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Risultati da 1 a 10 di 88
  1. #1
    macht geht vor recht
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    Regno d'Italia > They challenge science to prove the existence of God. But must we really light a candle to see the sun?
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    Predefinito Strage di Bologna, quando verrà cambiata la targa commemorativa ai "fascisti"?

    Calata la cortina fumogena socialcomunista sui fatti riguardanti la strage di bologna, imputata per decenni al ricorrente fantasma dell' "eversione fascista", storici di destra e sinistra sono concordi nell'individuare nell'esplosione di un ordigno trasportato da un terrorista palestinese da recapitare alle formazioni comuniste combattenti italiane la causa della strage.
    La testimonianza inattendibile di Sparti premiata dalla magistratura a sfavore della famiglia che sosteneva l'estraneità di Fioravanti e della Mambro dai fatti, è l'unica stampella che tiene in piedi la sudicia tesi dell'eversione di destra coinvolta nella strage di Bologna per occultare le relazioni tra sinistra e terrorismo.
    La questione di Bologna è interna alla sinistra, la targa commemorativa delle persone innocenti uccise per le mire terroristiche dei compagni va aggiornata.





  2. #2
    macht geht vor recht
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    Regno d'Italia > They challenge science to prove the existence of God. But must we really light a candle to see the sun?
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  3. #3
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    ottima idea.....

    risolviamo le porcate delle nostre stragi con qualche bel musulmano che oggi va tanto di moda...... così si trova il colpevole e si continua nella campagna populista e xenofoba che vede nell'islam l'origine di tyutti i mali per non dover ammettere che è il popolo italiano a doversi vergognare per tutte le porcate fatte nel passato e ancora oggi....

  4. #4
    Hanno assassinato Calipari
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    stai dicendo delle falsità clamorose, nessun storico ha avvallato nessuna ipotesi e c'è una sentenza chiara e inequivocabile.

    Stop.

    O hai prove VERE e non fantasie di qualcuno, o TACI.

  5. #5
    Hanno assassinato Calipari
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    Citazione Originariamente Scritto da Airbus A-380 Visualizza Messaggio
    ottima idea.....

    risolviamo le porcate delle nostre stragi con qualche bel musulmano che oggi va tanto di moda...... così si trova il colpevole e si continua nella campagna populista e xenofoba che vede nell'islam l'origine di tyutti i mali per non dover ammettere che è il popolo italiano a doversi vergognare per tutte le porcate fatte nel passato e ancora oggi....
    fra poco diranno che è stato chavez

  6. #6
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    ecco ke sto thread si trasformerà in un covo dove i neo fasci si potranno sbizzarrire in quello che sanno fare meglio, raccontare la storia come pare a loro.
    il 2 agosto non si dimentica!

  7. #7
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    Sì, ho visto la Mambro

    di Riccardo Bocca
    La compagna di Fioravanti alla stazione poco prima della bomba. A 27 anni dalla strage, in un libro-inchiesta sull'attentato, una testimone racconta

    Mercoledì 4 luglio esce in libreria 'Tutta un'altra strage' (Rizzoli, pag. 272, euro 10,20), il saggio-inchiesta di Riccardo Bocca sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980. Ventisette anni dopo, viene analizzato il più grave attentato terroristico del dopoguerra italiano, segnato da 85 vittime e 218 feriti. Una tragedia che ha portato a cinque gradi di giudizio, alla condanna all'ergastolo degli ex Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, e a quella a trent'anni di Luigi Ciavardini. A torto o a ragione? Per rispondere, il libro propone nuove testimonianze e documenti inediti. Ma anche le verità emerse nel corso dei processi, poi sovrastate dalle polemiche. 'L'espresso' anticipa qui il primo capitolo.

    C'è una testimone, ventisette anni dopo. Una donna che il 2 agosto 1980 era presente alla stazione di Bologna, quando 25 chili di esplosivo hanno ucciso 85 persone e ne hanno ferite altre 218. Una signora di sessantasette anni che da allora vive con un pensiero nascosto, un ricordo che ha cercato di cancellare e invece l'accompagna suo malgrado. Qualcosa che la terrorizza e di cui parla controvoglia.

    È una mattina di primavera, quando la incontro all'Associazione dei familiari delle vittime della strage, nel centro di Bologna. Viene da Modena, dove vive e ha lavorato come assistente sociale. Non sa con esattezza qual è la ragione dell'intervista. Le è stato anticipato soltanto che parleremo del 2 agosto, delle sue emozioni, di come è cambiata la sua vita.

