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    Angry Diffamazioni e calunnie in atto contro Padre Pio ad opera di ebrei e laicisti

    Nuovo attacco a Padre Pio: "Stimmate false"

    di Andrea Tornielli




    C’è un ultimo segreto sulle stimmate di Padre Pio da Pietrelcina, il santo del Gargano venerato da milioni di persone in tutto il mondo. Un segreto legato a quattro grammi di acido fenico, che il giovane frate richiese a una farmacista nel 1919. Si tratta di una vecchissima testimonianza, ben conosciuta e analizzata a fondo da quanti hanno lavorato al processo di beatificazione, rimasta però inedita negli archivi del Sant’Uffizio. Aiuta a chiarire le accuse lanciate nei primi anni Venti contro Padre Pio da padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica, il quale, pur senza esaminare le piaghe che si erano da poco prodotte sulle mani e sui piedi del frate stimmatizzato (perché quest’ultimo si rifiutò di mostrargliele in mancanza di un ordine scritto del Vaticano), concluse che le ferite non erano soprannaturali ma frutto di autolesionismo e isteria. Accuse che sono state ampiamente smentite da diverse successive analisi ed esperimenti. Ma ora sta per uscire un saggio dello storico Sergio Luzzatto che riaprirà la polemica. Il titolo è: L’altro Cristo. Padre Pio e l’Italia del Novecento. L’autore ha consultato le «carte segrete» degli archivi vaticani. E da lì ha preso la storia dell’acido fenico e della farmacista.

    Il documento è stampato in un fascicolo del Sant’Uffizio del marzo 1921. A riprova dei dubbi sollevati da Gemelli, l’allora Suprema Congregazione dottrinale presenta la deposizione giurata della ventottenne Maria De Vito: «Io sono stata un’ammiratrice di P. Pio e l’ho conosciuto di presenza la prima volta il 31 luglio 1919. Dopo essere ritornata sono rimasta a San Giovanni Rotondo un mese. Durante il mese in cui ho avuto occasione di avvicinarlo più volte al giorno, ne ho riportata sempre ottima impressione. La vigilia della mia partenza per Foggia, il P. Pio mi chiamò in disparte e con tutta segretezza, imponendo il segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli, mi consegnò personalmente una boccettina vuota, richiedendomi che gliela facessi pervenire a mezzo dello “chauffeur” che presta servizio nell’autocarro per trasporto passeggeri da Foggia a San Giovanni Rotondo con dentro quattro grammi di acido fenico puro, spiegandomi che l’acido serviva per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi. Insieme mi venivano richiesti altri oggetti come pastiglie Valda, nasalina, etc. che io mandai». Il documento del Sant’Uffizio continua informando che dopo circa un mese la giovane ricevette una lettera nella quale «le faceva richiesta di quattro grammi di veratrina. Non avendola trovata nella farmacia di sua proprietà, la richiese da un suo cugino con lettera che sta pure agli atti. Questo, impressionatissimo, la rifiutò», perché sospettava che Padre Pio potesse usarla per procurarsi le lesioni alle mani di cui già si cominciava a parlare.

    È noto che queste testimonianze arrivarono in Vaticano perché presentate dall’arcivescovo di Manfredonia Pasquale Gagliardi, nemico giurato di Padre Pio e artefice della «prima persecuzione» contro il frate, del quale diceva: «Si procura le stimmate con l’acido nitrico e poi le profuma con l’acqua di colonia». Ecco dunque su quali (labili) basi faceva queste affermazioni. Che peso dare, allora, a questa testimonianza? Non esiste alcuna prova che quei quattro grammi di acido fenico – sostanza con proprietà antisettiche, usato solitamente come disinfettante – siano stati adoperati dal futuro santo per provocarsi le ferite. E dalle migliaia di pagine del processo canonico emerge un’altra verità. Le stimmate di Padre Pio furono esaminate attentamente dal professor Festa, che il 28 ottobre 1919 scrisse una dettagliatissima relazione accertando che esse «non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna, e che neppure sono dovute all’applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti». Anche il dottor Bignami fece un esperimento sulle mani di Padre Pio, sigillando le sue piaghe per due settimane, con tanto di firme di controllo. Alla riapertura delle bende, sanguinavano come il primo giorno e non si erano né rimarginate né infettate. La prova dell’inconsistenza dell’accusa sta proprio in questo: se il frate si fosse procurato con l’acido le piaghe, queste si sarebbero chiuse oppure sarebbero andate in suppurazione. Per cinquant’anni, invece, sono rimaste inspiegabilmente aperte e sanguinanti.

    Fonte: Il Giornale, 23.10.2007

    SERGIO LUZZATTO (ebreo)
    Luogo e data di nascita: Genova, 2.9.1963
    Professore ordinario all’Università degli Studi di Torino.
    Insegna Storia moderna. Studioso della Rivoluzione francese, ha scritto anche di storia italiana fra Otto e Novecento, pubblicando Il corpo del duce (Einaudi 1998), L'immagine del duce (2001), La mummia della Repubblica (2001) e La crisi dell'antifascismo (2004). Con Victoria de Grazia ha curato il Dizionario del fascismo (Einaudi 2002).

  2. #2
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    Predefinito un brano del libro dello "storico" (si fa per dire ...) ebreo ....

    IL LIBRO DELLO STORICO SERGIO LUZZATTO APRE NUOVI DUBBI SUL FRATE DI PIETRALCINA

    Padre Pio, il giallo delle stigmate

    Un farmacista: «Nel 1919 fece acquistare dell'acido fenico, sostanza adatta per procurarsi piaghe alle mani»


    Il cerchio intorno a padre Pio aveva cominciato a stringersi fra giugno e luglio del 1920: poco dopo che era pervenuta al Sant'Uffizio la lettera- perizia di padre Gemelli sull'«uomo a ristretto campo di coscienza», «soggetto malato», mistico da clinica psichiatrica. Giurate nelle mani del vescovo di Foggia, monsignor Salvatore Bella, e da questi inoltrate, le testimonianze di due buoni cristiani della diocesi pugliese avevano proiettato sul corpo dolorante del cappuccino un'ombra sinistra. Più che profumo di mammole o di violette, odore di santità, dalla cella di padre Pio erano sembrati sprigionarsi effluvi di acidi e di veleni, odore di impostura.

    Il primo documento portava in calce la firma del dottor Valentini Vista, che a Foggia era titolare di una farmacia nella centralissima piazza Lanza. Al vescovo, il professionista aveva riferito anzitutto le circostanze originarie del suo interesse per padre Pio. La tragica morte del fratello, occorsa il 28 settembre 1918 (per effetto dell'epidemia di spagnola, possiamo facilmente ipotizzare). La speranza che il frate cappuccino, proprio in quei giorni trafitto dalle stigmate, potesse intercedere per l'anima del defunto. (...) Il dottor Valentini Vista era poi venuto al dunque. Nella tarda estate del '19, il pellegrinaggio a San Giovanni era stato compiuto da una sua cugina, la ventottenne Maria De Vito: «Giovane molto buona, brava e religiosa», lei stessa proprietaria di una farmacia. La donna si era trattenuta nel Gargano per un mese, condividendo con altre devote il quotidiano train de vie del santo vivo.

