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    Predefinito 6 gennaio - Epifania del Signore

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Epifania del Signore

    6 gennaio

    Questa festa è la prima occasione in cui Dio si rivela all’umanità tramite il Figlio Gesù diviene visibile a tutti: Tale rivelazione fu prima rivolta ai pagani per mezzo dei Re Magi, i quali andarono a visitare il Bambino Gesù simbolo della chiamata alla salvezza delle popolazioni pagane. Successivamente le meraviglie del Signore si sono manifestate ai Giudei, poi ai discepoli a partire dal miracolo delle nozze di Cana.

    Martirologio Romano: Solennità dell’Epifania del Signore, nella quale si venera la triplice manifestazione del grande Dio e Signore nostro Gesù Cristo: a Betlemme, Gesù bambino fu adorato dai magi; nel Giordano, battezzato da Giovanni, fu unto dallo Spirito Santo e chiamato Figlio da Dio Padre; a Cana di Galilea, alla festa di nozze, mutando l’acqua in vino nuovo, manifestò la sua gloria.

    Martirologio tradizionale (6 gennaio): Epifania del Signore.

    D'origine orientale di questa solennità è nel suo stesso nome: "epifania", cioè rivelazione, manifestazione; i latini usavano la denominazione "festivitas declarationis" o "apparitio", col prevalente significato di rivelazione della divinità di Cristo al mondo pagano attraverso l'adorazione dei magi, ai Giudei col battesimo nelle acque del Giordano e ai discepoli col miracolo alle nozze di Cana. L'episodio dei magi, al di là di ogni possibile ricostruzione storica, possiamo considerarlo, come hanno fatto i Padri della Chiesa, il simbolo e la manifestazione della chiamata alla salvezza dei popoli pagani: i magi furono l'esplicita dichiarazione che il vangelo era da predicare a tutte le genti.
    Per la Chiesa orientale ha grande rilievo il battesimo di Cristo, la "festa delle luci", come dice S. Gregorio Nazianzeno, anche come contrapposizione ad una festa pagana del "sol invictus". In realtà, sia in Oriente come in Occidente l'Epifania ha assunto il carattere di una solennità ideologica, trascendente singoli episodi storici: si celebra la manifestazione di Dio agli uomini nel suo Figlio, cioè la prima fase della redenzione. Cristo si manifesta ai pagani, ai Giudei, agli apostoli: tre momenti successivi della relazione tra Dio e l'uomo.
    Al pagano è attraverso il mondo visibile che Dio parla: lo splendore del sole, l'armonia degli astri, la luce delle stelle nel firmamento sconfinato (nel cielo i magi hanno scoperto il segno divino) sono portatori di una certa presenza di Dio.
    Partendo dalla natura, i pagani possono "compiere le opere della legge", poiché, come diceva S. Paolo agli abitanti di Listri, il "Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano... nelle generazioni passate ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi di cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori" (At 14,15-17). Ora "in questi giorni, (Dio) ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo " (Eb 1,2). I molti mediatori della manifestazione della divinità trovano il loro termine nella persona di Gesù di Nazaret, nel quale risplende la gloria di Dio. Perciò noi possiamo oggi esprimere "l'umile, trepidante, ma piena e gaudiosa professione della nostra fede, della nostra speranza, del nostro amore" (Paolo VI).

    Autore: Piero Bargellini

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    Predefinito Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa

    (Disc. 3 per l'Epifania, 1-3. 5, in PL 54, 240-244)

    La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.
    Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.
    Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell'universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque «in Israele sia grande il suo nome» (cfr. Sal 75, 2).
    Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l'inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l'Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E' lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L'aveva annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: «Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5).
    «Abramo vide questo giorno e gioì» (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2).
    Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l'un l'altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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    Predefinito Dai Discorsi di Guerrico d’Igny

    Sermo II in Epiphania, 3-5.7, in PL 185, 52-54

    Ti rendiamo grazie, o Padre dei lumi, che dalle tenebre ci hai chiamati alla tua ammirabile luce (Cf 1 Pt 2,9). Ti rendiamo grazie, o Dio creatore, che hai comandato alla luce di brillare in seno alle tenebre e hai illuminato i nostri cuori per darci quella fulgida scienza che guida a conoscere il volto di Cristo (Cf 2 Cor 4,6). La vera luce, anzi la vita eterna, è conoscere te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Cf Gv 17,3). Noi ti conosciamo, perché conosciamo Gesù e perché Padre e Figlio sono uno. Ti conosciamo mediante la fede, che ci è pegno sicuro per quando, più tardi, ti conosceremo nella visione. Mentre siamo in attesa, aumenta in noi, o Padre, questa fede, guidaci di fede in fede più viva, di luce in luce, sotto la mozione del tuo Spirito, perché penetriamo ogni giorno più a fondo nei tesori di luce. Allora la fede sarà più vasta, la conoscenza più ricca, l'amore più ardente e comunicativo, fino al momento in cui saremo condotti al faccia a faccia mediante la fede. Questa, come la stella, ci guiderà fino al nostro Re di Betlemme.

    Pensiamo al gaudio esultante dei Magi, nell'approdare alla Gerusalemme dell'alto: quale ricompensa per la loro fede! Là vedranno regnare colui che adorano nel bimbo che vagisce a Betlemme. Qui l'hanno visto nell'albergo dei poveri, lassù lo contempleranno nel palazzo degli angeli. Qui trovano un piccino in fasce, lassù un re fra gli splendori dei santi. Qui un neonato in petto a sua madre, lassù il Figlio sul trono del Padre. Davvero grande è la fede dei Magi, ché ha in ricompensa la visione beata. A Betlemme essi vedono solo povertà e debolezza, ma la loro fede non si scandalizza, non disattende dall'adorare Dio nell'uomo e l'uomo in Dio. La stella uscita da Giacobbe, la stella del mattino, aveva illuminato il cuore dei Magi; l'astro che non conosce tramonto, preceduto dalla stella, nel cielo di Betlemme, aveva messo fuoco nell'anima loro. Salomone l'aveva annunziato: La strada dei giusti è come la luce dell'alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio (Prv 4,18).
    Al primo levarsi della stella splendente, i Magi imboccarono il giusto cammino; guidati dalla sua luce,avanzarono fino a vedere di nuovo spuntare la stella del mattino; giunti al termine, contemplarono in volto il Sole meridiano fiammeggiante nel giorno della sua potenza.