    "Era un momento un po' complicato per me. Non avevo troppi soldi in tasca. Lavoravo in Comune, ero una quarantenne divorziata e non sapevo come organizzare le ferie. Alla fine prenotai un viaggio in Grecia con mia figlia, che aveva diciassette anni e studiava alle magistrali. E siccome l'aereo costava troppo, il 2 agosto salimmo su un treno che ci portò a Bologna, da dove partiva un pullman per la penisola calcidica".

    La signora e la figlia arrivano a Bologna verso le 9,30. A quell'ora la stazione è un fiume di gente e valigie; l'euforia di chi saluta la città per un periodo di vacanza, la fretta che confonde tutto e tutti. Il resto del clima lo rievoca la lettura dei giornali. Fiat e governo in guerra, titolano sulla lotta contro le migliaia di licenziamenti annunciati a Torino. Con altrettanta evidenza la stampa pubblica la deposizione alla Commissione d'inchiesta Moro della vedova Eleonora, secondo cui "il rapimento e l'assassinio del leader Dc sono stati opera di un complotto politico con connessioni internazionali". Sempre il 2 agosto, le cronache raccontano le fragilità del presidente americano Jimmy Carter, poi sostituito dal repubblicano Ronald Reagan, ma anche un nuovo capitolo nella storia delle stragi nere: il responsabile dell'Ufficio istruzione del Tribunale di Bologna, Angelo Vella, che firma l'ordinanza di rinvio a giudizio per Mario Tuti e altri estremisti di destra, accusati di aver fatto esplodere il 4 agosto 1974 il treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, uccidendo 12 innocenti e ferendone 44.

    Una vicenda, vedremo, per certi versi legata alla strage di Bologna. Ma tutto questo il 2 agosto non c'è nei pensieri della signora modenese e di sua figlia. Sono proiettate verso il mare, loro, verso la Grecia. "Piuttosto", dice la testimone, "mi ricordo che i giornali parlavano di caldo torrido, e non sbagliavano". Il termometro segna 42 gradi, quel giorno. Bologna è una fornace e la stazione è anche peggio, affollata da troppe cose e persone. "In quell'atmosfera, facemmo colazione al bar vicino ai binari, comprammo i giornali e ci portammo con i bagagli sul piazzale esterno, da dove sarebbe partito il pullman. Senonché ci fu un contrattempo: mia figlia si accorse di avere le mestruazioni, e si diresse verso via dell'Indipendenza per raggiungere una farmacia".

    La signora invece non si muove.

    "Per qualche minuto rimasi davanti alla stazione, ad aspettare il pullman. Poi mi sedetti sull'aiuola al centro della piazza, e a pochi metri da me, sull'erba, notai un ragazzo e una ragazza vestiti in modo assurdo, vista l'afa che c'era. Avevano pantaloni a tre quarti da montagna, calzettoni di lana e scarponi. In particolare, la ragazza indossava calzoni verde militare, calzettoni rossi, una maglietta bianca, uno zaino, e aveva a fianco un golf o un giacchino tirolese. Quanto al ragazzo, ricordo la sua giacca, che non era il classico modello italiano, ma anch'esso tirolese. Una tenuta così eccentrica che pensai: 'Non sembrano nemmeno tedeschi...!'; un'espressione emiliana per sottolineare quanto invece lo apparissero, almeno sotto il profilo dell'abbigliamento. Per il resto erano italiani al cento per cento, con i capelli castani - lei lunghi fino al collo - e i nostri tipici volti".

    Quello che succede di lì a breve è il prologo alla tragedia.






    "D'improvviso è arrivata una terza persona, un uomo che ha chiamato i due ragazzi. Ha aspettato che si alzassero, e si è allontanato con loro. In quel momento mi chiesi perché avessero atteso al sole, se non dovevano neppure prendere il treno. Un pensiero tra i tanti. Una decina di minuti dopo, è scoppiata la bomba. Dal nulla ho sentito due mani enormi spingermi avanti. Mani disumane, alle quali era impossibile resistere. Lo spostamento d'aria dell'esplosione. Una forza che mi ha scaraventato per aria, cancellandomi dalle orecchie il boato che l'accompagnava. La terra, invece, l'ho sentita. Mi è tremata sotto ai piedi, e sono finita non so come tra le braccia di uno sconosciuto che diceva 'Non hai niente... non piangere... devi stare tranquilla...'. Io lo guardavo e mi sentivo confusa: non riuscivo a capire chi fosse lui, e tantomeno cosa stesse accadendo. Al tempo stesso, però, mi sono voltata, e ho visto l'insegna del self service-ristorante che cadeva, e poi il fumo, la polvere, le urla. A quel punto sono tornata completamente in me. Perdevo sangue, e stavo sporcando la camicia del mio soccorritore".

