Cari amici, forumisti e guests, volevo sottoporre alla vostra attenzione una rilfessione, che da giorni mi passa per la mente. Mi domando, infatti, da tempo se Papa Benedetto XVI consideri come suo legittimo predecessore Giovanni Battista Montini, Paolo VI.
Forse taluno storcerà il naso a questa mia riflessione. Non vorrei, però, che taluno, assai superficiale, cominci a sostenere che il sottoscritto sia sedevacantista. Tutt'altro. Quello che voglio compiere è una riflessione piana e corretta.
Spiegherò, ovviamente, le ragioni che mi fanno avanzare qualche dubbio e che mi hanno fatto sorgere l'interrogativo.
Nel recente M.P. Summorum Pontificum, espressamente, all'art. 1 si attesta, in un inciso, che l'antico rito, promulgato da S. Pio V, più volte rimaneggiato dai Pontefici e da ultimo dal Beato Giovanni XXIII nel 1962, è "numquam abrogatam", cioè "mai abrogato". Fin qui nulla di strano se non fosse che, invece, quel rito era stato effettivamente abrogato e sostituto dal Novus Ordo.
Paolo VI era stato chiaro in tal senso. Questi, nell'Allocuzione al Concistoro segreto del 24 maggio 1976, dichiarò espressamente: “... È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L'adozione del nuovo Ordo Missae non è lasciata certo all'arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l'Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell'antica forma, con l'autorizzazione dell'ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all'antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino.
La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari”.
Paolo VI, dunque, nel pieno della propria potestà, aveva abolito l'antico rito, così come - diceva Montini - aveva fatto "il nostro santo Predecessore Pio V". Se si legge poi il testo della Costituzione apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969, Paolo VI stabiliva che il nuovo rito, similmente a quanto compiuto da S. Pio V, rappresentasse "fattore di unità liturgica e segno della purezza del culto della Chiesa" e fosse "accolto dai fedeli come mezzo per testimoniare e affermare l'unità di tutti". Per di più egli quanto stabilito ordinava rimanesse "valido ed efficace, ora e in futuro, nonostante quanto vi possa essere in contrario nelle Costituzioni e negli Ordinamenti Apostolici dei Nostri Predecessori e in altre disposizioni. anche degne di particolare menzione e deroga".
Dal contesto e dalle espressioni adoperate, sembra evidente che Paolo VI abrogava l'antico rito. Questa del resto era ancora la convinzione dell’artefice della Riforma Liturgica, Mons. Annibale Bugnini, che espressamente manifestò tale convincimento (cf A. Bugnini, La riforma liturgica 1948-1975, CLV Edizioni Liturgiche, Roma, 1983, pp. 297-299). Già 25 anni fa, quando un monaco inglese scriveva al Cardinale Siri di Genova, chiedendogli come si dovesse comportare in campo liturgico nel dubbio tra vecchio e nuovo rito, egli rispondeva: "II potere col quale Pio V ha fissato la sua riforma liturgica è lo stesso potere di Paolo VI. L’aver riformato l’Ordo implica la sua sostituzione all’antico" (lettera del 6 settmbre 1982).
Taluno, per vero, come Nicola Bux ha sostenuto che Paolo VI, in realtà, non avesse abolito espressamente l'antico rito. E francamente non mancano argomenti a questo riguardo. Nel suo Dossier sostiene che, contro questa tesi, vi sarebbero essenzialmente due argomenti: "Primo, alla Quo Primum possiamo, in ogni caso, applicare il can. 21 CIC: “In dubio revocatio legis praexistentis non praesumitur, sed leges posteriores ad priores trahendae sunt et his, quantum fieri potest, conciliandae”. Praticamente significa che , se la Messa antica ha perduto la sua posizione privilegiata, ciò nonostante continua ad esistere e il fedele ha diritto ad essa
E qui sorge il problema.
Secondo, la Costituzione Missale Romanum non ha esplicitamente abolito (come la legge richiedeva) l’uso immemorabile e universale su cui si basava la Messa antica, prima della Quo Primum (e dopo insieme ad essa). Perciò essa continua ad esistere malgrado forse non più protetta da una legge scritta. Questo era stato notato dagli studiosi, ma anche allora non era stata approvata alcuna legge supplementare per abolire quell’uso.
L’arcivescovo Annibale Bugnini, che Paolo VI aveva incaricato della riforma liturgica post-conciliare, cercò di ottenere una norma esplicita affinché il Novus Ordo Missae del 1970 abrogasse la Messa antica, in modo che in seguito fosse soppressa de jure. Per ottenere tale norma dalla Pontificia Commissione per l’Interpretazione dei Documenti Conciliari, egli aveva bisogno del permesso del Cardinale Segretario di Stato. Il 10 Giugno 1974 il Segretario di Stato rifiutò di concedere il permesso richiesto fondamentalmente perchè ciò sarebbe stato visto come “avversione ingiustificata verso la tradizione liturgica” (A. Bugnini, The Reform of the Liturgy 1948-1975, Collegeville, Minnesota: The Liturgical Press, 1990, p. 300-301).".
