OSSERVAZIONI SULLA SENTENZA DEL PROCESSO: MORTE DI BENITO MUSSOLINI
Si riporta l’ordinanza del G.I.P. Dr.ssa Cremona
A cura di Filippo Giannini

Un paio di anni fa scrissi questo articolo per un periodico: “La sfida”. Come era prevedibile (e come previdi) “La sfida” non venne accolta.
Per continuare l’iniziativa, con Guido Mussolini e assistiti da due ottimi avvocati, Carlo Morganti e Luciano Randazzo, presentammo una istanza sulla morte di Benito Mussolini.
Qui di seguito riporto prima l’articolo e, a seguire, la sentenza, dalla quale dedurrò alcune considerazioni

LA SFIDA
di Filippo Giannini

Leggo che nel libro di Bruno Vespa “Vincitori e Vinti” (e prego l’Autore di indicare chi sarebbero i “Vincitori” e chi i “Vinti”) Massimo D’Alema avrebbe detto che sarebbe stato più giusto processare Benito Mussolini anche perché il processo <avrebbe consentito di ricostruire un pezzo della storia d’Italia>. Ovviamente “i nipotini di Stalin” sono insorti, in testa a tutti Fassino, ma, più di lui Cossutta il quale, epigone della genia bolscevica, a certi atti di “civiltà” è ben avvezzo avrebbe accompagnato il suo pensiero con la solita stantia, stereotipa sentenza: <Mussolini è stato processato (come, dove e quando?, nda) dalla storia>. Dato che la storia non processa nessuno e che tanto meno può emettere sentenze e, di conseguenza, condanne, e dato che alcuni milioni di italiani ancora oggi (è un vero miracolo) non condividono l’asserto di Cossutta e compagni, allora, a nome di quanti vogliono sapere se Mussolini era un bieco tiranno o un “uomo giusto”, lancio la sfida: <Anche se a distanza di sessant’anni dall’”epopea di Piazzale Loreto”, si faccia questo processo: così, una volta per tutte, si potrà stabilire “chi era Mussolini” e quali e quanti “danni” furono procurati dal Fascismo>.
Il processo dovrà essere una cosa seria, con giudici – so bene quanto questo sia difficile – imparziali. Che si costituisca un collegio d’accusa e uno di difesa (chi scrive quest note, con la massima immodestia si candida come componente di quest’ultimo), con un serio, sottolineo serio, dibattimento. Che il processo si svolga al cospetto di tutti gli italiani, cioè teletrasmesso e in diretta. Vogliamo scommettere che un processo siffatto batterebbe ogni indice d’ascolto?
Sarei facile profeta se asserissi che questa “provocazione” non verrà presa in considerazione, perché, e questo è ben noto, Mussolini lo si volle morto in quanto da accusato sarebbe diventato accusatore; e questo ancora oggi farebbe tremare le mura degli “alti colli” e, giù giù, sino a passare per le “Botteghe Oscure” (o nei pressi) e ancora più in basso.
Tuttavia assicuro che questa “sfida” verrà inviata, via e-mail, a tutti i giornali possibili, alle emittenti televisive e ancora più sù, nonché a tutti gli indirizzi in mio possesso. E mi auguro che chiunque riceverà questa “democraticissima” proposta si faccia carico di ampliarne la conoscenza.

LA SENTENZA:

TRIBUNALE PENALE DI COMO, UFFICIO DEL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI

