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    Predefinito 9 febbraio (27 giugno) - S. Cirillo d'Alessandria Vescovo e dottore della Chiesa

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Cirillo d'Alessandria Vescovo e dottore della Chiesa

    27 giugno - Memoria Facoltativa

    370-444

    Patriarca di Alessandria d'Egitto, teologo acuto e profondo, amò e studiò il mistero di Cristo; difese l'autenticità della fede contro ogni travisamento dei nestoriani al Concilio di Efeso (431), dove propugnò con vigore la prerogativa di Madre di Dio della Vergine Maria. (Mess. Rom.)

    Etimologia: Cirillo = che ha forza, signore, dal greco

    Emblema: Bastone pastorale

    Martirologio Romano. San Cirillo, vescovo e dottore della Chiesa, che, eletto alla sede di Alessandria d’Egitto, mosso da singolare sollecitudine per l’integrità della fede cattolica, sostenne nel Concilio di Efeso i dogmi dell’unità e unicità della persona in Cristo e della divina maternità della Vergine Maria.

    Martirologio tradizionale (9 febbraio): San Cirillo, Vescovo di Alessandria, Confessore e Dottore della Chiesa, il cui giorno natalizio ricorre il ventotto Gennaio.

    (28 gennaio): Ad Alessandria il natale di san Cirillo, Vescovo della medesima città, Confessore e Dottore della Chiesa, il quale, chiarissimo difensore della fede cattolica, illustre per dottrina e santità, si riposò in pace. La sua festa si celebra il nove Febbraio.

    S. Cirillo, nato nel 370, dal 412 al 444, anno della morte, tenne fermamente in mano le redini della Chiesa d'Egitto, impegnandosi al tempo stesso in una delle epoche più difficili nella storia della Chiesa d'Oriente, nella lotta per l'ortodossia, in nome del papa S. Celestino. In questa fermezza al servizio della dottrina e nel coraggio dimostrato nella difesa della verità cattolica sta la santità del battagliero vescovo di Alessandria, anche se tardivamente riconosciuta, almeno in Occidente. Infatti, soltanto sotto il pontificato di Leone XIII il suo culto venne esteso a tutta la Chiesa latina, ed egli ebbe il titolo di "dottore".
    Per la difesa dell'ortodossia, contro l'errore di Nestorio, vescovo di Costantinopoli, egli rischiò di essere mandato in esilio e per qualche mese sperimentò l'umiliazione del carcere: "Noi, - scrisse - per la fede di Cristo, siamo pronti a subire tutto: le catene, il carcere, tutti gli incomodi della vita e la stessa morte". Al concilio di Efeso, di cui Cirillo fu un protagonista, venne sconfitto il suo avversario Nestorio, che aveva sollevato una vera tempesta in seno alla Chiesa, mettendo in discussione la divina maternità di Maria.
    Titolo di gloria per il vescovo di Alessandria fu di avere elaborato in questa occasione una autentica e limpida teologia dell'Incarnazione. "L'Emmanuele consta con certezza di due nature: di quella divina e di quella umana. Tuttavia il Signore Gesù è uno, unico vero figlio naturale di Dio, insieme Dio e uomo; non un uomo deificato, simile a quelli che per grazia sono resi partecipi della divina natura, ma Dio vero che per la nostra salvezza apparve nella forma umana". Di particolare interesse è la quarta delle sette omelie pronunciate durante il concilio di Efeso, il celebre “Sermo in laudem Deiparae”. In questo importante esempio di predicazione mariana, che dà l'avvio a una ricca fioritura di letteratura in lode della Vergine, Cirillo celebra le grandezze divine della missione della Madonna, che è veramente Madre di Dio, per la parte che Ella ha avuto nella concezione e nel parto dell'umanità del Verbo fatto carne.
    Controversista di classe, Cirillo riversò i fiumi della sua faconda oratoria. Teologo dallo sguardo acuto, egli fu al tempo stesso un vigile pastore d'anime. Infatti accanto alle trattazioni esclusivamente dottrinali abbiamo di lui 156 Omelie su S. Luca a carattere pastorale e pratico e le più note Lettere pastorali, espresse in 29 omelie pasquali.