    Con felice ed espressivo simbolismo il racconto dei Magi ci addita il cammino della fede in ognuno. In quegli albori della Chiesa nascente, in quelle primizie delle nazioni, scorgiamo le tappe della vita spirituale: gli inizi, il progresso, il compimento. Seguiamo così i Magi, perché nei figli si riconoscano le tracce dei padri. Dalla visione della stella i Magi furono condotti fino a vedere il Bambino e approdarono alla visione di Dio. Così la nostra fede nasce dalla predicazione delle verità spirituali, si rafforza con le immagini simboliche e misteriose del Dio fatto uomo; giungerà alla pienezza quando contemplerà a faccia a faccia la realtà vera e presente. Oggi essa ci appare fuggitiva e indistinta, ma ci sarà svelata, quando la fede si trasformerà in conoscenza, la speranza in possesso, il desiderio in godimento.

    Fratelli cari, fissare lo sguardo su chi è già illuminato è un'eccellente iniziazione che ben si addice alla nostra debolezza. La strada più diritta per trovare Gesù è seguire la scia luminosa dei nostri Padri. Il sentiero del giusto è diritto., il cammino del giusto tu rendi piano (Is 26,7). Chi segue il Giusto non cammina nelle tenebre, egli vedrà la luce della vita, anzi la possederà. La pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente come di quella futura (1 Tm 4,8) . Esercitiamoci perciò a vivere piamente in Cristo e non resteremo delusi né qui né lassù, perché, il Signore stesso si è fatto nostro garante. Attendiamo alle opere della luce: Dio nasconde il bagliore luminoso nelle sue mani, lo destina al suo amato e lo invita a salire per possederlo (Cf Gb 36,32, Volgata). Talvolta lo rivelerà, per confortarci nella fatica terrena; ma ce lo darà totalmente in ricompensa nella patria, lui, il Cristo Gesù, la nostra luce, che vive e regna nei secoli eterni.

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    Predefinito Dagli Inni di Romano il Melode.

    Inni, XII-XIX, trad. G. Gharib, Paoline, Roma, 1981, 171.176.221-223.

    I Magi presero in mano i loro doni e si prostrarono davanti al Dono dei doni, davanti al Profumo dei profumi: offrirono a Cristo oro, mirra e incenso, esclamando: "Accogli questo triplice dono, come accogli l'inno trisagio dei Serafini. Non lo respingere come quello di Caino, ma ricevilo come offerta di Abele. Ricevilo in nome di colei che ti mise al mondo, e grazie alla quale sei nato per noi, nuovo Bambino, Dio di prima dei secoli". Quando Dio si manifestò ad Abramo, seduto presso la quercia di Mamre, fu visto sotto le sembianze di angelo; ma Abramo non riconobbe chi egli era, perché non ne avrebbe sopportata la visione. Oggi Dio si lascia vedere da noi non a quel modo, ma sotto l'aspetto proprio, perché il Verbo si è fatto carne. Un tempo l'enigma, oggi la realtà.

    Dio si fece vedere ai padri e ai patriarchi in ombra e figura; ai figli invece ha riservato di vedere la Verità stessa. Dio apparve un tempo ad Abramo, però questi non vide Dio. Noi invece contempliamo, perché egli lo vuole, e tocchiamo colui che è apparso e ha illuminato l'universo. Convinto di essere amato, Mosè chiedeva di vedere chi lo amava e così supplicava: "Se tu mi ami, mostrami il tuo volto !". Tuttavia, egli non fu ritenuto degno di vedere il volto, ma soltanto le spalle, e ancora in modo imperfetto; v'era infatti là una fessura nella roccia attraverso la quale egli vide quanto vide. Come può vedere, chi vede attraverso una fessura, se non una parte di quanto desidera contemplare? Gloria a te per esserti mostrato allo sguardo di tutti noi non in parte, ma per intero tu, il Creatore, che sei apparso e hai illuminato l'universo.

    Anticamente Isaia, figlio di Amos, diceva di aver veduto Dio sopra un trono alto ed elevato e la dimora di lui colma della sua gloria. Egli vide nel torpore dello spirito, come profeta, e non con gli occhi del corpo. Ma noi, noi contempliamo con gli occhi della carne il Signore degli eserciti ed eleviamo verso di lui l'inno degli angeli a sei ali: "Santo, Santo, Santo l'Incarnato, Santo Dio". Tre volte proclamiamo santo l'unico Santo dei santi che è apparso e ha illuminato l'universo. Gli occhi dei mortali hanno ricevuto la capacità di osservare la figura celeste; le palpebre delle creature impastate di fango percepirono il raggio senza ombra della luce immateriale, che profeti e sovrani non videro, ma bramavano di vedere.

    Se soltanto conoscessimo bene quanto ci è offerto! Abbiamo nella fede quanto possiamo domandare: perché andare a perderci nelle nuvole? Retta è la strada: che nessuno ci faccia deviare da essa. Maria ci ha indicato il cammino: ella diceva "Signore" al proprio figlio, figlio suo, realmente nato da lei, - come ci è stato or ora insegnato. Incarnato da lei e dallo Spirito Santo, lui che è apparso e ha illuminato l'universo. Andiamo a vedere Betlemme, questo paradiso riaperto. In questo luogo nascosto noi troviamo le delizie; andiamo a riprendere i beni del paradiso in una grotta. Ivi è apparsa la radice non irrorata, che germinò il perdono. Ivi si è trovato il pozzo, non scavato, al quale Davide desiderò bere. Ivi una vergine, mettendo alla luce un bambino, estinse subito la sete di Adamo e di Davide. Affrettiamoci perciò ad andare dove è nato nuovo Bambino, il Dio di prima dei secoli.

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    Predefinito Dalle "Omelie" di san Basilio Magno

    Hom. 6, In nativit. Christi, in PG 31, 1462.1471s.

    Il Dio-Verbo, senza mai separarsi da se stesso venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14); senza subire alcun mutamento, si fece carne; il cielo che lo conteneva non rimase privo di lui mentre la terra lo accoglieva nel suo seno.
    Lasciati penetrare da questo mistero: Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno, una volta ingeriti, ne annullano gli effetti, e come il buio in una casa è dissipato dalla luce che entra, così la morte che dominava sull'umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell'acqua finché dura la notte e persiste l'oscurità, ma tosto si scioglie al calore del sole; così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia, fu ingoiata dalla vittoria (1 Cor 15, 54), non potendo coesistere con la Vita.

    Quella stella apparve in Oriente e incitò i magi a mettersi alla ricerca del neonato. Poi scomparve fino alla seconda apparizione in Giudea, mentre essi erano in preda all'angoscia: fu quello l'indizio per cui conobbero di chi era la stella, chi lei serviva e la faceva sorgere. La stella infatti li precedeva finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia (Mt 2, 9-10). Sentiamo anche noi in cuore questa grandissima gioia. E' quella che gli angeli annunziarono ai pastori. Adoriamo insieme coi magi, cantiamo gloria con i pastori, danziamo insieme con gli angeli, poiché oggi è nato a noi un Salvatore che è il Cristo Signore (Lc 2,10). Egli ci è apparso non nella sua condizione divina, per non spaventare la nostra debolezza, ma nella condizione di uno schiavo per liberarci dalla schiavitù.