IL GIP
Letta la sentenza di archiviazione depositata dal PM in Sede:
vista l’opposizione proposta dalla persona offesa ai sensi dell’art. 410 cpp:
a scioglimento della riserva formulata all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 27.09.07, osserva quanto segue.
In data 3.8.2006 perveniva alla Procura della Repubblica presso questo Tribunale formale atto di denunzia proposto da Guido MUSSOLINI che, con i suoi difensori, chiedeva procedersi contro gli autori dell’omicidio del nonno paterno Benito MUSSOLINI, avvenuto, come è noto in Giulino di Mezzegra nell’aprile del 1945.
Il 27 aprile Benito MUSSOLINI, con la divisa di un soldato tedesco (2), fu catturato a Dongo, in prossimità al confine con la Svizzera, mentre tentava di espatriare insieme alla compagna Claretta PETACCI (2). Riconosciuto dai partigiani fu fatto prigioniero e giustiziato (3) il giorno successivo; il suo cadavere venne esposto impiccato a testa in giù, accanto a quelli della stessa PETACCI e di altri gerarchi, in Piazzale Loreto a Milano, ove fu lasciato nella disponibilità della folla. In quello stesso luogo, otto mesi prima, i fascisti avevano esposto, quale monito alla resistenza italiana i corpi di quindici partigiani (4).
La storia e le cronache ufficiali hanno avvallato la tesi secondo cui Benito MUSSOLINI sarebbe stato giustiziato nel pomeriggio del 28 aprile 1945, in prossimità dell’ingresso di villa Belmonte in località di Giulino di Mezz’egra, in provincia di Como, dopo esservi stato condotto da una casa colonica sita nella vicina località Bonzanigo, ove i due avevano trascorso la notte tra i partigiani che li accompagnavano, Walter AUDISIO, in codice “colonnello Valerio”, sarebbe stato il materiale esecutore di quella che, nella storiografia, viene spesso menzionata come una sentenza di morte del Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia, e che, come correttamente segnala il denunciante non si è mai rinvenuta; Walter AUDISIO, poi divenuto parlamentare del PCI, si assunse pubblicamente la responsabilità del gesto attribuitogli, anche se un'altra tesi in merito, accreditò, per un certo periodo di tempo, come autore dell’uccisione, Luigi LONGO, divenuto poi segretario generale del PCI.
Secondo una diversa ricostruzione (come illustrato, in modo argomentato e motivato, nello studio del dott. ALESSIANI), l’omicidio sarebbe invece da collocarsi temporalmente nelle prime ore della mattina del 28 aprile 1945 e il fatto si sarebbe svolto nella stanza ove i due vennero condotti per la loro ultima notte ove vennero sorpresi in abbigliamento succinto.
Le diverse ricostruzioni storiche prospettate (come quelle del Prof. DE FELICE, del dott. GIANNINI o che ancora potrebbero formularsi), non forniscono al giudice alcun elemento da cui dedurre con certezza che quel delitto fu accompagnato da due elementi che, secondo l’opinione prevalente occorrono nella premeditazione (un certo lasso di tempo fra la risoluzione criminosa e la sua attuazione, un accurata preparazione del delitto). Sul punto occorre richiamare la distinzione tra mera preordinazione del delitto – intesa come apprestamento del mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a questa ultima immediatamente precedente – e la premeditazione intesa come radicamento e persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo, del proposito omicida. Nel caso di specie, sicuramente ci fu la preordinazione, non è invece certa la premeditazione (5).
Come è noto, nel diritto penale impera il principio della ricerca ufficiale della verità materiale. Il giudice, laddove permanga nel dubbio – dopo aver fatto tutto quanto possibile per dirimerlo – circa l’esistenza di un elemento costitutivo del reato o di una circostanza aggravante, ha una strada obbligata da percorrere, giacchè a ritenere diversamente, si violerebbe il canone fondamentale imperante in tema di valutazione della prova, in dubio pro reo.
Il materiale raccolto nel corso delle indagini, risulta inidoneo a sostenere l’accusa di omicidio premeditato. Né le indagini indicate dall’opponente possono contribuire a dipanare con certezza questa complessa situazione.
