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  1. #1
    ITERUM RUDIT LEO
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    Venti di guerra soffiano sui Balcani

    10.46 In Kosovo Ue pronta a ruolo primo piano

    I capi di Stato e di governo dell'Ue ritengono che in Kosovo "lo status quo non sia mantenibile" e sottolineano che "la Ue è pronta a giocare un ruolo di primo piano per il rafforzamento della stabilità nella regione e per la defi- nizione di uno status futuro del Koso- vo". E' quanto si legge nella bozza di conclusioni sul tavolo del vertice del- l'Unione che si è aperto a Bruxelles. Il nuovo status del Kosovo "non creerà un precedente". I 27 esprimono il loro "rammarico" (ipocriti) per l'impossibilità diUn accordo accettato da entrambi le parti.

    12.40 Serbia ribadisce:no indipendenza Kosovo.

    "Non accetterò mai l'indipendenza del Kosovo e non la firmerò mai, non solo perché è un mio obbligo costituzionale ma anche perché sono profondamente con- vinto di questa posizione". Lo ha detto il presidente serbo, Boris Tadic, in un'intervista al quotidiano "Politika". Intanto il ministro della Difesa serbo, Sutanovac, in una lettera al suo omolo- go tedesco, Jung, ha assicurato che Belgrado non ricorrerà alla forza se
    il Kosovo dichiarerà l'indipendenza

    Il segretario di Stato americano appoggia il piano Onu sull’autonomia della provincia serba: “Garantirà la stabilità nei Balcani”
    Il segretario di Stato americano Condoleeza Rice non ha dubbi sul futuro dei Balcani: la stabilità della zona passa dall’indipendenza del Kosovo.
    “Kosovo e Serbia non saranno più un solo paese: questa è la realtà” che anche la Russia deve accettare: l’avvertimento di Rice a Mosca arriva in coda gli incontri di Bruxelles, che la settimana scorsa hanno visto il segretario di stato confrontarsi con il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov sulla spinosa questione.

    Il Kosovo, provincia serba a maggioranza albanese, chiede l’indipendenza, mentre la Serbia, appoggiata da Mosca, intende concedere solo una parziale autonomia. Se il governo russo rimarrà fermo sulle proprie posizioni, si troverà ad affrontare una pericolosa situazione di malcontento. “Kosovo e Serbia devono costruire ciascuno il proprio futuro, un futuro separato ma correlato”, sostiene invece Rice, che appoggia la proposta dell’emissario Onu per il Kosovo, Martti Ahtisaari: il piano prevede che la provincia kosovara ottenga l’autonomia totale, con una supervisione internazionale che accerti il rispetto delle minoranze etniche e religiose.
    La Russia però non intende restare a guardare: il governo di Mosca ha già annunciato la propria opposizione a qualsiasi dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo.

  2. #2
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    Simili porcherie soltanto l' occidente democazzico può commetterle. E' inconcepibile che venga imposto ad uno stato sovrano la secessione di una parte del proprio territorio (di un' importanza storica determinante per tutta la nazione serba) oggi a maggioranza albanese solo ed esclusivamente per le politiche guerrafondaie che lo stesso "mondo libero" ha intrapreso contro l' ormai ex-Jugoslavia.

  3. #3
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    KFOR: garanti della pace

  4. #4
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    Kosovo: prossima enclave filo-americana nei balcani

  5. #5
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  6. #6
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    Precedente intervento "umanitario" NATO/USA nella Regione

  7. #7
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    Eroi indipendentisti prezzolati e foraggiati dagli USA

  8. #8
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    vediamo se censurano anche questa

  9. #9
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  10. #10
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    Yves Bataille – Alessandro De Rienzo – Stefano Vernole, La lotta per il Kosovo, Edizioni all'insegna del Veltro, pp. 160, € 18,00