    Chi sarà così vile e ingrato da non rallegrarsi ed esultare di gioia per un simile avvenimento? E' una festa comune a tutta la creazione: dà in dono al mondo le realtà che superano il mondo; manda arcangeli a Zaccaria sacerdote e a Maria, raduna cori d'angeli per cantare: Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama (Lc 2, 14). Scendono stelle dal cielo; magi si mettono in cammino da contrade pagane; la terra è contenuta in una grotta. Non ci sia nessuno che non abbia da offrire qualcosa, nessuno arrivi a tanta ingratitudine. Noi pure manifestiamo la nostra gioia: diamo alla festa il nome di "Teofania". Festeggiamo la salvezza del mondo, il giorno della nascita dell'umanità.

    Oggi è tolta la condanna di Adamo. Non si dirà più: Polvere tu sei e in polvere tornerai (Gn 3, 19), ma unito a colui che è nei cieli sarai elevato al cielo. Non si udrà più la condanna: Con dolore partorirai figli (Gn 3,16), perché è beata colei che ha dato alla luce l'Emmanuele e lo ha allattato. Ed eccone la ragione: Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità (Is 9, 5). Il cuore mi si dilata, lo spirito zampilla come una sorgente, ma impacciata è la lingua e tartaglia per annunziare una gioia così travolgente. Pensate un poco: parlare in modo degno, divino, dell' Incarnazione del Signore! Parlare della divinità purissima, immacolata, anche se abita la terra. Essa corregge ogni imperfezione, senza contrarne alcuna. O abisso della tenerezza e dell'amore di Dio per gli uomini.

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    Predefinito Dai "Discorsi" di san Leone Magno

    Disc. 36, 1 (6° dell'Epif.), in SCh. 22b, 267-269 e 33,5 (3° dell'Epif.), in SCh. 22b, 235-237

    Già sapete, fratelli. che la grazia di Dio apparve nella fulgida stella e che la vocazione delle genti era inclusa in quella dei tre magi; sapete pure che nel re empio si annunziava la crudeltà dei pagani, e nel massacro dei fanciulli il modello di tutti i martiri.
    Ma poiché in questo giorno dobbiamo rispondere alla vostra attesa col ministero sacerdotale della parola, ci sforzeremo come possiamo con l'aiuto dello Spirito di Dio, di giungere seguendo il percorso dell'intelletto, a comprendere che il mistero di questa festa appartiene ad ogni tempo e a tutti i fedeli. Non dobbiamo affatto reputare insolito un evento che adoriamo come antico, secondo l'economia temporale.
    Ogni anima cristiana non deve pensare nulla che sia indegno della maestà del Figlio di Dio e ognuno deve superare i semplici rudimenti di una fede iniziale per progredire verso nozioni più alte; però non è necessario che la mente umana, debole com'è, esiti ad ammettere l'unione della divinità con la nostra natura dopo che Cristo ha assunto la reale natura di un uomo, né che stenti a raggiungere la conoscenza della divinità, che Cristo ha identica con il Padre, contemplando la sua nascita e gli sviluppi del suo corpo.

    Quando tra gli oscuri pensieri rifulge un raggio della luce dell'alto, allora lo splendore della verità rompa gli indugi della fede esitante, e il cuore libero e sciolto dalle realtà visibili, segua la luce dell'intelligenza, come una stella che fa da guida; poiché come dice l'Apostolo: Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre (Fil 2, 11), senza diffidenza ora la mente dei fedeli adori regnante col Padre colui che venera umilmente adagiato in una culla.
    Questa manifestazione, dilettissimi, spazza le nubi delle anime dubbiose e fa conoscere il Figlio di Dio in modo che non debbano incontrare nessun ostacolo nel fatto vero ch'egli è anche figlio dell'uomo; infatti la sua manifestazione è la prerogativa della festa odierna. E l'infanzia del Salvatore afferma davvero la sua divinità, in quanto i sensi corporei dalle cose umane sono trasportati a quelle divine, sicché i segni della sua potenza innalzano gli spiriti depressi dai segni della sua debolezza.
    Un tal soccorso era davvero necessario alla nostra natura e alla nostra causa: il genere umano non poteva essere restaurato da un abbassamento in cui fosse assente la maestà, né da una maestà a cui mancasse l'abbassamento.

    D'ora in poi, quando nel progresso di ogni fedele risplende la fedeltà ad osservare i comandamenti e si adempie la parola: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendono gloria al vostro Padre che è nei cieli Mt 5,16, chi non comprende che è presente la divinità là dove vede apparire la virtù? Questa non esiste senza Dio e non ha in sé la prerogativa della divinità se non è impregnata dello Spirito del suo Creatore. Cristo infatti dice ai discepoli: Senza di me non potete far nulla (Gv 15, 5). E' chiaro che l'uomo che opera il bene ha da Dio e il potere di condurre a termine l'opera e l'inizio della buona volontà.

    Se uno si scopre il cuore tutto intento all'amore di Dio e del prossimo, tanto da volere che pure i suoi nemici ricevano i beni che si augura per sé stesso, allora costui, chiunque sia, non può dubitare che Dio lo guida e abita in lui. Infatti coloro ai quali è detto: Il regno di Dio è dentro di voi (cf Lc 17, 21) non fanno nulla senza lo Spirito di colui dalla volontà del quale sono guidati. Sapendo dunque che Dio è carità, e che opera tutto in tutti (cf 1 Cor 12, 6), cercate la carità perché i cuori di tutti i fedeli si uniscano in un medesimo sentimento di casto amore. Le cose transitorie e le vanità non ci occupino; tendiamo con incessante brama a quello che rimarrà per sempre. E' necessario che il mistero della festa odierna sia perpetuo in noi e allora senza interruzione sarà celebrato se in tutti i nostri atti apparirà Gesù Cristo Signore che vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli eterni.

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    Predefinito Dai Discorsi del beato Giovanni d'Avila

    Disc. 2 per Epif. Ediz. BAC, 1953, 11, 135 s.