Va da sé che se si esclude l’aggravante della premeditazione l’omicidio deve dichiararsi estinto per intervenuta prescrizione.
In ogni caso, quand’anche si volesse accreditare la tesi della premeditazione (o anche dell’omicidio di capo di stato estero, come sostiene l’opponente), il fatto-reato non sarebbe punibile quanto commesso per cause non estranee alla guerra. Si deve sottolineare che in giurisprudenza il concetto di non estraneità abbraccia un area più ampia del concetto di attinenza; nel senso che quello, a differenza di questo richiede l’esistenza di un nesso casuale meno immediato, sicchè non occorre che l’azione delittuosa sia stata posta in essere proprio per ragioni di guerra ma è sufficiente che essa sia comunque riconducibile alla guerra (Trib. Mil. Verona 24.11.00, Seifert).
L’omicidio del Duce rientra nell’ambito di applicazione del L.vo Lgt. 12.4.45 n. 194, che dispone “Sono considerate azioni di guerra, e pertanto non punibili a termini delle leggi comuni, gli atti di sabotaggio, le requisizioni e ogni altra operazione compiuta dai patrioti per la necessità di lotta contro i tedeschi e i fascisti nel periodo dell’occupazione nemica. Questa disposizione si applica quanto ai patrioti inquadrati nelle formazioni militari riconosciute dai comitati di liberazione nazionale, quanto agli altri cittadini che li abbiano aiutati o abbiano, in qualsiasi modo, concorso nelle operazioni per assicurarne la riuscita” (6).
Secondo Cass. 23.2.1999, n.1560, Bentivegna è da escludere che le operazioni considerate nell’articolo unico del decreto luogotenenziale siano “elusivamente quelle di contorno” non coinvolgenti diritti primari della persona umana. Il termine “operazioni”, applicato a un contesto che storicamente è di lotta armata, comprende qualsiasi atto, anche cruento, volto a combattere il nemico. La legge di guerra approvata con r.d.8.7.38, n. 1415, all. A, dedica l’intero titolo II alle “operazioni belliche “ che comprendono “atti di ostilità (capo II, sez.I) implicanti “l’uso della violenza” (art.35). l’interpretazione riduttiva del termine appare infatti non corretta dal punto di vista letterale, poiché contrasta con l’espressione “ogni altra” che immediatamente lo precede; collide con la struttura sistematica dell’articolo unico del decreto luogotenenziale (7), che collocando nell’abito delle “azioni di guerra” gli atti menzionati, non può prescindere da quelle che sono in genere le caratteristiche delle azioni nel cui novero gli atti medesimi sono inseriti; stride con la volontà del legislatore, desunta dalla situazione storica, nella quale la norma è stata emanata, indirizzata ad attribuire riconoscimento di liceità ad ogni azione diretta alla liberazione del territorio nazionale che alla fine del regime fascista volontà, palesemente espressa in una serie di disposizioni di legge dell’epoca e successive. Si tratta di provvedimenti normativi connessi alla nostra storia, alla formazione della Repubblica italiana e ai principi sui quali la Costituzione si fonda (si pensi alla XII disposizione transitoria alla Costituzione), conformi alle “intenzioni del legislatore “ pur se considerata oltre al momento in cui è stata espressa e in senso attuale.
Già in precedenza Cass. SS.UU. civili 19.7.57 n. 3053, si era espressa in questo senso. In quella causa, un privato aveva chiesto al partigiano BENTIVEGNA un risarcimento per l’attacco a via Rasella del 23.3.1944. con questa sentenza Suprema Corte ha stabilito che “la lotta partigiana è stata considerata dalla legislazione italiana attività di guerra”; la legislazione “considera partigiani combattenti gli appartenenti, sia alle formazioni armate inquadrate dipendenti dal Comitato di liberazione nazionale, sia a quelle non inquadrati. Quindi anche le squadre indipendenti sono state qualificate come organi combattenti dello Stato italiano”.