    In tutto questo, racconta la testimone, si accorge che la figlia non è con lei, e si dispera. Teme sia stata uccisa dall'esplosione, ed è la stessa paura che ha la ragazza, sopravvissuta grazie alla deviazione in farmacia. Le due donne si cercano, vagano nella confusione senza trovarsi. Finché s'incrociano, per un attimo felici nella carneficina, "mentre la gente attorno era ferita e implorava aiuto". Poi la signora viene portata in un punto di soccorso vicino alla stazione, dove le tolgono con una spugna le schegge sparse sul corpo. Sanguina dalla testa, è ferita alle spalle, al volto. Un volontario la fa sdraiare sul sedile posteriore dell'automobile e l'accompagna all'ospedale Maggiore. Lì la medicano, trovandola ancora in stato di choc.

    "Sono stata ricoverata otto giorni. Piangevo, tremavo... Mi hanno aiutato con i sedativi, e altrettanto hanno fatto con mia figlia. Passavano i giorni, ma non quelle immagini fisse in testa: i morti, la distruzione, una donna che camminava vicino alla stazione, spingendo la bicicletta e urlando a squarciagola 'Bastardi!... Assassini!...'. Questa era la situazione, ed è ciò ho riferito quando mi hanno interrogato in corsia".

    In quei momenti, assicura la signora, ha cercato di essere il più precisa possibile. Ha raccontato perché si trovava in stazione, con chi era arrivata e cosa aveva visto. Ma forse non ha pensato al dettaglio dei due ragazzi vestiti da tedeschi, messo in secondo piano dall'enormità del disastro; oppure non l'ha evidenziato abbastanza. D'altronde, perché avrebbe dovuto? Che importanza poteva avere, in quell'inferno, la presenza di quella coppia sulla piazza della stazione? Nessuna. Dunque è normale che nei due anni successivi la signora si sia dimenticata del particolare, o quasi. Solo il 24 aprile 1982, leggendo i quotidiani, rimane senza parole. In pochi minuti la sua prospettiva cambia drasticamente, e sprofonda nell'agitazione. Quel giorno, infatti, il 'Corriere della Sera' dice che "ancheValerio Fioravanti e la Mambro" sono "sotto accusa per la strage della stazione". 'L'Unità' specifica che "l'inchiesta ora ha cinque imputati", mentre 'la Repubblica' aggiunge che "Fioravanti e la Mambro, killer neri arrestati dopo sanguinose sparatorie, sarebbero stati incastrati soprattutto da Massimo Sparti, un pregiudicato romano esperto in falsi. A lui", si legge, "Fioravanti avrebbe chiesto il 4 agosto 1980 documenti falsificati per sé e per la sua compagna, parlando dell'attentato a Bologna e dicendo che lui era presente travestito da turista tedesco".

    Proprio così. Fioravanti, apprende la signora dai quotidiani, il 2 agosto sarebbe stato a Bologna travestito da turista. Tedesco. Come la coppia che ha notato sull'aiuola alla stazione. Ma c'è di più, oltre a quello che pubblica la stampa. Il delinquente comune Massimo Sparti del quale parleremo a lungo più avanti, è stato arrestato il 9 aprile 1981 dai magistrati romani per il sospetto di associazione sovversiva, banda armata e concorso in rapina. E due giorni dopo, interrogato dal sostituto procuratore Giancarlo Capaldo, ha illustrato il suo ruolo nella realtà neofascista.






