatto organizzati
    in modo sistematico e strettamente argomentativo.Si ricava piuttosto l ’impressione
    di un sedevacantismo a carattere istintivo,un sedevacantismo implicito e latente
    più che risultante da una rigorosa dimostrazione,ancora molto lontano dalle
    sistemazioni e dalle tesi successive.Bisogna riconoscere inoltre che l'opera
    menzionata non ha praticamente
    avuto eco fuori dal Messico e
    comunque non sembra essere
    considerata dagli stessi
    sedevacantisti né un valido punto di
    riferimento per le loro
    argomentazioni né tantomeno il
    manifesto ufficiale del
    sedevacantismo.Di poco anteriore
    a Sede Vacante è un ’altra
    interessante opera del padre Saenz
    che rappresenta una delle
    primissime sintesi delle deviazioni
    dottrinali dovute al Concilio:La
    Nueva Iglesia Montiniana (1971);
    in quest ’opera però non affiora
    ancora una presa di posizione
    sedevacantista.Il padre Saenz y
    Arriaga morì il 28 aprile 1976.
    A questa prima e lacunosa presa
    di posizione,fece seguito in Francia
    dopo tre anni,nel 1976,quella del
    Padre Noël Barbara,con
    argomentazioni già più chiare e
    strutturate.
    Se questa presa di posizione sembrava poter tranquillizzare le coscienze di chi
    non poteva accettare il Concilio Vaticano II,in realtà conteneva già in nuce quei
    presupposti che avrebbero irrimediabilmente diviso in un breve lasso di tempo il
    sedevacantismo stesso e che ne evidenziano alcune aporie:la questione non ha un
    interesse puramente storico ma è attualissima poiché ritroviamo ancora oggi le
    conseguenze di queste stesse premesse.
    Infatti,se Paolo VI non era papa dove era la Chiesa?
    Se Paolo VI non era papa da dove sarebbe “rinata ” la Chiesa??
    Chi avrebbe potuto eleggere un giorno un vero papa?Se Paolo VI non era papa,
    chi poteva dichiararlo davanti alla Cristianità allorché questa continuava a
    riconoscerlo come vero pontefice?
    Era e resta in gioco la visibilità della Chiesa e la sua continuità nel tempo
    (indefettibilità),elementi costitutivi e indispensabili all ’esistenza stessa della Chiesa
    Cattolica.

  2. #2
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    Predefinito

    DUE TENTATIVI DI RISPOSTA ALLE DIFFICOLTA ’ INCONTRATE::
    A)IL CONCLAVISMO
    La prima risposta fu senz ’altro la più spontanea,ma anche la più radicale e in
    un certo senso la più logica:se i veri cattolici rimasti al mondo avevano potuto
    dichiarare la sede vacante rompendo ogni legame con Paolo VI,essi avevano anche
    il potere e il dovere di dare alla Chiesa un vero papa,che ne garantisse la visibilità,
    l ’indefettibilità nel tempo e il magistero perenne conforme agli insegnamenti
    apostolici.Con questi presupposti si fece strada spontaneamente l ’idea di indire
    un conclave per eleggere un vero papa:ora se l ’intuizione aveva una sua logica e
    partiva dall ’intento nobile e sincero di salvare la Chiesa,ebbe però un esubero di
    candidati al Sommo Pontificato dovuto peraltro al mancato accordo circa i termini
    del conclave:furono così eletti nel mondo oltre una ventina di “papi ”;presentare
    una lista completa e aggiornata non ci è possibile a causa dei decessi e delle elezioni
    più recenti,ci limitiamo dunque a menzionare i cinque papi di nazionalità
    statunitense:
    1)PIETRO II,al secolo Chester Olszewski (esistono nel mondo pure altri quattro
    papi che hanno scelto il suggestivo nome di Pietro II);
    2)PIO XIII,Lucien Pulvermacher,eletto nel 1998;
    3)PIETRO II,residente in North Dakota;
    4)ADRIANO VII,Francis Konrad Schuckard,eletto nel 1984;
    5)MICHELE I,David Badwen,eletto nel 1990.
    Particolarmente conosciuto in Europa è il caso di Palmar,in Spagna,dove nel
    1978 è stato eletto “papa ”Clemente Dominguez y Gomez con il nome di
    GREGORIO XVII.
    Esiste pure chi,al momento attuale,optando per la soluzione conclavista ma
    non riconoscendosi in nessuno dei papi eletti,attende le condizioni favorevoli per
    poter procedere ad un nuovo conclave.
    Se abbiamo menzionato questa realtà del “sedevacantismo conclavista ”,non lo
    abbiamo fatto per ridicolizzare l ’insieme del mondo sedevacantista,ma al contrario
    per una questione di giustizia nei confronti di coloro che pur essendo sedevacantisti
    non sono assolutamente conclavisti:non sarebbe infatti onesto assimilare questi
    ultimi a tali aberrazioni;tuttavia non è per nulla una forzatura riconoscere la logica
    implacabile e rigorosa che ha condotto all ’elezione di questi papi.Su questo spinoso
    problema lasciamo la parola ad un illustre sostenitore della Tesi di Cassiciacum
    (della quale parleremo tra breve):«Il Conclavismo,ovvero la posizione teorica e
    pratica di quanti ritengono che delle persone private possano o debbano,nelle
    attuali circostanze di vacanza della Sede apostolica,procedere a un Conclave per
    eleggere un legittimo Pontefice,[....]è infatti l ’unica soluzione da una prospettiva
    totalmente sedevacantista […].I sedevacantisti stretti si precludono ogni risposta
    coerente con la fede o col buon senso a proposito dell ’indefettibilità della Chiesa.
    Come è possibile che la Chiesa esista ancora,quale Gesù Cristo l ’ha costituita,se
    tutta la gerarchia è definitivamente e totalmente scomparsa?A questa obiezione,la
    Tesi di Cassiciacum dà una risposta ardua ma soddisfacente.Il “sedevacantismo
    stretto ”invece non ne dà:invoca il mistero...,l ’avvenuta fine del mondo (?),la
    morte o la fine della Chiesa per far posto ad altre realtà (regno dell ’anticristo,
    regno millenario di Cristo,chiesa spirituale di soli fedeli ecc.)oppure,rigettando
    l ’apostolicità della Chiesa,procede ad una elezione non canonica di un “papa ”da
    burla (“conclavismo ”)puntualmente ignorato da tutti,suoi “elettori ”compresi »
    (F.Ricossa,Risposta al libro:Petrus es tu?,pp.12-13,p.24).
    Il giudizio è certamente molto aspro e risente del clima determinato dalle continue
    polemiche interne al mondo sedevacantista,tuttavia esso ha il pregio di evidenziare
    quella logica menzionata che procedendo dal sedevacantismo puro e duro spesso
    ha condotto e conduce diritto al conclavismo e qualora si astenga dal farlo sembra
    agire incoerentemente con i presupposti che pone;infatti nel momento in cui
    qualcuno ritiene di avere il diritto e il dovere di dichiarare davanti alla Chiesa che
    tale papa in realtà non è papa,a rigor di logica ha pure il diritto e il dovere di
    eleggerne uno:in questo senso ci sembra logicamente comprensibile che il
    sedevacantismo sfoci nel conclavismo.Ora il consistente numero di papi eletti,
    quale dato storico,unitamente al persistere attuale di tali intenti,spinge a prendere
    in seria considerazione questa interpretazione.

    B)LA TESI DI CASSICIACUM
    Il problema di fondo resta quindi aperto:come è possibile rifiutare l ’autorità di
    Paolo VI e dei suoi successori e rispondere ai nostri quesiti iniziali:dove è in tal
    caso la Chiesa?A partire da dove “rifiorirà ” la Chiesa Cattolica??
    A queste istanze a cui il conclavismo ha dato -a modo suo -una risposta (che
    però non prendiamo nemmeno in considerazione),sembra aver risposto in modo
    più adeguato una forma di sedevacantismo mitigato:la Tesi di Cassiciacum.
    I propugnatori di questa tesi,pubblicata dal padre domenicano Guérard des
    Lauriers nel 1979,sostengono che Giovanni Paolo II pur non avendo l ’autorità ed
    i carismi di un vero papa è tuttavia il soggetto legittimamente eletto e designato a
    ricevere tali prerogative il giorno in cui -egli o un suo successore -manifesterà
    l ’intenzione oggettiva(1 ) [(1)Questa intenzione oggettiva secondo la Tesi di Cassiciacum non era ordinata a procurare il bene della Chiesa nel momento in cui il cardinal Montini e successori sono stati eletti al pontificato
    e di conseguenza Dio,davanti a questo ostacolo (obex),non ha potuto accollare ad essi l ’autorità.
    Questo difetto di intenzione sarebbe conoscibile in base agli atti che successivamente questi pon-
    tefici hanno posto:in questo senso essa è definita oggettiva e si distingue dall ’intenzione soggetti-
    va che solo Dio può conoscere.]
    dell ’autorità di Giovanni Paolo II;laddove si rivelerà necessario distinguere le due
    posizioni menzionate parleremo di “sedevacantismo stretto ”e di “guerardismo ”,
    in riferimento al padre Guérard des Lauriers.di promuovere il bene della Chiesa:solo allora avremo
    un vero papa,«formalmente »papa.Attualmente Giovanni Paolo II è un papa
    «materiale »,ovvero un “papa ”senza autorità e senza alcun carisma pontificio;di
    conseguenza all ’atto pratico non gli si deve obbedienza e non deve essere citato
    nel canone della Messa.
    Sostanzialmente questa posizione equivale a quella sedevacantista tout court
    quanto al rifiuto del riconoscimento dell ’autorità di Giovanni Paolo II,ma si discosta
    da essa quanto al modo per spiegare l ’indefettibilità nel tempo della Chiesa poiché
    indica nell ’attuale gerarchia ufficiale,paragonata ad un corpo in coma e priva di
    qualunque autorità,il soggetto a partire dal quale la Chiesa si rigenererà,quando
    un futuro papa materiale rimuoverà l ’ostacolo (obex)che attualmente gli impedisce
    di ricevere l ’autorità ed i carismi pontifici,ovvero quando finalmente avrà
    l ’intenzione oggettiva di procurare il bene della Chiesa.La successione di “papi
    materiali ”,quantunque senza autorità,giurisdizione e assistenza,è sufficiente,nella
    prospettiva della Tesi di Cassiciacum,per garantire quella continuità necessaria
    tra San Pietro e l ’ultimo papa della Storia,ovvero l ’indefettibilità.
    Utilizzeremo quindi il termine “sedevacantismo ”in senso generico come rifiuto