La legislazione ha riconosciuto la qualità di patrioti combattenti ai componenti delle formazioni volontarie che avevano partecipato alle operazioni belliche (decreto legislativo 5.4.45 n. 158); ha qualificato azioni di guerra tutte le operazioni compiute da patrioti per la necessità di lotta contro tedeschi e fascisti nel periodo dell’occupazione nemica (decreto legislativo 12.4.45, n. 154); ha autorizzato la concessione di ricompense al valore militare ai partigiani, agli appartenenti ai G.a.p. (nuclei partigiani clandestini denominati “Gruppi di azione patriottica”) e alle squadre cittadine indipendenti, e ha attribuito a quelli fra essi che caddero o riportarono mutilazioni o infermità le qualifiche di caduti in guerra, di mutilati o invalidi di guerra, con tutti i benefici relativi (decreto legislativo 21.8.45, n. 518); ha considerato fatti di guerra, ai fini del risarcimento dei danni conseguenti, i fatti coordinati alla preparazione e alla esecuzione di operazioni belliche oppure semplicemente occasionati da queste, con assoluta equiparazione delle formazioni volontarie alle forze regolari (decreto legislativo 6.9.46, n. 226).
Lo Stato, quindi, ha confermato, nel modo più solenne che la resistenza, la lotta partigiana e l’attività di liberazione nazionale e del corpo volontari della libertà, sono state considerate attività pubbliche, considerando i partigiani come legittimi belligeranti, al parti degli appartenenti alle forze armate regolari.
La Cassazione, nella citata sentenza 3035/57, ha aggiunto che “l’eventuale illegittimità dell’attentato sotto il profilo internazionale non ne imporrebbe necessariamente l’illegittimità secondo l’ordinamento interno. E nel sistema legislativo italiano quell’atto è stato considerato certamente legittimo, come risulta da tutta la legislazione citata”. Sotto questo profilo, pertanto, la circostanza che sulla persona del Duce pendessero diversi mandati di cattura, come quelli emessi dalle Nazioni Unite, non determina di per sé l’illegittimità dell’atto nel diritto interno.
A quanto sopra esposto, si deve aggiungere che con DPR 22.6.1946, n. 4, lo Stato italiano ha promulgato l’amnistia che porta il nome di Palmiro TOGLIATTI, in veste di guardasigilli che decretava l’amnistia per i reati comuni e politici, in particolare il collaborazionismo con il nemico e per i reati ad esso connessi (di fatto nella pratica applicazione delle pronunzie giurisprudenziali si ebbe una concessione generalizzata e ampia rispetto al dato normativo).
In seguito il legislatore, a conferma della volontà di pacificazione inaugurata con il DPR 4/46 è intervenuto in materia di amnistia con il DPR 19.12.53, n. 922, nonché con due decreti (del 1959 e 1966) che dispongono, senza alcun limite, per effetto dell’amnistia, l’estinzione dei delitti cosiddetti politici, commessi successivamente all’armistizio dell’8 settembre 1943.
Le indagini suppletive richieste dall’opponente (analisi dei siti web di archivi storici presenti negli Stati Uniti, dalla cui visione, secondo il denunziante, si potrebbe accertare la presenza di documentazione rilevante e, soprattutto, di filmati dell’epoca e delle attività dei vari servizi segreti operanti nel territorio dell’Alta Italia; ammissione d perizia balistica al fine di determinare il percorso dei proiettili e così accertare le modalità di uccisione delle vittime; ammissione di una consulenza storia; acquisizione del documentario presentato nel corso della trasmissione televisiva “Stargate” del 27.10.02, del documentario “Enigma” RAI 3 del 31.1.03, del documentario “La Grande Storia” RAI 3 del 30.8.04 e 6.9.04; acquisizione degli atti del processo relativo all’oro di Dongo; acquisizione degli atti del processo relativo alla morte di Claretta PETACCI; acquisizione degli atti dell’ “Istruzione penale per accertare i fatti in cui furono uccisi Marcello e Clara PETACCI” che si trovano presso il Ministero dell’Interno; acquisizione dei libri “Le ultime ore di MUSSOLINI” e “La pista inglese – chi uccise MUSSOLINI e la PETACCI”). Non apporterebbero alcun elemento utile ai fini dell’odierno procedimento penale, né porterebbero a diverse conclusioni da quelle sopra formulate.
L’istanza di archiviazione del PM già ampiamente motivata (motivazioni che si richiamano integralmente in questa sede, condividendoli), anche per le ragioni ora esposte, deve essere accolta, in quanto fondata e l’atto di opposizione disatteso.
PQM
Dispone l’archiviazione del procedimento e la restituzione degli atti al PM.
Como, 1.10.07 Il GIP
Dott.ssa Nicoletta CREMONA