    Il problema si era presentato al rientro in città della signorina De Vito: «Quando ella tornò a Foggia mi portò i saluti di Padre Pio e mi chiese a nome di lui e in stretto segreto dell'acido fenico puro dicendomi che serviva per Padre Pio, e mi presentò una bottiglietta della capacità di un cento grammi, bottiglietta datale da Padre Pio stesso, sulla quale era appiccicato un bollino col segno del veleno (cioè il teschietto di morte) e la quale bottiglietta io avrei dovuto riempire di acido fenico puro che, come si sa, è un veleno e brucia e caustica enormemente allorquando lo si adopera integralmente. A tale richiesta io pensai che quell'acido fenico adoperato così puro potesse servire a Padre Pio per procurarsi o irritarsi quelle piaghette alle mani».

    A Foggia, voci sul ritrovamento di acido fenico nella cella di padre Pio avevano circolato già nella primavera di quel 1919, inducendo il professor Morrica a pubblicare sul Mattino di Napoli i propri dubbi di scienziato intorno alle presunte stigmate del cappuccino. Non fosse che per questo, il dottor Valentini Vista era rimasto particolarmente colpito dalla richiesta di acido fenico puro che il frate aveva affidato alla confidenza di Maria De Vito. Tuttavia, «trattandosi di Padre Pio», egli si era persuaso che la richiesta avesse motivazioni innocenti, e aveva consegnato alla cugina la bottiglia con l'acido. Ma la perplessità del farmacista era divenuta sospetto poche settimane dopo, quando il cappuccino di San Giovanni aveva trasmesso alla donna – di nuovo, sotto consegna del silenzio – una seconda richiesta: quattro grammi di veratrina.

    Rivolgendosi a monsignor Bella, Valentini Vista illustrò la composizione chimica di quest'ultimo prodotto e insistette sul suo carattere fortemente caustico. «La veratrina è tale veleno che solo il medico può e deve vedere se sia il caso di prescriverla», spiegò il farmacista. A scopi terapeutici, la posologia indicata per la veratrina era compresa fra uno e cinque milligrammi per dose, sotto forma di pillole o mescolata a sciroppo. «Si parla dunque di milligrammi! La richiesta di Padre Pio fu invece di quattro grammi! ». E tale «quantità enorme trattandosi di un veleno», il frate aveva domandato «senza la giustificazione della ricetta medica relativa», e «con tanta segretezza»... A quel punto, Valentini Vista aveva ritenuto di dover condividere i propri dubbi con la cugina Maria, raccomandandole di non dare più seguito a qualsivoglia sollecitazione farmacologica di padre Pio. Durante il successivo anno e mezzo, il professionista non aveva comunicato a nessun altro il sospetto grave, gravissimo, che il frate si servisse dell'una o dell'altra sostanza irritante «per procurarsi o rendere più appariscenti le stigmate alle mani». Ma quando aveva avuto notizia dell'imminente trasferimento di monsignor Bella, destinato alla diocesi di Acireale, «per scrupolo di coscienza» e nell'«interesse della Chiesa» il farmacista si era deciso a riferirgli l'accaduto.

    La seconda testimonianza fu giurata nelle mani del vescovo dalla cugina del dottor Valentini Vista, e risultò del tutto coerente con la prima. La signorina De Vito confermò di avere trascorso un mese intero a San Giovanni Rotondo, nell'estate del '19. Alla vigilia della sua partenza, padre Pio l'aveva chiamata «in disparte» e le aveva parlato «con tutta segretezza», «imponendo lo stesso segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli del convento». Il cappuccino aveva consegnato a Maria una boccetta vuota, pregando di farla riempire con acido fenico puro e di rimandargliela indietro «a mezzo dello chauffeur che prestava servizio nell'autocarro passeggieri da Foggia a S. Giovanni». Quanto all'uso cui l'acido era destinato, padre Pio aveva detto che gli serviva «per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi di cui era maestro ». La richiesta dei quattro grammi di veratrina le era giunta circa un mese dopo, per il tramite d'una penitente di ritorno da San Giovanni. Maria De Vito si era consultata con Valentini Vista, che le aveva suggerito di non mandare più nulla a padre Pio. E che le aveva raccomandato di non parlarne con nessuno, «potendo il nostro sospetto essere temerario».

    Temerario, il sospetto del bravo farmacista e della devota sua cugina? Non sembrò giudicarlo tale il vescovo di Foggia, che pensò bene di inoltrare al Sant'Uffizio le deposizioni di entrambi. D'altronde, un po' tutte le gerarchie ecclesiastiche locali si mostravano scettiche sulla fama di santità di padre Pio. Se il ministro della provincia cappuccina, padre Pietro da Ischitella, metteva in guardia il ministro generale dal «fanatismo » e dall'«affarismo» dei sangiovannesi, l'arcivescovo di Manfredonia, monsignor Pasquale Gagliardi, rappresentava come totalmente fuori controllo la situazione della vita religiosa a San Giovanni Rotondo.

    Da subito nella storia di padre Pio, i detrattori impiegarono quali capi d'accusa quelli che erano stati per secoli i due luoghi comuni di ogni polemica contro la falsa santità: il sesso e il lucro. E per quarant'anni dopo il 1920, il celestiale profumo intorno alla cella e al corpo di padre Pio riuscirà puzzo di zolfo al naso di quanti insisteranno sulle ricadute economiche o almanaccheranno sui risvolti carnali della sua esperienza carismatica. Ma nell'immediato, a fronte delle deposizioni di Maria De Vito e del dottor Valentini Vista, soprattutto urgente da chiarire dovette sembrare al Sant'Uffizio la questione delle stigmate. Tanto più che il vescovo di Foggia, inoltrando a Roma le due testimonianze giurate, aveva accluso alla corrispondenza un documento che lo storico del ventunesimo secolo non riesce a maneggiare – nell'archivio vaticano della Congregazione per la Dottrina della Fede – senza una punta d'emozione: il foglio sul quale padre Pio, forse timoroso di non poter comunicare a tu per tu con la signorina De Vito, aveva messo nero su bianco la richiesta di acido fenico. Allo sguardo inquisitivo dei presuli del Sant'Uffizio, era questo lo smoking gun, l'indizio lasciato dal piccolo chimico sul luogo del delitto. «Per Marietta De Vito, S.P.M.», padre Pio aveva scritto sulla busta. All'interno, un unico foglietto autografo, letterina molto più stringata di quelle che il cappuccino soleva scrivere alle sue figlie spirituali: «Carissima Maria, Gesù ti conforti sempre e ti benedica! Vengo a chiederti un favore. Ho bisogno di aver da duecento a trecento grammi di acido fenico puro per sterilizzare. Ti prego di spedirmela la domenica e farmela mandare dalle sorelle Fiorentino. Perdona il disturbo».

