Manifesto politico del Movimento
CR + RC
Contro Rivoluzione + Rivoluzione Conservatrice
La Controrivoluzione
non è una rivoluzione al contrario
ma il contrario di una rivoluzione.
La Rivoluzione Conservatrice
è una rivoluzione in grande stile:
ma nel senso di un re-volvere,
di un ritornare alla Tradizione,
all’ordine dei valori naturali,
all’eroismo dei Padri,
alla comunità di popolo,
all’idea che la vita è una tragica
ma anche magnifica lotta.
Sia il socialismo reale
che il liberismo economico
conducono ad una ingiusta disuguaglianza
e quindi alla schiavitù
alla violenza ed infine
alla rivoluzione.
*** *** ***
Questo è il “Manifesto della Contro Rivoluzione e della Rivoluzione Conservatrice”.
Ciò che si intende col termine Contro Rivoluzione non è una “rivoluzione al contrario”, cioè un ennesimo moto violento e disordinato che aggiunga caos alla già problematica e confusa realtà dei giorni nostri. Si tratta piuttosto del “contrario di una rivoluzione”, un processo pacificatorio, che sappia restituire serenità ed organicità alla nostra società, che sappia finalmente attribuire a ciascuno il suo, in base al merito ed alla vocazione, non in base a privilegi di nascita, classe o ricchezza.
Nel mondo in cui viviamo c’è davvero poco da conservare; per questo non parliamo di Conservatorismo ma di Rivoluzione Conservatrice. Nel termine “Conservatorismo” è insito un germe rassegnato e passivo; è il motto della borghesia ricca o del popolino bassamente moralista; è il motto di chi è rassegnato a perdere – sul piano materiale o morale – e non cerca che di ritardare l’ora della sua inevitabile sconfitta.
Conservatorismo è un sinonimo di passività.
La Rivoluzione Conservatrice non vuole conservare, vuole recuperare.
La Rivoluzione Conservatrice è un vento vigoroso e travolgente, che vuole spazzare via quelli che respirano ansimando e quelli che hanno lo stomaco guasto, quelli che non hanno cuore e quelli che non hanno cervello, gli annunziatori di sventure ed i profeti delle magnifiche sorti e progressive, i nostalgici ed i letargici, gli attivisti della dea progresso e i poltronai conservatori, quelli che vedono nero, che soffrono di ulcera ed ogni tetra e malriuscita genìa.
La nostra parola d’ordine potrebbe essere – se non fosse troppo ardita – “Reazione!”. Sarebbe troppo facile per i nostri avversari tacciarci di “reazionari”. Ma non ci resterebbe che da chieder loro: «e cosa vorreste che facessimo? Mentre voi portate alla rovina la società, mentre ammassate assurdità su assurdità, mentre avvelenate i pozzi profondi dello spirito ed estirpate le radici secolari della nostra Tradizione, noi non dovremmo forse reagire? Dovremmo invece dirvi “bravi, più avanti, più in fretta”? “compite la rivoluzione”? “espropriate i corpi e le dignità”? “dissolvete la ragione ed il diritto naturale”?»
Se è vero – come qualcuno ha malauguratamente ipotizzato – che la Storia è un fiume in piena, i progressisti sono coloro che si lanciano e nuotano a favore di corrente, insensatamente orgogliosi della loro “velocità”: credono di andare ma sono trascinati, credono di vivere ma sono vissuti. I conservatori sono lì, stupidamente aggrappati ad una roccia, e attendono.
Noi vogliamo sfidare la corrente; noi vogliamo risalire quel fiume, noi vogliamo vincere oppure perire. E se le nostre braccia, i nostri polmoni e i nostri cuori non saranno abbastanza forti per questo, ebbene noi saremo comunque orgogliosi di ciò che abbiamo fatto, di ciò che facciamo e di ciò che avremo fatto. Saremo orgogliosi di essere caduti per rendere testimonianza alla Verità.
RICONCILIAZONE E RINASCITA NAZIONALE.