Le note che seguono sono dettate dal senso della giustizia che sento molto vivo, dell’onestà che mi è stato trasmesso da mio padre e, perché no? dagli insegnamenti di lealtà che mi sono stati indicati dalla scuola di Giovanni Gentile del periodo dell’”oscurantismo fascista”. La prima impressione, leggendo le motivazioni della “Sentenza” è che le prime vittime di quelle che a mio avviso, risultano palesi, siano proprio i Giudici, costretti come sono ad applicare Leggi o decreti che, agli occhi di un incompetente come colui che scrive queste note, risultano essere mostruosamente retroattive, su una base storicamente falsa, in contrasto fra loro e immorali.
Prima di entrare in argomento, una premessa è indispensabile: le troppo poco ricordate “Convenzioni Internazionali di Guerra” all’epoca vigenti. Esse precisavano la “figura” del “legittimo combattente, cioè quelle persone fisiche che possono esercitare la violenza bellica senza compiere alcun illecito di diritto internazionale o interno (…)”; il “legittimo combattente” deve: 1) indossare una divisa riconosciuta dal nemico; 2) portare apertamente le armi; 3) dipendere da ufficiali responsabili; 4) dimostrare di rispettare le leggi e gli usi di guerra. I legislatori stabilirono, fra l’altro, che “gli illegittimi combattenti vengono dovunque perseguiti con pene severissime e sono generalmente sottoposti alla pena capitale (…)”. Gli stessi legislatori erano tanto severi contro l’”illegittimo combattente” che avevano previsto per il “legittimo combattente”, nel caso di danno subito dall’altro il “diritto di rappresaglia”.
Queste leggi furono emanate a l’Aja nel 1889 e nel 1907 e ratificate a Ginevra nel 1927.
Esaminiamo adesso alcuni passi della “Sentenza”.
NOTE:
1)Benito Mussolini non fu catturato “con la divisa di un soldato tedesco”. A Dongo dopo le non troppe chiare vicende, i partigiani autorizzarono il proseguimento della colonna italo-tedesca; fu a questo punto che solo a seguito di lunghe insistenze dei suoi fedeli, Mussolini “sia pure con ben poco entusiasmo, indossò un cappotto tedesco che gli arrivava ai piedi, calzò un elmetto e inforcò un paio di occhiali scuri” (Carradori, testimone oculare).