    Prefazione


    di Stefano Vernole

    Alla fine del mese di luglio 2006, proprio mentre a Vienna i delegati serbi ed albanesi s’incontravano per cercare di superare le rispettive e incolmabili differenze sul futuro status del Kosovo e Metohija, una regione oggi teoricamente amministrata dalla Comunità Internazionale ma in pratica sottoposta a una massiccia occupazione delle truppe NATO, il sottoscritto insieme all’amico Yves Bataille si è accodato a un viaggio organizzato dal governo di Belgrado per verificare la situazione di quella martoriata terra.
    Durante il breve soggiorno, abbiamo potuto comunque visitare le principali enclavi serbe rimaste nella “Terra Sacra” malgrado la pulizia etnica subita dalle minoranze non albanesi nel 1999, quando l’entrata dei soldati dell’Alleanza Atlantica paradossalmente ne avrebbe dovuto tutelare l’incolumità.
    Il secondo maggiore episodio di questa persecuzione si è registrato nel marzo 2004, in quanto dopo aver diffuso la falsa notizia dell’omicidio di due bambini albanesi ad opera di ragazzi serbi, la manovalanza che costituiva l’ex UCK ha ripreso in grande stile i pogrom specie contro gli edifici religiosi ortodossi e coloro che tentavano di proteggerli.
    Secondo il rapporto stilato dalle Nazioni Unite, gli scontri hanno provocato 19 morti – 11 Albanesi e 8 Serbi – e 954 feriti, ai quali bisogna aggiungere 65 feriti tra i poliziotti delle forze internazionali, 58 membri del KPS e 61 soldati della KFOR. Oltre alle 36 chiese, ai monasteri e ai siti culturali e religiosi ortodossi, 730 case appartenenti alle minoranze, specie Serbi del Kosmet, sono state danneggiate e distrutte.
    Le tappe toccate dalla nostra comitiva hanno riguardato le località di Kosovska Mitrovica, Semetiste, Gracanica, Brezenoviza e Strpce, con una veloce appendice a Skopje, alfine di valutare anche la “consistenza” della frontiera con la Macedonia (1).
    Perché a distanza di sette anni, vogliamo mettere ancora il Kosovo al centro dell’attenzione? In questi due contributi, nei quali tracciamo un bilancio storico-politico della situazione serba, io e Bataille intendiamo mettere in guardia sulle concrete strategie che si stanno giocando sullo scacchiere balcanico, dove la trama della destabilizzazione antieuropea ad opera degli Stati Uniti si è tutt’altro che conclusa.
    Concedere l’indipendenza da Belgrado agli Albanesi del Kosmet rischierebbe di creare un effetto domino in tutto lo spazio ex-jugoslavo, le cui conseguenze risulterebbero devastanti per la sua futura integrazione nel Vecchio Continente.
    La prima reazione al distacco di Pristina dalla madrepatria serba sarebbe la richiesta della Republika Srpska, che già possiede un proprio parlamento autonomo, di staccarsi dalla Federazione Bosniaca (2); scontri poi scoppierebbero in Macedonia (dove 1.500 Albanesi armati si addestrano a dispetto delle preoccupazioni della maggioranza slavo-ortodossa e della Bulgaria), nel Sud della Serbia (Valle di Presevo, Bujanovac, Medvedevo, aree a forte presenza albanese), in Montenegro (3) e probabilmente in Grecia (4).
    I reali motivi di questa “covert operation” statunitense sono tutti geopolitici.
    Le tre “highways”, Skopje-Sofia, Sofia-Kraljevo e Kraljevo-Pristina-Skopje, con il loro centro strategico nella città di Nis, rappresentano uno spazio di manovra centrale per le operazioni militari della NATO nei Balcani. Le Alpi in Italia e i Pirenei in Spagna, pongono un serio ostacolo ad esercitazioni in tutte le direzioni come quelle richieste dall’Alleanza Atlantica (5). “Per la sua posizione il Kosovo rappresenta un’interessante retrovia per l’azione americana nel Caucaso, nel Mar Nero e in Medio Oriente, aree dove si concentrano gli attuali interessi geostrategici americani” (6).
    Ancora una volta, l’Europa rischia di pagare un caro prezzo per la sua mancanza di sovranità politico-militare.
    Tutto questo mentre la piccola ma orgogliosa Serbia continua ad essere presa di mira dai centri di potere mondialisti, nel tentativo di spezzarne l’identità mitica e l’anima incontrollabile.
    Oggi, quando tutto sembra ormai perduto, i sondaggi d’opinione effettuati dagli stessi Anglo-Americani rilevano che il Partito Radicale serbo si trova oltre il 40% delle intenzioni di voto e il suo attuale Presidente, Tomislav Nikolic, paventa un asse geopolitico Belgrado-Minsk-Mosca-Pechino una volta arrivato al potere.
    Perfino il “moderato” Vojislav Kostunica, nel silenzio della diplomazia internazionale che non sa più che pesci pigliare, ha il 28 giugno 2006 partecipato alla rievocazione della battaglia di Kosovo Polje, che tanta cattiva popolarità aveva procurato in Occidente a Milosevic (7).
    Non a caso, gli ultimi colloqui di Vienna si sono conclusi con un nulla di fatto, i rappresentanti albanesi chiedono l’indipendenza, quelli serbi sono disposti al massimo a concedere una forte autonomia sul modello italiano dell’Alto Adige, mentre a Nord di Mitrovica già si prepara l’eventuale secessione.
    Il 28 settembre 2006 il parlamento di Belgrado ha adottato quasi all’unanimità la nuova Costituzione, che nell’ambito delle definizioni territoriali prevede due province autonome: la Vojvodina e il Kosovo e Metohija.
    In occasione del suo insediamento il presidente della Serbia dovrà perciò d’ora in avanti pronunciare la seguente frase di rito: “Giuro che impegnerò tutte le mie forze per mantenere l’integrità e la sovranità del territorio della Serbia compreso il Kosovo e Metohija come sua parte integrante, così come mi impegnerò per la realizzazione delle libertà e dei diritti umani delle minoranze”.
    Una mano in tal senso sembra provenire dalla Russia, che ha trasmesso al Gruppo di Contatto e allo stesso delegato delle Nazioni Unite, Marthi Athisaari, la sua posizione di sostegno alla sovranità serba sulla regione.
    Stando all’agenzia “Beta News”, il Cremlino sostiene che l’Unione Europea non può imporre una soluzione definitiva a Belgrado e se necessario le trattative sul futuro del Kosovo dovranno continuare anche nel 2007 (8).
    L’Italia, che per motivi storici, culturali ed economici, dovrebbe avere grande interesse a tutelare la posizione geopolitica della Serbia, continua ad essere troppo timida, con una diplomazia estremamente attenta a non dispiacere ai padroni di Washington e pronta ad accodarsi a interventi militari sciagurati come quello del governo D’Alema nel 1999.
    Gli Stati Uniti, che contano di aprire nel 2007, in piena bagarre elettorale, un centro della NATO a Belgrado, nel frattempo continuano il loro lavoro di lenta distruzione della rete nazionalista rimasta all’interno dell’esercito serbo, dopo aver infiltrato e costretto allo scioglimento l’Istituto di Geopolitica della ex capitale jugoslava.
    Ma la partita, almeno qui, è tutt’altro che chiusa.