    L ’INCONCILIABILITÀ TRA SEDEVACANTISMO STRETTO E
    TESI DI CASSICIACUM
    Per il sedevacantismo stretto la Tesi di Cassiciacum è una forma di lefebvrismo
    mitigato,inizialmente escogitata da padre Guérard per giustificare l ’«ambigua »
    posizione della Fraternità San Pio X;per alcuni addirittura essa è una posizione
    che esprime indirettamente la comunione con Giovanni Paolo II e con i suoi errori;
    delle obiezioni più centrali che vengono mosse dal sedevacantismo stretto contro
    la Tesi di Cassiciacum ne menzioniamo due.
    In primo luogo non è dato di capire come possa un problema di intenzioni
    eventualmente non rette impedire a Dio di accollare l ’autorità suprema e con essa
    i carismi di infallibilità a chi è legittimamente eletto ed accetta liberamente il sommo
    pontificato:sostenere il contrario sembra infatti un ’ingiuriosa limitazione
    dell ’onnipotenza di Dio (Cfr.Il Nuovo Osservatore Cattolico ,n.16,pp.6-7).
    In secondo luogo non è dato di capire come una gerarchia materiale possa
    continuare nel tempo,ovvero con quale autorità possa un “papa ”senza giurisdizione
    nominare dei cardinali “materiali ”,anch ’essi senza giurisdizione,che a loro volta
    eleggano un futuro papa “materiale ”e così via (Cfr.Sodalitium ,n.49,pp.45-46):
    di primo acchito infatti sembrerebbe più credibile,collocandosi in una prospettiva
    sedevacantista,affermare che la
    Chiesa stia continuando
    semplicemente attraverso coloro
    che professano ancora
    integralmente la fede cattolica
    (piuttosto che in una gerarchia “in
    coma ”)e che la Provvidenza sia
    libera di dare un vero papa nelle
    modalità che riterrà più opportune,
    senza essere costretta a servirsi di
    cardinali materiali privi di
    qualunque autorità (Cfr.Il Nuovo
    O.C.,n.16,p.8);questa posizione
    viene tuttavia considerata dai
    guerardiani come spiritualista e
    protestantica,in quanto la Chiesa
    non avrebbe più nessun elemento
    visibile;addirittura un ipotetico
    papa che non uscisse dalla gerarchia
    materiale viene considerato come l ’iniziatore di una nuova successione apostolica,
    una sorta di nuovo San Pietro,e quindi di una nuova Chiesa:una Chiesa Cattolica-bis
    (F.Ricossa,op.cit.p.17).
    Per il guerardismo di conseguenza,come già accennato,il sedevacantismo stretto
    non è coerente con la fede in quanto contraddice il dogma dell ’indefettibilità della
    Chiesa,considerandola finita per sempre con la sua gerarchia,formale e materiale,
    e pone inevitabilmente le premesse per il conclavismo (F.Ricossa,op.cit.,pp.23-
    24).
    La dicotomia tra le due posizioni è tale da impedire talora addirittura la
    comunione sacramentale tra i due gruppi;interessante a questo proposito è la
    testimonianza di un vero paladino della Tesi di Cassiciacum,don Francesco Ricossa,
    secondo cui è lecito assistere alla Messa celebrata da un sacerdote “sedevacantista
    stretto ”solamente se tale sacerdote manifesta di essere incoerente con i principi
    che professa,ma viene escluso -anche in quel caso -qualunque altro tipo di
    collaborazione (Cfr.Sodalitium ,n.29,p.33).
    Probabilmente solamente la necessità ha fatto sì che fino ad oggi ci sia stata una
    certa comunicazione sacramentale -anche se precaria -tra i due gruppi;due recenti
    consacrazioni episcopali in ambito guerardiano presumibilmente permetteranno
    in futuro di evitare questi adattamenti forzati e certamente poco coerenti con le
    gravi accuse reciproche che i due gruppi si scambiano le quali -lo evidenziamo -
    toccano la fede stessa.
    Per i guerardiani inoltre la Tesi di Cassiciacum è l ’unica che giustifichi la
    decisione,in sé importantissima e vitale,di procedere a delle consacrazioni
    episcopali senza mandato romano (Cfr.Sodalitium ,n.54,p.61).
    Tuttavia -a onor del vero -bisogna pure menzionare che proprio in ambito
    guerardiano esiste una vera frattura su questa stessa legittimità:tra i primissimi
    discepoli di Guérard des Lauriers vi fu infatti chi non accettò la sua stessa
    consacrazione episcopale e,coerentemente con il principio posto,tuttora non accetta
    quelle che seguirono.
    In sintesi tra le due posizioni esiste,a nostro avviso,un vero fossato destinato a
    delinearsi in modo sempre più netto,sul quale generalmente si tende a sorvolare:
    da parte dei membri della Fraternità San Pio X perché si è spesso ritenuto di poter
    sistematicamente argomentare contro le due posizioni allo stesso modo,il che è
    vero solo in parte;da parte dei sedevacantisti ogni qualvolta è conveniente
    nascondere nei confronti dei non-sedevacantisti questa piaga che rischia di
    manifestare le aporie del sedevacantismo stesso (la dicotomia,al di fuori degli
    scritti polemici interni agli ambienti sedevacantisti,è generalmente presentata come
    una sfumatura).
    L ’incomunicabilità di fondo e in un certo senso l ’esclusione reciproca esistente
    tra le due posizioni ha la sua origine anche nelle scelte di partenza:mentre il
    sedevacantismo stretto utilizza soprattutto argomenti di natura giuridica,la Tesi di
    Cassiciacum muove da considerazioni prettamente teologiche e metafisiche che
    sostanzialmente escludono -nella teoria come nella pratica -l ’utilizzo di criteri
    canonici.
    Il sedevacantismo stretto infatti basa le proprie argomentazioni
    sull ’incompatibilità canonica delle funzioni e dell ’ufficio del papa con la professione
    pubblica dell ’eresia;ora,se queste argomentazioni hanno nel Diritto Canonico
    punti di riferimento ben precisi,sono sistematicamente rifiutate dai guerardiani
    per il fatto che per essere eretico formalmente (cioè a tutti gli effetti e davanti alla
    Chiesa)e incorrere quindi nelle sanzioni canoniche,è necessaria la pertinacia previa
    monizione canonica che ad un papa nessuna autorità può fare se non Gesù Cristo
    in persona.Ora un ventaglio di posizioni diverse sulla possibilità di applicare i
    canoni (in particolare il can.188,§4),sul valore della Bolla di Paolo IV Cum ex
    Apostolatus Officio (2 ) [(2)In appendice al presente studio presenteremo brevemente i contenuti di tale Bolla unitamente ad alcune considerazioni sulla sua possibilità concreta di utilizzo e sulla sua applicazione da parte
    sedevacantista.] (dagli uni ritenuta vigente e dagli altri abrogata nel 1917),
    sul valore concreto e attuale delle sentenze dei teologi classici (sui quali sorge il
    dubbio fondato che mai abbiano realmente potuto prendere in considerazione la
    situazione attuale del papato e della Chiesa),unitamente -ovviamente -
    all ’impossibilità di ricorrere alla commissione romana per l ’interpretazione dei
    testi legislativi,ha sollevato tra le due parti dispute destinate a durare senz ’altro
    ancor più della crisi della Chiesa.
    I sostenitori della Tesi di Cassiciacum infatti semplicemente “constatano ”che
    Giovanni Paolo II è sprovvisto dell ’autorità pontificia perché manifesta con i suoi
    atti di avere una intenzione oggettiva contraria al bene della Chiesa,che gli
    impedisce di ricevere da Nostro Signore i carismi per essere un vero papa.
    Questa intenzione -spiegano i guerardiani -non è una realtà soggettiva e quindi
    insondabile,che solo Dio conosce e su cui i fedeli non possono esprimersi,bensì
    oggettiva e constatabile da ogni cattolico.

    LA COLLOCAZIONE DELLA TESI DI CASSICIACUM:
    A)PRIME RIFLESSIONI
    Ora la “constatazione ”guerardiana -lo sottolineiamo subito -include in realtà
    quel giudizio sulla persona di Giovanni Paolo II che volevasi rifiutare;rivelandosi
    impraticabile la via canonica,viene compiuto un giudizio non-canonico (ma
    piuttosto metafisico-teologico)che approda ugualmente al rifiuto dell ’autorità di
    Giovanni Paolo II.Questo modo di procedere non ci sembra accettabile per un
    motivo molto preciso:il Diritto Canonico non è altro che l ’espressione giuridica e
    codificata di leggi e principi inscritti nell ’essere stesso della Chiesa e aventi la loro
    radice nella Rivelazione,così come i dieci comandamenti non sono frutto di scelte
    arbitrarie di Dio ma conseguenza necessaria di ciò che Dio è.Ora il principio di
    fondo che supporta l ’impraticabilità della via canonica è che la Prima Sede non
    può essere giudicata da nessuno (Prima Sedes a nemine judicatur).I guerardiani
    applicano -giustamente -questo principio avanzando l ’argomento della necessità
    delle monizioni canoniche;poi lo calpestano esprimendo un giudizio sulla Prima
    Sede formulato però con argomenti non giuridici:fatta la legge,trovato l ’inganno!
    La cosa fa pensare -ci sia consentito il paragone -ad uno di quegli stratagemmi
    rabbinici che permettevano di eludere la soffocante legislazione farisaica sul riposo
    sabbatico;per esempio essendo proibito in giorno di sabato prendere una medicina,
    chi aveva mal di denti poteva sciacquarsi la bocca con un po ’di aceto a condizione
    di ingerirlo immediatamente senza espellerlo:in questo modo l ’aceto poteva essere
    assimilato ad un alimento e quindi il suo uso -quantunque in sé fosse chiaramente
    medicinale e non alimentare -poteva essere legittimato.Ora è ben vero che la Tesi
    di Cassiciacum non dice nulla sulla fede personale di Giovanni Paolo II ed in
    questo senso non giudica ,ma sulla sua persona di pontefice giunge paradossalmente
    ad una distinzione ancora più articolata del sedevacantismo stretto e all ’atto pratico
    giunge a conclusioni equivalenti circa il rifiuto della sua autorità e circa la Messa
    una cum .La semplice “constatazione ”nel momento in cui approda a questa
    conclusione include necessariamente un “giudizio ”vero e proprio,quantunque
    praticato al di fuori da qualunque schema strettamente canonico.
    In altri termini la Tesi mostra l ’utilizzo inammissibile di procedimenti che,nella
    loro radice,sono equivalenti a quelli degli altri sedevacantisti e che essa stessa
    dichiara di rifiutare.
    Se questo non fosse vero,allora la medesima semplice “constatazione ”avrebbe
    luogo spontaneamente e simultaneamente in ogni fedele che rifiuta il Concilio,nel
    constatare (come di fatto egli fa)l ’inconciliabilità tra il magistero tradizionale e
    gli insegnamenti attuali:il fatto che questo non accada è una prima prova che la
    “constatazione ”della vacanza formale della Sede Apostolica in realtà è un vero e
    proprio “giudizio ”ulteriore sulla persona di Giovanni Paolo II,frutto di un preciso
    e articolato percorso teologico:lo stesso padre Guérard,teologo insigne,per
    “constatare ” la vacanza formale della sede apostolica e capire che la cosa doveva
    essere pubblicata quale elemento fondamentale di professione della fede ha
    impiegato quasi quindici anni,pur avendo rifiutato il Concilio e il Novus Ordo con
    una lucidità certamente degna di elogio.

  3. #3
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    Predefinito

    B)L ’ATTEGGIAMENTO DI FONDO NELLA TESI DI CASSICIACUM
    L ’atteggiamento che soggiace a questo modo di procedere è una forma di
    legalismo (o giuspositivismo),in altre parole la dissociazione della legge dall ’essere.
    Accade in questo modo che l ’applicazione di norme giuridiche finisca spesso per
    avere un effetto metafisico,vale a dire determina e condiziona la realtà (perlomeno
    nella mente del soggetto)anziché limitarsi a regolarne il funzionamento.
    In altri termini assistiamo all ’inversione di una priorità metafisica:quella
    dell ’essere sul diritto.Quando questo accade ci si può tranquillizzare la coscienza
    ogni qualvolta si riesca ad eludere determinate norme giuridiche (oppure ad
    interpretarle in funzione delle proprie esigenze),poiché in realtà non se ne coglie
    più la diretta connessione con il reale.
    Di conseguenza,nella prospettiva della Tesi di Cassiciacum,l ’essere della Chiesa
    è sempre meno conoscibile in se stesso ed è imprigionato e dipendente direttamente
    dall ’applicazione o meno di norme giuridiche.Esaminando attentamente la Tesi di
    Cassiciacum si ha infatti l ’impressione che la Chiesa esista ancora semplicemente
    per il fatto che la vacanza totale non possa essere dichiarata;Giovanni Paolo II si
    salva nella sua materialità e con essa si salva l ’indefettibilità della Chiesa -contro
    il sedevacantismo stretto -grazie ad una congiuntura giuridica che impedisce ai
    guerardiani o ad altri di procedere a tale dichiarazione:«Secondo tutti i
    “sedevacantisti completi ”una persona privata avrebbe l ’autorità di dichiarare,anche
    di fronte alla Chiesa,che tale persona non è Papa.Anche questo non è possibile.
    Se Francesco Ricossa dichiara che Giovanni Paolo II non è Papa,afferma qualche
    cosa di assolutamente certo e provato ,ma questa dichiarazione non ha nessun
    valore giuridico nella Chiesa,perché io sono una persona qualunque.È per questo
    che Giovanni Paolo II resta materialmente “papa ”»(Sodalitium ,n.29,p.50).
    Qui l ’inversione degli ordini giuridico e metafisico appare manifesta;infatti,
    partendo da questo principio,se per assurdo Giovanni Paolo II non fosse papa
    nemmeno materialmente (sedevacantismo stretto),bisognerebbe continuare a
    sostenere -contro la realtà oggettiva -che è papa materialmente:perché chi lo
    dichiarasse sarebbe una persona qualunque la quale non avrebbe il diritto di
    affermarlo davanti alla Chiesa.Ora non dobbiamo dimenticare che l ’esistenza di
    una gerarchia materiale -frutto di questa impossibilità declaratoria da parte di chi
    comunque rifiuta l ’autorità di Giovanni Paolo II -è indispensabile,nella prospettiva
    guerardiana,non semplicemente per rispettare il Diritto Canonico,bensì per
    assicurare e garantire l ’indefettibilità della Chiesa nel tempo:l ’essere stesso della
    Chiesa,ovvero ciò che la Chiesa è e deve essere,ci appare quindi imprigionato e
    strettamente dipendente dall ’applicazione di norme giuridiche.
    È paradossale che questo atteggiamento di fondo emerga proprio presso i
    guerardiani i quali evitano la via canonica per rifiutare l ’autorità di Giovanni Paolo II;
    a nostro avviso esso è dovuto al fatto che,malgrado questa premessa perfettamente
    condivisibile,essi,dopo aver comunque rifiutato l ’autorità di Giovanni Paolo II
    attraverso una via alternativa,pretendono a priori dimostrare che il futuro vero
    papa sarà necessariamente eletto canonicamente da “cardinali ”legittimi
    (quantunque materiali);la cosa,per chi rifiuta l ’autorità di Giovanni Paolo II,appare
    almeno come una forzatura ed un vero e proprio pregiudizio giuridico:Dio infatti
    permetterebbe da quaranta anni che la Chiesa non abbia un vero papa,ma non
    potrebbe dargliene uno se non “canonicamente ”,cioè attraverso dei “cardinali ”(o,
    in loro assenza,dei "vescovi residenziali")materiali nominati da un “papa ”materiale
    già eletto a sua volta da “cardinali ”materiali e così via;con tali presupposti perfino
    la stessa Provvidenza appare condizionata e vincolata da una norma di diritto
    puramente ecclesiastico quale è l ’elezione del Pontefice Romano da parte del
    collegio dei cardinali.Questa forzatura,che evidenzia ancora una volta il legalismo
    cui accennavamo e l ’incapacità di cogliere la relazione tra l ’essere e la legge,viene
    opportunamente messa in rilievo pure dagli altri sedevacantisti,quantunque con
    un frasario un po ’ diverso dal nostro:«Tutta questa montatura ha l ’unico effetto di
    voler conservare dei possibili elettori (abituali)di un legittimo Papa.Come abbiamo
    spiegato nel precedente paragrafo questi possono cambiare per fatti contingenti,
    tempi o luoghi.Forse è stata creata una nuova chiesa quando gli Imperatori
    dell ’Impero d ’Oriente o del Sacro Romano Impero scelsero o imposero direttamente
    il Sommo Pontefice al posto del clero e del popolo di Roma?...Bisogna notare
    infine,che la Chiesa quando incontrò situazioni difficili non si soffermò troppo sui
    formalismi teologici e giuridici,ma procedette per le vie brevi alla loro soluzione.
    Se i Padri riuniti nel Concilio di Costanza avessero disquisito troppo sulla legittimità
    delle tre obbedienze,saremmo ancora con tre papi »(Il Nuovo O.C.,n.16,pp.10-
    11).