    Autore: Piero Bargellini

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    Jacques Callot, S. Cirillo d'Alessandria, 1630-36, Auckland Art Gallery, Auckland, Nuova Zelanda

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    Predefinito Dal trattato «L'ideale perfetto del cristiano» di san Gregorio di Nissa, vescovo

    PG 46, 283-286

    Tre sono gli elementi che manifestano e distinguono la vita del cristiano: l'azione, la parola e il pensiero. Primo fra questi é il pensiero, al secondo posto viene la parola che dischiude e manifesta con vocaboli ciò che é stato concepito col pensiero. Dopo, in terzo luogo, si colloca l'azione, che traduce nei fatti quello che é stato pensato. Se perciò una qualunque delle molte cose possibili ci porta naturalmente o a pensare o a parlare o ad agire, é necessario che ogni nostro detto o fatto o pensiero sia indirizzato e regolato da quelle norme con le quali Cristo si é manifestato, in modo che non pensiamo, né diciamo, né facciamo nulla che possa allontanarci da quanto ci indica quella norma sublime.
    E che altro, dunque, dovrebbe fare colui che é stato reso degno del grande nome di Cristo, se non esplorare diligentemente ogni suo pensiero, parola e azione, e vedere se ognuno di essi tenda a Cristo oppure se ne allontani? In molti modi si può fare questo importante esame. Infatti tutto ciò che si fa o si pensa o si dice, sotto la spinta di qualche mala passione, questo non si accorda affatto con Cristo, ma porta piuttosto il marchio e l'impronta del nemico, il quale mescola alla perla preziosa del cuore il fango di vili cupidigie per appannare e deformare il limpido splendore della perla.
    Ciò invece é libero e puro da ogni sordida voglia, questo é certamente indirizzato all'autore principe della pace, Cristo. Chi attinge e deriva da lui, come da una sorgente pura e incorrotta, i sentimenti e gli affetti del suo cuore, presenterà, con il suo principio e la sua origine, tale somiglianza quale può aver con la sua sorgente l'acqua, che scorre nel ruscello o brilla nell'anfora. Infatti la purezza che é in Cristo e quella che é nei nostri cuori é la stessa. Ma quella di Cristo si identifica con la sorgente; la nostra invece promana da lui e scorre in noi, trascinando con sé per la via la bellezza ed onestà dei pensieri, in modo che appaia una certa coerenza ed armonia fra l'uomo interiore e quello esteriore, dal momento che i pensieri e i sentimenti, che provengono da Cristo, regolano la vita e la guidano nell'ordine e nella santità. In questo dunque, a mio giudizio, sta la perfezione della vita cristiana, nella piena assimilazione e nella concreta realizzazione di tutti i titoli espressi dal nome di Cristo, sia nell'ambito interiore del cuore, come in quello esterno della parola e dell'azione.

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 793-802

    9 FEBBRAIO

    SAN CIRILLO ALESSANDRINO
    VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA

    L'inimicizia fra la donna e il serpente.


    "Porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua progenie e la progenie di lei; essa ti schiaccerà la testa e tu la insidierai al calcagno (Gen 3,15). La parola che fu pronunciata contro il serpente, e che la Chiesa in questi giorni richiama alla mente dei suoi figli domina tutta la storia del mondo. La donna, caduta per la prima, per l'astuzia di Satana, in Maria viene per la prima rialzata. Nella sua immacolata Concezione, nel parto verginale e nell'offerta che fece a Dio del nuovo Adamo sul monte Calvario, la novella Eva mostrò all'antico nemico la potenza del suo piede vittorioso. Persino l'angelo ribelle, divenuto il principe del mondo per la complicità dell'uomo (Gv 12,31), sin d'allora, contro la donna che doveva trionfare su di lui, convogliò tutte le forze della duplice schiera delle legioni infernali e dei figli delle tenebre che dipendono da lui. Maria, in cielo, prosegue la lotta che cominciò sulla terra. Regina degli spiriti beati e dei figli della luce, ella stessa guida alla battaglia, come un solo esercito, le falangi celesti e le schiere della Chiesa militante. Il trionfo di queste truppe fedeli è quello della loro sovrana: il continuo schiacciamento del capo del padre della menzogna mediante la disfatta dell'errore e l'esaltazione della verità rivelata, del figlio di Maria e figlio di Dio.