2)Benito Mussolini non ha mai “tentato di espatriare in Svizzera insieme alla compagna Claretta Petacci”. Decine di testimoni hanno dichiarato che, nonostante le sollecitazioni dei suoi fedeli e dei suoi parenti e nonostante che fossero pronti due aerei e un sommergibile allestiti per portarlo ovunque, egli rifiutò sempre qualsiasi possibilità di fuga, e questo per non abbandonare i suoi.

3)“Fu fatto prigioniero e giustiziato”; leggo sullo Zingarelli; “Giustiziare: punire eseguendo una condanna a morte”. Se non ci fu alcun “giudizio” non ci poteva essere alcuna “sentenza di morte”, di conseguenza il termine “giustiziato” è, perlomeno improprio. Credo che quello esatto sia: “assassinato”.

4)Come esposto nella “Sentenza”, il fatto è alquanto incompleto e potrebbe risultare fuorviante. In quegli anni le imboscate e l’uccisione dei singoli fascisti e tedeschi da parte dei Gap erano più che quotidiane. Per capire il “tema” di questa nota si deve risalire all’8 agosto 1944. Quel giorno un camion tedesco sostava in Viale Abruzzi a Milano, un anziano maresciallo tedesco stava distribuendo latte (allora introvabile) ad una folla che attorniava il mezzo. Erano soprattutto donne con bambini in braccio, in attesa del loro turno. Probabilmente fu opera di un noto partigiano (scomparso di recente), Giovanni Pesce (nome di battaglia “Visone”) che collocò una bomba sul camion. L’esplosione fu tremenda: il maresciallo della Wehrmacht restò illeso, rimasero uccisi quindici civili, la maggior parte donne e bambini e altri quindici feriti. Seguendo una norma ormai convalidata “Visone” (o chi per lui) non rispose al bando che preavvertiva la rappresaglia qualora il responsabile non si fosse presentato. Così il 10 agosto vennero prelevati dal carcere di San Vittore quindici partigiani e fucilati a Piazzale Loreto. “Qualcuno” ha scritto che la rappresaglia è l’ultima risorsa di un esercito disperato che non riesce a difendersi da un nemico invisibile.

5) Attesta la “Sentenza”: “Nel caso specifico, sicuramente ci fu la preordinazione, non è invece certa la premeditazione”. Scrive lo Zingarelli alla voce “Preordinare”: “Predisporre, prestabilire” e alla vice “Premeditazione”: “Preparare q.c. nella mente, meditandola a lungo (quanto, 10 minuti? Dieci anni? nda) prima di effettuarla”. Le mie capacità intellettive portano a capovolgere i termini; cioè come posso “preordinare” se prima non ho “premeditato un fatto”? In altre parole, io posso “premeditare, come nel caso specifico un omicidio”, e questo è certo, poi posso “preordinare l’esecuzione”. Poi può accadere che per cause estranee non possa portarla a compimento. Ma un fatto è certo che non ci può essere la “preordinazione” se prima non c’è la “premeditazione”. Almeno a mio modo di interpretazione.