    C)IL CARATTERE PRIVATO DEL GIUDIZIO FORMULATO DAI
    GUERARDIANI:ELEMENTI CONTRADDITTORI
    Va notato tuttavia come i guerardiani,contro gli altri sedevacantisti,presentino
    come strettamente “privato ”il proprio giudizio su Giovanni Paolo II.Questa
    precisazione è sufficiente nell ’ottica della Tesi per dimostrare che,nell ’esprimersi
    su Giovanni Paolo II,non ci si sostituisce alla Chiesa,la qual cosa viene invece
    rimproverata agli altri sedevacantisti in quanto utilizzando la via giuridica essi
    pretendono constatare l ’eresia formale del papa sostituendosi a chi dovrebbe fargli
    monizioni canoniche (Cfr.Sodalitium ,n.49,p.43).
    Questa distinzione non è di poco conto,poiché un giudizio privato non ha valore
    giuridico davanti alla Chiesa:è per questo che il sedevacantismo stretto approda
    talora al conclavismo (cioè quando impersona completamente il ruolo della Chiesa)
    mentre il guerardismo mai.Malgrado questo,come già accennato,le conclusioni
    sono assolutamente equivalenti quanto al rifiuto dell ’autorità di Giovanni Paolo II
    e della Messa una cum :ci si può dunque chiedere legittimamente,constatando la
    presenza di queste conseguenze normative,se la qualità “privata ”del giudizio
    guerardiano sia reale o fittizia.Questa ambiguità ci sembra essere espressa
    chiaramente laddove il guerardismo deve comunque dimostrare che il proprio
    giudizio ha valore davanti alla Chiesa (illustreremo in seguito il motivo di questa
    necessità):questo valore viene definito col termine di “certezza ecclesiale ”:
    «Chiamiamo “certezza ecclesiale ”una certezza che ha valore nella Chiesa,di cui si
    può fare atto davanti ad essa (“in faciem Ecclesiae ”),che è dello stesso ordine della
    nostra appartenenza alla Chiesa e che pertanto può essere presa in considerazione
    nell ’analisi dello stato della Chiesa e della situazione della sua autorità:
    •sia perché ci viene da un atto dell ’autorità ecclesiastica (che sia magisteriale,
    legislativo o giurisdizionale);
    •sia perché ha il suo principio nella fede,esercitata in occasione di fatti pubblici
    e notori » ((H.Belmont,L ’esercizio quotidiano della Fede ,p.18).
    Notiamo per il momento come siano di fatto accostati il valore di un atto
    dell ’autorità ecclesiastica -avente quindi un reale valore giuridico e normativo -e
    il semplice esercizio della fede da parte del fedele;è vero che pure la professione
    di fede ha un suo valore pubblico davanti alla Chiesa,ma evidenziamo subito che,
    nell ’ottica della Tesi,essa include proprio il rifiuto dell ’autorità di Giovanni Paolo II:
    ecco come viene recuperato ciò che volevasi rifiutare.
    In ogni caso,presentando il proprio giudizio come privato -perlomeno
    teoricamente -i guerardiani non possono essere assimilati “canonicamente ”agli
    altri sedevacantisti (noi però li assimiliamo “sostanzialmente ”,perlomeno nei
    termini indicati in questo stesso paragrafo)ed allontanano il pericolo di eleggersi
    da soli un nuovo papa;questa precisazione,necessaria e ad essi tanto cara,li
    rinchiude però in una trappola dalla quale non possono uscire:quella di non poter
    conoscere mai con certezza assoluta (cioè non fondata su un semplice giudizio
    privato)quando avremo un vero papa.
    Su questo punto importantissimo torneremo nel corso delle nostre riflessioni.

    OSSERVAZIONI GENERALI E PRIME CONCLUSIONI
    La nostra esposizione ha cercato di essere il più possibile onesta e chiara per
    quanto estremamente essenziale.Abbiamo cercato di evidenziare solo alcune della
    difficoltà interne al sedevacantismo.Gli elementi a disposizione ci sembrano tuttavia
    sufficienti per formulare alcune riflessioni e trarre alcune conclusioni.
    Innanzitutto,quantunque abbiamo semplificato al massimo la nostra
    presentazione,senza peraltro nessuna pretesa di essere stati esaustivi,abbiamo già
    toccato problematiche che non possono essere direttamente oggetto della riflessione
    di ogni battezzato:né le abituali nozioni di catechesi (quantunque complete),né il
    sensus fidei del fedele più soprannaturale e attento possono essere sufficienti per
    argomentare attraverso l ’uso del Diritto Canonico,di bolle forse abrogate,di
    sentenze teologiche o di concetti come:monizioni canoniche,eresia formale e
    materiale,successione formale e materiale,successione materiale legittima e
    successione materiale illegittima,intenzione oggettiva e soggettiva,ecc.Ora queste
    nozioni sono imprescindibili per capire qualcosa dei problemi che il sedevacantismo
    pone e di conseguenza per orientare eventualmente le proprie scelte in questo senso.
    È dunque indispensabile un minimo bagaglio teologico per affrontare queste
    tematiche,senza del quale -malgrado la buona volontà -è facilissimo cadere in
    errori come il conclavismo o magari perdere la fede nella necessità della Chiesa
    Docente e nell ’indefettibilità della Chiesa.
    È sintomatica a questo proposito l ’accusa frequente da parte sedevacantista di
    non capire i propri argomenti:bisogna riconoscere che tale “argomento ”viene
    soprattutto utilizzato dai guerardiani nei confronti dei sedevacantisti stretti,
    considerati talora come sedevacantisti un po ’“primari ”.
    ***
    In secondo luogo ci sembra di poter sottolineare che la difficoltà di fondo risieda
    nella possibilità declaratoria della vacanza della Sede Apostolica ovvero sulla
    possibilità di dichiarare,con giudizio valido davanti alla Chiesa,che Giovanni
    Paolo II non sia papa;su questo punto ci siamo già espressi nel paragrafo precedente
    e ritorneremo sull ’argomento.Per il momento notiamo solo come la Tesi di
    Cassiciacum (di fatto e a prescindere dalle intenzioni)incarni perfettamente ed
    esprima questo malessere tentando una soluzione al contempo equivalente ed
    alternativa,nei termini già indicati.
    Particolarmente significativo a questo proposito ci sembra essere il clamoroso
    passaggio di colui che non esitiamo a definire il grande apostolo del sedevacantismo
    stretto,da questa posizione alla Tesi di Cassiciacum:il padre Noël Barbara.Questo
    dato storico,se da una parte porta acqua al mulino della Tesi,testimonia ancora
    una volta che la divergenza tra le due posizioni,che in ultima analisi ruota attorno
    a questo punto,non è cosa di poco conto.Il padre Barbara infatti si sarebbe accorto
    -dopo circa quindici anni -che esiste una differenza sostanziale tra eresia formale
    e materiale e che nel primo caso una autorità superiore dovrebbe prima ammonire
    il papa.
    ***
    Le due tesi non si presentano come semplici opinioni o tentativi per spiegare la
    crisi del papato:si tratta di due posizioni che non ne ammettono altre e -almeno
    allo stato attuale -si presentano come vincolanti per la coscienza al fine di conservare
    la fede stessa.All ’atto pratico questo principio si traduce con il rifiuto categorico e
    coerente di partecipare alla Messa una cum,(ma talora -come accennato -anche
    alle messe degli altri sedevacantisti)definita sacrilega e scismatica,quale atto di
    comunione con gli errori di Giovanni Paolo II malgrado qualunque dichiarazione
    contraria.
    ***
    Inoltre il carattere inedito dell ’attuale crisi e di conseguenza la mancanza di
    precedenti storici e di relativi pronunciamenti magisteriali e teologici postula una
    prudenza che sembra fare difetto laddove si intende presentare una tesi,che risolva
    il problema dell ’ora presente,come definitiva e vincolante per la coscienza.
    ***
    Ci sia concessa sulla scia di queste osservazioni un ’ulteriore riflessione:
    qualunque tipo di difficoltà si rivela essere infinitamente più grave e pericolosa
    all ’interno di un sistema che ha la pretesa di essere apodittico e di risolvere il
    problema dell ’autorità in radice ,piuttosto che all ’interno di una normativa a
    carattere prudenziale.Se infatti un fedele seguendo una determinata tesi,
    nell ’illusione (talora indotta)che essa risolva definitivamente la questione presente,
    un giorno si rende conto della presenza di qualche grave aporia,rischia di
    abbandonarla assieme alla fede stessa.Probabilmente questo pericolo -almeno
    per la Tesi di Cassiciacum -è arginato dal difficile approccio della Tesi stessa e dei
    suoi addentellati,forse non sempre immediatamente accessibile e compresa da chi
    sceglie comunque di abbracciarla.

    LA NECESSITA ’ DI UNA POSIZIONE PRUDENZIALE
    In sintesi le due tesi partono di fatto dal presupposto di poter risolvere la questione
    in modo apodittico e quindi regolare la propria condotta in conformità a ciò;pertanto
    viene esclusa a priori e tacciata di pragmatismo qualunque tipo di soluzione a
    carattere prudenziale che intenda poter agire in base ad un sufficiente numero di
    elementi che però non contemplano la soluzione definitiva del problema dell ’autorità
    nella Chiesa:in questa categoria si colloca invece la posizione della Fraternità San
    Pio X.Notiamo quindi che,prima ancora di differire nei contenuti,la posizione
    della Fraternità e quelle di stampo sedevacantista differiscono radicalmente quanto
    al livello su cui si collocano;di conseguenza qualunque spiegazione che la Fraternità
    possa avanzare circa la situazione dell ’autorità di Giovanni Paolo II è realmente e
    qualitativamente un elemento sul quale essa ammette la possibilità di discussione,
    nel caso del sedevacantismo,invece,le posizioni di fondo sull ’autorità di Giovanni
    Paolo II sono istanze assolute,certe e indiscutibili:da qui un atteggiamento (ora
    perfettamente comprensibile)decisamente aspro nelle polemiche sedevacantiste
    sia ad extra che ad intra .Naturalmente questa ultima riflessione ammette delle
    eccezioni e si fonda unicamente su una valutazione complessiva della storia del
    sedevacantismo.
    Dalla differenza di livello su cui si collocano deriva naturalmente una
    incomunicabilità di fondo tra la posizione prudenziale e quella sedevacantista e
    quindi una palese difficoltà di discussione e di confronto.
    A questo punto intendiamo,proprio per provare la necessità di questo approccio
    prudenziale,procedere per assurdo,cioè fare nostre alcune istanze sedevacantiste
    e tirarne conclusioni rigorosamente logiche.Se infatti una tesi è giusta nelle sue
    premesse necessariamente lo sarà pure nelle sue conclusioni ultime.
    Il nostro intento non è quindi direttamente quello di dimostrare che Giovanni
    Paolo II sia papa,piuttosto che papa materialiter non-papa,bensì quello di
    dimostrare direttamente che,allo stato attuale,la via prudenziale sia l ’unica
    praticabile con assoluta certezza.
    Se infatti le difficoltà finora incontrate legittimano l ’uso di questa via,riteniamo
    che le osservazioni che incominciamo ora la postulino rigorosamente.
    Quando parliamo di soluzione prudenziale intendiamo esattamente la posizione
    di mons.Lefebvre su questa delicatissima questione:considerando la complessità
    del problema (alcuni elementi per valutarla sono già a disposizione del lettore altri
    saranno forniti tra breve),e non avendo noi l ’autorità per un pronunciamento sulla
    persona di Giovanni Paolo II,è nostro dovere continuare a riconoscerlo come
    Sommo Pontefice essendo questo il sentire comune della Chiesa dispersa nel mondo;
    su questo dato oggettivo si basa la nostra presunzione.È solo alla Chiesa stessa,ad
    esempio nella persona di un futuro pontefice,che spetta fare chiarezza
    definitivamente sui problemi relativi all ’autorità di Giovanni Paolo II e al suo
    esercizio.Paradossalmente è proprio dagli ambienti sedevacantisti che ci viene
    una prima conferma -quantunque indiretta -del valore intrinseco di questa
    posizione;infatti per argomentare contro di essa è necessario innanzitutto occultarne
    il carattere prudenziale e presentarne una grottesca caricatura:«Da perfetti gallicani,
    si dicono attaccati alla sede di Pietro,ma rifiutano la dottrina di Pietro (di colui che
    riconoscono come Pietro),dando di sé stessi l ’immagine degli scismatici (che non
    si sottomettono al Papa)e degli eretici (che rifiutano il magistero della Chiesa)»
    (Sodalitium ,n.36,p.76).Purtroppo espressioni di questo tipo sono correnti nelle
    pubblicazioni sedevacantiste e sono la principale causa dell ’impossibilità di
    un ’analisi serena della questione.Esse sono dovute a nostro avviso,oltre che ad
    una buona dose di superficialità (proprio laddove si è avvezzi alle distinzioni
    teologiche più sottili),ad una lettura univoca e ideologica di elementi propri ad
    una posizione prudenziale:con questi presupposti è inevitabile rileggere come
    “contraddittorio ”e “ambiguo ”l ’atteggiamento di chi,quand ’anche riconosca la
    presenza di determinate difficoltà,non le risolva in base alle pregiudiziali
    dell ’interlocutore.
    Al seguito di quest ’ultima riflessione,notiamo infine come il rifiuto -o l ’incapacità
    -di constatare il carattere prudenziale della posizione della Fraternità San Pio X,e
    quindi di valutare inseriti in essa tutti gli elementi che la compongono,abbia dato
    luogo,negli ambienti sedevacantisti,ad interpretazioni estremamente discordanti e
    talora diametralmente opposte sull ’atteggiamento di mons.Lefebvre.È infatti
    giocoforza che ogni espressione o presa di posizione del fondatore della Fraternità
    San Pio X venga inevitabilmente decontestualizzata dal terreno prudenziale che le è
    proprio e reinterpretata in base alle pregiudiziali assolute e alle categorie di pensiero
    proprie invece al sedevacantismo (e quindi strumentalizzata secondo le necessità
    contingenti).Ne viene fuori un mons.Lefebvre che al contempo abbraccia tutta la
    gamma di posizioni possibili:dal sedevacantismo più subdolo fino
    all ’antisedevacantismo più esacerbato (Cfr.F.Ricossa,op.cit.,p.4 e p.25).
    Di conseguenza ancora oggi,in una nota specifica avente per oggetto proprio la
    precisazione dei termini,la posizione della Fraternità San Pio X viene letta e
    presentata nel modo seguente:«Giovanni Paolo II è papa se insegna qualcosa di
    ortodosso e non lo è se insegna l ’eresia » ((Sodalitium,55,p.58).