    Cirillo e Atanasio.

    Però, mai l'esaltazione del Verbo divino parve più intimamente connesso al trionfo dell'augusta sua Madre, come nel memorabile combattimento, in cui il pontefice che oggi viene presentato ai nostri riconoscenti omaggi ebbe una parte così gloriosa. Cirillo d'Alessandria è il Dottore della divina Maternità; come il suo predecessore Atanasio lo fu della consustanzialità del Verbo; l'Incarnazione si poggia sui due misteri, che, a un secolo di distanza, furono l'oggetto della loro confessione e delle loro lotte. Quale Figlio di Dio Cristo doveva essere consustanziale al Padre, perché la semplicità infinita dell'essenza divina esclude ogni idea di divisione o di parte; negare in Gesù, Verbo divino, l'unità di sostanza col suo principio, era negare la sua divinità. Quale figlio dell'uomo, al tempo stesso che Dio vero da Dio vero (Simbolo di Nicea), Gesù doveva nascere quaggiù da una figlia d'Adamo, e restare tuttavia, nella sua umanità, una medesima persona col Verbo consustanziale al Padre: negare in Cristo questa unione di persona delle due nature era lo stesso che misconoscere la sua divinità; ciò significava proclamare nel medesimo tempo che la Vergine benedetta, venerata fino allora per aver generato Dio nella natura assunta per salvarci, non era che la madre d'un uomo.

    Ario.

    Tre secoli di persecuzione avevano tentato invano di indurre la Chiesa al rinnegamento della divinità del Cristo. Il mondo aveva appena assistito al trionfo dell'Uomo-Dio, e già il nemico traeva vantaggio da questa vittoria; approfittando del nuovo stato createsi intorno al cristianesimo e della sicurezza da parte dei persecutori, si sforzava d'ottenere sul terreno della falsa scienza quel rinnegamento che non era riuscito a conseguire nell'arena del martirio. L'accanito zelo degli eretici nel riformare la credenza della Chiesa serviva all'inimicizia del serpente, e contribuiva allo sviluppo della sua razza maledetta più che non l'avessero fatto le defezioni degli apostati. Degno d'essere, per la sua superbia, il primo nell'era della pace, di questi dottori infernali, Ario spinse la sua controversia persino nelle profondità dell'essenza divina, rigettando, sulla base di testi astrusi, il termine consustanziale. Sullo scorcio d'un secolo in cui il principale elemento di forza era stato l'appoggio delle potenze di questo mondo, l'arianesimo cadeva, conservando le radici solo presso quelle nazioni che, battezzate di recente, non avevano dovuto versare il loro sangue per la divinità del Figlio di Dio. Allora Satana fece sorgere Nestorio.

    Nestorio.

    Abile a trasformarsi in angelo di luce (2Cor 11,14), l'eterno nemico rivestì il suo apostolo d'una duplice bugiarda aureola di santità e di scienza; l'uomo che più d'ogni altro doveva manifestare l'odio del serpente contro la donna ed il suo seme, si assise sulla cattedra episcopale di Costantinopoli col plauso di tutto l'Oriente, che si riprometteva di veder rivivere in lui l'eloquenza e le virtù d'un nuovo Crisostomo. Ma l'esultanza dei buoni fu di breve durata perché nello stesso anno dell'esaltazione dell'ipocrita pastore, il giorno di Natale del 428, Nestorio, approfittando dell'immenso concorso di fedeli venuti a festeggiare il parto della Vergine-Madre, dall'alto del soglio episcopale lanciò quella blasfema parola: "Maria non ha generato Dio: il Figlio suo non è che un uomo, strumento della divinità".

    Difesa della fede.