    Se davvero padre Pio necessitava di acido fenico per disinfettare le siringhe con cui faceva iniezioni ai novizi, perché mai procedeva in maniera così obliqua, rinunciando a chiedere una semplice ricetta al medico dei cappuccini, trasmettendo l'ordine in segreto alla cugina di un farmacista amico, e coinvolgendo nell'affaire l'autista del servizio pullman tra Foggia e San Giovanni Rotondo? Ce n'era abbastanza per incuriosire un Sant'Uffizio che possiamo immaginare già sospettoso dopo avere messo agli atti la perizia di padre Gemelli. Di sicuro, i prelati della Suprema Congregazione non dubitarono dell'attendibilità delle testimonianze del dottor Valentini Vista e della signorina De Vito, così evidentemente suffragate dall'autografo di padre Pio. Agli atti del Sant'Uffizio figurava anche la trascrizione di una seconda lettera autografa del cappuccino a Maria De Vito, il cui poscritto corrispondeva esattamente al tenore della deposizione di quest'ultima: «Avrei bisogno di un 4 grammi di veratrina. Ti sarei molto grato, se me la procurassi costì, e me la mandassi con sollecitudine».

    Sergio Luzzatto

    Fonte: Corriere della sera, 24.10.2007

  3. #3
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    Nel libro di Sergio Luzzatto ricostruite anche le diffidenti valutazioni del pontefice

    «Padre Pio, un immenso inganno»

    Giovanni XXIII annotava: «I suoi rapporti scorretti con le fedeli fanno un disastro di anime»


    «Stamane da mgr Parente, informazioni gravissime circa P.P. e quanto lo concerne a S. Giov. Rotondo. L’informatore aveva la faccia e il cuore distrutto». L’informato è Giovanni XXIII. P.P. è Padre Pio. E queste sono le parole che il Papa annota il 25 giugno 1960, su quattro foglietti rimasti inediti fino a oggi e rivelati da Sergio Luzzatto. «Con la grazia del Signore io mi sento calmo e quasi indifferente come innanzi ad una dolorosa e vastissima infatuazione religiosa il cui fenomeno preoccupante si avvia ad una soluzione provvidenziale. Mi dispiace di P.P. che ha pur un’anima da salvare, e per cui prego intensamente» annota il Pontefice. «L’accaduto—cioè la scoperta per mezzo di filmine, si vera sunt quae referentur, dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine che costituiscono la sua guardia pretoriana sin qui infrangibile intorno alla sua persona— fa pensare ad un vastissimo disastro di anime, diabolicamente preparato, a discredito della S. Chiesa nel mondo, e qui in Italia specialmente. Nella calma del mio spirito, io umilmente persisto a ritenere che il Signore faciat cum tentatione provandum, e dall’immenso inganno verrà un insegnamento a chiarezza e a salute di molti».

    «Disastro di anime». «Immenso inganno». Una delle «tentazioni» con cui il Signore ci mette alla prova. Espressioni durissime. Che però non si riferiscono alla complessa questione delle stigmate, su cui si sono concentrate le prime reazioni al saggio di Luzzatto, «Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento», in uscita la prossima settimana da Einaudi. All’inizio dell’estate 1960, Papa Giovanni è appena stato informato da monsignor Pietro Parente, assessore del Sant’Uffizio, del contenuto delle bobine registrate a San Giovanni Rotondo. Da mesi Roncalli assume informazioni sulla cerchia delle donne intorno a Padre Pio, si è appuntato i nomi di «tre fedelissime: Cleonilde Morcaldi, Tina Bellone e Olga Ieci», più una misteriosa contessa che induce il Pontefice a chiedere se il suo sia «un vero titolo oppure un nomignolo». Nel sospetto—cui il Papa presta fede—che la devozione delle donne nei confronti del cappuccino non sia soltanto spirituale, Roncalli vede la conferma di un giudizio che aveva formulato con decenni di anticipo.

    Al futuro Giovanni XXIII, Padre Pio non era mai piaciuto. All’inizio degli Anni ’20, quando per due volte aveva percorso la Puglia come responsabile delle missioni di Propaganda Fide, aveva preferito girare alla larga da San Giovanni Rotondo. Ma è soprattutto la fede ascetica, mistica, quasi medievale di cui il cappuccino è stato il simbolo, per la Chiesa modernista di inizio secolo come per la Chiesa conciliare a cavallo tra gli Anni ’50 e ’60, a essere estranea alla sensibilità di Angelo Roncalli. Che, sempre il 25 giugno, annota ancora: «Motivo di tranquillità spirituale per me, e grazia e privilegio inestimabile è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione che da ben 40 anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili». E, dopo aver ordinato una nuova visita apostolica a San Giovanni Rotondo, ad appunto quasi quarant’anni da quella compiuta nel 1921, il Papa conclude che «purtroppo laggiù il P.P. si rivela un idolo di stoppa».

    Gli appunti di Roncalli rappresentano uno dei passaggi salienti dell’opera di Luzzatto. E, se letti con animo condizionato dal pregiudizio, possono indurre a giudicarla o come una demolizione definitiva della figura del santo, o come un’invettiva laicista contro un fenomeno devozionale duraturo e interclassista. Ma sarebbero due letture sbagliate. Il giudizio di Luzzatto su Padre Pio non è quello sommariamente liquidatorio, che si è potuto leggere ad esempio nel recente e fortunato pamphlet di Piergiorgio Odifreddi. Luzzatto prende Padre Pio molto sul serio. E, con un lavoro durato sei anni, indaga non solo sulla sua biografia, ma anche e soprattutto sulla sua mitopoiesi: sulla costruzione del mito del frate di Pietrelcina e sulla sua vicenda, profondamente intrecciata non solo con quella della Chiesa italiana, ma anche con la politica e pure con la finanza. Unmito che nasce sotto il fascismo (Luzzatto dedica pagine che faranno discutere al «patto non scritto» con Caradonna, il ras di Foggia; ed è un fatto che le prime due biografie di Padre Pio sono pubblicate dalla casa editrice ufficiale del partito, la stessa che stampa i discorsi del Duce). Ciò non toglie che l’esito di quella ricerca sarà inevitabilmente elogiata e criticata, com’è giusto che sia. Ma anche gli stroncatori non potranno non riconoscere che uno studioso estraneo al mondo cattolico ha affrontato la figura del santo con simpatia, nel senso etimologico, e non è rimasto insensibile al fascino di una figura sovrastata da poteri—terreni prima che soprannaturali—più grandi di lei, e (comunque la si voglia giudicare) capace di alleviare ancora oggi il dolore degli uomini e di destare un interesse straordinario.

    Scrive Luzzatto che «l’importanza di Padre Pio nella storia religiosa del Novecento è attestata dal mutare delle sue fortune a ogni morte di Papa». Benedetto XV si dimostrò scettico, permettendo che il Sant’Uffizio procedesse da subito contro il cappuccino. Più diffidente ancora fu Pio XI: sotto il suo pontificato si giunse quasi al punto di azzerarne le facoltà sacerdotali. Pio XII invece consentì e incoraggiò il culto del frate. Giovanni XXIII autorizzò pesanti misure di contenimento della devozione. Ma Paolo VI, che da sostituto alla segreteria di Stato aveva reso possibile la costruzione della Casa Sollievo della Sofferenza, da Pontefice fece in modo che il frate potesse svolgere il suo ministero «in piena libertà». Albino Luciani, che per poco più di un mese fu Giovanni Paolo I, da vescovo di Vittorio Veneto scoraggiò i pellegrinaggi nel Gargano. Mentre Wojtyla si mostrò sempre profondamente affascinato dalla figura del cappuccino, che sotto il suo pontificato fu elevato agli altari.