    "I miei contatti con persone di quegli ambienti sono cominciati, credo, tre o quattro anni fa. Conoscevo fin da bambino Enrico Lenaz, il cui padre è portiere dello stabile dove abito. Una sera Lenaz, di cui erano note le simpatie di destra, venne da me molto spaventato e mi disse di aver partecipato, quel giorno stesso, a una rissa a Ostia con elementi di opposta tendenza politica, nel corso della quale era stato fatto uso di armi da fuoco, mentre una persona era rimasta ferita. Gli chiesi se avesse sparato e mi rispose di no. Gli consigliai pertanto di andarsi a costituire, dato che nel frattempo la polizia era già stata a casa sua. Il Lenaz seguì il mio consiglio e dopo pochi giorni fu scarcerato. Mi rimase grato, e da allora alcuni suoi amici delle stesse idee politiche cominciarono a venirmi a trovare. Tra questi, in particolare Cristiano Fioravanti, suo fratello Valerio (e altri). Ben presto, sapendo che ero pregiudicato per reati contro il patrimonio, cominciarono a chiedermi insistentemente, soprattutto Valerio, di dar loro informazioni per commettere reati. Il mio concorso nell'attività di queste persone era dettato unicamente da fini di guadagno, essendo io del tutto estraneo alle finalità politiche professate in particolare da Valerio (...)".

    "Questi, dopo qualche tempo, manifestò un carattere particolarmente violento e deciso, finendo con il coinvolgermi contro la mia volontà in azioni che non avrei voluto fare. Ciò anche per mezzo di minaccia. Più volte (Fioravanti) mi ha minacciato di uccidere mio figlio. La prima è quando rubò delle bombe a mano a Pordenone. Si presentò a casa mia alle cinque di mattina con due borse contenenti mitra, pistole e bombe a mano, e mi chiese di tenergliele. Cercai di fargli capire che non potevo accontentarlo perché avevo dei bambini in casa, ma lui prese molto male la cosa. A seguito delle minacce che in quell'occasione mi rivolse - disse precisamente 'sai quanto mi frega di ammazzare tuo figlio' - circa dieci giorni dopo non ebbi il coraggio di rifiutare di custodirgli una borsa, che ritirò dopo una ventina di giorni, dicendomi che aveva trovato una grotta sulla Salaria dove custodirla".

    Il secondo episodio è quello cruciale per i destini processuali di Fioravanti e Mambro, oltre che per la nostra testimone. "Avvenne esattamente due giorni dopo la strage di Bologna", spiega Sparti.

    "Valerio si presentò a casa mia con la Mambro che io non conoscevo, e mi parlò di questa in termini elogiativi, dicendo che aveva trovato la donna della sua vita e che si trattava di una ragazza decisa e coraggiosa. Mi disse pure che era stata fidanzata con un 'coglione', e che adesso stava con lui. Riferendosi alla strage mi disse testualmente: 'Hai visto che botto?', e aggiunse che a Bologna si era vestito in modo da sembrare un turista tedesco, mentre la Mambro poteva esser stata notata, per cui aveva bisogno urgentissimo di documenti falsi e le aveva fatto tingere i capelli".

    A quel punto, racconta Sparti, Fioravanti "pretendeva che in giornata gli facessi avere una patente e una carta d'identità di cui mi fornì le generalità ma non i numeri (...). Feci presente", sostiene, "l'impossibilità di procurare documenti in giornata, e lui s'infuriò, dicendomi che dovevo 'spezzarmi' ma darglieli in fretta. Spaventato dall'enormità della cosa, lo pregai di non parlarmi neppure di queste cose, e lui replicò che dovevo comunque stare zitto, in quanto anche se a lui fosse successo qualcosa, ci sarebbe stato qualcuno che me l'avrebbe fatta pagare. Aggiunse precisamente: 'Te lo faccio piangere io, Stefanino tuo', alludendo a mio figlio".

    Alla fine, conclude Sparti, "riuscii a procuragli i documenti per il giorno dopo tramite Mario (Ginesi, nda), e Valerio venne a ritirarli verso le dieci di mattina a casa mia, dicendomi che doveva andare in Sicilia con la Mambro".

    Attorno a queste parole, dal 1981 a oggi, si è combattuta una guerra feroce. Massimo Sparti ormai è morto, dopo essere stato più volte ascoltato dai magistrati. Mambro e Fioravanti, invece, hanno provato in qualunque modo a dimostrare che le sue erano menzogne. Comunque sia, il 24 aprile 1982, quando la testimone modenese legge la notizia del travestimento tedesco, non perde tempo. "Andai a Bologna", dice, "per partecipare a una riunione dell'Associazione dei familiari delle vittime. Presi da parte l'allora presidente Torquato Secci con il vice Paolo Bolognesi, e raccontai tutto".