    I re adorano il Bambino e immagino che gli bacino i piccoli piedi. Aprono poi i tesori: quando si incontra il Bambino prorompe la generosità. I Magi schiudono gli scrigni, tirano fuori tesori e non soltanto roba dozzinale; ognuno offre tanto oro, tanta mirra, tanto incenso.
    E tu che offri a Dio? Non ho niente ... Supponi che il cielo sia chiuso per chi non possiede nulla? Anzi, è ancora più spalancato per chi non avrà da render conto, come il ricco, della condivisione di quanto gli fu elargito. Disgraziato chi s'ingozza di cibo ma è poco robusto: gli si formerà dentro un tumore che lo porterà alla tomba. Lo stomaco non ingerisce cibo solo per sé, ma per ripartirlo in tutto l'organismo. Possiedi una gran fortuna, ma la tua carità è troppo languida per essere condivisa? Te la terrai per te e diverrà la corda con cui sarai impiccato.

    A Davide spettava presentare a Dio molte offerte, ma quando egli venne alla sua presenza, disse al Signore Sono io la tua offerta (cf Sal 39, 7). Dio senz'altro apprezza di più un simile dono che non vitelli e montoni. Aprigli il cuore e gli avrai offerto un tesoro che lo colma di gioia. Dio, lui, ha già spalancato viscere e cuore; attraverso la piaga del suo costato, puoi scorgerne il cuore e l'amore. Schiudigli il tuo senza trincerarti. Sosta un momento a riflettere: Signore, il cuore ti fu squarciato da un colpo di lancia e io non ti amerò? Mi hai aperto il cuore e io non ti dovrò aprire il mio? L'offerta che ti presento è il mio cuore. Se glielo dai davvero, sarà stato una bella offerta; Dio apprezza di più un pochino del tuo cuore che non regali vistosi, privi d'affetto. Da' a Dio un po' del tuo cuore e sarà come se gli avessi offerto una catasta di oro. Vale di più un granello d'oro che una manciata di monetine; un boccone di vivanda prelibata che una caterva di cibi scipiti.

    Un solitario domandò ad un anziano: Padre, da che cosa dipende che tu sia più santo, dato che io fatico, prego e faccio penitenza più di te? - Perché, rispose l'altro, io amo in misura maggiore.
    Quando offriamo a Dio amore è come offrirgli oro. Qualcuno gemerà: Ho poco amore. Allora prega molto. Non hai oro? Offri incenso. L'incenso è la preghiera, come insegna Davide. Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio (Sal 140, 2). Implora verso Dio: Signore, come potrei non amarti, non renderti onore, fare a meno di servirti? Ammetti di essere un pezzente e vieni davanti alla greppia per l'elemosina. Se non hai oro, offri preghiera. Non ho né oro né incenso. Offri la mirra. Signore, dice il salmista, ti offrirò olocausti con fragranza di montoni, immolerò a te buoi e capri (Sal 65, 15). E io, Signore, ti offrirò grassi olocausti di amore e di dedizione.

    Offrire il cuore a Dio significa presentargli una vacca grassa con il midollo delle ossa. Il midollo si fonde al contatto delle braci roventi. Più di ogni altro organo il midollo è riposto all'interno del corpo, chiuso in un osso così duro che neppure scoccando un dardo acuminato lo si trafigge. Anche l'amore di Dio va protetto con cura, come da un osso duro, dal fermo proposito di non far mai nulla di contrario. Niente deve intaccarlo. Ama davvero Iddio chi non riserva niente per sé. E tu, che puoi fare per il Bambino? Soffrire un poco attraverso la tua fatica. Lui, ancora piccino, ha già patito per te; e poi la croce lo tormentò di più della sofferenza che angustia te. Per uno è duro lavoro rinunciare alle critiche, per un altro aprire la borsa per l'elemosina. Offri questo a Dio: sarà come sacrificargli un bue, perché donare a Dio qualcosa che costi, vale l'offerta di un vitello grasso. Compiere per amore di Dio quanto è penoso, significa offrirgli mirra. E se saprai fargli questi doni, Dio nella sua bontà inesausta ti porrà tra le mani oro e incenso perché tu possa offrigli tesori degni di re. Il Signore per ora ti nutrirà con una sovrabbondanza di grazia e più tardi con la sua gloria. Non è questo il sogno di tutti? Che esso divenga realtà!

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    Predefinito Dai Discorsi di Giuliano di Vézelay

    Sermo in Epiphaniam. II, in SC 192, 80-82

    I Magi, prostratisi, adorarono il Bambino (Mt 2, 11). Anche tu farai lo stesso. I Magi, questi tuoi maestri, ti insegnano un elemento del culto divino, in che modo cioè devi adorare Dio. Prostratisi, lo adorarono, dice il vangelo. Tu, invece, non fai così; entri nella casa di preghiera, la casa dove Gesù è adorato, e subito, fiacco e svogliato, ti siedi o ti afflosci come gravato da un peso. Anzi, ti sistemi con disinvoltura, quasi con accuratezza, ma non per pregare, bensì per dormire. Quanto alle preghiere stesse ? ammesso che siano preghiere ? e ai salmi, li percorri ad una tale velocità che tagli i versetti dimezzandoli quasi. Salomone piegò le ginocchia in terra, quando il tempio fu terminato e lui, indefesso interlocutore di Dio, dette libero corso a una lunga preghiera. Davide si descrisse nella preghiera come uno che è prostrato nella polvere, il corpo steso a terra (cf Sal 43, 26). Tutta la sua persona era impegnata nell'adorazione, tanto da esclamare: Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore (Sal 94, 6).
    Forse ti è troppo difficile imitare addirittura dei re che nel bel mezzo dell'agitazione e degli assilli di corte seppero pregare con tale devozione e simile fervore? Imita almeno i Magi: Prostratisi, lo adorarono!

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 202-212

    EPIFANIA DI NOSTRO SIGNORE

    Il nome della festa.


    La festa dell'Epifania è la continuazione del mistero di Natale; ma si presenta, sul Ciclo cristiano, con una sua propria grandezza. Il nome che significa Manifestazione, indica abbastanza chiaramente che essa è destinata ad onorare l'apparizione di Dio in mezzo agli uomini.

    Questo giorno, infatti, fu consacrato per parecchi secoli a festeggiare la, Nascita del Salvatore; e quando i decreti della Santa Sede obbligarono tutte le Chiese a celebrare, insieme con Roma, il mistero della Natività il 25 dicembre, il 6 gennaio non fu completamente privato della sua antica gloria. Gli rimase il Nome di Epifania con la gloriosa memoria del Battesimo di Gesù Cristo, di cui la tradizione ha fissato a questo giorno l'anniversario.

    La Chiesa Greca dà a questa Festa il venerabile e misterioso nome di Teofania, celebre nell'antichità per significare un'Apparizione divina. Ne parlano Eusebio, san Gregorio Nazianzeno, sant'Isidoro di Pelusio, e, nella Chiesa Greca, è il titolo proprio di questa ricorrenza liturgica.