    A queste parole la moltitudine fremette inorridita; interprete della generale indignazione Eusebio di Doriles, un semplice laico si levò in mezzo alla folla a protestare contro l'empietà. In seguito, a nome dei membri di questa desolata Chiesa fu redatta una più esplicita protesta, diffusa in numerosi esemplari, anatemizzando chiunque avesse osato dire: "Altro è il Figlio unico del Padre, altro quello nato dalla Vergine Maria". Generoso atteggiamento che fu allora la salvaguardia di Bisanzio e gli valse l'elogio dei Concili e dei Papi! Quando il pastore si cambia in lupo, tocca soprattutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede, i capi. Ma nel tesoro della rivelazione vi sono dei punti essenziali, dei quali ogni cristiano, perciò stesso ch'è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la dovuta custodia. Il principio non muta, sia che si tratti di verità da credere che di norme morali da seguire, sia di morale che di dogma. I tradimenti simili a quelli di Nestorio non sono frequenti nella Chiesa; tuttavia può darsi che alcuni pastori tacciano, per un motivo o per l'altro, in talune circostanze in cui la stessa religione verrebbe ad essere coinvolta. In tali congiunture, i veri fedeli sono quelli che attingono solo nel loro battesimo l'ispirazione della loro linea di condotta; non i pusillanimi che, sotto lo specioso pretesto della sottomissione ai poteri costituiti, attendono, per aderire al nemico o per opporsi alle sue imprese un programma che non è affatto necessario e che non si deve dare loro.

    Roma e Alessandria.

    Ciò nonostante, lo scandalo provocato dalle bestemmie di Nestorio mise in agitazione tutto l'Oriente e presto raggiunse Alessandria. La cattedra fondata da Marco in nome di Pietro e, per volontà di questo capo delle Chiese, ornata dell'onore di seconda sede, era allora occupata da Cirillo. Come l'armonia che regnò fra Atanasio ed i pontefici romani aveva, nel secolo precedente, vinto l'arianesimo; così l'unione costante di Alessandria con Roma doveva ancora una volta abbattere l'eresia. Se non che il nemico, edotto dall'esperienza, aveva escogitato una precauzione diabolica. Quando il futuro rivendicatore della Madre di Dio saliva sulla sede di sant'Atanasio non esisteva più quell'alleanza tanto temuta dal demonio. Infatti Teofilo, l'ultimo patriarca e autore principale della condanna di san Giovanni Crisostomo nel conciliabolo detto "ad Quercum", dal luogo dove fu tenuta la riunione, aveva sempre impedito fino alla fine, di favorire la riabilitazione della sua vittima con la Sede Apostolica, per cui Roma ruppe i rapporti con la sua figlia primogenita. Ora Cirillo, nipote di Teofilo, ignorava affatto le ragioni inconfessabili dello zio in questa dolorosa faccenda; abituato fin dall'infanzia a venerare in lui il legittimo superiore, il suo benefattore e il suo maestro nella sacra scienza, Cirillo, divenuto a sua volta patriarca, non ebbe la minima idea di mutare le decisioni di colui che considerava come un padre: così Alessandria rimase separata dalla Chiesa romana. Perciò Satana, veramente simile al serpente, che con la sua bava avvelena tutto ciò che tocca, aveva rivolto a suo profitto contro Dio i più nobili sentimenti. Però Maria Santissima, tanto amica dei cuori retri, non abbandonò il suo paladino. Dopo alcuni anni, in cui diversi avvenimenti fecero conoscere al giovane patriarca gli uomini, un santo monaco, Isidoro di Pelusa, aprì completamente gli occhi di Cirillo alla luce, il quale ormai convinto, non esitò a rimettere nei dittici sacri il nome di Giovanni Crisostomo. La trama ordita dall'inferno era sventata, e per le nuove lotte della fede che stavano per sorgere in Oriente, Roma ritrovava sulle sponde del Nilo un nuovo Atanasio.

    La fede dei monaci.

    Ricondotto da un monaco sui sentieri della santa unità, Cirillo nutrì per i solitari un affetto pari a quello di cui li aveva circondati il suo illustre predecessore, e al primo rumoreggiare dell'empietà nestoriana, li elesse a confidenti delle sue angoscie, illuminando, in una lettera rimasta celebre, la loro fede sul pericolo che minacciava la Chiesa. "Poiché, scrive loro (I Lettera ai monaci), tutti coloro che hanno abbracciato in Cristo l'invidiabile e nobile vostra vita, devono anzi tutto rifulgere dello splendore d'una fede inequivocabile e indefettibile, e su questa fede innestare la virtù; dopo ciò, devono impiegare tutta la loro diligenza nell'approfondire in loro la conoscenza del mistero di Cristo, tendendo con ogni sforzo ad acquistarne l'intelligenza più perfetta. Così io intendo, soggiunge il santo Dottore, il modo di arrivare all'uomo perfetto di cui parla l'Apostolo, e alla misura dell'età piena di Cristo" (Ef 4,13).