A sessant’anni dalla fine della Guerra e a venti anni dalla caduta del Muro di Berlino, in Italia si continua ancora a parlare di fascismo e di antifascismo, di comunismo e di anticomunismo. Allo stesso tempo la nostra nazione è ridotta ad uno “Stato a sovranità limitata”: persa la guerra mondiale, venuto meno l’equilibrio fra le due superpotenze che si sono confrontate nella guerra fredda, oggi non rimane che un unico gendarme globale che – in funzione dei propri interessi – detta la linea politica al nostro governo, sia esso di centro destra o di centro sinistra. A prescindere dall’opinione (positiva o negativa) che ciascuno può avere sugli Stati Uniti d’America, un fatto è certo: l’Italia ha il diritto di recuperare integralmente la propria sovranità.
Per questo riteniamo aberrante continuare a dividersi e porre pregiudiziali su base ideologica alla collaborazione fra movimenti e persone di diverso orientamento politico.
Fascismo e Comunismo e – soprattutto – antifascismo e anticomunismo sono concetti che devono essere superati da tutti coloro che hanno a cuore il futuro d’Italia. Per non incorrere nella ridicola sorte dei capponi del Manzoni, che, mentre stavano per finire in padella, continuavano a beccarsi fra loro.
UGUAGLIANZA E SENSO DEL LIMITE.
Tramontato il sogno – rectius “l’incubo” – della giacobina egalitée non possiamo che constatare che nel mondo in cui viviamo regna la più grande disuguaglianza della storia dell’umanità. Il potere di un faraone o di un monarca medievale sono ben poca cosa rispetto alle possibilità dei potenti di oggi di sterminare intere popolazioni semplicemente premendo un pulsante (e ci riferiamo non solo alle armi nucleari, ma anche alla possibilità di causare carestie, epidemie, crisi finanziarie, innescare guerre civili etc.).
L’uguaglianza di fatto non esiste.
Ma vogliamo chiederci: esiste un diritto all’uguaglianza? Sarebbe un bene che gli uomini fossero tutti uguali? Sarebbe auspicabile l’uguaglianza? Rispondiamo con un secco “no!”.
Intendiamoci: esistono delle disuguaglianze ingiuste, ed esse vanno sanate. Ingiusta è la disuguaglianza basata sulla ricchezza accumulata e lucrata sui deboli, ingiusta è la posizione di privilegio acquistata coi soldi. Ma esistono disuguaglianze giuste; quelle dovute alla diversità di talenti, vocazioni, abilità, spiritualità che sono proprie a ciascuno di noi. E a queste diversità conseguono – in una società rettamente orientata – diversità di mezzi anche sul piano materiale. La ricchezza può e deve essere semplicemente un mezzo per compiere fini più alti, e non già – come oggi avviene – fine a sé stessa.
In breve: ingiusta è la disuguaglianza che deriva dalla ricchezza; giusta è la ricchezza che deriva dalla disuguaglianza.
Queste considerazioni ci portano a riscoprire il senso profondo del termine “gerarchia”; non sinonimo di bruta prevaricazione o di tirannia organizzata, ma – come da etimologia (che è la “scienza del vero”, dal greco étymos = vero) – “governo del sacro” (dal greco hieròs = santo, sacro).
La nostra società necessita dunque di superare il concetto livellatore ed astratto di “uguaglianza” (che nei fatti ha condotto ad una mostruosa – perché ingiusta – disuguaglianza) e di riscoprire il “senso del limite”, quella disposizione interiore dell’animo (che è il contrario della “invidia sociale”) che porta ciascuno di noi a vivere con soddisfazione e fierezza il differente e giusto ruolo all’interno della società, senza voler inventare filosofie, morali o diritti per giustificare le proprie mancanze o disordinate aspirazioni.
LAICITÀ, NICHILISMO, LAICISMO; ETICA E MORALE.
«La laicità dello Stato è un valore fondamentale» è quanto sentiamo ripetere ad ogni piè sospinto dai nostri politicastri, intellettualastri e giornalastri.