    Non è in discussione ovviamente la continuità morale e teologica tra i successori di Pietro. Però è impossibile negare che i Pontefici succedutisi nel corso del Novecento abbiano guardato a Padre Pio con occhi diversi, comprese le asprezze giovannee. E, come documenta Luzzatto, quando «La Settimana Incom illustrata» sparò in prima pagina il titolo «Padre Pio predisse il papato a Roncall»”, compreso il dettaglio di un telegramma di ringraziamento che il nuovo Pontefice avrebbe inviato al cappuccino, Giovanni XXIII ordina al proprio segretario di precisare all’arcivescovo di Manfredonia che era "tutto inventato": «Io non ebbi mai alcun rapporto con lui, né mai lo vidi, o gli scrissi, né maimi passò per la mente di inviargli benedizioni; né alcuno mi richiese direttamente o indirettamente di ciò, né prima, né dopo il Conclave, né mai».

    Aldo Cazzullo

    Fonte: Corriere della sera, 25.10.2007

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    c'era una bella risposta di Socci su Libero di ieri o avantieri

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    Citazione Originariamente Scritto da codino Visualizza Messaggio
    c'era una bella risposta di Socci su Libero di ieri o avantieri
    Nuove rivelazioni su Padre Pio? No, sono le solite panzane

    di ANTONIO SOCCI


    Se Gesù tornasse e fosse visto anche oggi mentre cammina sulle acque, certi giornali l'indomani titolerebbero: «Clamoroso. Gesù di Nazareth non sa nemmeno nuotare». Come certi dotti che, avendo Gesù guarito un paralitico, lo accusarono di aver compiuto il miracolo di sabato, giorno festivo. Finisce nel ridicolo il pregiudizio che nega l'evidenza. Un tempo lo usavano contro Gesù, poi contro i santi, come padre Pio. Ho appena consegnato alla Rizzoli (e sarà in libreria il 14 novembre prossimo) il mio libro su questo grande santo e su alcune cose sconvolgenti che ha compiuto e - avendo consultato decine di volumi, compresi quelli della causa di beatificazione - ho fatto una indigestione di fango. È impressionante la varietà di accuse, insinuazioni e calunnie che per mezzo secolo gli sono state rovesciate addosso. Spesso da parte ecclesiastica. Le "virtù eroiche" che la Chiesa ha infine riconosciuto a padre Pio, dichiarandolo - per volontà di Giovanni Paolo II - "beato" nel 1999 e "santo" nel 2002, si riferiscono anche all'umiltà evangelica con cui ha sopportato in silenzio tanto fango: «Beati sarete voi», avvertì Gesù stesso «quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5, 11). I perseguitati D'altra parte alla fine i crocifissi vincono sempre. È una storia vecchia. Una cosa (soprannaturale) è la Chiesa, altro sono gli uomini di Chiesa. Gli uomini di Chiesa bruciarono Giovanna d'Arco e la Chiesa l'ha fatta santa. Gli uomini di Chiesa hanno perseguitato Giuseppe da Copertino, Giuseppe Calasanzio e don Bosco; la Chiesa li ha fatti santi. Così con padre Pio. Padre Gerardo di Flumeri, vicepostulatore della causa, ha scritto: «A causa delle stigmate, padre Pio fu sospettato di essere un imbroglione, un mistificatore, un nevrotico, un ossesso. E questi sospetti provenivano non soltanto da miscredenti, dagli atei, ma addirittura da alcuni suoi confratelli, da qualche superiore e anche dalle autorità ecclesiastiche. Padre Pio subì condanne dal Sant'Uffizio e restrizioni alla sua libertà di apostolato».

    Fonte: Libero, 25.10.2007

  6. #6
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    «Ecco tutta la verità su Padre Pio»

    Andrea Tornielli


    Da Roma.

    «L’attacco è contro Padre Pio, contro Giovanni Paolo II che l’ha proclamato santo, ma in realtà è contro la stessa Chiesa!». Fra’ Antonio Belpiede, portavoce dei cappuccini della Provincia di Padre Pio, è amareggiato per le accuse recentemente riesumate nei confronti del santo frate di Pietrelcina.

    Era noto da tempo, ma ora spunta il documento: Padre Pio comprò dell’acido fenico. Voleva procurarsi le stimmate?

    «Nient’affatto! L’acido fenico era usato a quell’epoca nelle famiglie come disinfettante, opportunamente diluito».

    Padre Pio si giustifica dicendo che serviva per disinfettare le siringhe. Ma faceva iniezioni?

    «Sì, questo è accertato. All’epoca era il direttore dei seminaristi (non il maestro dei novizi, come è stato scritto) e faceva le iniezioni ai ragazzi. Nel suo libro di memorie, padre Paolino da Casacalenda parla tranquillamente dell’acido fenico che usava per scopi di disinfezione a quell’epoca, quando viveva vicino a Padre Pio. Proprio come oggi si usa l’alcool».

    E che mi dice della «segretezza» con cui Padre Pio richiede l’acido e la veratrina?

    «Per la verità chiedeva al farmacista anche le pastiglie Valda e i cerotti. La veratrina era un anestetico locale. Non c’era la ricetta medica e probabilmente non voleva ingenerare sospetti perché utilizzava quella sostanza diluita per disinfettare le sue stimmate, che tendeva a nascondere in tutti i modi e delle quali si vergognava moltissimo, esattamente come aveva fatto San Francesco. Lo attestano varie testimonianze e lettere. Tra l’altro, le testimonianze sull’acido fenico sono del 1919, ma lui le stimmate all’epoca le aveva già avute. Le prime comparvero infatti nel 1910».

    Non possono essere state provocate dall’acido?

    «Per cinquant’anni con l’acido? E senza avere infezioni? Vorrei che qualcuno provasse: l’acido brucia i tessuti, ma non provoca la perforazione delle mani come nel caso di Padre Pio. Nel luglio 1919 il dottor Bignami sigillò le piaghe per una settimana con bende e firme: dopo otto giorni i tessuti non si erano cicatrizzati né putrefattimaerano ancora aperti e sanguinanti. Senza contare che nel 1920, a seguito di questi dubbi, ci fu un ordine del Provinciale che proibì l’uso dell’acido fenico e di qualsiasi profumo. Padre Pio, nella sua controllatissima stanza, per evitare sospetti non poté tenere neanche l’acqua di lavanda. Al termine della vita di Padre Pio le stimmate scomparvero: un altro “mistero istologico”. Tutto documentato e fotografato.
    E poi, guardi che per proclamare Padre Pio santo sono state svolte indagini accuratissime che occupano ben 108 volumi!».

    Veniamo alle parole non certo tenere usate da Giovanni XXIII nei confronti del futuro santo di Pietrelcina: parla di «scoperta per mezzo di filmine dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine».

