Da "Cruciverba" di Leonardo Sciascia.
A Catania e nei paesi etnei la lotta per l’indipendenza della Sicilia fu sentita in modo diverso che a Palermo e nel resto della Sicilia: e non fosse altro, per il fatto che a Palermo il movimento non aveva potuto evitare implicazioni e ipoteche mafiose (né, ad eccezione di Varvaro e di qualche altro, avrebbe in effetti voluto evitarle); mentre a Catania ne era naturalmente immune. Ancora non si può fare storia: ma l’impressione è che a Catania l’idea della nazione siciliana, della libertà e indipendenza della Sicilia, abbia più profonde radici.
Intanto, per banale che sia, trascinato com’è nelle macchiette televisive, cinematografiche, e di avanspettacolo, il fatto che, fuori dalla Sicilia, il siciliano tipico venga individuato nel catanese, non è senza significato. C’è poi da dire che quella di Catania è la zona più dialettale dell’Isola, quella dove il dialetto non s’appartiene a quel complesso di inferiorità, insorto dopo il 1860, per cui il “parlare italiano” veniva ad essere una specie di segno di distinzione dei dominatori dai dominati, e comunque di una classe che aveva (o mostrava di avere) accesso all’istruzione e ai relativi privilegi di essa. E non solo il “parlare italiano”, ma anche vivere alla maniera “continentale” si costituiva come modello, aspirazione, anelito. (Cose come queste dicono fino a che punto, anche senza averne precisa coscienza, la Sicilia si sia sentita, nel regno d’Italia, una specie di colonia). Ed è per fantasia di Nino Martoglio, nato a Belpasso , nel cuore della zona etnea, che questo complesso si fa ridente commedia: L'aria del continente appunto, che Musco impareggiabilmente portò sulle scene. E a questo punto va detto che l’uomo, qui, sa specchiarsi nel teatro: nel teatro che è teatro, non nel teatro che è vita, o nella vita che è teatro, come nella Sicilia occidentale scoprirà Luigi Pirandello.
In forza a quel complesso di inferiorità post-unitario, su cui son venuti stratificandosi gli apporti del cinema, della radio, della televisione, in Sicilia l’uso del dialetto va facendosi raro: l’infima borghesia impiegatizia trova anzi scandaloso l’impiego di esso nella scuola primaria, dove il rapporto dialetto-lingua è in qualche modo contemplato dai programmi, così com’è prescritto lo studio di poesie in dialetto. Ma non nella zona del catanese, tenacemente attaccata alla dialettalità, sia in senso strumentale che spirituale (per usare termini da programma didattico). E mentre il poetare in dialetto va sfiorendo in altre parti della Sicilia, o attinge a forme non dialettali, qui ha una rigogliosa sua scuola.