    "Restammo sbalorditi", conferma l'attuale presidente Bolognesi, fin qui in silenzio durante il mio incontro con la testimone. "Le dicemmo che con quel genere di cose non si scherzava, che doveva andare dagli inquirenti. Poi contattammo l'avvocato dell'associazione, Laura Grassi, e la pregammo di concordare un appuntamento".

    Ciò che succede di lì a pochi giorni, lo ricostruisce la signora: "Da principio raccontai agli inquirenti quello che ricordavo del 2 agosto. Poi mi mostrarono delle fotografie segnaletiche con volti di donna, e mi chiesero se ne riconoscevo qualcuno. Presi in mano quelle immagini in bianco e nero, le guardai con attenzione e dissi: 'Lei', indicando uno dei ritratti. 'Questa ragazza mi pare proprio di riconoscerla...'".

    In verità, precisa oggi, "ricordavo un volto appena più paffuto, più in carne, ma i lineamenti erano quelli".

    Quanto basta per provocare la reazione di chi la interroga: "Signora, ma questa è la Mambro!", le dicono. Dopodiché le chiedono dove l'avesse vista, quella ragazza, ottenendo però una risposta vaga: "Non spiegai", ammette la signora, "che la donna nella fotografia era la stessa della stazione di Bologna. Dissi invece che non sapevo con certezza dove l'avessi notata: forse in televisione, o sui giornali...". "Insomma", commenta Bolognesi, "quando si è trovata a sottoscrivere un verbale, la signora non l'ha fatto, non se l'è sentita. O almeno questo è ciò che noi dell'Associazione abbiamo saputo tempo dopo, da altre fonti".

    In effetti, su questo punto la signora non è precisa. Si rifugia dietro il tempo passato, nei buchi di memoria che ha allargato per rimuovere le preoccupazioni. Ma ciò che è disposta a dire, ventisette anni dopo la strage, è comunque importante. "In effetti", ammette, "collegai il volto della Mambro alla giovane sull'aiuola della stazione. Non solo: misi in relazione il suo volto al corpo, del quale avevo notato il generoso seno". Un collegamento, precisa, "che mi è venuto dopo l'interrogatorio, quando è scemata l'angoscia per quello che stava succedendo".

    Ora, spiega, il suo primo pensiero è non finire con nome e cognome in questo libro. Teme che qualcuno possa individuarla, e magari vendicarsi. "Perché sono persone spietate, quelle, che non perdonano", dice camminando verso la stazione di Bologna. L'ex sostituto procuratore Libero Mancuso, l'uomo che ha chiesto in primo grado l'ergastolo per Fioravanti e Mambro, dice: "Non conta se la signora abbia o meno firmato un verbale, e nemmeno il suo livello di attendibilità. Chi aveva nel processo un ruolo centrale, come me, avrebbe dovuto conoscere questo elemento potenzialmente enorme. E in ogni caso la signora avrebbe dovuto essere riconvocata per un altro interrogatorio".

    A detta della testimone, invece, nessuno l'ha chiamata. E altrettanto discreto, per tutto questo tempo, è stato Paolo Bolognesi, bloccato dal no della signora, che se esposta pubblicamente non avrebbe confermato i fatti. "Una scelta sacrosanta", sostiene lei. "Una decisione che mi è sempre pesata, ma che dovevo alla mia famiglia".
    (28 giugno 2007)

  8. #8
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    che i politici che metà italia acclama fossero dei faccia di c**o senza nessuna morale nè coscienza si sapeva ma quando ho visto giovanardi usare ustica per attaccare i magistrati comunisti lì veramente si può provare solo tanta pena...........

    per un paese come questo...agonizzante..... sarebbe meglio avere un atto di pietà e praticare una bella eutanasia