    «Lei ha omesso che nell’appunto il Papa scrive: “se sono vere le cose che vengono riferite”. Ecco, il fatto è che non erano vere. Innanzitutto non si trattava di “filmini”, ma di pessime registrazioni audio: erano stati nascosti dei microfoni nel parlatoio, dove Padre Pio spesso anche confessava, e nella cella numero 5. Questo venne fatto con l’assenso del Sant’Uffizio. Ma il Papa non volle mai ascoltare quei nastri».

    E i «baci» di cui si è parlato?

    «Un anno dopo aver scritto quell’appunto, Papa Giovanni parla delle registrazioni e dei presunti “baci” con un suo vecchio amico, l’arcivescovo di Manfredonia Andrea Cesarano. Quest’ultimo spiega al Papa che ogni qual volta accompagna la sorella da Padre Pio, questa per prima cosa gli afferra la mano e la bacia, nonostante le rimostranze del frate. Ecco spiegato lo schioccare di quel bacio carpito dal registratore.
    Giovanni XXIII disse: “Sia lodato Dio, che conforto! Che sollievo!”. Quell’appunto del Papa – i cui iniziali giudizi su Padre Pio erano peraltro già noti – fu dettato dall’emozione ingenerata dalle cattive informazioni ricevute. Non è un caso che monsignor Parente, l’assessore del Sant’Uffizio all’epoca dei registratori messi per spiare Padre Pio, tre anni dopo la morte del frate firmerà la prefazione alla prima biografia completa del futuro santo, intitolata “Crocifisso senza croce”. Si accorsero di essere stati male informati».

    Crede che Padre Pio e la religiosità che ha espresso siano sotto attacco?

    «L’attacco è contro Padre Pio, ma anche contro Giovanni Paolo II che l’ha fatto beato e poi santo. L’attacco è contro la Chiesa stessa. Credo che ci sia una certa malizia in tutta l’operazione di questi giorni».

    Fonte: Il Giornale, 26.10.2007, p. 10.

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    «Ha sofferto tanto, mai un lamento»

    La testimonianza dell’infermiere che per quarant’anni ha curato il religioso

    di Tony Damascelli


    Biagio Cappucci ha settant’anni. Vive con donna Vincenza a San Giovanni Rotondo dove è nato e dove ha lavorato da una vita, per una vita: «Prima da infermiere generico poi ho frequentato il corso da professionale e quindi da caposala. Quarantuno anni nella Casa sollievo della sofferenza, da quel 5maggio del ’56, il giorno dell’inaugurazione. Avevo 18 anni, per noi lui era già un santo».
    Cappucci mette assieme a fatica i ricordi, la sua voce prima incerta si fa poi calda: «Salivo la gradinata, la sua stanza era in fondo al corridoio, l’ultima a sinistra, un letto, un comodino sul quale era poggiato il messale, un crocefisso, il lavandino, una lampadina nuda pendeva dal soffitto, il bagno era in comune. C’era una piccola sala, di fianco, dove a sera incontrava qualche parente, qualche fedele particolare.
    Padre Pio incominciò ad accusare disturbi all’orecchio, l’otorino disse che non si trattava di nulla di grave, il direttore sanitario mi chiamò e fu la mia grande prima emozione, dovevo togliere un tappo di cerume, pulire il frate che soffriva ma senza mai lamentarsi.
    Il santo non mi disse una sola parola durante quei minuti, soltanto “arrivederla”, mormorato, quando lo lasciai. Tornai nei giorni a seguire, per sistemare il sondino delle fleboclisi, per cambiare le bombole dell’ossigeno. Le mie visite erano brevi, gli baciavo la mano, coperta da un guanto che aveva lo stesso colore del saio, marrone, lasciava scoperte le dita, pregavo in silenzio l’ave Maria, uscivo tremando, pensando alla sua sofferenza. I chirurghi, ogni mattina, verso le nove meno un quarto, prima di entrare in sala operatoria, passavano tutti a salutarlo, cercando un conforto per la loro giornata. Ricordo il dottor Sala, ricordo il professor Lotti. Quarantuno anni di cure silenziose, ho conservato alcuni aghi dei sondini e alcune garze, queste le ho incollate a un quadretto del santo che ho regalato a ognuno dei miei quattro figli, Gian Pio che da garzone in una bottega di barberia a San Giovanni è diventato illustre nel suo negozio nel centro di Milano, Aldo finanziere, Mauro impiegato alla Casa del Sollievo e Alessandro che lavora all’ospedale di Manfredonia. Loro portano la memoria di quel tempo e, insieme con la memoria, la fede e il rispetto in un uomoche qualcuno ha sempre cercato di infangare. Le donne?». Qui Cappucci si infervora, donna Vincenza dappresso: «L’accesso al convento era proibito, in gruppo lo aspettavano lungo il corridoio che portava dalla chiesa, dove Padre Pio celebrava messa, al convento. I pellegrini arrivavano alle tre del mattino per occupare i primi posti. Ricordo uomini e donne che baciavano il cordone del saio, cercavano le sue mani, le sue parole. Mai, dico mai, ho visto una donna sola avvicinarsi al frate. I contadini gli portavano pane e patate, d’inverno il freddo era terribile, in conventonon esisteva il termosifone come non c’erano televisori, soltanto qualche radio, i pellegrini passavano del bosco di San Giovanni Rotondo, tagliavano gli arbusti, i rami secchi se li mettevano comecopricapo e andavano a rendere omaggio a Padre Pio. Il sangue? Non ho visto il suo corpo sanguinare ma sapevo, come sapevamo tutti, i medici di lui e di questo si occupavano, gli curavano le ferite e anche i fratelli del convento, frate Eusebio che oggi sta in Molise, frate Carmelo ormai scomparso, frate Fedele, che, nonostante gli anni, ancora oggi riceve i fedeli, erano i suoi angeli».
    Il professore Francesco Lotti, bolognese, ex primario pediatra dell’ospedale, a San Giovanni Rotondo è un’altra memoria fresca, veramente storica la sua, nonostante gli ottantaquattro anni e qualche recentemalanno al cuore: «Sono stato vicino a Padre Pio dal Trentanove al Sessantotto, ho lavorato per oltre 42 anni tra quelle mura e da una vita ho sentito, ho letto, ho saputo di queste storie ridicole e miserabili che non possono scalfire minimamente la figura del santo. Tutti sapevamo che in convento girava l’acido fenico diluito, serviva per disinfettare le stimmate, lui stesso era confuso per questo fenomeno straordinario che voleva nascondere e che da oltre un anno lo affliggeva, da prima che fosse scritta quella lettera all’amica farmacista. L’acido serviva al Santo per curare altri diciotto fratelli colpiti dalla febbre spagnola. Il professor Bignami, mandato in ispezione da Roma, spiegò che l’acido non avrebbe guarito le ferite, ne vietò l’uso ma, tolte le bende per due settimane, le mani e il corpo continuarono a sanguinare e per cinquant’anni quelle stimmate sono rimaste uguali, per scomparire appena prima della morte del santo. Il resto è miseria, il resto serve a fare soldi, Padre Pio non aveva doppiezze, Padre Pio non frodava, esistono documenti, libri, diari, testimonianze di un secolo».
    «Vedrai - mi disse una sera - farò rumore più da morto che da vivo». Rumore dei vivi, beato, santo, demonio. L’acido fenico è di nuovo in vendita.