    Gli Orientali chiamano ancora questa solennità i santi Lumi, a motivo del Battesimo che si conferiva un tempo in questo giorno in memoria del Battesimo di Gesù Cristo nel Giordano. È noto come il Battesimo sia chiamato dai Padri illuminazione, e quelli che l'hanno ricevuto illuminati.

    Infine, noi chiamiamo comunemente, in Francia, tale festa la Festa dei Re, in ricordo dei Magi la cui venuta a Betlemme è celebrata oggi in modo particolare.

    L'Epifania condivide con le Feste di Natale, di Pasqua, della Ascensione e di Pentecoste, l'onore di essere qualificata con il titolo di giorno santissimo, nel Canone della Messa; e viene elencata fra le feste cardinali, cioè fra le solennità sulle quali si basa l'economia dell'Anno liturgico. Una serie di sei domeniche prende nome da essa, come altre serie di domeniche si presentano sotto il titolo di Domeniche dopo Pasqua, Domeniche dopo la Pentecoste.

    Il giorno dell'Epifania del Signore è dunque veramente un gran giorno; e la letizia nella quale ci ha immersi la Natività del divino Bambino deve effondersi nuovamente in questa solennità. Infatti, questo secondo irradiamento della Festa di Natale ci mostra la gloria del Verbo incarnato in un nuovo splendore; e senza farci perdere di vista le bellezze ineffabili del divino Bambino, manifesta in tutta la luce della sua divinità il Salvatore che ci è apparso nel suo amore. Non sono più soltanto pastori che son chiamati dagli Angeli a riconoscere il VERBO FATTO CARNE, ma è il genere umano, è tutta la natura che la voce di Dio stesso chiama ad adorarlo e ad ascoltarlo.

    I misteri della festa.

    Nei misteri della divina Epifania, tre raggi del sole di giustizia scendono fino a noi. Questo sesto giorno di gennaio, nel ciclo della Roma pagana, fu assegnato alla celebrazione del triplice trionfo d'Augusto, autore e pacificatore dell'Impero; ma quando il pacifico Re, il cui impero è eterno e senza confini, ebbe con il sangue dei suoi martiri, la vittoria della propria Chiesa, questa Chiesa giudicò, nella sapienza del cielo che l'assiste, che un triplice trionfo dell'Imperatore immortale dovesse sostituire, nel rinnovato Ciclo, i tre trionfi del figlio adottivo di Cesare.

    Il 6 gennaio restituì dunque al venticinque dicembre la memoria della Nascita del Figlio di Dio; ma in cambio tre manifestazioni della gloria di Cristo vennero ad adunarsi in una stessa Epifania: il mistero dei Magi venuti dall'Oriente sotto la guida della Stella per onorare la divina Regalità del Bambino di Betlemme; il mistero del Battesimo di Cristo proclamato Figlio di Dio nelle acque del Giordano dalla voce stessa del Padre celeste; e infine il mistero della potenza divina di quello stesso Cristo che trasforma l'acqua in vino al simbolico banchetto delle Nozze di Cana.

    Il giorno consacrato alla memoria di questi tre prodigi è insieme l'anniversario del loro compimento? È una questione discussa. Ma basta ai figli della Chiesa che la loro Madre abbia fissato la memoria di queste tre manifestazioni nella Festa di oggi, perché i loro cuori applaudano i trionfi del divin Figlio di Maria.

    Se consideriamo ora nei particolari il multiforme oggetto della solennità, notiamo innanzi tutto che l'adorazione dei Magi è il mistero che la santa Romana Chiesa onora oggi con maggior compiacenza. A celebrarlo è impiegata la maggior parte dei canti dell'Ufficio e della Messa, e i due grandi Dottori della Sede Apostolica san Leone e san Gregorio, sembra che abbiano voluto insistervi quasi unicamente, nelle loro Omelie sulla festa, benché confessino con sant'Agostino, san Paolino di Noia, san Massimo di Torino, san Pier Crisologo, sant'Ilario di Arles e sant'Isidoro di Siviglia, la triplicità del mistero dell'Epifania. La ragione della preferenza della Chiesa Romana per il mistero della Vocazione dei Gentili deriva dal fatto che questo grande mistero è sommamente glorioso a Roma che, da capitale della gentilità quale era stata fino allora, è diventata la capitale della Chiesa cristiana e dell'umanità, per la vocazione celeste che chiama oggi tutti i popoli alla mirabile luce della fede, nella persona dei Magi

    La Chiesa Greca non fa oggi menzione speciale dell'adorazione dei Magi. Essa ha unito questo mistero a quello della Nascita del Salvatore negli Uffici per il giorno di Natale. Tutte le sue lodi, nella solennità odierna, hanno per unico oggetto il Battesimo di Gesù Cristo.

    Questo secondo mistero dell'Epifania è celebrato insieme con gli altri due dalla Chiesa Latina, il 6 gennaio. Se ne fa più volte menzione nell'Ufficio di oggi; ma siccome la venuta dei Magi alla culla del neonato Re attira soprattutto l'attenzione della Roma cristiana in questo giorno, è stato necessario, perché il mistero della santificazione delle acque fosse degnamente onorato, legare la sua memoria a un altro giorno. Dalla Chiesa d'Occidente è stata scelta l'Ottava dell'Epifania per onorare in modo particolare il Battesimo del Salvatore.

    Essendo inoltre il terzo mistero dell'Epifania un po' offuscato dallo splendore del primo, benché sia più volte ricordato nei canti della Festa, la sua speciale celebrazione è stata ugualmente rimessa a un altro giorno, e cioè alla seconda Domenica dopo l'Epifania.

    Alcune Chiese hanno associato al mistero del cambiamento dell'acqua in vino quello della moltiplicazione dei pani, che ha infatti parecchie analogie con il primo, e nel quale il Salvatore manifestò ugualmente la sua potenza divina; ma la Chiesa Romana tollerando tale usanza nel rito Ambrosiano e in quello Mozarabico, non l'ha mai accolta, per non venir meno al numero di tre che deve segnare nel Ciclo i trionfi di Cristo il 6 gennaio, e anche perché san Giovanni ci dice nel suo Vangelo che il miracolo della moltiplicazione dei pani ebbe luogo nella prossimità della Festa di Pasqua, il che non potrebbe attribuirsi in alcun modo al periodo dell'anno nel quale si celebra l'Epifania.