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    L ’ELEZIONE DI PAOLO VI
    Sulla scia dell ’argomento esposto nel paragrafo precedente,ovvero sul
    riconoscimento universale dell ’autorità di Paolo VI nel 1965 e negli anni seguenti,
    ci collochiamo ora al momento della
    sua elezione avvenuta il 21 giugno
    1963.
    Infatti la data del 7 dicembre 1965
    rappresenta semplicemente l ’ultimo
    momento convenzionalmente
    ammesso da tutti i sedevacantisti oltre
    il quale non è possibile riconoscere in
    Paolo VI i carismi del supremo
    pontificato in quanto a partire da quel
    momento egli manifesterebbe
    chiaramente di non poter essere papa;
    i sedevacantisti però,primi tra tutti i
    guerardiani,generalmente sostengono
    che Paolo VI non sia mai stato papa.
    Infatti se Paolo VI non aveva
    l ’autorità papale nel 1965,bisogna
    affermare che in realtà non l ’ebbe mai
    e quindi che non è mai stato un vero
    papa(8 ) [(8)Questa importantissima affermazione,per essere assolutamente certa e apprezzata in tutta la
    sua valenza,deve risolvere una difficoltà:dimostrare l ’impossibilità per un vero papa,sul piano
    concreto,di diventare eretico davanti alla Chiesa,di perdere pubblicamente la fede e con essa il
    pontificato dopo essere stato un vero e legittimo papa a tutti gli effetti.Tratteremo di questa impos-
    sibilità in appendice al nostro studio;per il momento la consideriamo già dimostrata e quindi
    traiamo le necessarie conseguenze logiche del riconoscimento universale dell ’autorità di Paolo VI
    nel giorno della sua elezione.].
    È però un fatto dogmatico,cioè un
    dato che deve essere ammesso come assolutamente certo a causa delle sue
    connessioni dirette con il dogma,che Paolo VI fosse papa nel giorno della sua
    elezione al Sommo Pontificato.Il motivo formale su cui si fonda questo fatto
    dogmatico consiste nel fatto che un nuovo papa,riconosciuto come tale da tutta la
    Chiesa dispersa nel mondo,è certamente papa.Che piaccia o no,è quanto è accaduto
    il 21 giugno 1963 per il cardinal Montini,il quale peraltro -ironia della sorte -ha
    avuto una delle cerimonie di incoronazione più solenni della Storia!
    Questo non significa che sia la Chiesa universale ad eleggere il papa,ma che il
    riconoscimento pacifico da parte sua è il segno che toglie ogni eventuale dubbio.Il
    motivo teologico è che la Chiesa dispersa nel mondo ha bisogno di sapere con
    certezza chi sia il proprio legittimo pastore e chi abbia autorità su di Essa:ecco
    perché Dio non può permettere l ’inganno universale;è la fede nella Chiesa stessa
    che ci obbliga a riconoscerLe una vera e propria infallibilità nel riconoscere il
    proprio pastore supremo.Qualunque dubbio si possa avanzare sulla legittimità e
    sull ’autorità di un papa,esso viene dissolto nel nulla davanti a questo dato storico,
    oggettivo e verificabile da chiunque (anche non teologo).
    Citiamo a questo proposito uno dei più autorevoli teologi che abbiano trattato
    De Ecclesia et De Romano Pontifice ,il cardinal Billot:«Qualunque cosa si possa
    pensare della possibilità o impossibilità della suddetta ipotesi (il riferimento è alla
    ipotesi -considerata “impossibile ”dallo stesso Billot -del papa che cadesse
    nell ’eresia e quindi perdesse il pontificato.Cfr.Appendice -N.d.A.)almeno un
    elemento deve essere mantenuto come incrollabile e assolutamente certo:l ’adesione
    universale della Chiesa sarà sempre,semplicemente in sé stessa,segno infallibile
    della legittimità della persona del Pontefice ed ugualmente dell ’esistenza di tutte
    le condizioni richieste alla medesima legittimità.La ragione di tale verità non
    necessita di lunghe argomentazioni.Infatti è immediatamente dimostrabile a partire
    dall ’infallibile promessa di Cristo e dalla sua provvidenza:Le porte dell ’inferno
    non prevarranno contro di essa ,e ancora:Ecco io sono con voi tutti i giorni .Da
    ciò ne consegue che se la Chiesa aderisse ad un falso pontefice sarebbe come se
    aderisse ad una falsa regola della fede,essendo il Papa la regola vivente che la
    Chiesa nel credere deve seguire e sempre di fatto segue,come apparirà chiaramente
    da ciò che diremo in seguito.(9 ) [(9)Questa verità,che rappresenterebbe un argomento da parte sedevacantista contro chi riconosce l ’autorità di Paolo VI e dei suoi successori,ci obbliga ad affermare che un “insegnamento ”inconciliabile ed in contrasto con il magistero perenne della Chiesa non può venire dal papa in quanto papa,ovvero in
    quanto regola vivente della fede.Si tratta necessariamente di un ’altra realtà (dottrina privata,consiglio,
    spunto di riflessione,stimolo per l ’autocoscienza dell ’umanità,ecc …) ma non di un insegnamento della
    Chiesa come tale.
    L ’utilizzo di tale argomento contro la Fraternità San Pio X,anziché portare acqua al mulino del
    sedevacantismo ne rivela l ’intrinseca debolezza.Esso è in realtà il tentativo estremo per rispondere ad
    una difficoltà insormontabile:quella relativa all ’esigenza di una gerarchia docente e al riconoscimento
    universale dell ’autorità di Paolo VI;come dire:se io non so più cosa rispondere,ti faccio notare che
    anche per te sussiste un problema.L ’argomentazione sedevacantista suona infatti così:in ogni caso
    all ’atto pratico Paolo VI non può essere seguito quale regola della fede,quindi il ragionamento non vale.
    Il ragionamento invece vale lo stesso perché parte dalla considerazione di ciò che la Chiesa deve essere
    a priori e ad ogni costo per continuare ad essere la Chiesa Cattolica e non dalla considerazione -peraltro
    possibile solo a posteriori -su ciò che gli uomini di Chiesa fanno.
    Ci limitiamo solo a sottolineare,ancora una volta,che spiegare l ’attuale crisi attraverso il sedevacantismo
    significa mutilare la Chiesa nel suo essere e far ricadere su Dio la responsabilità di non aver mantenuto
    le proprie promesse,aggravata infine dall ’aver permesso un inganno universale nell ’aver riconosciuto
    in Paolo VI il Sommo Pontefice.
    Ancora una volta emerge la necessità di ricercare una spiegazione all ’attuale crisi non mutilando la
    Chiesa nel suo essere,ma considerando i suoi membri nell ’agire,non in un difetto dello Spirito Santo
    bensì in un difetto dell ’elemento umano nella sua libera cooperazione e nell ’utilizzo dei carismi che Dio
    ha promesso di assicurare ogni giorno alla Sua Chiesa.
    Su come questo possa concretamente accadere e sul valore di una eventuale spiegazione da parte nostra
    già ci siamo espressi nel corso delle nostre riflessioni (Cfr.paragrafo La fine della Chiesa Docente ). ]
    Perciò Dio può permettere che talora la vacanza
    della sede apostolica si protragga più a lungo.Può permettere anche che sorga un
    dubbio su l ’uno o l ’altro eletto.Ma non può permettere che tutta la Chiesa riconosca
    come pontefice colui che non sia un legittimo e vero papa (“vero papa ”potremmo
    considerarlo sinonimo di “formalmente papa ”-N.d.A.).Dal momento in cui viene
    riconosciuto ed è unito alla Chiesa come la testa al corpo,non deve più essere
    sollevata nessuna questione circa una possibile anomalia nella procedura
    dell ’elezione o circa il difetto di qualsivoglia condizione necessaria alla legittimità,
    in quanto il menzionato riconoscimento da parte della Chiesa sana in radice ogni
    eventuale anomalia nell ’elezione,e dimostra infallibilmente la presenza di tutte le
    condizioni richieste (compresa l ’intenzione di promuovere il bene della Chiesa -
    N.d.A.)» ((L.Billot,De Ecclesia Christi,Quaest.XIV,Th.29,§ 3)).
    Il sedevacantismo non può che negare questo fatto dogmatico,alterando
    irrimediabilmente il criterio concreto su cui esso si fonda:ed infatti è quanto accade.
    Vediamo ora come:il criterio per riconoscere chi sia un vero papa non potrà più
    essere oggettivo,storico,verificabile e sperimentabile come quello indicato dalla
    teologia cattolica,ma dovrà necessariamente fare appello ad una fonte diversa,
    fondamentalmente soggettiva anche se certificata come massimamente oggettiva.
    Dopo aver ascoltato il card.Billot,lasciamo quindi la parola ad un esponente
    del sedevacantismo,nella fattispecie della Tesi di Cassiciacum:«L ’Autorità del
    Sommo Pontefice è essenzialmente soprannaturale:essa è costituita dall ’assistenza
    abituale speciale promessa da Gesù Cristo a San Pietro e ai suoi successori.È
    dunque nella luce della fede che noi conosciamo l ’Autorità pontificia e vi aderiamo »
    (H.Belmont,op.cit.,p.14).
    Questo passaggio,pur affermando qualcosa di vero,contiene un sofisma che
    rappresenta il nerbo dell ’argomentazione:è infatti ben vero che l ’autorità di un
    papa sia essenzialmente soprannaturale e noi la conosciamo attraverso la fede che
    ci indica di quali carismi il Vescovo di Roma sia provvisto.Tuttavia sul piano
    storico e contingente,cioè quello che ci interessa attualmente,noi sappiamo che
    tale autorità soprannaturale si incarna in tale o tale persona (fatta di carne ed ossa)
    in base ad un criterio esterno:legittima elezione,libera accettazione e soprattutto
    riconoscimento della Chiesa universale,conforme a quanto spiega il Billot;in
    questo senso è falso lasciar intendere che noi riconosciamo un papa essere papa
    sostanzialmente attraverso il semplice esercizio della fede.Ad esempio quando
    nel 1939 fu eletto Pio XII,il cattolico Tizio riconobbe Pacelli come papa
    semplicemente e unicamente constatando l ’avvenuta elezione e il riconoscimento
    universale della sua autorità;certamente poi la fede di Tizio gli fece simultaneamente
    applicare alla persona di Papa Pacelli ciò che la fede insegna sul papa.
    Riprendiamo ora la citazione della tesi sedevacantista:«Facciamo un esempio.
    Sono nel 1950.È nella luce della fede che io so che Pio XII è il Papa:ciò,mediante
    una conoscenza che è adeguata solo nell ’ordine sovrannaturale,e che suppone la
    conoscenza naturale del fatto che ognuno può constatare.Senza questa conoscenza
    sovrannaturale dell ’Autorità che ha ricevuto da Cristo,io non potrei credere di
    fede divina il dogma dell ’Assunzione che egli definisce infallibilmente.Che Pio
    XII sia Papa,è quel che vien chiamato un fatto dogmatico che,in quanto tale,cade
    sotto la luce della fede » ((ibidem).

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    Per
    questo,da un punto di vista teologico ma anche psicologico,la soluzione
    sedevacantista rischia di rendere chi l ’abbraccia prigioniero di un ’impasse piuttosto
    che tranquillizzare definitivamente -come teoricamente dovrebbe -la sua coscienza.
    Se ci collochiamo ora nell ’ottica della Tesi appare quanto sia assolutamente
    fuori luogo il paragone della situazione dei papi contemporanei con quella di un
    matrimonio oggettivamente nullo ma che l ’autorità ecclesiastica non ha ancora
    dichiarato tale davanti alla Chiesa:anzi questo paragone ha paradossalmente il
    pregio di illustrare ed evidenziare perfettamente l ’aporia di cui stiamo trattando.
    Infatti,nel caso del matrimonio nullo de facto,si attende il giudizio dell ’autorità
    competente e tale matrimonio potrà essere,se e quando avrà luogo la sentenza,
    nullo anche de jure ;nel caso di Paolo VI e dei suoi successori invece si attende
    ugualmente il giudizio ma....solo dopo aver autorizzato l ’autorità competente,
    cioè dopo averla riconosciuta tramite il giudizio privato,privo di qualunque valore,
    del signor X,piuttosto che di don Y o di mons.Z:l ’autorità competente,cioè in
    definitiva il papato stesso chiamato a fare chiarezza nella persona di un futuro
    pontefice,ne esce sin d ’ora distrutta e dequalificata per sempre.(13 ) [(13)Ancora più insostenibile di quella illustrata ci sembra essere la “seconda soluzione ” prospet--
    tata dalla Tesi di Cassiciacum (Cfr.Sodalitium,55,p.26 e p.59),secondo cui,se il “papa ”materia-
    le non ritira per primo l ’obex,gli attuali elettori abituali (cardinali o vescovi residenziali materiali ),
    qualora ritornassero alla fede,riceverebbero formalmente l ’autorità per constatare,riuniti in conci-
    lio,l ’eresia formale di Giovanni Paolo II,dichiararlo privo di autorità ed eleggere un legittimo
    pontefice.
    In tale caso,in cui la gerarchia materiale si rigenererebbe dalla base e non dal vertice,è inspiegabile:
    a)come possa essere constatato e garantito davanti alla Chiesa il ritorno alla professione pubbli-
    ca e integrale della fede -e quindi la ricezione dell ’autorità -di ogni singolo elettore che partecipe-
    rebbe a tale concilio dal momento che non c ’è più sulla terra la regola vivente della fede (natural-
    mente nel caso presente il “giudizio privato ”guerardiano conserverebbe esattamente gli stessi
    limiti illustrati nel riconoscimento del “vero ” papa));
    b)da dove deriverebbe l ’autorità necessaria per procedere se non vi è più sulla terra la fonte di
    ogni autorità ecclesiastica;
    c)con quale diritto certo un concilio generale,indetto e riunito senza il papa,potrebbe pretende-
    re di constatare e dichiarare davanti alla Chiesa l ’eresia formale di colui che davanti alla Chiesa è
    ancora legalmente papa;
    d)chi potrebbe garantire davanti alla Chiesa,data la situazione e la prospettiva della Tesi di
    Cassiciacum,che il neoeletto da tale concilio non ponga,al pari dei suoi predecessori,un obex
    all ’accollazione dell ’autorità da parte di Nostro Signore.]
    Naturalmente il rifiuto degli altri elementi dottrinali (quali l ’ecumenismo,la
    libertà religiosa,il Novus Ordo,...)da parte di ogni “tradizionalista ”si colloca in
    modo completamente diverso rispetto al rifiuto dell ’autorità dei pontefici
    contemporanei,in quanto egli realmente può in tali casi constatare l ’incompatibilità
    tra un insegnamento conciliare e il suo contrario espresso nel magistero dogmatico
    perenne della Chiesa e quindi l ’impossibilità di aderirvi.La situazione dell ’autorità
    dei pontefici contemporanei invece concerne un dato storico e contingente sul
    quale la Chiesa come tale non si è ancora espressa e dunque un giudizio,anche
    privato,è sprovvisto di fondamento nel momento in cui intende esprimere qualcosa
    di più di una pura ipotesi priva di conseguenze normative (a onor del vero la Chiesa,
    quantunque non attraverso la propria suprema autorità,si è già espressa,almeno
    per Paolo VI,riconoscendolo universalmente e quindi infallibilmente come papa -
    Cfr.paragrafo L ’Elezione di Paolo VI ).
    Ancora una volta solamente la posizione prudenziale propria a mons.Lefebvre
    permette al fedele di resistere agli errori attuali senza cadere nel circolo vizioso
    della petizione di principio.