    Fonte: Il Giornale, 26.10.2007, p. 10

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    Continua la diffamazione

    26/10/2007

    San Padre Pio, forse il santo più straordinario che la Chiesa abbia mai conosciuto, continua ad essere crocefisso a 40 anni dalla sua morte.

    Dopo la beata Madre Teresa di Calcutta
    , che i media hanno voluto dipingere come una brava «suorina» quasi atea che si occupava di poveri anche se in fondo in fondo non ci credeva poi tanto, è il turno di San padre Pio, che il nuovo libro dello storico Sergio Luzzatto, «Padre Pio. Miracoli e Politica nell'Italia del Novecento», edito da Einaudi, che sarà in libreria dal 30 ottobre prossimo, scredita, addossando sulla sua persona l'ombra del più nero sospetto.
    La figura del santo frate, nella peggiore delle ipotesi, truffatore, autolesionista, che si procurava da sé le piaghe sulle mani, per fama di santità o chissà quale chimerico fine, o, nel migliore dei casi, vittima inconsapevole di personali nevrosi, come dice Armando de Vincentiis del CICAP: «Uno psichiatra dell'Università la Sapienza di Roma, Luigi Cancrini, sulla base di un'attenta analisi della biografia di Padre Pio, ha effettuato una lettura psichiatrica su quest'ultimo. In essa si conclude che il frate cappuccino soffriva (...) di un disturbo istrionico di personalità associato al disturbo di trance dissociativa, mentre le sue stigmate sono particolari sintomi di conversione somatica» (1), non ne esce bene comunque.
    Vorrei far notare che il meccanismo della tentazione primordiale si innesca proprio con il sorgere del dubbio (fondato sulla menzogna e la malafede, si badi), del sospetto: «E' vero che Dio ha detto?, ecc.».
    Il tarlo dell'incredulità e della diffidenza seminato qua e là su madre Teresa, su padre Pio, su Pio XII (da sempre, per i media, velatamente antisemita e favorevole al sistema nazista) è capace di logorare le anime semplici (meglio sarebbe dire, ingenue intellettualmente, ma non spiritualmente, cioè non in senso evangelico (2).
    Occorre per questo essere sempre prudentemente attenti nel valutare notizie e cronaca.
    Verificare i fatti e soprattutto accertarsi della bontà delle fonti.

    Riportiamo ancora al web: «Luzzatto - da quanto si legge nel capitolo del suo libro, anticipato ieri dal Corriere della Sera - ha messo le mani su due testimonianze giurate inoltrate nel 1920 all'allora vescovo di Foggia da un farmacista della cittadina pugliese, il dottor Valentini Vista, e dalla cugina di quest'ultimo, Maria de Vito, anch'essa proprietaria di una farmacia. Entrambi ferventi cattolici, Valentini Vista e la De Vito erano stati in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo nell'estate del 1919. In quell'occasione, secondo la testimonianza scoperta, padre Pio aveva chiesto alla ragazza di procurargli in gran segreto dell'acido fenico puro e della veratina, due sostanze altamente caustiche, per disinfettare le siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi di cui era maestro. Perché, si chiede Luzzatto, se padre Pio aveva bisogno di simili sostanze "procedeva in maniera così obliqua, rinunciando a chiedere una semplice ricetta al medico dei cappuccini, trasmettendo l'ordine in segreto alla cugina di un farmacista amico? Aveva forse bisogno di qualcosa che gli consentisse di procurarsi facilmente (e artificialmente) le famose piaghe alle mani?"» (3).
    Nello specifico, il fatto di padre Pio era noto da tempo.
    Sembra che ci sia una sorta di compiacimento, da parte di certa «cultura» storica, di rispolverare questioni già note e risolte, ma sulle quali è caduto l'oblio delle comuni coscienze.

    Risponde Andrea Tornielli, su «Il Giornale»: «Si tratta di una vecchissima testimonianza, ben conosciuta e analizzata a fondo da quanti hanno lavorato al processo di beatificazione, rimasta però inedita negli archivi del Sant'Uffizio. Aiuta a chiarire le accuse lanciate nei primi anni Venti contro padre Pio da padre Agostino Gemelli, fondatore dell'Università Cattolica, il quale, pur senza esaminare le piaghe che si erano da poco prodotte sulle mani e sui piedi del frate stimmatizzato (perché quest'ultimo si rifiutò di mostrargliele in mancanza di un ordine scritto del Vaticano), concluse che le ferite non erano soprannaturali ma frutto di autolesionismo e isteria. Accuse che sono state ampiamente smentite da diverse successive analisi ed esperimenti.
    (…) Il documento è stampato in un fascicolo del Sant'Uffizio del marzo 1921. A riprova dei dubbi sollevati da Gemelli, l'allora Suprema Congregazione dottrinale presenta la deposizione giurata della ventottenne Maria De Vito: "Io sono stata un'ammiratrice di padre Pio e l'ho conosciuto di presenza la prima volta il 31 luglio 1919. Dopo essere ritornata sono rimasta a San Giovanni Rotondo un mese. Durante il mese in cui ho avuto occasione di avvicinarlo più volte al giorno, ne ho riportata sempre ottima impressione. La vigilia della mia partenza per Foggia, il padre Pio mi chiamò in disparte e con tutta segretezza, imponendo il segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli, mi consegnò personalmente una boccettina vuota, richiedendomi che gliela facessi pervenire a mezzo dello 'chauffeur' che presta servizio nell'autocarro per trasporto passeggeri da Foggia a San Giovanni Rotondo con dentro quattro grammi di acido fenico puro, spiegandomi che l'acido serviva per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi. Insieme mi venivano richiesti altri oggetti come pastiglie Valda, nasalina, etc. che io mandai". Il documento del Sant'Uffizio continua informando che dopo circa un mese la giovane ricevette una lettera nella quale "le faceva richiesta di quattro grammi di veratrina. Non avendola trovata nella farmacia di sua proprietà, la richiese da un suo cugino con lettera che sta pure agli atti. Questo, impressionatissimo, la rifiutò", perché sospettava che padre Pio potesse usarla per procurarsi le lesioni alle mani di cui già si cominciava a parlare.
    È noto che queste testimonianze arrivarono in Vaticano perché presentate dall'arcivescovo di Manfredonia Pasquale Gagliardi, nemico giurato di padre Pio e artefice della "prima persecuzione" contro il frate, del quale diceva: "Si procura le stimmate con l'acido nitrico e poi le profuma con l'acqua di colonia".
    Ecco dunque su quali (labili) basi faceva queste affermazioni.
    Che peso dare, allora, a questa testimonianza?
    Non esiste alcuna prova che quei quattro grammi di acido fenico - sostanza con proprietà antisettiche, usato solitamente come disinfettante - siano stati adoperati dal futuro santo per provocarsi le ferite. E dalle migliaia di pagine del processo canonico emerge un'altra verità. Le stimmate di padre Pio furono esaminate attentamente dal professor Festa, che il 28 ottobre 1919 scrisse una dettagliatissima relazione accertando che esse "non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna, e che neppure sono dovute all'applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti".
    Anche il dottor Bignami fece un esperimento sulle mani di padre Pio, sigillando le sue piaghe per due settimane, con tanto di firme di controllo. Alla riapertura delle bende, sanguinavano come il primo giorno e non si erano né rimarginate né infettate. La prova dell'inconsistenza dell'accusa sta proprio in questo: se il frate si fosse procurato con l'acido le piaghe, queste si sarebbero chiuse oppure sarebbero andate in suppurazione. Per cinquant'anni, invece, sono rimaste inspiegabilmente aperte e sanguinanti» (4).