Ma questi argomenti si scontrano con le stesse intenzioni di Paolo VI, che, nel Concistoro segreto del 1976, parlando contro Mons. Lefebvre - il quale sosteneva la non abolizione del rito di S. Pio V e respingeva tout court il messale promulgato dal Montini - espressamente ammetteva che il nuovo rito sostituiva l'antico, precisando come fosse una norma eccezionale quella che consentiva ai sacerdoti anziani e malati celebrare sine populo con l'autorizzazione del proprio Ordinario. Una delle poche eccezioni fu rappresentata da S. Pio da Pietrelcina che poté continuare a celebrare la Santa Messa secondo il rito di san Pio V fino alla morte, soltanto con un indulto personale ricevuto da papa Paolo VI in persona.
L'interpretazione è avallata dalla Congregazione per il Culto Divino nel 1999. Questa, con lettera inviata all'allora arcivescovo di Siena, Mons. Bonicelli, attestava: "Sebbene nella Costituzione Apostolica Missale Romanum del Papa Paolo VI, non si trovi una formula esplicita di abrogazione del Missale Romanum di S. Pio V, è tuttavia chiara la volontà del supremo Legislatore liturgico di promulgare un testo rinnovato del «Missale Romanum» che prendesse il posto di quello fino ad allora in uso. Se la volontà del Pontefice fosse stata quella di lasciare in vigore le precedenti forme liturgiche come una alternativa di libera scelta, avrebbe dovuto dirlo esplicitamente. Rebus sic stantibus e alla luce della documentazione posteriore, come della prassi, si deve asserire che il «Missale Romanum» anteriore al Concilio Vaticano II non è piú in vigore come una alternativa di libera scelta per l’insieme delle Chiese che appartengono la Rito romano" (Congregazione per il Culto divino a Mons. Gaetano Bonicelli, Arcivescovo di Siena, 11 giugno 1999, prot. n. 947/99/L, Sulla celebrazione della liturgia tradizionale: v. QUI).
Sempre lo stesso Dicastero, nella Risposta del 3 luglio 1999 (prot. 1411/99), Sulla norma vincolante per cui nessuno può impedire che un prete celebri secondo il rito moderno, anche se appartenente ad un Istituto che celebra solo col rito tradizionale, affermava esplicitamente: "II Messale Romano approvato e promulgato per autorità del Papa Paolo VI … è l’unica forma in vigore di celebrazione del Santo Sacrifìcio secondo il Rito Romano, in virtù dell’unico diritto liturgico generale".
Gli argomenti, dunque, sostenuti da Mons. Bux vanno a farsi .... benedire .... .
Alla luce di quanto esposto pare possibile applicare al nostro caso la seconda parte del can. 22 del Codice piano-benedettino, ripreso dal can. 20 del nuovo Codice (e non il 21 come sostiene Mons. Bux!), il quale dice: “una nuova legge àbroga la legge preesistente, quando lo dica espressamente oppure le sia direttamente contraria oppure riordini interamente tutta la materia della legge precedente”. La costituzione “Missale Romanum” di Paolo VI deve, dunque, rientrare necessariamente negli ultimi due casi, per i quali si dà un’abrogazione tacita e di fatto (detta piú esattamente “obrogazione”). Il legislatore, infatti, emanando una legge “direttamente contraria” alla precedente o quanto meno riordinandone “interamente tutta la materia”, mostra “chiaramente” di non volere piú la legge preesistente (cf. Felix M. Cappello, S. J., Summa Iuris Canonici, vol. I, 1961, n. 96).
Non solo. Ma proprio il fatto che dal 1988 si parlasse di "indulto" lascia pensare che quanto esisteva in precedenza fosse abolito: l'indulto, infatti, da un punto di vista canonico, è un provvedimento grazioso, assimilabile ai c.d. decreti singolari o alle dispense, con il quale era concessa - per quanto ci riguarda - la grazia di celebrare secondo l'antico rito. Si trattava, dunque, di un provvedimento assolutamente particolare e, per sua natura, eccezionale, essendo la regola quella dell'abrogazione dell'antico rito.
Ciò detto vengo alla questione.
E' pacifico che Paolo VI avesse abolito il rito di S. Pio V. Ed allora perchè Benedetto XVI si spinge, in un atto legislativo, a sostenere che quel rito antico non è mai stato abrogato? E perchè prima di lui lo hanno sostenuto autorevoli esponenti della Curia Romana come il Card. Castrillón Hoyos?
Se contro le intenzioni di papa Montini si sostiene che quel rito non è MAI stato abrogato - si è visto che l'argomento letterale sostenuto da Bux non regge - allora ciò vuol dire che quel "papa" non poteva abolire alcunché. E perchè mai? Perchè i suoi predecessori potevano farlo (e l'hanno fatto, modificando quel rito: da ultimo, nel 1962, Giovanni XXIII e qualche anno prima, nel 1951, Pio XII per i riti della Settimana Santa) e Paolo VI no? La risposta, dolorosa, è che si deve argomentare che egli non avesse l'autorità e, quindi, la potestà di abolire quel rito. La conclusione, inevitabilmente, è questa. E perchè mai non l'aveva? Forse che Benedetto XVI consideri Paolo VI come un non-papa? Ma questa conclusione aprirebbe altri fronti. Però la questione, tragica, rimane.