    LA STRANA DINAMICA DELLE ARGOMENTAZIONI
    SEDEVACANTISTE
    Per quanto riguarda gli argomenti che vengono utilizzati,non è ben dato di capire
    attraverso quale dinamica i sedevacantisti possano legittimamente giungere alle loro
    conclusioni e giustificarle moralmente.
    Essi condannano infatti come scismatica l ’attitudine di chi,pur rifiutando il
    Concilio,non dichiara la sede vacante,poiché ritiene impossibile un pronunciamento
    sull ’autorità di Giovanni Paolo II.Per essi non è possibile in alcun modo e in nessuna
    circostanza resistere all ’insegnamento -anche se palesemente erroneo e contrario
    alla Tradizione e al magistero perenne -di colui che si riconosce come papa.
    L ’obiezione,teoricamente comprensibile da parte modernista,diventa assurda
    quando proviene da chi per primo emette un giudizio negativo -certamente doveroso
    -sui contenuti del Concilio e proprio partendo da esso giunge a conclusioni ulteriori
    circa la situazione dell ’autorità:per uscire da questa contraddizione il sedevacantismo
    utilizza una piccolissima foglia di fico affermando che non è lecito disubbidire
    abitualmente (Cfr.H.Belmont,L ’esercizio quotidiano della Fede,p.16)a colui che
    si riconosce come papa.Quell ’abitualmente ,teologicamente,non significa nulla.
    Sembra infatti che al papa si possa disubbidire non abitualmente …cioè tanto tempo
    quanto basta per capire che non è papa,altrimenti senza la disubbidienza iniziale
    non si potrebbe arrivare a tale doverosa conclusione:scaturirebbe così un vero bene
    da un vero male,avremmo una sorta di peccato doveroso!Concretamente poi e
    storicamente questa espressione “abitualmente ” significa ancora di meno:per padre
    Guérard,ad esempio ha significato quasi quindici anni e per ogni sedevacantista
    generalmente un po ’di più o molto di più.
    L ’obiezione sedevacantista si basa sul timore di sostituirsi alla Chiesa fiutando e
    rifiutando ciò che ha profumo modernista e che oggi ufficialmente viene propinato.
    Il timore è in sé pienamente comprensibile ed è per questo che qualunque rifiuto
    deve essere basato non su una “disubbidienza ”bensì,nell ’esercizio della fede,sulla
    constatazione dell ’incompatibilità di un contenuto modernista con il magistero perenne
    della Chiesa;(14 ) [(14)Il sedevacantismo non nega affatto,in altri passaggi,che il rifiuto del Concilio si basi sempli-
    cemente sull ’impossibilità di aderirvi continuando a professare integralmente la fede cattolica:è
    quanto sostiene molto opportunamente lo stesso H.Belmont nell ’opera citata (Cfr.op.cit.,p.12,
    L ’impossibile atto di fede ).Quando però fa comodo viene utilizzato,contro la Fraternità San Pio
    X,l ’argomento della “disubbidienza ”a colui che si riconosce come papa,dimenticando che la
    dimostrazione o constatazione del fatto che Giovanni Paolo II non sia papa è possibile solo a
    posteriori,cioè in seguito alla constatazione dei suoi errori e al rifiuto di aderirvi:quindi in seguito
    -almeno logicamente -ad una “disubbidienza ”.L ’introduzione del concetto di disubbidienza abi-
    tuale -distinta implicitamente da quella non abituale -appare quindi come un tentativo per uscire
    dalla contraddizione e poter condannare per “disubbidienza abituale ” chi continua a rifiutare i
    contenuti dottrinali modernisti semplicemente perché inconciliabili con il loro contrario espresso
    nel magistero costante e perenne della Chiesa,senza riconoscersi il diritto di emettere giudizi
    ulteriori sulla situazione dell ’autorità ufficiale.] tuttavia il medesimo timore dovrebbe in realtà far tremare chi in
    pratica finisce per sostituirsi alla Chiesa e quindi ad un futuro papa giudicando pure
    colui che la Chiesa stessa riconosce attualmente come papa:in realtà nessun gallicano
    arrivò mai a tanto;ancora il medesimo timore dovrebbe far tremare chi addirittura
    pretende da solo e con la propria “fede ”riconoscere il futuro vero papa se e quando ne
    avremo uno.Se l ’obiezione iniziale fosse coerente e sincera dovrebbe allora condurre
    all ’accettazione acritica del Concilio e del Novus Ordo,senza nessuna possibilità di
    emettere giudizi ulteriori:è infatti quanto è accaduto in alcuni infelici casi.

  6. #6
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    IL RIFIUTO DELLA MESSA UNA CUM
    Per quanto riguarda il rifiuto della Messa celebrata menzionando Giovanni Paolo II
    al canone possiamo formulare considerazioni che si rivelano essere il seguito di
    quelle espresse circa la mancata contestazione dell ’autorità di Paolo VI durante il
    Concilio e negli anni che seguirono.
    Da parte sedevacantista sono chiari i motivi del rifiuto di assistere a tale Messa:
    non basta celebrare in rito tridentino né rifiutare il Concilio pubblicamente se
    l ’oblazione del Santo Sacrificio non è purificata dalla menzione del nome di
    Giovanni Paolo II:«Mons.Guérard des Lauriers diceva che citare Giovanni Paolo II
    al “Te Igitur ” della santa Messa vuol dire commettere oggettivamente e
    ineluttabilmente il doppio delitto di sacrilegio e di scisma capitale,e ciò avviene
    indipendentemente dall ’intenzione soggettiva di chi celebra o di chi assiste »
    (Sodalitium ,n.36,p.77).Il problema,in sé dottrinale,ha un ’immediata applicazione
    pratica sulla possibilità di assistenza.
    Se veramente la Messa una cum ,almeno dal 1965,è veramente una messa
    “sacrilega e scismatica ”,bisogna avere il coraggio di riconoscere che l ’Oblatio
    Munda (cioè l ’offerta del Sacrificio Purissimo)è terminata in quella stessa epoca
    per poi rincominciare ad essere offerta dai sacerdoti pubblicamente sedevacantisti.
    È molto significativo a questo proposito che l ’espressione “Oblatio Munda ”sia
    stata scelta quale motto episcopale da un vescovo consacrato dallo stesso Guérard
    des Lauriers.Ora noi sappiamo con certezza che l ’Oblatio Munda -al pari della
    professione della fede cattolica -non potrà mai cessare sulla faccia della terra,
    quantunque la sua offerta possa diminuire o subire limitazioni in certe epoche.
    L ’offerta pubblica del Santo Sacrificio durerà ininterrottamente fino alla fine dei
    tempi (Cfr.1 Cor 11,26)e sarà impedita dall ’Anticristo in persona (Cfr.Dan 12,11).
    Se invece l ’Oblatio Munda cessasse,anche per un solo giorno,terminerebbe
    nel nulla la Chiesa fondata da Nostro Signore:quella che -secondo la fede cattolica
    -non può venire meno.
    Ora tutte le messe celebrate tra il 1965 e il 1973 -comprese quelle di ipotetici
    criptosedevacantisti -sarebbero state sacrileghe;la cosa vale naturalmente anche
    per Padre Pio,morto nel 1968,il quale sarebbe stato di fatto un grande impostore
    in quanto avrebbe trascinato le folle con la celebrazione pseudomistica di una
    messa oggettivamente sacrilega e scismatica.
    Purtroppo la Provvidenza si sarebbe dimenticata di suscitare in tempo un
    sedevacantista accorto per mettere in guardia contro tale inganno e,in definitiva,
    contro quello di ogni altro sacerdote cattolico:ancora una volta il sedevacantista
    più coerente rischia di essere quello che -absit injuria verbi -abbandona
    definitivamente la fede cattolica (oppure dichiara la venuta dell ’Anticristo).
    L ’unico modo per rispondere a questa obiezione,come del resto a quella relativa
    alla mancata contestazione dell ’autorità di Paolo VI,consisterebbe nell ’ammettere
    che la Chiesa abbia preso progressivamente e tardivamente coscienza,nelle persone
    dei primi sedevacantisti,della situazione in cui si trovava:una sorta di autocoscienza
    progressiva di sapore prettamente neomodernista,estremamente grave se si
    considera che il problema è considerato come assolutamente prioritario.Forse alcuni
    sedevacantisti si sentono in grado di sposare questa interpretazione:noi non la
    prendiamo nemmeno in considerazione.
    Notiamo infine come su questo problema dell ’una cum esistano due errori a
    nostro avviso complementari.
    Da parte sedevacantista si insiste sul fatto che,attraverso la citazione del nome
    di Giovanni Paolo II,si esprime necessariamente comunione anche con i suoi
    errori.Talora invece si argomenta in risposta a questa obiezione,contro l ’evidenza
    liturgica e storica,che al Canone si prega per il papa come per un bisognoso
    qualunque allorché la sua menzione esprime chiaramente la comunione con lui.
    I due argomenti sono entrambi falsi,frutto probabilmente di sterili querele
    incancrenite nel tempo.È evidente che il problema dell ’una cum è un semplice
    corollario della posizione che un sacerdote abbraccia pubblicamente:è chiaro che
    laddove questi rifiuta il Concilio,la menzione di Giovanni Paolo II è compiuta nei
    termini consoni alla posizione dottrinale che egli professa pubblicamente.

    UNA QUESTIONE DI DIFFICILE APPROCCIO
    Da un punto di vista sedevacantista ogni battezzato può giungere al rifiuto
    dell ’autorità di Giovanni Paolo II in base al semplice esercizio della fede attraverso
    il quale è impossibile non giungere a tale conclusione.In altri termini la cosa
    dovrebbe essere facile e spontanea,così come spontaneamente un certo numero di
    fedeli ha rifiutato il Concilio e la nuova messa.
    Naturalmente questa spontaneità deve per gli uni condurre al sedevacantismo
    stretto per gli altri alla Tesi di Cassiciacum,perché -nel secondo caso -nell ’esercizio
    quotidiano della fede i fedeli non possono non tenere conto del problema
    dell ’indefettibilità della Chiesa e quindi rendersi conto della necessità di un papa
    materiale.
    In realtà nell ’aderire a certe tesi piuttosto articolate e complesse più che la
    spontaneità sembra essere determinante la fiducia accordabile a chi le incarna
    tenti di spiegarle;questo atteggiamento spontaneo,basato su un semplice rifiuto di
    Giovanni Paolo II,lo troviamo soprattutto in un sedevacantismo primario che
    generalmente o è rimasto a livello di ipotesi privata oppure,proprio a causa della
    sua semplicità,ha condotto al conclavismo.
    A nostro avviso,per i problemi che implica e le questioni che solleva,un
    approccio serio sull ’ipotesi sedevacantista è al di sopra dei mezzi di un battezzato
    come tale,il quale si avvale del sensus fidei :a questa impossibilità già abbiamo
    accennato e,nel constatarla nuovamente,ne deduciamo la conclusione logica che
    Dio non pretenda attualmente dal singolo fedele un pronunciamento su una
    questione al di sopra delle sue possibilità.(15 ) [(15)Ci sembra particolarmente significativo a questo proposito il consiglio che monsignor Sanborn,
    propugnatore della Tesi di Cassiciacum,dà a coloro che cercano di capirla.Questo vescovo ha
    infatti avuto il merito di aver tentato di rendere più accessibile la comprensione della Tesi attraver-
    so la redazione dell ’opera De Papatu Materiali.Nell ’ultima parte del suo lavoro,di cui è certa-
    mente apprezzabile la chiarezza,egli risponde ad una serie di ipotetiche obiezioni che possono
    essere sollevate dai fedeli;citiamo la XI:
    «D.La Tesi è assurda perché afferma che uno può nello stesso tempo essere e non essere papa.
    R.Coloro che esprimono questa obiezione non capiscono la reale distinzione esistente tra atto e
    potenza né la distinzione tra non-ente simpliciter e ente in potenza.Consigliamo loro di consultare
    dei manuali di filosofia aristotelico-tomista » ((Sodalitium ,n.49,p.48).
    Il consiglio è molto opportuno,anzi necessario;infatti le distinzioni metafisiche a cui esso fa
    riferimento sono imprescindibili per capire l ’ABC della Tesi.Tuttavia proprio tale necessità dimo-
    stra che il sensus fidei non è sufficiente per rifiutare l ’autorità di Giovanni Paolo II e per tentare di
    risolvere i problemi che tale atto solleva:ora la nostra questione non può essere di fede proprio
    perché non è risolvibile con un atto di «fede semplice »,con il semplice «esercizio della fede »
    (contrariamente a quanto,avvertendo probabilmente il tenore dell ’obiezione,il sedevacantismo
    tenta altrove di dimostrare.-Cfr.H.Belmont,L ’Esercizio Quotidiano della Fede ).] Imporre invece tale giogo al semplice
    fedele,facendone appunto una questione di fede,rischia di urtarsi contro
    l ’indignazione di Gesù:«Accumulano pesi gravi e importabili e li pongono sulle
    spalle degli uomini » (Mt 23,4).Ancora una volta il già citato esempio di Padre
    Guérard,che malgrado la lucidità della prima ora (per esempio nella redazione del
    Breve Esame Critico che gli guadagna un merito ineguagliabile davanti alla Storia),
    malgrado tutti i suoi titoli,impiega quasi quindici anni prima di redigere e pubblicare
    la Tesi di Cassiciacum,ci sembra suffragare la nostra interpretazione in modo
    palese:solamente un approccio di tipo ideologico con il problema e quindi la perdita
    di contatto con la realtà può indurre a sostenere il contrario.
    Inoltre avere fatto del problema presente una questione di fede priva
    colpevolmente e inutilmente alcune anime della possibilità di assistere alla Santa
    Messa perché celebrata una cum.