  9. #9
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    L’idea del libro è nata nel 2000. Ciavardini era stato assolto dall’accusa di strage in primo grado. Il processo a suo carico era partito soltanto nel 1997 quando, dopo cinque gradi di giudizio, era arrivata la condanna di Valerio Foravanti e Francesca Mambro quali autori della strage del 2 agosto 1980. Mancava un tassello, un elemento, un compagno, una persona che ha sempre asserito di aver trascorso quel giorno insieme alla coppia dei Nar.
    Luigi Ciavardini all’epoca aveva solo diciassette anni e per questo è stato giudicato da un altro tribunale, quello dei minorenni. Tre anni di processo con testimonianze, elementi, documenti ripresi dall’altro processo. Alla fine l’assoluzione che rischia di far saltare anche l’altra condanna. Nel 2000 lo avevo intervistato per Italia Radio, un’emittente del gruppo Espresso piccola e per questo [abbastanza] libera. Mi ero potuto permettere in soli sei minuti di intervista di segnalare quali erano le molte stranezze di questo processo, i tanti dubbi che potevano scagionare i Nar. Dopo l’intervista Ciavardini mi aveva chiamato per ringraziarmi. Non perché avessi sostenuto al cento per cento la sua innocenza [non lo avevo fatto], quanto per ‘aver affrontato la storia del processo in maniera onesta’. Alla fine si era concesso una battuta: ‘… magari possiamo scrivere un libro insieme…’. Poi per due anni e mezzo non ci siamo più sentiti. A marzo del 2002 sto preparando l’orale dell’esame per diventare professionista. Sulla mia scrivania ci sono dieci quotidiani. Un trafiletto fra i tanti… strage di Bologna, condannato Ciavardini. Dieci righe che non dicono nulla, se non del giudizio emesso dalla corte d’appello del tribunale dei minorenni. Trent’anni. Poche ore dopo, passato l’esame, richiamo Ciavardini. Si ricorda subito dell’intervista alla radio. E’ arrivato il momento di scrivere il libro.
    Le memorie sono uscite nei bar, seduti ai tavolini più nascosto dove il registratore acceso si nota meno. Nel giardinetto di fronte ai Granai, in un palazzo del centro con i soffitti al cielo e gli affreschi. Lì un secco colpo di tosse ogni tanto rimbombava più forte del racconto di una sparatoria. Ho chiesto particolari a volte tanto infinitesimali che abbiamo perso quarti d’ora sul serpente-boa ordinato da Gilberto Cavallini e sul senso dell’onore cameratesco di Ciavardini verso i suoi amici. Dopo qualche settimana, e non poteva essere altrimenti, i Nar si sono presi i miei sogni. Incubi anzi. Partecipavo oppure assistevo ad agguati e rapine. Come spesso accade nei sogni le visioni sono sfocate, i personaggi difficili da ricordare con precisione. Nel sogno però c’è sempre la stessa sensazione di angoscia cupa. Il colore delle scene era sempre grigio.
    Siamo partiti dal suo racconto Con metodo. Adolescenza tranquilla, la scelta politica di destra, le prime manifestazioni, la strada verso l’eversione, la pistola, l’agguato al Giulio Cesare dove per la prima volta Ciavardini spara insieme ai Nar. Muoiono Franco Evangelista e l’agente di polizia “Serpico”. Poi la latitanza, gli spostamenti in lungo e in largo per l’Italia, l’arresto a Roma con lo strano “suicidio” in carcere di Nanni De Angelis. La vita in carcere, il confino. Infine l’ultimo capitolo, l’accusa di aver partecipato alla strage di Bologna.
    Le prove indiziarie che sostengono l’accusa contro Ciavardini sono degne di un legal thriller. Non un solo pentito che sostiene direttamente la sua colpevolezza per averlo visto alla stazione di Bologna, oppure perché Ciavardini gli ha detto: “vado a fare una stage”. Nessuno è in grado di dirlo. L’accusa sta in piedi grazie ad una misteriosa telefonata e ad una altrettanto misteriosa deduzione. Vi sono anche regolamenti di conti, servizi segreti deviati. E infine la sua più grave colpa, quella di aver passato la giornata del due agosto insieme a Fioravanti e alla Mambro. Se loro sono stati ritenuti stragisti anche dalla Cassazione, lui non può essere da meno.