    A questo potremmo aggiungere un'ulteriore considerazione: ammesso e non concesso che il santo si sia davvero autoprocurato le piaghe o che esse siano frutto di problemi nervosi, come spiegare il loro profumo o la loro improvvisa sparizione in prossimità della morte.
    Riportiamo qui di seguito alcune testimonianze reperibili in rete.
    A chi ci giudicherà asserendo l'assoluta faziosità della fonte, si risponde con un antico adagio: «Ciò che tu gratis affermi, io gratis nego».
    «L'osmogenesi è un carisma posseduto da alcuni Santi. Tale carisma, in talune circostanze consentiva ai medesimi di far percepire a distanza o a chi gli stava vicino, profumi particolari.
    Tali profumi vengono definiti odori di santità. padre Pio era in possesso di tale carisma e tali fenomeni erano così frequenti per lui, che la gente comune era abituata a definirli come i profumi di padre Pio.
    Spesso il profumo emanava dalla sua persona, dagli oggetti che toccava, dai suoi indumenti. Altre volte il profumo era percepibile nei luoghi in cui passava. Un giorno un noto medico aveva tolto dalla piaga del costato di padre Pio una benda che era servita a tamponare il sangue e l'aveva chiusa in un astuccio per portarla nel suo laboratorio di Roma, per analizzarla. Durante il viaggio, un ufficiale e altre persone che erano con lui dissero di sentire il profumo che di solito emanava padre Pio. Nessuna di quelle persone sapeva che il dottore aveva nella borsa la benda intrisa del sangue del padre. Il medico conservò quel panno nel suo studio, e lo strano profumo impregnò per lungo tempo l'ambiente, tanto che i pazienti che andavano per le visite chiedevano spiegazioni.
    Fra Modestino raccontava: "Una volta mi trovavo in vacanza a San Giovanni Rotondo. Al mattino mi presentai in sacrestia per servire la Messa a padre Pio, ma già c'erano altri che si disputavano questo privilegio. Padre Pio interruppe quel sommesso vociare dicendo - la Messa la serve solo lui - e indicò me. Nessuno parlò più, accompagnai il padre all'altare di San Francesco e, chiuso il cancelletto iniziai a servire la Santa Messa in assoluto raccoglimento. Al 'Sanctus' ebbi un improvviso desiderio di risentire quell'indescrivibile profumo che già tante volte avevo percepito nel baciare la mano di Padre Pio. Il desiderio fu subito esaudito. Un'ondata di tanto profumo mi avvolse. Aumentò sempre di più fino a togliermi il respiro. Mi ressi con la mano alla balaustra per non cadere. Stavo per svenire e chiesi mentalmente a padre Pio di evitarmi una brutta figura dinanzi alla gente. In quel preciso istante il profumo sparì. A sera, mentre l'accompagnavo alla cella, chiesi a padre Pio spiegazioni sul fenomeno. Mi rispose: "Figlio mio, non sono io. È il Signore che agisce. Lo fa sentire quando vuole e a chi vuole. Tutto avviene se e come piace a Lui"» (5).

    Stefano Maria Chiari

    --------------------------------------------------------------------------
    Note:

    1) Da http://www.cdt.ch/interna.asp?idarticolo=136319
    2) Il cui significato è ben altro e si veste anche della virtù della prudenza e del discernimento.
    3) Da http://www.cdt.ch/interna.asp?idarticolo=136319
    4) Da http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=215101&PRINT=S
    5) Da http://www.padrepio.catholicwebservices.com/profumi.htm.

    FONTE

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    DIBATTITI Quello esposto nel libro di Sergio Luzzatto non è l'unico punto di vista possibile

    Messori: «Padre Pio? Ho visto prodigi»

    Ai sospetti hanno già dato risposta da decenni gli agiografi del frate e le perizie cliniche


    Il Padre Pio di Sergio Luzzatto è un libro importante e serio. Per questo, non gli rendono giustizia certe anticipazioni giornalistiche che — dalle oltre 400, fitte pagine — estrapolano «rivelazioni » e «gialli», come le richieste da parte del frate di acido fenico e di veratrina, quasi fossero le sostanze con cui procurarsi stigmate truffaldine. A questi sospetti — provenienti soprattutto da ambienti clericali — hanno già dato risposta da decenni non solo gli agiografi del frate, non solo perizie e controperizie di illustri clinici, ma anche le inchieste implacabili delle commissioni vaticane che hanno portato alla beatificazione del 1999 e alla canonizzazione del 2002. Libro serio, dicevo, che non merita presunti scoop da rotocalco; libro nato da anni di lavoro, da ricerche a tutto campo, non solo negli archivi (da cui sono emersi molti documenti inediti) ma anche nel fall out mediatico e magari spettacolare del «fenomeno padre Pio». Una serietà di indagine — unita a un gusto gradevole per la divulgazione che non disdegna l'aneddoto e la curiosità — di cui sarebbe sleale sospettare, basandosi solo su sviste sorprendenti: ad esempio, la veggente di Lourdes, Bernadette, indicata sempre e solo come Soupirous e non Soubirous, come sanno non gli specialisti, ma tutti i milioni di pellegrini alla grotta dei Pirenei.

    Ci voleva, dunque, un ancor giovane ma già temprato studioso di tradizione ebraica per riempire una lacuna di informazione sul francescano che Luzzatto stesso (pur parlando di boutade, ma non troppo) definisce «l'italiano più importante del secolo scorso». In ogni caso come risulta da ogni indagine, il più pregato, accanto a Giovanni XXIII, oggetto anch'egli di un vastissimo culto popolare. È uno dei paradossi o, se si vuole, dei molti enigmi di questa storia: sono accomunati nella devozione della gente — e nella quasi contemporanea elevazione agli altari — il «Papa buono » e «lo stigmatizzato del Gargano», i cui rapporti furono o nulli o, addirittura, di «persecuzione» da parte di un pontefice dal polso ferreo sotto l'aspetto bonario. Luzzatto non ha torto nel rivendicare di avere colmato un vuoto: da una parte una vastissima, ripetitiva, spesso acritica produzione editoriale di devoti; dall'altra, gli scherni e le sbrigative liquidazioni di un anticlericalismo come quello dei pamphlet che vanno oggi per librerie. E dai quali Luzzatto prende subito le distanze, indicando esplicitamente, come esempio da evitare, le invettive goliardiche di un ex seminarista enragé come Piergiorgio Odifreddi.