    • Per un resoconto abbastanza dettagliato di questo giro si legga il mio Viaggio con i Serbi nel Kosovo, tra disperazione e speranza, 4 agosto 2006, www.eurasia-rivista.org.
    • Bosnia: Dodik minaccia nuovamente referendum secessione RS, 5 settembre 2006, “Ansa Balcani”. Questa dichiarazione dell’attuale Primo Ministro della Repubblica Serba di Bosnia segue peraltro la raccolta di decine di migliaia di firme per l’indipendenza da Sarajevo.
    • Subito dopo il distacco del Montenegro dalla Serbia, la minoranza albanese ha iniziato a rumoreggiare contro la politica dell’uomo forte di Podgorica, Milo Djukanovic. Cfr. Minorities accuse Djukanovic of Betrayal, di Nedjeliko Rudovic, su “The Belgrade Times” del 27 luglio 2006, p. 2.
    • Una piccola zona nel Nord-Ovest della Grecia è rivendicata dai sostenitori della “Grande Albania”, che nei casi più estremi arrivano a richiedere la sovranità anche su Corfù, Nis e il Sangiaccato.
    • Cfr. Manojlo Babic, in Kosovo e Metohija, challenges and responses: collection of papers submitted at the round table, the geopolitical future of Kosovo and Metohija, Belgrade, 1997, p. 294.
    • Cit. in Daniele Senzanonna, L’altra guerra del Kosovo, Padova, 2006, p. 84.
    • Tra i pochi siti internet che riportano un breve resoconto della visita di Kostunica a Gracanica e poi a Kosovo Polje, segnaliamo non a caso quello di “Radio Free Europe-Radio Liberty”, emanazione della CIA in Europa, www.rferl.org.
    • Cfr. Andrea Perrone, Putin: il Kosovo è serbo, “Rinascita”, 10/10/2006, p. 8.


 

 
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