    Diamoci dunque completamente alla letizia di questo bel giorno e nella Festa della Teofania, dei santi Lumi, dei Re Magi, consideriamo con amore la luce abbagliante del nostro divino Sole che sale a passi da gigante, come dice il Salmista (Sal 18) e che riversa su di noi i fasci d'una luce tanto dolce quanto splendente. Ormai i pastori accorsi alla voce dell'Angelo hanno visto accrescere la loro schiera fedele; il Protomartire, il Discepolo prediletto, la bianca coorte degli Innocenti, il glorioso san Tommaso, Silvestro, il Patriarca della Pace, non sono più soli a vegliare sulla culla dell'Emmanuele; le loro file si aprono per lasciar passare i Re dell'Oriente, portatori dei voti e delle adorazioni di tutta l'umanità. L'umile stalla è diventata troppo stretta per un simile afflusso di persone; Betlemme appare vasta come il mondo. Maria, il Trono della divina sapienza, accoglie tutti i membri di quella corte con il suo grazioso sorriso di Madre e di Regina; presenta il Figlio alle adorazioni della terra e alle compiacenze del cielo. Dio si manifesta agli uomini, perché è grande, ma si manifesta attraverso Maria, perché è misericordioso.

    Ricordi storici.

    Nei primi secoli della Chiesa troviamo due avvenimenti notevoli che hanno illustrato il grande giorno che ci raduna ai piedi del Re pacifico. Il 6 gennaio del 361, l'imperatore Giuliano già apostata nel cuore, alla vigilia di salire sul trono imperiale, che presto la morte di Costanzo avrebbe lasciato vacante, si trovava a Vienna nelle Gallie. Aveva ancora bisogno dell'appoggio di quella Chiesa cristiana nella quale si diceva perfino che avesse ricevuto il grado di Lettore, e che tuttavia si preparava ad attaccare con tutta l'astuzia e tutta la ferocia della tigre. Nuovo Erode, artificioso come il primo, volle inoltre, in questo giorno dell'Epifania, andare ad adorare il Neonato Re. Nella relazione del suo panegirista Ammiano Marcellino, si vede il filosofo incoronato uscire dall'empio santuario dove consultava segretamente gli aruspici, avanzare quindi sotto i portici della Chiesa e in mezzo all'assemblea dei fedeli offrire al Dio dei cristiani un omaggio tanto solenne quanto sacrilego.

    Undici anni dopo, nel 372, anche un altro Imperatore penetrava nella chiesa, sempre nel giorno dell'Epifania. Era Valente, cristiano per il Battesimo come Giuliano, ma persecutore, in nome dell'Arianesimo, di quella stessa Chiesa che Giuliano perseguitava in nome dei suoi dei impotenti e della sua sterile filosofia. La liberta evangelica d'un santo Vescovo abbatte Valente ai piedi di Cristo Re nello stesso giorno in cui la politica aveva costretto Giuliano ad inchinarsi davanti alla divinità del Galileo.

    San Basilio usciva allora allora dal suo celebre colloquio con il prefetto Modesto, nel quale aveva vinto tutta la forza del secolo con la libertà della sua anima episcopale. Valente giunse a Cesarea con l'empietà ariana nel cuore, e si reca alla basilica dove il Pontefice celebrava con il popolo la gloriosa Teofania. "Ma - come dice eloquentemente san Gregorio Nazianzeno - l'Imperatore ha appena varcato la soglia del sacro tempio, che il canto dei salmi risuona al suo orecchio come un tuono. Egli contempla sbalordito la moltitudine del popolo fedele simile ad un mare.

    L'ordine, e la bellezza del santuario risplendono ai suoi occhi con una maestà più angelica che umana. Ma ciò che lo colpisce più di tutto, è l'Arcivescovo ritto davanti al suo popolo, con il corpo, gli occhi e la mente raccolti come se nulla di nuovo fosse accaduto, tutto intento a Dio e all'altare. Valente osserva anche i ministri sacri, immobili nel raccoglimento, pieni del sacro terrore dei Misteri. Mai l'Imperatore aveva assistito a uno spettacolo così sublime. La sua vista si oscura, il capo gli gira, e la sua anima è presa dallo sbigottimento e dall'orrore".

    Il Re dei secoli, Figlio di Dio e Figlio di Maria, aveva vinto. Valente sentì svanire i suoi progetti di violenza contro il santo Vescovo, e se in quel momento non adorò il Verbo consustanziale al Padre, confuse almeno i suoi omaggi esteriori a quelli del gregge di Basilio. Al momento dell'offertorio, avanzò verso la balaustra, e presentò i suoi doni a Cristo nella persona del suo Pontefice. Il timore che Basilio non lo volesse ricevere agitava con tanta violenza il principe che la mano dei ministri del santuario dovette sostenerlo perché non cadesse, nel suo turbamento, ai piedi stessi dell'altare.

    Così, in questa grande solennità, la Regalità del neonato Salvatore è stata onorata dai potenti di questo mondo che si son visti, secondo la profezia del Salmo, abbattuti e prostrati bocconi a terra ai suoi piedi (Sal 71).

    Ma dovevano sorgere nuove generazioni d'imperatori e di re che avrebbero piegato i ginocchi e presentato a Cristo Signore l'omaggio d'un cuore devoto e ortodosso. Teodosio, Carlo Magno, Alfredo il Grande, Stefano d'Ungheria, Edoardo il Confessore, Enrico II Imperatore, Ferdinando di Castiglia, Luigi IX di Francia tennero questo giorno in grande devozione, e furono orgogliosi di presentarsi insieme con i Re Magi ai piedi del divino Bambino e di offrirgli i loro cuori come quelli gli avevano offerto i loro tesori. Alla corte di Francia s'era anche conservata, fino al 1378 e oltre (come testimonia il continuatore di Guillaume de Nangis) l'usanza che il Re cristianissimo, giunto all'offertorio, presentasse dell'oro, dell'incenso e della mirra come un tributo all'Emmanuele.

    Usanze.

    Ma questa rappresentazione dei tre mistici doni dei Magi non era in uso solo nella corte dei re. Nel medioevo, anche la pietà dei fedeli presentava al Sacerdote, perché lo benedicesse, nella festa dell'Epifania, dell'oro, dell'incenso e della mirra; e si conservavano in onore dei tre Re quei commoventi segni della loro devozione verso il Figlio di Maria, come un pegno di benedizione per le case e per le famiglie. Tale usanza è rimasta ancora in alcune diocesi della Germania.