    Il liberalismo.

    Né il patriarca d'Alessandria si contentò d'effondere la sua anima con coloro il cui consenso gli era stato garantito in anticipo. Con lettere in cui la sua mansuetudine non cede se non alla forza ed all'ampiezza dell'esposizione dottrinale, Cirillo tentò di ricondurre Nestorio sulla retta via. Ma l'ostinato settario si mostrò contrario, e, in mancanza di argomento, si lamentò dell'ingerenza del patriarca. Come sempre avviene in tali circostanze, s'imbatté in uomini amanti del quieto vivere che, senza condividere l'errore, pensavano ch'era meglio non rispondere, per timore d'inasprire Nestorio e aumentare lo scandalo, in una parola, d'offendere la carità. A questi uomini, che non si spaventavano dell'audacia dell'eresia e non si preoccupavano di affermare la fede cristiana, a questi partigiani della pace e a qualunque costo, Cirillo rispondeva una buona volta: "Come?! Nestorio osa lasciar dire in sua presenza nell'assemblea dei fedeli: anatema chiunque chiami Maria Madre di Dio! e per bocca dei suoi partigiani colpisce d'anatema noi e tutti gli altri vescovi dell'universo, e gli antichi Padri che ovunque e in ogni epoca unanimemente hanno riconosciuto ed onorato la santa Madre di Dio! E noi non avremo il diritto di ritorcergli la frase e dire: Se qualcuno nega che Maria sia Madre di Dio, sia anatema? Questa parola, però, io non l'ho ancora pronunciata contro di lui" (Lettera 8.a o 6.a).

    La paura.

    Altri uomini, che pure in ogni tempo esistono, palesavano il vero motivo delle loro esitazioni, quando, gridando a tutti i venti i vantaggi della concordia e la loro antica amicizia per Nestorio, ricordavano timidamente il credito di cui egli godeva e il pericolo che si poteva incontrare nel contraddire un avversario così potente. "Potessi io, rispondeva Cirillo, perdendo tutti i miei beni, soddisfare il vescovo di Costantinopoli e placare l'asprezza del mio fratello! Ma qui si tratta della fede; lo scandalo dilaga in tutte le Chiese e ciascuno cerca d'informarsi della nuova dottrina. Se noi, che abbiamo ricevuta da Dio la missione d'insegnare, non portiamo rimedio a così grandi mali, il giorno del giudizio non saranno per noi riservate moltissime fiamme? Già non mi sono mancate calunnie e ingiurie; ma io dimentico tutto questo: resti unicamente salva la fede, e non mi lascerò sorpassare da nessuno nell'amare ardentemente Nestorio. Ma se, per colpa di qualcuno, ne viene a soffrire la fede, non vi può essere ombra di dubbio: noi non vogliamo perdere la nostra anima, anche se la stessa morte pende sulla nostra testa. Se il timore di qualche disagio vincesse sullo zelo della gloria di Dio, e ci facesse tacere la verità, con quale coraggio potremmo celebrare alla presenza del popolo cristiano i santi Martiri, quando ciò che costituisce unicamente il loro elogio è l'aver realizzato la parola (Eccli 4,33): Per la verità, combatti fino alla morte?" (Lettera 9.a o 7.a).

    La lotta coraggiosa.