    Questo punto manca qualcosa, l’editore. Il racconto di Luigi è sbobinato, la mia inchiesta va avanti ma rischiano di rimanere pagine disperse nella memoria del computer. Parto per il salone del libro di Torino come un piazzista qualsiasi. Tra gli stand riesco a trovare chi crede nella storia. Il libro verrà pubblicato. Nella prima parte ci sarà l’autobiografia di Ciavardini, nella seconda la mia inchiesta sui processi di Bologna. Al ritorno in treno da Torino passo la notte con gli occhi sbarrati per scrivere appunti. C’è tanto lavoro da fare, leggere tutti gli atti processuali, racchiusi in dieci floppy che copio e ricopio avidamente. Cercare i testimoni. Tre in particolare, massimo Sparti, Angelo Izzo e Cecilia Loreti. Sono loro che, volenti o nolenti, devono portare l’accusa verso Ciavardini.
    Trovare Sparti magari. Riproporgli le domande dei giudici, insistendo sulle incongruenza delle sue testimonianze, capire che vita fa. Sparti abita vicino a Roma, protetto dall’Ucigos. I giornalisti che si sono avvicinati a casa sua o al bar sono stati gentilmente allontanati dagli uomini in borghese. Massimo Sparti è il delinquente comune al quale i Nar avrebbero confessato la strage: “la mattina del 4 agosto vennero a casa mia Giusva Fioravanti e mi chiese di fargli un documento per la Mambro perché mi disse che l’avevano vista”. A Sparti Giusva avrebbe fatto un chiaro riferimento alla strage di due giorni prima: “hai sentito che botto?”. E’ una testimonianza che fa acqua soprattutto nel suo svolgimento, quando Sparti deve rimediare il documento alla terrorista. Qui spesso si contraddice ma vi è un altro episodio inquietante. Nel 1982 Sparti si ammala gravemente, tumore al pancreas e nessuna speranza di sopravvivere. Venti anni dopo è vivo e vegeto. Altre inchieste, altre voci, tirate fuori non certo da uomini di destra [l’ex-leader di Lotta Continua Adriano Sofri] raccontano di una finta malattia. Sparti non ha avuto nessun tumore, è stato un escamotage per farlo uscire dal carcere. Un pegno per la sua testimonianza?
    Se Sparti tace, Izzo parla. E’ in carcere da una vita per il tristemente famoso massacro del Circeo , anno 1975. Nei primi anni di detenzione non si è dato pace. Ha provato ad evadere, riuscendoci anche per essere poi ripescato. Poi ha iniziato a collaborare con la giustizia, per la verità con troppo zelo. Izzo è stato fatto condannare da Falcone per calunnia. Izzo ha una buona parola per ogni mistero d’Italia. Va bene gli anni di carcere, passi anche la voglia di accorciare la permanenza in cella. Ma la giustizia italiana già avvelenata non ha bisogno di sibille cumane, di testimoni buoni per ogni occasione. La spifferata raccolta da Izzo per la strage di Bologna sembra oltretutto lo stralcio di un copione della puntata di una soap opera. La scena si gira all’istituto penitenziario di Paliano, dove vige un regime carcerario più morbido visto che pullula di pentiti. Siamo nel 1986 e qui è rinchiuso anche Cristiano Fioravanti, il fratello pentito di Giusva. Un “personaggio da tragedia greca” lo definì un giudice esasperato dai cambiamenti delle sue versioni, con relativi pentimenti, contropentimenti e pianti. In cella con lui c’è Angelo Izzo. Poco dopo arriva a Paliano una ragazza di soli 19 anni che si chiama Raffaella Furiozzi. Appartiene alla Torino-bene, con simpatie di destra che l’hanno portata a frequentare assiduamente, fino a che non ne è diventata fidanzata, Diego Macciò. E’ stata arrestata, e si può dire fortunata, dopo una sparatoria con la polizia nella quale è morto il ragazzo, uno dei leader del Fronte della Gioventù di Milano. Raffaella si consola con Cristiano. I due divengono prima amici e poi amanti. Ad un certo punto la coppia entra in crisi e nel menage si inserisce Izzo. L’ex-stupratore convince la ragazza a presentarsi al magistrato, davanti al quale la ragazza inizia un racconto che fa sbalzare dalla sedia. E’ una precisa accusa che chiude il cerchio della strage di Bologna. La Furiozzi aveva saputo da Macciò, il quale a sua volta ne aveva parlato con Gigi Cavallini, che a mettere la bomba erano stati i Nar. La ragazza indica i nomi degli autori materiali della strage, due ragazzini di Terza Posizione guidati da Fioravanti: Massimiliano Taddeini e Nazzareno De Angelis. E’ il 25 marzo del 1986 quando la Furiozzi esce dalla stanza del magistrato. A questo punto entra in scena Izzo e inserisce negli atti quella che è semplicemente una sua opinione: se Taddeini e De Angelis sono colpevoli, allora a Bologna c’era anche Ciavardini perché i tre erano inseparabili. Una deduzione e niente di più. L’amore intanto turba le confessioni e la gelosia finisce per inquinare il processo. Izzo convince anche Cristiano Fioravanti a parlare ai giudici. Il racconto della Furiozzi viene però ben presto smentito. Una videocassetta girata da una Tv locale il 2 agosto 1980 mostra Massimiliano Taddeini e Nazzareno De Angelis impegnati nella finale del campionato italiano do football americano. Crolla l’accusa? Macchè, Taddeini e De Angelis non sono più imputabili, ma Ciavardini rimane invischiato nelle maglie della deduzione di Izzo.