Anche su questo bisogna rettamente capirsi, e chiarire, una volta per tutte, cosa si intenda per “laicità dello Stato”. Che Chiesa e Stato siano indipendenti nessuno lo mette in dubbio; che Chiesa e Stato abbiano fini ultimi diversi nessuno lo mette in dubbio; che Chiesa e Stato non debbano essere subordinati l’una all’altro nessuno lo mette in dubbio. Ciò che bisogna far rilevare è però che non è affatto vero che i fini ultimi diversi (che Chiesa e Stato perseguono) siano indipendenti e non subordinati fra loro. Il lato materiale dell’esistenza è (dovrebbe essere) subordinato a quello spirituale.
Nel XX secolo abbiamo assistito al triste nascere dello “Stato etico”. Lo Stato etico è lo Stato che si fa fonte primaria dell’etica e che vuole imporre ai propri cittadini la nuova “etica” dello Stato, le proprie nuove “tavole della legge” nicianamente riscritte dopo che le antiche erano state infrante dalla volontà di potenza.
Noi siamo – e non possiamo che essere – contro un simile Stato, un simile moderno Leviathano.
Siamo contro lo Stato etico e siamo a favore di uno Stato che abbia un’etica, che segua e persegua valori etici che lo trascendono, che hanno scaturigine al di sopra dello Stato stesso. E per far questo, per cercare l’etica e per adeguarsi nei comportamenti ad essa, non c’è che una strada, la strada segnata dalla morale – dal mos maiorum – un ripercorrere, riscoprire ed inseguire la morale e la Tradizione alla ricerca – attraverso i “valori trasmessici” – di quei “principi” che non possono essere – come detto – nicianamente riscritti, ma solo, umilmente vissuti attraverso i valori e la morale dei Padri.
La grande ipocrisia che chi parla di “Stato laico” nasconde è, lo sappia o no, la seguente: non può esistere uno Stato “laico”, cioè che non prenda posizione rispetto alle questioni più importanti e fondamentali dello spirito e dell’esistenza umana; non può esistere uno Stato “nichilista”, perché ogni atto ed ogni decisione dello Stato provocherà conseguenze materiali ed anche spirituali sui cittadini. Non si tratta qui di disquisire se ogni cittadino debba essere lasciato libero o meno di professare la propria religione, ma di affermare chiaramente che lo Stato è chiamato a perseguire – con la sua organizzazione e le sue leggi – il Bene; non perché il Bene sia lo Stato stesso (Stato etico), ma perché l’organizzazione statuale ha senso e trova la sua giustificazione solo in quest’ottica.
Non è dunque uno Stato etico quello che vogliamo, ma uno Stato morale.
ECONOMICISMO E DEMONÌA DELL’ECONOMIA.
Oggigiorno, quando si discute di politica non si pensa che ha una cosa: conti pubblici, crescita economica, sviluppo, PIL, attrarre investimenti, rilanciare l’industria.
Quando si propone un sistema politico non si pensa che a questo: quale sistema faccia funzionare meglio l’economia.
Anche quando si paventano lo scioglimento dei ghiacciai alpini o i maremoti conseguenti all’innalzamento della temperatura globale, non si è preoccupati che di questo: la crisi dell’industria turistica e i danni da portare a bilancio nella successiva finanziaria.
Tutto ciò nasconde un perverso sillogismo marxista: “l’economia è il nostro destino; il tale sistema politico fa andare meglio l’economia; ergo il tale sistema politico è il migliore”. L’umanità, che per millenni ha vissuto con “poco”, in armonia con la natura, cercando di elevare il proprio spirito e servendosi delle cose materiali e dell’economia come mezzo, proprio oggi – quando sul piano materiale ha accumulato tutto il possibile – non si preoccupa di altro se non di ciò di cui dispone già in abbondanza.