    Quando finalmente la lotta divenne inevitabile, organizzò la santa milizia che doveva combattere a suo fianco, chiamando vicino a sé vescovi e monaci. Non contenendo più il sacro entusiasmo che l'animava, Cirillo scriveva ai suoi chierici residenti nella città imperiale: "Quanto a me, soffrire, vivere e morire per la fede di Gesù Cristo è il mio sommo desiderio. Come è scritto, non concederò sonno agli occhi miei, non riposo alle mie palpebre, non requie alle mie tempia (Sal 131,4-5), finché non abbia ingaggiata battaglia necessaria alla salvezza di tutti. Pertanto, compenetrati del nostro pensiero, siate forti, sorvegliate il nemico, informateci sulle minime sue mosse. Alla prima occasione v'invierò uomini scelti fra tutti per pietà e saggezza, vescovi e monaci; fin d'ora vi preparo le debite lettere, come il caso richiede. Ho deciso di lavorare senza tregua per la fede di Cristo e di sopportare tutti i tormenti, anche i più terribili, fino a subire la morte, che mi sarà così dolce per una tal causa" (Lettera 10.a o 8.a).

    Santa Pulcheria.

    Informato dal patriarca d'Alessandria circa l'agitazione delle Chiese, san Celestino I, che occupava allora la Sede Apostolica, condannò la nuova eresia e incaricò Cirillo di detronizzare il vescovo di Costantinopoli in nome del Romano Pontefice, se non veniva a resipiscenza. Ma gl'intrighi di Nestorio dovevano prolungare la lotta. A questo punto, vicino a Cirillo nel trionfo della donna sull'antico nemico, ci appare l'ammirabile figura d'una donna, d'una santa, che per quarant'anni fu il terrore dell'inferno, e per due volte, nel nome della Regina del cielo, schiacciò il capo all'odioso serpente. In un secolo di rovine, Pulcheria dovendo reggere a quindici anni le redini dell'impero, con la prudenza nel consiglio e con l'energia nell'azione, arginò i torbidi all'interno, al punto che, con la sola forza del suo divino salmodiare insieme alle sorelle, anch'esse vergini, riuscì a contenere i barbari. Quando l'Occidente si agitava nelle convulsioni di un'ultima agonia, l'Oriente ritrovava nel genio della sua imperatrice la prosperità dei suoi giorni migliori. Ora, nel vedere la nipote del grande Teodosio consacrare le proprie ricchezze a moltiplicare fra le sue mura le chiese alla Madre di Dio, Bisanzio apprese da lei il culto di Maria, che doveva costituire la sua salvaguardia in tanti tristi giorni, e le valse dal Signore, Figlio di Maria, mille anni di misericordia e d'incomprensibile pazienza. Salutata dai Concili ecumenici come la custode della fede ed il baluardo dell'unità (Labbe, Conc. iv, 464), santa Pulcheria ebbe dopo san Leone la parte principale di tutto ciò che si fece nel suo tempo contro gli avversari della verità divina (Lettera 31.a o 27.a). Due palme sono nelle sue mani, due corone cingono il suo capo, dice questo grande Papa, perché la Chiesa deve a lei la propria vittoria sull'empietà di Nestorio e di Eutiche, i quali, divisi nell'attacco, si congiungevano per lati opposti nel medesimo fine: la negazione dell'Incarnazione e quella del ruolo della Vergine-Madre nella redenzione del genere umano (ivi e Lettera 79.a o 59.a).

    VITA. - San Cirillo, ancor giovane, fu fatto vescovo d'Alessandria nel 412. Infiammato di zelo per la salvezza delle anime, s'adoperò a conservare intatta la fede del suo gregge. Con un ardore e con una scienza ammirevoli egli difese contro Nestorio il dogma della Maternità divina e, quale legato al Concilio di Efeso (431), confuse e condannò l'eretico. Mori nel 434. Leone XIII lo dichiarò Dottore della Chiesa universale.

    La divina Maternità e l'Immacolata Concezione.

    Santo Vescovo, si rallegrino i cieli ed esulti la terra (Sal 95,11) al ricordo del combattimento in cui la Regina della terra e del cielo volle trionfare per tuo mezzo dell'antico serpente. L'Oriente sempre ti onorò quale suo luminare; l'Occidente saluta in te sin dagli antichi tempi il difensore della Madre di Dio; ed ecco che oggi la solenne commemorazione ch'essa consacra alla tua memoria, nei fasti dei Santi, non basta più alla sua riconoscenza. Infatti, un nuovo fiore è sbocciato sulla corona di Maria nostra Regina; e questo fiore splendente è germogliato dal medesimo suolo che irrorasti coi tuoi sudori. Tu, proclamando nel nome di Pietro e di Celestino Papa la divina Maternità, preparavi alla Madonna un altro trionfo, conseguenza del primo: la Madre d'un Dio non poteva che essere immacolata. Pio IX, definendo tale dogma, non faceva che completare l'opera di Celestino e la tua, perciò le date del 22 giugno del 431 e dell'8 dicembre del 1854 risplendono in cielo con un medesimo fulgore, alla stessa maniera che produssero sulla terra le medesime manifestazioni di giubilo e di amore.