    Più a lungo è durata un'altra usanza, ispirata anch'essa dall'età di fede. Per onorare la regalità dei Magi venuti dall’Oriente verso il Bambino di Betlemme, si eleggeva a sorte, in ogni famiglia, un Re per la festa dell'Epifania. In un banchetto animato da una santa letizia, e che ricordava quello delle nozze di Galilea, si rompeva una focaccia di cui una parte serviva a designare l’invitato al quale era attribuita quella momentanea regalità. Due porzioni della focaccia erano prese per essere offerte al Bambino Gesù e a Maria, nella persona dei poveri che godevano anch'essi in quel giorno del trionfo del Re umile e povero. Le gioie della famiglia si confondevano con quelle della religione; i legami della natura, dell'amicizia, della vicinanza si rinforzavano attorno alla tavola dei Re; e se la debolezza poteva apparire qualche volta nell'abbandono di un banchetto, l'idea cristiana non era lontana e splendeva in fondo ai cuori.

    Beate ancor oggi le famiglie nel cui seno si celebra con cristiana pietà la festa dei Re! Per troppo tempo un falso zelo ha trovato da ridire contro queste semplici usanze nelle quali la gravità dei pensieri della fede si univa alle effusioni della vita domestica. Si faceva guerra a queste tradizioni della famiglia con il pretesto del pericolo dell'intemperanza, come se un banchetto privo di ogni linea religiosa fosse meno soggetto agli eccessi. Con uno spirito di ricerca alquanto difficile a giustificarsi, si è giunti fino a pretendere che la focaccia dell'Epifania e la innocente regalità che l'accompagnava non fossero altro che un'imitazione dei Saturnali pagani, come se fosse la prima volta che le antiche feste pagane avessero dovuto subire una trasformazione cristiana. Il risultato di sì imprudenti conclusioni doveva essere ed è stato, infatti, su questo punto come su tanti altri, di isolare dalla Chiesa i costumi della famiglia, di espellere dalle nostre tradizioni una manifestazione religiosa, di favorire quella che è chiamata la secolarizzazione della società.

    Ma torniamo a contemplare il trionfo del regale Bambino la cui gloria risplende in questo giorno con tanta luce. La santa Chiesa ci inizierà essa stessa ai misteri che dobbiamo celebrare. Rivestiamoci della fede e dell'obbedienza dei Magi; adoriamo, con il Precursore, il divino Agnello al di sopra del quale si aprono i cieli; prendiamo posto al mistico banchetto di Cana, presieduto dal nostro Re tre volte manifestato, e tre volte glorioso. Ma, nei due ultimi prodigi, non perdiamo di vista il Bambino di Betlemme, e nel Bambino di Betlemme non cessiamo inoltre di vedere il gran Dio del Giordano, e il padrone degli elementi.

    MESSA

    A Roma, la Stazione è a San Pietro in Vaticano, presso la tomba del Principe degli Apostoli a cui sono state affidate in eredità da Cristo tutte le genti.
    EPISTOLA (Is 60, 1-6). - Sorgi, ricevi la luce, o Gerusalemme; la tua luce brilla, e sopra te è spuntata la gloria del Signore. Ecco: le tenebre copriranno la terra, e la caligine i popoli, ma sopra te sorgerà il Signore, e sopra te si vedrà la sua gloria. Le nazioni cammineranno alla tua luce, e i re allo splendore che da te emana. Gira intorno lo sguardo e mira: tutti si radunano per venire a te. Da lungi verranno i tuoi figli, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora tu vedrai e sarai piena di gioia; si meraviglierà e si dilaterà il tuo cuore quando verso di te si rivolgeranno i popoli del mare, le potenze delle nazioni a te verranno. Tu sarai inondata da un numero sterminato di cammelli, dai dromedari di Madian e d'Efa; tutti quelli di Saba porteranno oro e incenso e celebreranno le lodi del Signore.
    O gloria infinita di questo gran giorno, nel quale comincia il movimento delle genti verso la Chiesa, la vera Gerusalemme! O misericordia del Padre celeste che si è ricordato di tutti i popoli sepolti nelle ombre della morte e del peccato! Ecco che la gloria del Signore si è levata sulla Città santa; e i Re si mettono in cammino per andarlo a contemplare. L'angusta Gerusalemme non può più contenere la calca di gente; è inaugurata un'altra città santa, verso di essa si dirigerà la moltitudine dei gentili di Madian e d'Efa. Apri il seno nella tua materna gioia, o Roma! Le tue armi ti avevano assoggettato degli schiavi; oggi sono dei figli che giungono in folla alle tue porte; solleva gli occhi e guarda: è tutto tuo; l'umanità intera viene a prendere nel tuo seno una nuova nascita. Apri le tue braccia materne, accogli noi tutti che veniamo dal Mezzogiorno e dall'Aquilone portando l'incenso e l'oro a Colui che è il Re tuo e nostro.
    VANGELO (Mt 2,1-12). - Nato Gesù in Betlem di Giuda al tempo del re Erode, ecco arrivare a Gerusalemme dei Magi dall'oriente e dire: Dov'è il nato re dei Giudei? Vedemmo la sua stella in oriente e siamo venuti per adorarlo. Udito questo, Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E radunati tutti i principi dei sacerdoti e gli Scribi del popolo, domandò loro dove avesse a nascere il Cristo. Ed essi gli risposero: A Betlem di Giuda; così infatti è stato scritto dal profeta: E tu Betlem, terra di Giuda, non sei la minima tra i capoluoghi di Giuda, che da te uscirà il duce che governerà Israele mio popolo. Allora, chiamati nascostamente i Magi, Erode volle sapere da loro minutamente il tempo della stella che era loro apparsa, e indirizzandoli a Betlem, disse : Andate e cercate con diligenza il fanciullo, e quando l'avrete trovato fatemelo sapere affinché io pure venga ad adorarlo. Essi, udito il re, partirono; ed ecco la stella, che avevano veduta in oriente, precederli, finché, giunta sopra il luogo ov'era il fanciullo, si fermò. Vedendo la stella, provarono grande gioia; ed entrati nella casa, trovarono il bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono; poi, aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. E avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, tornarono al loro paese per altra via.
    I Magi, primizie della Gentilità, sono stati introdotti presso il gran Re che cercavano, e noi tutti li abbiamo seguiti. Il Bambino ha sorriso a noi come a loro. Tutte le fatiche di quel lungo viaggio che porta a Dio sono dimenticate; l'Emmanuele rimane con noi, e noi con lui. Betlemme, che ci ha ricevuti, ci custodisce per sempre, perché a Betlemme possediamo il Bambino, e Maria Madre sua. In quale posto del mondo troveremmo tesori così preziosi? Supplichiamo questa Madre incomparabile di presentarci essa stessa il Figlio che è la nostra luce, il nostro amore, il nostro Pane di vita nel momento in cui ci avvicineremo all'altare verso il quale ci conduce la Stella della fede. Fin da questo momento apriamo i nostri tesori; teniamo in mano il nostro oro, il nostro incenso e la nostra mirra, per il Neonato. Egli gradirà questi doni con bontà, e non sarà in ritardo con noi. Quando ci ritireremo come i Magi, lasceremo come loro i nostri cuori sotto il dominio del divino Re, e anche noi per un'altra strada, per una via del tutto nuova, rientreremo in quella patria mortale che deve ancora trattenerci, fino al giorno in cui la vita e la luce eterna verranno a far sparire in noi tutto ciò che vi è di ombra e di tempo.