6) Quelli che comunemente vengono nominati “patrioti” sono, in realtà “illegittimi combattenti”, come, appunto, stabiliscono le norme di guerra allora vigenti, in quanto i “patrioti” non rientrano in alcuna delle quattro norme fissate dalle citate “Convenzioni internazionali di Guerra”. E per quanto riguarda la lealtà nel combattimento a cominciare dagli annunci dalle autorità del “Governo legittimo” (che in realtà era illegittimo) i quali, immediatamente dopo l’annuncio dell’armistizio, quotidianamente emanavano da Radio Bari prima, Radio Salerno e Radio Napoli dopo, tutto sotto controllo alleato, l’elenco di fascisti da uccidere. Per facilitare il compito degli emissari venivano indicati gli indirizzi e le attività delle vittime designate.
I “Decreti Luogotenenziali” portano la firma di Umberto II e sono estremamente punitivi (oltre che gravemente retroattivi, inumani, e addirittura contrari al diritto) nei confronti degli appartenenti al regime fascista e agli estimatori del medesimo. Per manifestare l’immoralità dei citati “decreti” e di chi li emise, vediamo quale era l’atteggiamento di Umberto II nei confronti della politica di Mussolini. Fu sempre estremamente concordante, anzi, direi sincronizzato, almeno sino al luglio 1943. Fu in quest’anno che scoccò l’ora della viltà. Mi riferisco al decreto legislativo luogotenenziale del 27 luglio 1944 n° 159, il quale contemplava la punizione delle attività politiche durante il passato regime definite “delitti fascisti”. Ecco un breve “curriculum”; siamo all’11 giugno 1940, il giorno dopo la dichiarazione di guerra. Umberto II, quale Comandante supremo delle Armate Ovest lancia questo proclama ai suoi soldati: <Fanti di Italia! L’ora solenne è scoccata. Con fede incrollabile e visione eroica dei trionfi passati marciate ai nuovi immancabili destini dell’Italia imperiale…>. Il 18 settembre ’40 invia questo telegramma al Duce: <Mentre la bandiera d’Italia sventola vittoriosa al di là di tutti i confini del Regno e dell’Impero, a voi Duce invio un fervido saluto augurale nella certezza che le mete da voi segnate saranno sicuramente raggiunte>. Ad Adolf Hitler : <Nel giorno dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Grande Germania vi invio, Führer, i miei saluti augurali. Gli uomini del mio Gruppo di Armate, pronti a combattere, tendono alla vittoria immancabile per i nostri Paesi che insieme lottano per i comuni ideali. Generale Umberto di Savoia>. Il testo del telegramma inviato dal Luogotenente Umberto a Roosevelt in occasione della sua rielezione (siamo a novembre 1944, a poco più di un anno dal capovolgimento dei fronti) è il seguente: <Le invio, signor Presidente, le più vive congratulazioni per la riconfermata fiducia e i più sinceri voti per la sua personale felicità e per la prosperità e la grandezza della Nazione americana, sicuro che i rapporti di amicizia tra i nostri Paesi, che insieme combattono per i comuni ideali, saranno sempre più schietti e fraterni. Umberto di Savoia>. A rendere ancora più emblematico questo personaggio, Umberto II durante l’esilio a Cascais, il 3 aprile 1956, concesse questa intervista a Loris Lolli e a Filippo D’Errico, due giornalisti de “Il Messaggere di Roma”. Loris Lolli aveva avuto l’incarico di consegnare alcune foto all’ex Sovrano. Al termine del colloquio Umberto II chiese a Lolli: <E se non sono indiscreto, dopo l’8 settembre quale strada ha scelto? Il Sud o il Nord?>. Senza alcuna esitazione Lolli rispose: <La Repubblica Sociale Italiana>. Umberto II tese la mano a Lolli e disse: <Voi della Repubblica Sociale Italiana siete stati dalla parte giusta. La ragione e la Storia sono state e saranno sempre con voi. Se non fossi stato il figlio di sua Maestà il Re d’Italia, io pure avrei scelto la via del Nord>.
E il padre, Vittorio Emanuele III non lo era da meno. Fra i tanti, scegliamo due telegrammi inviati al Führer; il primo datato 14 giugno 1940 in occasione dell’entrata in guerra dell’Italia: <Vi ringrazio profondamente del vostro pensiero amichevole e delle vostre cordiali parole che ricambio calorosamente con gli stessi sentimenti. Sono certo che l gloriosi Eserciti della Germania e dell’Italia assicureranno alle nostre due nazioni, fedelmente unite, la vittoria e una prosperità sempre maggiore>. L’altro, datato 12 dicembre 1941, inviato al Führer in occasione dell’entrata in guerra contro gli Stati Uniti: <Vi ringrazio sentitamente, Eccellenza per le espressioni che mi avete rivolto in quest’ora solenne in cui le armi nipponiche si uniscono a quelle delle Germania e dell’Italia per la realizzazione della comune vittoria e vi ricambio il più cordiale saluto rinnovando i voti più fervidi per la fortuna dei nostri tre popoli>. Vittorio Emanuele III, dopo aver dichiarato guerra ai Paesi anglosassoni, alleandosi con la Germania nazionalsocialista, tentò di allearsi con gli angloamericani – che mantennero le dovute distanze – dichiarando guerra alla Germania con la quale, per quanto mi risulta, dovremmo essere tutt’ora in conflitto non essendo stato stipulato alcun trattato di pace.

P.S. Tuttavia due successi sono stati ottenuti:
1) E’ ufficializzato che la morte di Benito Mussolini fu “un omicidio”;
2) E’ ufficializzato che la storia sulla morte del Duce, per come ci è stata tramandata sino ad oggi, è stata una “bufola”.