Noi neghiamo che l’economia sia “il nostro destino”, neghiamo che il sistema politico migliore sia da stabilirsi considerando la sola economia, neghiamo che l’umanità abbia bisogno di ulteriore crescita o sviluppo economico.
A questo perniciosissimo virus, che sembra aver contagiato tutti, diamo il nome di economicismo o demonìa (o “ossessione”, che fa lo stesso) dell’economia.
La Contro Rivoluzione e la Rivoluzione Conservatrice avranno un senso se porteranno – sul piano culturale ed operativo – ad un superamento dell’economicismo ed ad una riscoperta degli elementi fondanti della dignità umana: spiritualità, senso dell’onore, senso del limite, lealtà, rispetto della parola data, Famiglia, comunità, amore filiale e amore genitoriale, eroismo, dedizione, altruismo, capacità di sacrificarsi, riscoperta della Tradizione, lentezza.
Per questo – pur essendo favorevoli alla libertà di iniziativa economica – siamo contrari al liberalismo elevato al rango di ideologia politica. Le conseguenza nefaste del liberalismo e del capitalismo (incontestati ed incontrastati vincitori sul piano puramente economico) sono sotto gli occhi di tutti: il Pianeta, abbandonato alle “voglie” egoistiche scatenate del capitalismo, è stato saccheggiato e profanato sin nelle sue viscere; la vita e la serenità degli uomini sono state sconvolte; la vita in armonia con la natura è solo un ricordo lontano; tutte le specie animali e vegetali sono degne di esistere solo se economicamente remunerative, altrimenti sono destinate all’estinzione; la Famiglia è stata smembrata per farne una libera unione di soggetti economici; i nostri figli devono, al più presto, smettere di essere bambini e divenire consumatori.
Questo sistema, basato sul più famelico egoismo, ha in effetti distrutto ogni umano consorzio ed ogni idea di “bene comune”, per esaltare il più becero individualismo.
Per questi motivi, all’economia – gigante impazzito, come ebbe a scrivere il Sombart – noi vogliamo restituire il suo giusto e secondario ruolo nella gerarchia degli interessi umani. Questo gigante va nuovamente incatenato ed il ruolo primario va restituito alla politica. La libera iniziativa economica va rispettata ma essa deve avere un ruolo sociale e produrre un’utilità sociale per tutta la comunità; essa deve essere ambientalmente sostenibile, deve essere sottratta alla sfrenata competizione su larga scala che porta all’affermazione di pochi grandi colossi che – per vincere la battaglia del libero mercato – inquinano l’ambiente e le menti (con pubblicità che fanno leva sugli istinti più bassi dell’uomo) e corrompono intere classi politiche (non solo nei Paesi poveri).
L’imprenditore deve essere pienamente responsabile delle proprie azioni e delle conseguenze delle proprie azioni, sia sul piano penale che su quello patrimoniale. In una società ben ordinata ai diritti corrispondono precisi doveri, e non è possibile assegnare alla “persona giuridica” (mera astrazione economica) gli stessi diritti spettanti alla “persona fisica” (la persona “vera”) se ad essi non corrispondono i medesimi doveri.
CONCLUSIONE.
In conclusione, questo che oggi pubblichiamo è il “Manifesto della Contro Rivoluzione e della Rivoluzione Conservatrice”. In esso non abbiamo voluto esprimere idee personali o opinioni di sorta. Abbiamo imparato a non essere così superbi (Deo gratias), da ritenere l’uomo capace di “invenzioni politiche” che non siano mostruosità, o abomini, o desolanti banalità. Tutto ciò che abbiamo scritto lo abbiamo ricercato nella Tradizione, poiché confidiamo in ciò che fu creduto ab omnibus, ubicumque et semper.
Per ciò che di buono abbiamo scritto sia dunque lode a Dio, a nostro carico rimangano solo gli errori.
f.to: i fondatori
codino (Pierfrancesco Palmisano)
on. roberto m
Bari – Parma 7/7/’07
(* chi voglia riprodurre in tutto o in parte il presente manifesto può farlo citando la fonte)