    Non mi piacciono gli agguati giornalistici stile Iene. Ho cercato tutti i testimoni nel modo più corretto, vale a dire tramite gli avvocati. Ho fatto così anche con Cristiano Fioravanti. Era giugno. A settembre, dopo la decima telefonata, mi è arrivata una risposta disarmante da parte del legale: non riesco a mettermi in contatto con lui. Tre mesi buttati. Peccato, perché mancava l’ultima puntata della soap opera. Cristiano Fioravanti alla fine si è sposato con Raffaella Furiozzi. Vivono in una località segreta, sposi e “pentiti”. Chissà se a volte, a tavola, in cucina o alo ritorno da un weekend hanno riparlato della strage di Bologna? Anche perché in famiglia ci sono due versioni, ribadite anche nel processo contro Ciavardini. Per la Furiozzi, almeno nell’ultima versione da lei fornita, i bombaroli sono stati suo cognato Giusva Fioravanti e la Mambro, mentre Cristiano è innocente.
    Per Izzo invece è stato tutto più semplice. Gli ho inviato al carcere di Campobasso una lettera contenente sei domande. Tre settimane dopo è arrivata la risposta. Un foglio fitto fitto scritto con il trattopen nel quale con caparbietà e qualche tocco storiografico ribadiva la sua accusa, o meglio la sua deduzione. Alla fine della lettera mi chiede una copia del libro. Gliela manderò sicuramente, anche se non gli piacerà probabilmente quello che c’è scritto.
    Anche Cecilia Loreti si è rifiutata di collaborare al libro. Una volta rintracciata è stata molto simpatica: “come sta Luigi, lo ricordo come amico e mi spiace per la condanna, ma capisci non mi va più di ritornare su queste storie”. La potrei anche capire, visto che i Nar le hanno ucciso il fidanzato, Marco Pizzari, per vendetta. Altre cose però non le capisco. Nel 1980 la Loreti si ricorda, solo al terzo interrogatorio, di aver ricevuto da Ciavardini una telefonata di avvertimento, nella quale posticipava un appuntamento con lei a Venezia dal quel tragico 2 agosto al 4 agosto adducendo motivi poco chiari. Una telefonata che si trasforma diabolicamente in prova. E’ chiaro che Ciavardini non poteva incontrare Cecilia e gli altri amici perché il 2 agosto doveva compiere la strage. Peccato per l’accusa che si sia trattato, a quanto dice la Loreti, di una chiamata passata attraverso altre persone, i genitori di Pizzari e lo zio della Lo reti, e che nessuno di costoro in aula se ne ricordi. Peccato, sempre per l’accusa, che la Loreti, dopo aver cambiato più versioni, al processo abbia alla fine dichiarato di non ricordare alcuna telefonata.
    Non vorrei aggiungere altri particolari del libro, solo altri indizi da parte di accusa e difesa. Nel processo per la strage di Bologna c’è l’occultamento di un professore di filosofia e l’intervento dei soliti servizi segreti deviati. Ma anche le dichiarazioni di un superterrorista e di un ex-ministro che portano verso piste internazionali. Ci sono giudici che si fanno intervistare ed esprimono forti dubbi sulla sentenza. C’è il depistaggio sul treno Milano-Taranto per il quale sono stati condannati Gelli, Pazienza e due ufficiali del SISMI. C’è anche l’ennesimo grido di innocenza di Fioravanti e della Mambro, ribadito nel solito stile, senza lacrime ma con durezza. Niente di nuovo per i giudici sicuramente, ma mille dubbi in più per i lettori.


    Gianluca Semprini

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da yurj Visualizza Messaggio
    stai dicendo delle falsità clamorose, nessun storico ha avvallato nessuna ipotesi.
    Lo ha fatto il portavoce del TUO partito al Senato (Andrea Colombo) nel suo ultimo e documentato libro........
    E' questo l'idolo no global????

 

 
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