    Un vuoto riempito, dunque. Ma come? Certamente non solo con un lavoro lungo e tenace, ma con una pietas e un rispetto lodevoli. Ci sarà tempo e luogo per confrontarsi, e magari dissentire, sulla documentazione, di prima mano ma utilizzata secondo un taglio «politico» (che si annuncia sin dal sottotitolo) che fa l'interesse del libro per i laici, ma che è estraneo alla prospettiva del santo e della folla dei suoi devoti. Una incomprensione di un certo modo di sentire e di vivere la fede cattolica che, peraltro, non è certo rimproverabile a uno storico della formazione di Luzzatto. Sembra poco presente, qui, la consapevolezza della «ambiguità» necessaria nelle cose cristiane dove, per preservare la libertà di accettare o di rifiutare, sempre vige la dialettica rilevata da Pascal: «Abbastanza luce per credere, abbastanza buio per dubitare». Alter Christus secondo i devoti, Padre Pio condivide la sorte di Gesù stesso, considerato dalla nomenklatura del tempo un impostore, un falso Messia, oltre che «un ghiottone e un bevitore».

    In ogni caso, Luzzatto si è accorto e, lo scrive, che «padre Pio è ormai ovunque», che non possiamo più prescindere dalla presenza enigmatica di un frate che pur non si mosse, per mezzo secolo, da un disadorno convento nel Sud più profondo. È ovunque: nelle gigantografie dei Tir sulle autostrade e nelle cornicette d'argento sui tavoli dei Vip, nel borsellino della massaia e nel portafoglio del professore. C'è, qui, il mistero di una presenza carismatica che stringe da vicino una infinità di vite. La mia stessa, alla pari di innumerevoli altre, magari con piccoli prodigi dove brillano l'attenzione e la misericordia per le cose quotidiane. Se è lecito, dunque, (e per capire), un aneddoto personale. Una spastica grave che non ho mai visto di persona ma con la quale intrattengo da decenni un rapporto epistolare, molto imparando dal suo sensus fidei. La sua desolazione, anni fa, per il ritardo nel ricevere posta, a causa di miei viaggi e di superlavoro, il suo rivolgersi a padre Pio, di cui è ovviamente devota, e l'immediato, forte profumo di fragola che è per lei il segno di essere stata ascoltata. Il mattino dopo, ecco la lettera. Ma, dall'annullo sul francobollo, risultava spedita il giorno stesso, soltanto un'ora prima: e tra le nostre case corrono più di 300 chilometri. L'esclusione, da parte del direttore dell'ufficio, che fosse possibile un errore nel timbro, errore impensabile ma che, comunque, avrebbe portato a un ritardo, non a un anticipo della data. Poco tempo dopo, una mia visita a un convento lombardo di cappuccini, l'incontro con un vecchio frate che fu a lungo segretario del Santo, sul Gargano. Al racconto dell'episodio, nessuna sorpresa ma un gesto di condiscendenza: «Roba normale, niente da stupirsi. Quando aveva una lettera che gli stava a cuore, mi diceva di metterla nella buca in piazza: ma al recapito provvedevano gli angeli custodi. Un'ora dopo, puntualmente, arrivava».

    Che fare, con un tipo così? Studiarne la storia, certo, ma consapevoli che c'è, qui, una meta-storia che, per dirla col Vangelo «è rivelata ai piccoli e ai semplici ed è nascosta ai sapienti del mondo».

    Vittorio Messori

    Fonte: Corriere della sera, 26.10.2007

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    Le Reazioni
    Monsignor Capovilla: «L' errore di Giovanni XXIII». Frate Belpiede: «Al pontefice informazioni malevole»


    «Considerando che padre Pio è stato prima beatificato e poi canonizzato da Giovanni Paolo II ed oggi è uno dei santi più amati del mondo, mi sembra chiaro che da parte di Papa Roncalli vi sia stato un giudizio sbagliato, condizionato da tutta una serie di circostanze». A commentare così i documenti riportati nel libro di Sergio Luzzatto Padre Pio (Einaudi), e ripresi ieri da Aldo Cazzullo sul Corriere, è l' ex segretario personale di Giovanni XXIII, l' arcivescovo emerito di Loreto, monsignor Loris Capovilla. Da parte del Papa, sostiene, «non c' era alcun pregiudizio» verso il frate di Pietrelcina: «Erano gli uffici a trasmettere notizie negative su quanto avveniva a San Giovanni Rotondo, e il Papa non poteva far altro che prenderne atto». D' altronde, nota Capovilla, Giovanni XXIII «era un uomo e come tale non era infallibile, avrà commesso anche lui i suoi errori». Ulteriori particolari vengono da frate Antonio Belpiede, portavoce della Provincia cappuccina di padre Pio, interpellato dal Corriere: «Papa Giovanni manifestò la sua preoccupazione, nel giugno del 1960, sulla base di informazioni malevole e infondate. Ma pochi mesi dopo il Pontefice incontrò monsignor Andrea Cesarano, arcivescovo di Manfredonia, diocesi di cui fa parte San Giovanni Rotondo, che lo rassicurò sul comportamento ineccepibile di padre Pio. Gli disse che i baci di cui si parlava erano del tutto innocenti: la sua stessa sorella era solita baciare le mani al frate stigmatizzato, il quale si ritraeva di fronte a simili effusioni. Ciò risulta da atti ufficiali relativi al processo di canonizzazione: com' è possibile tornare a parlare di relazioni sessuali da parte di un uomo che allora aveva più di settant' anni (padre Pio era nato nel 1887) ed era malato da sempre? Del resto fu il cardinale Pietro Parente, che in precedenza aveva comunicato a Giovanni XXIII quelle notizie inattendibili, a firmare anni dopo la prefazione di una biografia elogiativa, scritta da Fernando da Riese Pio X: Padre Pio da Pietrelcina, crocifisso senza croce». Comunque frate Belpiede apprezza il libro di Luzzatto: «Si tratta di un lavoro serio e rigoroso. Mi sembra sbagliato soffermarsi in forma scandalistica su alcuni dettagli, rispetto a un' opera che tra l' altro analizza il grande impatto di padre Pio come icona del nostro tempo, paragonandolo a Che Guevara e alla Marilyn Monroe di Andy Warhol». Infine c' è la vicenda dell' acido fenico richiesto riservatamente: si sospetta che il frate se ne sia servito per procurarsi le piaghe. «Macché - replica Belpiede - quell' acido era un antisettico, all' epoca usato per bollire le siringhe. Padre Pio lo adoperava per le iniezioni da praticare ai seminaristi e, diluito con acqua, anche per disinfettare le sue piaghe. Comunque fu vietato introdurre ogni sostanza chimica nella cella di padre Pio. E in seguito il professor Bignami gli sigillò le stigmate con delle bende: dopo otto giorni trovò le piaghe ancora aperte e sanguinanti, senza alcun principio di cicatrizzazione. Rimasero così per mezzo secolo e non s' infettarono mai, per poi chiudersi alla vigilia della morte di padre Pio, senza lasciare alcun segno. Tutti fenomeni che la medicina non riesce a spiegare».

    Carioti Antonio

    Fonte: Corriere della sera, 26.10.2007

 

 
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