  7. #7
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    L ’AZIONE DI MONSIGNOR NGO-DINH-THUC
    Prima di concludere ci sembra opportuna qualche riflessione di carattere storico
    circa l ’azione di mons.Ngo-Dinh-Thuc;se infatti la Storia non è teologia,essa è
    tuttavia teodicea,nel senso che manifesta l ’azione della Provvidenza:soprattutto
    laddove,a causa di contingenze particolari,il Suo intervento si rivela imprescindibile.
    Se da una parte il mondo sedevacantista appare piuttosto diviso,complessivamente
    possiamo affermare che esso sopravvive sacramentalmente grazie alle consacrazioni
    episcopali del vescovo vietnamita:da questo punto di vista esso recupera una sua
    unità di fondo.
    Mons.Thuc è il capostipite,a partire dalla metà degli anni settanta,di una
    genealogia episcopale estremamente numerosa e articolata che complessivamente
    conta oltre cento nomi quantunque direttamente egli abbia consacrato «solamente »
    alcuni dei vescovi in questione.
    Generalmente tali consacrazioni sono state
    contestate evidenziando l ’indegnità dei consacrati
    soprattutto per motivi morali.Su questo terreno non
    intendiamo scendere per due motivi:innanzitutto
    per coerenza con il nostro proposito iniziale di non
    entrare in considerazioni,generalmente tanto facili
    quanto sterili,legate alle singole persone;in
    secondo luogo perché tra i consacrati da mons.Thuc
    si annoverano pure persone moralmente
    dignitosissime come lo stesso padre Guérard.
    Ciò che invece ci interessa è il valore di tali
    consacrazioni davanti alla Chiesa.Se infatti ci
    collochiamo in un ’ottica sedevacantista esse hanno
    un carattere assolutamente provvidenziale in quanto
    assicurano al sedevacantismo,in un certo senso,la
    possibilità di continuare nel tempo assieme alla sua
    imprescindibile testimonianza.
    Ora con tutta la buona volontà ci sembra impossibile riconoscere nel vescovo
    vietnamita l ’uomo della Provvidenza,ma piuttosto vi scorgiamo un uomo usato da
    tutti per i fini più diversi.
    Innanzitutto mons.Thuc giunge a posizioni “tradizionaliste ”non certo durante
    il Concilio ma piuttosto tardi e onestamente ci si chiede se il movente sia una
    analisi seria dei contenuti del Concilio stesso quanto piuttosto il contraccolpo sulla
    sua persona e sulla sua famiglia delle vicende legate al comunismo vietnamita e
    alla -certamente odiosa -ostpolitik montiniana:la distinzione è fondamentale poiché
    dall ’elemento dottrinale si passa alla difficoltà strettamente personale;i sistematici
    “pentimenti ”di Thuc nei confronti del Vaticano e soprattutto la sua definitiva
    “riconciliazione ” finale inducono ad abbracciare questa interpretazione..
    Mons.Thuc è innanzitutto l ’autore della consacrazione episcopale di Clemente
    Dominguez y Gomez -consacrato assieme ad altri quattro vescovi nel 1976 -il
    futuro antipapa di Palmar de Troya che moltiplicherà considerevolmente i
    discendenti episcopali del vescovo vietnamita.
    Scomunicato in seguito a questo episodio,mons.Thuc si riconcilia con il Vaticano
    nel corso dello stesso anno:per un po ’di tempo.
    Nel 1981 egli procede alla consacrazione episcopale di padre Guérard (il 7
    maggio),e di Carmona e Zamora (il 17 ottobre),nel suo appartamento privato di
    Tolone.
    Notiamo come le consacrazioni abbiano avuto luogo in forma rigorosamente
    privata,per non dire clandestina:solo in seguito all ’accaduto si fecero avanti dei
    testimoni e fu esibito qualche documento fotografico.
    Altre consacrazioni di mons.Thuc furono invece completamente clandestine:
    ci si chiede infatti che valore possano avere tali vescovi davanti alla Chiesa e
    soprattutto se allo stato attuale siano tutti conosciuti poiché essi incominciarono a
    manifestarsi solo in seguito all ’avvenuta (?)consacrazione.
    Ci si chiede inoltre come mons.Thuc potesse giustificare pubblicamente (ma
    anche davanti alla propria coscienza)tali consacrazioni:infatti la sua presa di
    posizione sedevacantista,conosciuta come Dichiarazione di Monaco,risale
    solamente al 1982.
    È comprensibile,posti questi elementi,che alcuni tra i primissimi discepoli di
    padre Guérard lo abbandonarono proprio in occasione della sua consacrazione
    episcopale (Cfr.p.13).
    Peraltro la Dichiarazione di Monaco,per quanto chiaramente sedevacantista,
    risulta essere almeno un po ’lacunosa per un uomo della Provvidenza,investito
    della missione,in sé gravissima,di procedere a delle consacrazioni episcopali senza
    mandato,al fine di salvare la Chiesa e «di assicurare in quanto vescovo la continuità
    della Chiesa Cattolica Romana,in vista della salvezza delle anime ».
    Ci si potrebbe comunque tranquillizzare ritenendo che le intenzioni di mons.
    Thuc siano sempre state rette e che egli non abbia voluto in nessun modo fomentare
    scismi e antipapi come è accaduto a Palmar e che egli abbia agito unicamente a fin
    di bene per salvare la Chiesa Cattolica dal modernismo (e dal lefebvrismo).In
    questo modo tali aberrazioni si sarebbero verificate solo dopo le consacrazioni di
    Thuc e sempre contro la sua volontà.
    Purtroppo però,contro questa interpretazione benevola,mons.Thuc è pure
    l ’autore e il responsabile diretto di almeno due consacrazioni episcopali di
    personaggi già ufficialmente fuori dalla Chiesa al momento in cui egli impone
    loro le mani,contrariamente a quanto vorrebbero dimostrare alcuni sedevacantisti:
    nel 1977 Thuc,pochi mesi dopo la prima riconciliazione col Vaticano,consacrò
    infatti mons.Jean Laborie,gallicano e veterocattolico da sempre,fondatore della
    Chiesa Cattolica Latina di Tolosa.
    Nel 1982 invece,proprio nell ’anno della Dichiarazione di Monaco,mons.Thuc
    consacrò il (già)veterocattolico mons.Christian Datessen,capo dell ’Unione delle
    Petites Eglises,e capostipite a sua volta di una “fiorentissima ”genealogia di vescovi
    scismatici ed in alcuni casi pure gnostici.
    Fu proprio in mezzo a questi personaggi,apertamente e formalmente scismatici,
    che nel 1981 trovarono posto anche padre Guérard,Carmona e Zamora per farsi
    imporre le mani:dalla genealogia episcopale dei primi due di questi vescovi sono
    usciti coloro che sostanzialmente oggi assicurano sia al sedevacantismo stretto
    che al guerardismo (Thuc verosimilmente non coglieva la dicotomia)una continuità
    sacramentale.
    La lista dei pasticci di mons.Thuc potrebbe continuare,soprattutto se ci
    addentrassimo nell ’analisi dell ’operato dei vescovi usciti dalle sue mani e se
    provassimo a contare i “vescovi ”(?)che sostengono di essere stati consacrati da
    lui clandestinamente (quand ’anche Thuc mai li abbia consacrati,il carattere segreto
    e semiclandestino delle sue consacrazioni “riconosciute ”è il principale argomento
    di tali “vescovi ”),tuttavia senza attardarci in tali considerazioni possiamo già trarre
    alcune conclusioni.
    Innanzitutto la discontinuità delle posizioni di Thuc (oscillante tra il
    sedevacantismo e la riconciliazione con il Vaticano),unitamente all ’eterogeneità
    dei consacrati e alle conseguenze gravissime di alcune sue consacrazioni hanno
    fatto pensare ad una carenza di giudizio e di volontà fino a mettere in dubbio la
    validità stessa delle sue consacrazioni.Su questo problema non mancano accuse
    formulate persino in ambienti sedevacantisti unitamente -ovviamente -a tentativi
    di difesa,suffragati pure da una perizia psichiatrica:segno almeno di un dubbio
    fondato.
    Per quanto ci riguarda il comportamento di mons.Thuc ci sembra più facilmente
    spiegabile come la classica reazione naturale e passionale di un prelato caduto in
    disgrazia,presumibilmente vittima di ingiustizie o angherie umane da parte della
    gerarchia ufficiale;il suo sedevacantismo (per lo meno nei momenti in cui lo
    professò)appare piuttosto come un colpo di coda nei confronti di chi lo aveva in
    qualche modo emarginato.Questo non significa che la Dichiarazione di Monaco
    non sia stata sincera,ma spiegherebbe piuttosto perché arrivò così tardi,sia così
    lacunosa e fu -di fatto -ritrattata.
    Una cosa è comunque certa:mons.Thuc non è un punto di riferimento per
    nessuno e oggettivamente non potrebbe esserlo a causa delle sue contraddizioni.
    Piuttosto egli è per i sedevacantisti un grattacapo,quale fonte di continui dubbi o
    accuse da cui doversi difendere.
    La nostra conclusione è che sia molto più facile scorgere in lui un buon uomo di
    cui in tanti si siano serviti a causa della sua disponibilità (e della sua debolezza),
    ma che Dio non abbia eletto quale strumento della Sua Provvidenza:malgrado ciò
    la sua opera si è rivelata assolutamente “provvidenziale ” per i sedevacantisti!!

  8. #8
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    I FRUTTI DEL SEDEVACANTISMO
    Non manca chi pensa di poter argomentare contro il sedevacantismo
    semplicemente constatandone la sterilità.Tale criterio non possiamo rifiutarlo come
    tale semplicemente perché è di origine evangelica.Ci limitiamo tuttavia a segnalarlo
    senza prenderci il lusso di applicarlo noi stessi.Concretamente infatti
    l ’apprezzamento di un buon o cattivo frutto è suscettibile di essere influenzato
    almeno da una piccola dose di soggettivismo e spesso induce a scendere
    dall ’universale e dal dottrinale a considerazioni puramente umane.Premesso questo,
    lasciamo al lettore l ’incarico di utilizzare personalmente e liberamente questo tipo
    di analisi qualora lo ritenesse opportuno e ne abbia i necessari elementi di
    valutazione.
    Vi è tuttavia nel sedevacantismo un fattore costante di sterilità che non dipende
    dalle intenzioni buone o cattive,quanto piuttosto dalla situazione oggettiva in cui
    viene a trovarsi:su questo pericolo pensiamo di poterci esprimere.
    Risolto il problema dell ’autorità -almeno soggettivamente -il sedevacantista
    medio non ha più un vero interesse a combattere per il trionfo della verità in una
    Chiesa che di fatto non può più considerare sua a nessun titolo.Egli vive piuttosto
    nella convinzione che il trionfo della verità sarà automatico e universale con l ’arrivo
    di un vero papa.
    Questi presupposti rischiano di condurre ad un atteggiamento tale in cui l ’attuale
    situazione della Chiesa e le sue vicissitudini rappresentano un problema che non
    tocca più direttamente:una questione che -quantunque dolorosa -riguarda anime
    e prelati con cui ci si vanta di non avere più nulla da spartire.Unica eccezione:la
    necessità per i guerardiani di analizzare quotidianamente il magistero per sapere
    quando il papa materiale ritirerà l ’obex.
    Stando così le cose è giocoforza che alla lunga il sedevacantismo riversi il proprio
    livore e il proprio veleno non più sul modernismo come tale -utile solo tanto
    quanto basta per dimostrare che Giovanni Paolo II non è papa -bensì su chi,pur
    rifiutando le dottrine moderniste,non abbraccia le sue medesime posizioni
    sull ’autorità.Purtroppo la storia del sedevacantismo conferma che di fatto,se non
    di diritto,il principale oggetto del suo livore è rappresentato proprio da questa
    categoria.In questo senso emerge certamente una sterilità cronica.
    Il motivo formale di tale comportamento ci sembra perfettamente individuabile
    e comprensibile:se infatti entriamo nell ’ottica sedevacantista,l ’atteggiamento di
    mons.Lefebvre nella tragedia postconciliare non può più essere letto come una
    barriera contro l ’errore,ma piuttosto come un ponte per far transitare la resistenza
    antimodernista nella compagine conciliare attraverso il riconoscimento dell ’autorità
    di Giovanni Paolo II.Questa interpretazione dell ’atteggiamento di mons.Lefebvre,
    che ammette certamente sfumature diverse e alcune eccezioni all ’interno del
    sedevacantismo,ha numerose conferme tipo questa:«La funzione di Sodalitium è
    proprio quella di mettere in guardia le anime dai pericoli più insidiosi,da quelli
    più nascosti …Non mancano quelli che denunciano i nemici manifesti,ma sono
    invece pochissimi quanti si accorgono degli insidiatori occulti.Ora Mons.Lefebvre,
    magari senza rendersene conto,inganna quei fedeli (tradizionalisti)che Wojtyla
    non è riuscito ad ingannare,facendo loro credere,appunto,che W.,il grande
    ingannatore,è il Vicario della Verità stessa » ((Sodalitium ,n.21,p.2).
    Tale interpretazione,corrente negli ambienti sedevacantisti,è stata illustrata
    con dovizia di dettagli pure dal già citato mons.Sanborn (Sacerdotium,XII,pp.1-
    43 -Cfr.Sodalitium ,n.39,pp.45-58).
    Infine,nelle file del sedevacantismo,non manca chi spera di vedere coronata
    da successo questa interpretazione attraverso una capitolazione generale della
    Fraternità San Pio X,e quindi si sforza,da decenni,per dimostrarne l ’imminenza.
    L ’insieme di questi addentellati,che appaiono perfettamente logici e concatenati
    tra loro,colloca inevitabilmente il sedevacantismo in una situazione di oggettiva
    sterilità,condannandolo paradossalmente alla guerra contro chi di fatto,senza
    aderire alla posizione sedevacantista,sostiene la battaglia contro gli errori
    neomodernisti.

