Tibet
di Enrica Collotti Pischel
... anche i tibetani ebbero lunghi – e in genere molto ostili – rapporti con l’Impero cinese e nel corso dei secoli scesero in folte schiere dal loro inospitale altipiano per insediarsi nelle regioni cinesi a ridosso delle montagne, dove rimangono, pur essendo numericamente una minoranza rispetto agli han e ad altre genti. Il Tibet vero e proprio, il vasto altipiano, tutto al di sopra dei 4–5 mila metri, se si esclude la valle di Lhasa, fu conquistato dall’Impero cinese nel 1721 e nel 1751 inserito nell’amministrazione cinese in modo regolare, attraverso la presenza di funzionari, anche se tra i Dalai Lama e gli imperatori esisteva anche un rapporto personale di reciproco legame.
Qualsiasi governo cinese, quello imperiale, quello del Guomindang e quello della Repubblica popolare hanno sempre considerato il Tibet un territorio appartenente allo Stato cinese. Nessun paese al mondo oggi riconosce uno status di indipendenza al Tibet e neppure il Dalai Lama la rivendica. Su questo non possono sussistere dubbi.
Al momento dello sfacelo del potere cinese all’inizio del secolo XX, tuttavia, il potere britannico in India cercò di penetrare in Tibet e di stabilire rapporti con l’aristocrazia schiavista e monastica che lo controllava. Gli inglesi cercarono anche di attribuire uno status internazionale alle autorità tibetane, invitandole nel 1913 alla conferenza di Simla, dove, nonostante le proteste della delegazione dell’Impero cinese, si fecero cedere i territori che tuttora sono contestati tra India e Cina. Neppure gli inglesi, però, riuscirono a portare avanti il tentativo e durante la seconda guerra mondiale chiedevano regolarmente al governo di Chiang Kaishek il permesso di sorvolo sul Tibet per gli aerei che portavano aiuti. Poi vennero la rivoluzione e la proclamazione della Repubblica popolare cinese: l’ingresso in Tibet dell’esercito rivoluzionario era soltanto la conclusione di una guerra civile e non la conquista di un territorio esterno alla Cina, come va ripetendo da anni la campagna tenace e subdola condotta in occidente con gran rinforzo di attori di Holliwood e patiti delle nuove religioni esoteriche.
Nel 1951, la Repubblica popolare cinese concluse un accordo con le autorità tibetane, politiche e religiose, e istituì un regime di autonomia, gestito con il consenso del Dalai Lama. Però nel 1956–57, in un momento di massima tensione tra Stati Uniti e Cina popolare, la Cia sostenne una rivolta dei tibetani insediati nella regione cinese del Sichuan.
A seguito di una serie di manovre (c’è di buono che la Cia deve rendere conto delle sue spese al contribuente americano e così, ogni tanto, si sa qualcosa) e probabilmente con qualche complicità dei sovietici ormai ostili a Mao e alla Cina, i rivoltosi si trasferirono a Lhasa, chiesero e ottennero il consenso del Dalai Lama. I cinesi repressero la rivolta e il Dalai Lama, con gran parte della classe dirigente tibetana, si trasferì in India, a Dharamsala, dove ha costituito un governo tibetano in esilio, finora non riconosciuto da alcun paese.
Da allora è iniziata nel mondo intero un’intensa campagna di delegittimazione morale e storica del potere cinese sul Tibet, penetrata largamente nell’opinione pubblica occidentale, benché non abbia mai portato a prese di posizioni giuridiche dei governi. Per parte loro, i governanti cinesi sottoposero dopo il 1959 la società tibetana a profonde trasformazioni cercando di allevarsi una classe dirigente alternativa che doveva tutto alla rivoluzione. Furono soprattutto questi giovani "giacobini" tibetani che durante la rivoluzione culturale distrussero templi e simboli della civiltà tibetana, dando ulteriore fiato alla campagna anticinese. Dopo la morte di Mao, è stato ripristinato il regime di autonomia ed è stato dato maggiore spazio alla popolazione tibetana, anche se è continuata, in alcune fasi con molta intensità, la repressione contro le spinte indipendentistiche e i movimenti separatistici.
Oggi il Tibet, che resta molto povero, sta trasformandosi: i pastori nomadi sparsi ricevono qualche piccola assistenza dall’esercito popolare cinese che continua a gestire un minimo di strutture sanitarie, mentre la valle di Lhasa sta diventando un’attrazione turistica e molti tibetani trovano conveniente accettare la politica tradizionale dei cinesi verso le minoranze: comprarne il consenso con un minimo di benessere.