    Dottore della Chiesa.

    L'Immacolata imbalsama il mondo dei suoi profumi, ed è per questo, o Cirillo, che tutta quanta la Chiesa, a quattordici secoli di distanza, si rivolge a te, e giudicando compiuta l'opera tua, ti proclama Dottore, affinché d'ora in poi nulla manchi agli omaggi che ti deve la terra. Così, o Pontefice prediletto del cielo, il culto che ti è attribuito si completa con quello della Madre di Dio; la stessa tua glorificazione è una nuova estensione della gloria di Maria. Te fortunato, o suo paladino, che nessun altro onore potrebbe mai procurarti un tale avvicinamento alla Sovrana del mondo e del suo cavaliere.

    Preghiera alla Madre di Dio.

    Pertanto, comprendendo che il miglior modo di onorarti, è l'esaltare Colei la cui gloria divenne la tua, noi vogliamo ripetere gli accenti infiammati che lo Spirito Santo ti suggerì per cantare le sue grandezze all'avvenuto trionfo di Efeso: "Noi ti salutiamo, o Maria Madre di Dio, gioia fulgente dell'universo, lampada inestinguibile, corona di verginità, scettro dell'ortodossia, tempio indistruttibile e che racchiude l'immenso, o Vergine e Madre, per la quale ci fu dato il benedetto dei santi Evangeli, colui che viene nel nome del Signore. Salve a te, il cui seno verginale e sempre puro portò l'Infinito, per la quale è glorificata la Trinità, e la preziosissima Croce è onorata e adorata in tutta la terra; letizia del ciclo, serenità degli Arcangeli e degli Angeli, che mette in fuga i demoni; per merito tuo il tentatore è caduto dal cielo, così come per merito tuo la creatura decaduta si rialza e risale al cielo. L'insania degl'idoli chiudeva come in una morsa il mondo, e tu apristi i suoi occhi alla verità; a te i credenti devono il santo battesimo, a te l'olio dell'allegrezza; in ogni angolo della terra tu fondasti le Chiese e riconducesti le nazioni alla penitenza. Che dire di più. Per te il Figlio unico di Dio brillò come la luce di coloro che giacevano nelle tenebre e nell'ombra della morte; per te i Profeti predissero l'avvenire, gli Apostoli predicarono la salvezza alle nazioni, i morti risuscitano e regnano i re per la Ss. Trinità. Chi mai potrà celebrare Maria, la creatura degna d'ogni lode, in maniera adeguata alla sua dignità?" (4.a Omelia).

    Preghiera a san Cirillo.

    Se la dignità della Madre di Dio realmente supera ogni lode, o Cirillo, fa' almeno ch'ella susciti in mezzo a noi uomini capaci di celebrare come te le sue grandezze. Che la potenza di cui ella si degnò arricchirti contro i suoi nemici mai venga meno a coloro che devono sostenere ai nostri giorni la lotta incominciata dall'origine del mondo fra la Donna e il Serpente. L'avversario è cresciuto in audacia; il nostro secolo è andato più lontano, nel negare Cristo, che Nestorio, che lo stesso Giuliano, questo principe apostata, contro il quale pure difendesti la divinità del Figlio della Vergine Madre. O te, che hai colpito l'errore così fortemente, mostra ai sapienti dei nostri tempi come si vince: ch'essi sappiano appoggiarsi come te su Pietro, e non restino indifferenti per tutto ciò che viene a toccare la Chiesa, e considerino sempre propri nemici, e loro soli nemici, i nemici del regno di Dio. Nei tuoi scritti sublimi i pastori apprenderanno la vera scienza, quella dei Libri Sacri, senza la quale il loro zelo sarà inefficace. I cristiani impareranno alla tua scuola che non potranno mai crescere nella virtù, senza progredire sopra tutto nella fede e senza approfondire in essi la conoscenza del mistero dell'Uomo-Dio. In un tempo in cui la superficialità delle nazioni basta a tante anime, a tutti ripetete che "solo l'amore del vero porta alla vita" (1.a Omelia).