    CONCLUSIONE
    Giunti al termine delle nostre riflessioni ci si può chiedere dove risieda la
    soluzione finale al “vero problema ” dalla constatazione del quale siamo partiti..
    I nostri excursus non hanno fatto altro che confermare la necessità di lasciare
    alla Chiesa stessa l ’incarico di dare una risposta definitiva all ’attuale situazione
    dell ’autorità all ’interno della medesima.Non potendo noi sostituirci ad Essa,non
    ci resta che tenere conto della necessità prioritaria dell ’esistenza di una gerarchia
    avente autorità e del riconoscimento generale da parte della Chiesa dispersa nel
    mondo dell ’autorità di Giovanni Paolo II:su questi dati oggettivi e su un
    atteggiamento prudenziale,norme morali che regolano anche l ’ubbidienza al papa,
    si fonda quindi la nostra presunzione.
    Oltre a questo ci resta il dovere ancora più pressante e vitale di conservare la
    fede in tutte le sue parti,a cominciare da quegli elementi che,fondando la Chiesa
    su Pietro e sulle sue prerogative,ci assicurano che da Lui e solo da Lui verrà un
    giorno la soluzione definitiva ad ogni problema e la risposta ad ogni quesito.

  9. #9
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    APPENDICE
    L ’ELEZIONE DI PAOLO VI:SOLUZIONE DI ALCUNE DIFFICOLTA ’
    Abbiamo constatato nel paragrafo L ’Elezione di Paolo VI che cosa significhi
    per un nuovo papa il riconoscimento pacifico e universale da parte di tutta la Chiesa:
    è un fatto dogmatico assolutamente certo,ammesso da tutti i teologi e fondato
    direttamente sulla promessa di Gesù secondo la quale le porte dell ’inferno non
    prevarranno contro la Sua Chiesa che egli,in tal caso,sia certamente papa.
    Applicato a Paolo VI questo principio comporta delle conseguenze evidenti
    che inficiano in radice il sedevacantismo:già abbiamo esaminato nel dettaglio un
    tentativo per distruggere questo fatto dogmatico (Cfr.pp.32-34).
    Tuttavia l ’argomento esposto,per poter essere colto ed apprezzato in tutta la
    sua valenza,necessita ancora di alcuni chiarimenti su due possibili difficoltà che
    contro di esso possono essere sollevate.
    Innanzitutto dobbiamo prendere in considerazione la possibilità per Paolo VI di
    essere caduto pubblicamente nell ’eresia dopo essere stato inizialmente papa e quindi
    di aver perso il pontificato per eresia formale (ipotesi del papa eretico).L ’argomento
    di questa possibilità si fonda su una celebre ipotesi presa in considerazione da San
    Roberto Bellarmino.
    In secondo luogo dobbiamo prendere in considerazione la possibilità secondo
    cui l ’elezione di Paolo VI sia stata nulla,per eresia,sin dall ’inizio (ipotesi dell ’eletto
    eretico).Questa seconda possibilità si basa sostanzialmente sull ’applicazione della
    Bolla di Paolo IV Cum ex Apostolatus Officio .
    Nella prima ipotesi l ’elezione di Paolo VI sarebbe stata valida,conforme a quanto
    sostiene il Billot,ed egli avrebbe cessato di essere papa solo in un secondo tempo.
    Nella seconda ipotesi invece quanto dice il Billot e la teologia cattolica -e
    indirettamente la fede stessa nell ’idefettibilità della Chiesa -verrebbe nuovamente
    negato.
    Notiamo che si tratta di due argomenti propri al sedevacantismo stretto e
    considerati non probanti dai guerardiani;tuttavia,pur rifiutandoli quali
    dimostrazioni della sedevacante,i sostenitori della Tesi di Cassiciacum utilizzano
    il secondo contro il fatto dogmatico difeso dal Billot e unanimemente dalla teologia
    cattolica.
    Notiamo inoltre che i due argomenti si escludono a vicenda nel senso che se se
    ne applica uno non si può applicare l ’altro:per esempio,se si sostiene che l ’elezione
    di Paolo VI sia stata nulla non si può sostenere che egli abbia perso l ’autorità dopo
    averla ricevuta.
    Malgrado ciò i due argomenti sono spesso accostati l ’uno all ’altro nelle
    dimostrazioni del sedevacantismo stretto,quasi ad aumentare vicendevolmente il
    loro valore probante:questa prima e banale riflessione ci indica già l ’intrinseca
    debolezza di tali dimostrazioni.
    Per quanto riguarda la possibilità
    per un papa di cadere
    pubblicamente nell ’eresia e quindi
    di perdere la fede e con essa la sua
    appartenenza alla Chiesa e il
    pontificato,i commentatori che la
    prendono in considerazione,primo
    tra tutti il cardinal Billot,vi
    scorgono generalmente l ’analisi
    teorica di una pura ipotesi,
    irrealizzabile all ’atto pratico,a
    causa delle promesse di Nostro
    Signore fatte a San Pietro:
    «Pregherò per te affinché la tua fede
    non venga meno »(16 ) [(16)Luca,22,32.La preghiera di Nostro Signore è ovviamente infallibile,nel senso che ottiene
    sempre l ’oggetto della propria domanda.].L ’unico vero
    motivo di interesse di questa ipotesi
    è che essa è stata presa in
    considerazione da San Roberto
    Bellarmino e a questo deve la sua
    considerazione nel mondo
    sedevacantista.Bisogna però
    riconoscere che l ’utilizzo di questo
    argomento,più di qualunque altro,
    ha gettato il sedevacantismo nel bailamme della casuistica e dell ’opinionismo
    teologico,facendogli perdere il contatto con la realtà concreta,la sua credibilità e
    naturalmente l ’unione tra i suoi stessi aderenti.
    Ci limitiamo quindi a menzionare alcuni dei motivi del naufragio dell ’ipotesi
    del “papa eretico ”.
    -Innanzitutto lo stesso San Roberto Bellarmino non sembra aver preso in
    considerazione come concretamente possibile l ’ipotesi del “papa eretico ”.Ciò che
    il santo dottore afferma ha tutti i caratteri di una semplice opinione teologica,
    collocata in astratto,alla quale sembra sfuggire la considerazione concreta di come
    un papa possa cadere pubblicamente nell ’eresia e come e quando la Chiesa possa
    constatarlo.Va pure sottolineato che lo stesso San Roberto sostiene,nello stesso
    tempo,come molto più probabile l ’opinione secondo cui un papa non può mai
    cadere nell ’eresia.
    -Che piaccia o no la promessa fatta da Gesù a San Pietro è il fondamento
    contenuto nella Sacra Scrittura (de fide divina)dell ’indefettibilità pubblica della
    fede del papa.Contro questo argomento,un po ’ diverso da una semplice opinione
    teologica,il sedevacantismo non ha mai dato -e non può fornirla -una spiegazione
    soddisfacente se non ammettendo che Paolo VI non è mai stato papa e rinunciando
    quindi all ’ipotesi del “papa eretico ”:proprio ciò che intendiamo dimostrare.
    Allorché alcuni teologi hanno preso in considerazione,al seguito di San Roberto,
    la possibilità per un papa di professare l ’eresia,essi hanno sempre inteso non l ’errore
    del papa come tale ma come persona privata.Interpretare in modo diverso il
    passaggio di San Luca significa semplicemente distruggere per sempre il papato e
    negare le sue garanzie di infallibilità.
    -Che Paolo VI sia stato eretico,anche solo inconsciamente e senza pertinacia,
    non è per nulla un dato scontato nemmeno all ’interno del mondo tradizionalista.
    Infatti i suoi insegnamenti non sono riconosciuti come “eretici ”da tutti i
    tradizionalisti.Alcuni ad esempio considerano la libertà religiosa,pur rifiutandola
    per motivi di fede,semplicemente come favens haeresi (che favorisce l ’eresia)e
    non come eretica sic et simpliciter.
    -Paolo VI non sembra essere stato considerato un eretico notorio davanti alla
    Chiesa universale nemmeno quando ha promulgato la Dignitatis Humanae ;eppure
    questo documento è tuttora il principale testo utilizzato dal sedevacantismo stretto
    per dimostrare l ’eresia notoria di Paolo VI.Peraltro lo stesso riconoscimento
    universale della sua autorità,come già dimostrato,ha perdurato ancora nel momento
    in cui egli ha promulgato il Concilio:tenendo conto di questo,l'argomento del
    Billot resta applicabile nel 1965 e negli anni seguenti.
    -Per essere eretici davanti alla Chiesa,ovvero formalmente e notoriamente,è
    necessario che il soggetto si dimostri pertinace dopo aver divulgato l ’eresia ed
    essere stato ammonito dall ’autorità ecclesiastica competente.Per Paolo VI questo
    non è avvenuto e gli stessi sedevacantisti discutono ancora oggi se bastasse una
    semplice dichiarazione di eresia o bisognasse ammonirlo,su chi e come avrebbe
    potuto o dovuto farlo,su chi come e soprattutto quando(17 ) [(17)È disputato (ed eternamente disputabile)tra i sostenitori dell ’ipotesi del “papa eretico ”quale
    grado di notorietà dell ’eresia professata sia necessario per considerare il “papa eretico ”decaduto
    dal suo ufficio;conseguentemente essi disputano nel valutare se e fino a che punto Dio potrebbe
    comunque conservare la giurisdizione ad un “papa eretico ”.Questi punti discussi se da una parte
    possono suscitare l ’interesse speculativo del teologo e del ricercatore,confermano,all ’atto pratico,
    l ’assoluta insufficienza argomentativa dell ’ipotesi in questione]. avrebbe dovuto
    dichiararlo decaduto dal suo ufficio.Di fatto è quindi impossibile dimostrare,con
    giudizio avente valore davanti alla Chiesa,l ’eresia formale di un papa;a questo si
    aggiunge infine -per complicare ulteriormente l ’operazione -il principio che un
    papa non è soggetto al diritto ecclesiastico.In sintesi:quand ’anche un papa cada
    nell ’errore,non è concretamente possibile che cada in quel tipo di eresia (formale)
    che pregiudica ipso facto la sua appartenenza alla Chiesa e quindi gli toglie l ’autorità
    pontificia.
    -La prova del carattere di pura opinione teologica dell ’ipotesi in questione è
    data,tra l ’altro,dal fatto che accanto ad essa ve ne sono altre.
    -Infine le interminabili e inconcludenti polemiche interne agli ambienti
    sedevacantisti su questo punto ne dimostrano,all ’atto pratico,l ’insufficienza
    argomentativa.Da un punto di vista prettamente storico il sedevacantismo è stato
    paralizzato piuttosto che stimolato dall ’utilizzo dell ’ipotesi bellarminiana.
    Citiamo a questo punto la testimonianza di un maestro della Tesi di Cassiciacum
    contro un interlocutore,identificabile come “P.”,maestro del sedevacantismo stretto,
    che tenta di applicare agli attuali pontefici l ’ipotesi del Bellarmino:«Nello spirito
    dell ’Autore questo (menzioni di “eresia ”a proposito di Giovanni Paolo II -N.d.R.)
    significa che si dovrebbe logicamente concludere,con san Roberto Bellarmino,
    che il Papa eretico è deposto ipso facto .È quanto l ’Autore espone nel terzo capitolo,
    il cuore del suo libro,dove si trova,a suo parere,la “prova ”del sedevacantismo.
    Ma in ciò P.non aggiunge nulla di sostanzialmente nuovo al dibattito,poiché
    riprende ed espone,come lui stesso scrive,quanto a suo tempo espose Arnaldo
    Xavier Vidigal da Silveira.Allora questo libro riaccese la passione per la tesi sul
    “papa eretico ”(riesumata dall ’abbé de Nantes,era stata ben presto dimenticata),
    ma condusse anche il sedevacantismo in un vicolo cieco giacché la conclusione di
    da Silveira,difensore dell ’opinione del Bellarmino,era che si trattava solo di una …
    opinione,dalla quale non si potevano dedurre conclusioni certe ed obbliganti.Dopo
    25 pagine in favore dell ’opinione bellarminiana (mal compresa)e dopo aver
    chiamato a sostegno della propria tesi anche Journet,che afferma invece il contrario,
    P.è costretto ad ammettere che per questa via non si giunge a nessuna certezza »(F.
    Ricossa,op.cit.,pp.4-5).
    In sintesi riteniamo che l ’applicazione dell ’ipotesi del “papa eretico ”a Paolo VI e
    ai suoi successori potrà essere considerata un valido argomento contro la nostra
    dimostrazione solo quando risolverà in modo adeguato le difficoltà elencate,sarà
    ritenuta universalmente non più una opinione ma una conclusione teologicamente
    certa e sarà applicata all ’unanimità e negli stessi termini almeno da tutti coloro che
    rifiutano l ’autorità dei papi attuali.
    L ’imperdonabile errore di fondo di chi si serve di questo argomento per rifiutare
    l ’autorità degli attuali pontefici consiste nell ’utilizzare una pura ipotesi teologica
    per trarne conclusioni certe ed obbliganti,equivalenti addirittura ad elementi di
    professione di fede cattolica.
    Una semplice opinione teologica,anche discutibilissima,può tranquillamente
    essere abbracciata come tale,ma non può essere fondamento di alcunché di
    vincolante per la coscienza.
    L ’autore che più di ogni altro ci sembra ben interpretare il tenore dell ’ipotesi
    del Bellarmino è ancora una volta il cardinal Billot.Egli innanzitutto è il solo che,
    come il Bellarmino,sostiene l ’ipotesi del “papa eretico ”e al contempo la tesi che
    il papa non possa cadere nell ’eresia (questo secondo lo studio di A.X.Vidigal da
    Silveira).L ’apparente contraddizione che accomuna San Roberto e il Billot deriva
    dal fatto che la prima ipotesi è considerata,come spiega il nostro cardinale,una
    pura ipotesi teologica irrealizzabile all ’atto pratico.
    Riteniamo che questa sfumatura determinante non venga colta dai sedevacantisti
    per un motivo molto semplice:per essi il fatto che Paolo VI e successori non siano
    papi è un dato scontato e acquisito;di conseguenza,del Bellarmino o di altri
    autorevoli autori ci si serve non per cercare la verità in modo disinteressato,
    sforzandosi onestamente di capire cosa dicono,ma semplicemente per trovare
    argomenti a dimostrazione di una verità già scontata e acquisita in partenza.
    Bisogna riconoscere che i guerardiani non utilizzano questo argomento nelle
    loro dimostrazioni e pongono l ’obex che impedisce l ’accollazione dell ’autorità al
    papa materiale al momento dell ’elezione (Cfr.F.Ricossa,op.cit.,pp.9-10);
    malgrado questo pure in essi si ritrova talora l ’atteggiamento di chi intende far
    quadrare la teologia e la realtà con un giudizio già formulato a priori :lo
    constateremo nelle seguenti riflessioni.