    L'ANNUNCIO DELLA PASQUA

    Nelle cattedrali e nelle altre chiese insigni, dopo il canto del Vangelo si annuncia al popolo il giorno della prossima festa di Pasqua. L'usanza, che risale ai primi secoli della Chiesa, ricorda il misterioso legame che unisce le grandi solennità dell'Anno liturgico, come pure l'importanza che i fedeli devono attribuire alla celebrazione della Pasqua che è la più importante di tutte, e il centro di tutta la religione. Dopo aver onorato il Re delle genti nell'Epifania, ci rimarrà dunque da celebrare, a suo tempo, il Trionfatore della morte. Ecco la forma nella quale si dà il solenne annuncio:
    Sappiate, o fratelli carissimi, che, come abbiamo gustato, per la divina misericordia, l'allegrezza della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, così noi vi annunziamo oggi le prossime gioie della Risurrezione del medesimo Dio e Salvatore. Il giorno ... sarà la Domenica di Settuagesima. Il ... sarà il giorno delle Ceneri e l'inizio del digiuno della santissima Quaresima. Il ... celebreremo con gaudio la santa Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo. La seconda domenica dopo Pasqua si terrà il Sinodo Diocesano. Il ... si celebrerà l'Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo. Il ... la festa di Pentecoste. Il ... la festa del Corpus Domini. Il ... sarà la prima Domenica dell'Avvento di Nostro Signore Gesù Cristo, al quale va l'onore e la gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
    Veniamo anche noi, a nostra volta, ad adorarti, o Cristo, in questa regale Epifania che raduna oggi ai tuoi piedi tutte le genti. Ricalchiamo le orme dei Magi, perché anche noi abbiamo visto la stella, e siamo accorsi. Gloria a te, o nostro Re, a te che dici nel Cantico di David: "Io sono stato fatto Re su Sion, sulla montagna santa, per annunciare la legge de] Signore. Il Signore m'ha detto che mi avrebbe dato in eredità le genti, e l'impero fino ai confini della terra. Or dunque, ascoltate, o re; istruitevi, o arbitri del mondo!" (Sal 2).

    Presto, o Emmanuele, dirai con la tua stessa bocca: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28), e qualche anno più tardi il mondo intero sarà sotto le tue leggi. Gerusalemme è già scossa; Erode trema sul suo trono; ma è vicina l'ora in cui gli araldi della tua venuta andranno ad annunciare alla terra intera che Colui che era l'atteso delle genti è arrivato. Partirà la parola che deve sottometterti il mondo, e si estenderà lontano come un immenso incendio. Invano i potenti della terra tenteranno di arrestarne il corso. Un Imperatore per farla finita, proporrà al Senato di iscriverti solennemente nel novero di quegli stessi dei che tu vieni a rovesciare; altri crederanno che sia possibile scalzare il tuo dominio con la carneficina dei tuoi soldati. Vani sforzi! Verrà il giorno in cui il segno della tua potenza adornerà le insegne pretoriane, il giorno in cui gli Imperatori vinti deporranno il loro diadema ai tuoi piedi e in cui la Roma così fiera cesserà di essere la capitale dell'impero della forza per diventare per sempre il centro del tuo impero pacifico e universale.

    Noi vediamo spuntare l'alba di quel giorno meraviglioso. Le tue conquiste cominciano oggi stesso, o Re dei secoli! Dalle lontananze dell'Oriente infedele, tu chiami le primizie di quella gentilità che avevi abbandonata, e che costituirà d'ora in poi la tua stessa eredità. Non più distinzioni di Giudeo e di Greco, di Scita e di Barbaro. Se, per tanti secoli, la tua predilezione fu rivolta alla stirpe di Abramo, la tua preferenza andrà d'ora in poi a noi Gentili. Israele non fu che un popolo, e noi siamo numerosi come la sabbia del mare, come le stelle del firmamento. Israele fu posto sotto la legge del timore; a noi hai riservato la legge dell'amore. Fin da oggi tu cominci, o divino Re, ad allontanare da tè la Sinagoga che disprezza il tuo amore; oggi stesso accetti per Sposa la Gentilità, nella persona dei Magi. Presto la tua unione con essa sarà proclamata sulla croce, dall'alto della quale, volgendo le spalle all'ingrata Gerusalemme, stenderai le braccia verso la moltitudine dei popoli. O gioia ineffabile della tua Nascita! Ma ancora gioia ineffabile della tua Epifania, nella quale è concesso a noi, finora abbandonati, di accostarci a te, di offrirti i nostri doni e di vederli graditi dalla tua misericordia, o Emmanuele!

    Ti siano rese grazie, o Bambino onnipotente, "per l'inenarrabile dono della fede" (2 Cor 9,15), che ci porta dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce! Ma fa' che comprendiamo sempre tutto il significato di un dono così magnifico, e la santità di questo giorno in cui stringi alleanza con tutta la stirpe umana, per giungere con essa a quel sublime matrimonio di cui parla il tuo eloquente Vicario Innocente III: "Matrimonio - egli dice - che fu promesso al patriarca Abramo, giurato al re David, compiuto in Maria divenuta Madre, e oggi consumato, confermato e proclamato: consumato nell'adorazione dei Magi, confermato nel Battesimo del Giordano e proclamato nel miracolo dell'acqua mutata in vino". In questa festa nuziale in cui la Chiesa tua Sposa, appena nata, riceve già gli onori di Regina, canteremo, o Cristo, con tutto l'entusiasmo dei nostri cuori, la sublime Antifona delle Laudi in cui i tre misteri si fondono meravigliosamente in uno solo, quello della tua Alleanza con noi.
    ANT. - Oggi la Chiesa si unisce al celeste Sposo: i suoi peccati sono lavati da Cristo nel Giordano; i Magi accorrono alle regali Nozze portando doni; l'acqua è mutata in vino e gli invitati del banchetto sono nella gioia. Alleluia.
    PREGHIAMO
    O Dio, che in questo giorno per mezzo di una stella rivelasti ai Gentili il tuo Unigenito, concedi a noi, che già ti conosciamo per mezzo della fede di giungere a contemplare lo splendore della tua gloria.

 

 
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