  10. #10
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    L ’ultimo argomento degno di menzione che il sedevacantismo utilizza contro il
    fatto dogmatico illustrato dal card.Billot consiste nell ’utilizzo della Bolla di Paolo IV
    Cum ex Apostolatus Officio la quale renderebbe nulla l ’elezione di un eretico a
    qualunque carica ecclesiastica,compreso il Supremo Pontificato:questo anche se
    tutti i sudditi lo riconoscono e gli prestano obbedienza.L ’argomento è esposto
    dalla rivista Sodalitium (n.14,pp.9-10)e ripreso dalla medesima rivista in un
    numero più recente (Sodalitium ,n.55,pp.27-28).
    Innanzitutto,con apprezzabile onestà,vengono evidenziate alcune difficoltà
    intrinseche all ’applicazione concreta della Bolla,quali la mancata -e impossibile
    -constatazione di eresia formale dell ’eletto papa (in primis Paolo VI)al momento
    dell ’elezione,l ’abrogazione della Bolla attraverso la promulgazione del Codice di
    Diritto Canonico del 1917,e,soprattutto,la sua insufficienza per dimostrare la
    sedevacante:«Alcuni hanno pensato di poter trarre dal testo in questione la prova
    che la sede Apostolica è attualmente totalmente vacante …Basterebbe provare che
    gli occupanti la Sede Apostolica erano eretici prima dell ’elezione,e poi applicare
    le disposizioni di Paolo IV.
    Questo compito duplice risulta però,nello stato attuale delle cose,doppiamente
    improbo.Innanzitutto si deve provare l ’eresia formale e notoria dell ’errante.A
    meno di un ’ammissione (ipotetica)del colpevole,occorre perciò un intervento
    della Chiesa e del suo Magistero,secondo la parola di San Paolo a Tito:“L ’uomo
    eretico,dopo una o due ammonizioni,evitalo ”.Quello che Paolo IV forse non
    prevedeva -come pure tutti i trattatori classici della questione del “papa eretico ”-
    era che,in un caso simile,nessuna autorità si levasse per fare le ammonizioni
    richieste dalla Scrittura e dai canoni.
    La seconda difficoltà risiede nel valore giuridico di cui gode attualmente la
    Costituzione di Paolo IV.Il canone 6 del Codice di diritto canonico prescrive che
    quanto non è ripreso dal codice del 1917 deve ritenersi abrogato;a meno che la
    legge sia,evidentemente,di diritto divino.Ora,le prescrizioni di Paolo IV sono
    riprese solo parzialmente dal Codice (can.188,4 e 2314,1)senza nessuna menzione
    del caso del Sommo Pontefice.Resta il dubbio,quindi,sul carattere delle
    affermazioni al riguardo di Paolo IV,se siano cioè di diritto divino,e quindi sempre
    valide,o di diritto ecclesiastico » ((Sodalitium ,14,pp.9-10).
    Malgrado queste condivisibili precisazioni la Bolla,insufficiente a dimostrare
    la sedevacante,è considerata sufficiente per dimostrare,quale atto del magistero
    della Chiesa,che il Billot ha torto quando sostiene che un papa riconosciuto
    pacificamente da tutta la Chiesa è certamente papa,poiché se egli è eretico a nulla
    gli vale il riconoscimento universale:attraverso questa “prova ”si vorrebbe
    dimostrare che l ’argomento del Billot è sempre fasullo -anche se l ’eletto non è
    eretico -perché contraddirebbe il magistero della Chiesa.Quanto sostiene il dotto
    cardinale è ridotto quindi ad una discutibilissima opinione personale (mentre in
    realtà si tratta di un fatto dogmatico ammesso da tutti i teologi -Cfr.Da Silveira,
    La Nouvelle Messe de Paul VI:Qu ’en penser?,p.296):«La realtà è un ’altra.La
    tesi del Card.Billot (ed altri)non può essere che un ’opinione,dato che il Magistero
    della Chiesa ha sostenuto il contrario,e legiferato al riguardo:“l ’elezione di un
    eretico è nulla,e non la rende valida l ’intronizzazione od il riconoscimento ufficiale
    dello stesso Pontefice romano,o l ’obbedienza prestatagli da tutti e l ’esercizio
    della sua carica precedentemente e per qualunque durata di tempo ”»(Sodalitium ,
    14,p.10).
    Transeamus sull ’onestà intellettuale di chi pur dichiarando inapplicabilela Bolla
    di Paolo IV per dimostrare la sedevacante (per l ’impossibilità manifesta e
    riconosciuta di constatare l ’eresia formale di un nuovo papa,con particolare
    riferimento in primis a Paolo VI)la ritiene tranquillamente utilizzabile contro il
    fatto dogmatico illustrato dal Billot.
    Se il giudizio morale su questa onestà intellettuale(18 ) [(18)L ’equivoco è costruito passando dal piano concreto (quello che ci interessa,cioè l ’applicazio-
    ne del criterio per sapere se Paolo VI era o non era papa)a quello teorico e puramente speculativo
    per spostare il problema nel mondo delle astrazioni teologiche.Esamineremo quindi la questione
    su entrambi questi piani.] lo lasciamo al Buon Dio,
    non possiamo non sottolineare che la difficoltà del sedevacantismo davanti
    all ’argomento del Billot è tale da costringere i guerardiani a riesumare un argomento
    proprio al sedevacantismo stretto di cui ammettono l ’inconsistenza:ennesima prova
    della forza dell ’argomento del Billot.
    Il problema a nostro avviso non sussiste e il Magistero non ha in nessun modo
    sostenuto il contrario di quanto il Billot,con tutti i teologi,afferma.
    Sul piano concreto,quand'anche volessimo tenere conto di un possibile valore
    attuale della Bolla di Paolo IV,nessuno ha considerato Paolo VI eretico nel momento
    in cui è stato eletto e quindi la Bolla,inapplicabile nella fattispecie,risulta essere
    perfettamente compatibile con quanto afferma il Billot circa il riconoscimento di un
    papa da parte della Chiesa universale;peraltro l ’eresia formale di Paolo VI al momento
    della sua elezione è tuttora indimostrabile.
    Se poi consideriamo il fatto che per essere eretici davanti alla Chiesa è necessaria
    la pertinacia previa monizione dell ’autorità competente,la Bolla di Paolo IV risulta
    essere,nel nostro caso ed in tutti quelli analoghi,ancora più inapplicabile,come
    giustamente sottolinea pure Sodalitium :«Quello che Paolo IV forse non prevedeva -
    come pure tutti i trattatori classici della questione del “papa eretico ”-era che,in un
    caso simile,nessuna autorità si levasse per fare le ammonizioni richieste dalla Scrittura
    e dai canoni » (Sodalitium ,14,p.9).
    Su un piano puramente speculativo invece la Bolla può sembrare meno
    armonizzabile con quanto dice il Billot:allora un eretico eletto e riconosciuto da tutti
    come papa è o non è realmente papa?
    La difficoltà,che non ci tocca più direttamente perché dal caso di Paolo VI passiamo
    a quello delle astrazioni ipotetiche,ci sembra comunque facilmente risolvibile.
    Notiamo innanzitutto come sia il Billot che la stragrande maggioranza dei teologi
    che abbiano trattato De Ecclesia abbiano redatto le loro opere dopo la promulgazione
    della Bolla di Paolo IV.(19 ) [(19)Le grandi sintesi teologiche De Ecclesia storicamente vengono redatte,quantunque non esclusivamente,attorno e in seguito al Concilio Vaticano I (1870),a causa dell ’attenzione riservata da
    questo Concilio a tutte le questioni connesse a tale trattato.La Bolla di Paolo IV risale al 1559.]
    Ora l ’obiezione formulata da Sodalitium ,sembra di
    primo acchito un po ’ pretenziosa,in quanto solamente oggi ci si accorge,grazie
    agli illuminanti argomenti del sedevacantismo,che un fatto dogmatico,conclusione
    teologicamente certa suffragata dal consenso unanime degli autori (peraltro
    posteriore alla promulgazione della Bolla stessa),sia contrario al Magistero della
    Chiesa,il quale si sarebbe espresso e avrebbe legiferato al riguardo già da più di
    quattro secoli!
    Ci sembra quindi opportuno un approccio più serio e ponderato sulla questione.
    Il documento di Paolo IV infatti concerne l ’elezione di un eretico a qualunque
    carica ecclesiastica,compreso il papato.In quest ’ultimo caso però la sua
    applicazione è impossibile,in quanto il caso si rivela metafisicamente impossibile
    se l'eletto è universalmente riconosciuto.Infatti se qualcuno è eretico davanti alla
    Chiesa e viene eletto papa,non è dato di capire come possa essere universalmente
    incontestato e riconosciuto da quella Chiesa davanti alla quale e per la quale resta
    eretico.Un tale ipotetico caso proverebbe,anziché la nullità dell ’elezione per eresia
    del soggetto davanti alla Chiesa,la conversione dell ’eretico davanti alla Chiesa e
    di conseguenza l ’avvenuta accollazione dell ’autorità(20 ) [(20)Storicamente questo caso ci sembra paragonabile,mutatis mutandis,a quello di Enea Silvio
    Piccolomini,eletto papa nel 1458 con il nome di Pio II.Questo pontefice,che in gioventù si era
    dimostrato incline alle tesi dell ’eresia conciliarista,salito sul soglio di Pietro ebbe a dire,con
    profonda umiltà:“Aeneam reicite,Pium recipite ” ((rigettate Enea ed accogliete Pio).]
    .Essere eretico davanti
    alla Chiesa significa infatti essere estromesso dalla Chiesa al di fuori del proprio
    corpo:pretendere che la Chiesa,anche solo teoricamente,possa al contempo ritenere
    qualcuno estromesso dal proprio corpo e universalmente riconoscerlo membro e
    addirittura capo -sulla terra -del proprio corpo significa necessariamente
    strumentalizzare e mal interpretare la Bolla di Paolo IV e attribuire alla Sposa di
    Cristo un nonsenso.
    Opporre Paolo IV alla teologia cattolica è del tutto disdicevole,ridicolizza al
    contempo sia il magistero che la sana teologia e dimostra la mancata comprensione
    della portata e del valore intrinseco dei rispettivi argomenti,strumentalizzati e
    utilizzati non per cercare la verità ma a supporto di un dato già presunto e acquisito
    in partenza(21 ) [(21)Sottolineamo come il consenso moralmente unanime dei teologi su un determinato elemento
    della dottrina rappresenti una sentenza teologicamente certa (Theologice Certum)e sia un criterio
    certo della Divina Tradizione (Cfr.J.Salaverri,De Ecclesia Christi,Th.XXI).Ora questo consen-
    so moralmente unanime lo troviamo nel ritenere certamente papa l ’eletto riconosciuto universalmente.
    La Bolla di Paolo IV,proprio perché prende in considerazione anche un caso impossibile,ha il
    pregio di evidenziare al massimo con quale zelo la Chiesa veglia sulla purezza della dottrina dei
    propri pastori.Mal compresa e mal interpretata la medesima Bolla è stata già utilizzata nel corso
    della Storia della Chiesa:durante il Concilio Vaticano I,gli avversari della proclamazione dell ’in-
    fallibilità pontificia,con a capo il Doëllinger,ne trassero argomenti contro la proclamazione di tale
    dogma (Pastor,Histoire de l ’Eglise,vol.XIV,p.244). ].
    A questo punto la dimostrazione di Sodalitium che ci sembrava essere apodittica
    in quanto dimostrava che l ’autorità del Magistero zittiva la teologia,prende invece
    in considerazione,quantunque a modo suo,la tesi del Billot:segno tangibile che
    quanto dimostrato finora non è considerato definitivamente probante nemmeno
    dai redattori di tale rivista.Naturalmente questa svolta dell ’argomentazione non
    mette in discussione l ’unico dato scontato e certo a priori nella prospettiva
    sedevacantista:il fatto che Paolo VI non fosse papa.Di conseguenza,pur prendendo
    in considerazione quanto il Billot afferma,bisogna fare quadrare la teologia con
    questa “certezza di fede ”:«Dato che la vacanza formale della Sede Apostolica è
    certa (cf.n.13 di Sodalitium ),di due cose l ’una:o l ’adesione della Chiesa universale
    non garantisce la legittimità di un pontefice eretico …oppure,se la garantisce,
    bisogna concludere che la Chiesa universale non ha aderito a Paolo VI e successori »
    (Sodalitium ,14,p.10).
    Il fatto dogmatico difeso dal Billot,al quale ora si riconosce un possibile valore,
    non è più un criterio per sapere chi è papa,ma una pietra d ’inciampo da smussare in qualche
    modo.

 

 
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