    All'avvicinarsi della santa Quarantena, noi ci ricordiamo ogni anno, in questi stessi giorni, di queste Lettere pasquali, che, con l'annuncio della Solennità delle solennità, esortavano alla penitenza; penetra i nostri cuori dell'importanza della vita cristiana, eccitali ad entrare coraggiosamente nel sacro tempo in cui essi dovranno ritrovare la pace con Dio mediante il trionfo sulla carne e sui sensi.

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    St. Cyril of Alexandria

    Doctor of the Church. St. Cyril has his feast in the Western Church on the 28th of January; in the Greek Menaea it is found on the 9th of June, and (together with St. Athanasius) on the 18th of January.

    He seems to have been of an Alexandrian family and was the son of the brother of Theophilus, Patriarch of Alexandria; if he is the Cyril addressed by Isidore of Pelusium in Ep. xxv of Bk. I, he was for a time a monk. He accompanied Theophilus to Constantinople when that bishop held the "Synod of the Oak" in 402 and deposed St. John Chrysostom. Theophilus died 15 Oct., 412, and on the 18th Cyril was consecrated his uncle's successor, but only after a riot between his supporters and those of his rival Timotheus. Socrates complains bitterly that one of his first acts was to plunder and shut the churches of the Novatians. He also drove out of Alexandria the Jews, who had formed a flourishing community there since Alexander the Great. But they had caused tumults and had massacred the Christians, to defend whom Cyril himself assembled a mob. This may have been the only possible defence, since the Prefect of Egypt, Orestes, who was very angry at the expulsion of the Jews was also jealous of the power of Cyril, which certainly rivaled his own. Five hundred monks came down from Nitria to defend the patriarch. In a disturbance which arose, Orestes was wounded in the head by a stone thrown by a monk named Ammonius. The prefect had Ammonius tortured to death, and the young and fiery patriarch honoured his remains for a time as those of a martyr. The Alexandians were always riotous as we learn from Socrates (VII, vii) and from St. Cyril himself (Hom. for Easter, 419). In one of these riots, in 422, the prefect Callistus was killed, and in another was committed the murder of a female philosopher Hypatia, a highly-respected teacher of neo-Platoism, of advanced age and (it is said) many virtues. She was a friend of Orestes, and many believed that she prevented a reconciliation between the prefect and patriarch. A mob led by a lector, named Peter, dragged her to a church and tore her flesh with potsherds till she died. This brought great disgrace, says Socrates, on the Church of Alexandria and on its bishop; but a lector at Alexandria was not a cleric (Scr., V, xxii), and Socrates does not suggest that Cyril himself was to blame. Damascius, indeed, accuses him, but he is a late authority and a hater of Christians.

    Theophilus, the persecutor of Chrysostom, had not the privilege of communion with Rome from that saint's death, in 406, until his own. For some years Cyril also refused to insert the name of St. Chrysostom in the diptychs of his Church, in spite of the requests of Chrysostom's supplanter, Atticus. Later he seems to have yielded to the representations of his spiritual father, Isisdore of Pelusium (Isid., Ep. I, 370). Yet even after the Council of Ephesus that saint still found something to rebuke in him on this matter (Ep. I, 310). But at last Cyril seems to have long since been trusted by Rome.

    It was in the winter of 427-28 that the Antiochene Nestorius became Patriarch of Constantinople. His heretical teaching soon became known to Cyril. Against him Cyril taught the use of the term Theotokus in his Paschal letter for 429 and in a letter to the monks of Egypt. A correspondence with Nestorius followed, in a more moderate tone than might have been expected. Nestorius sent his sermons to Pope Celestine, but he received no reply, for the latter wrote to St. Cyril for further information. Rome had taken the side of St. John Chrysostom against Theophilus, but had neither censured the orthodoxy of the latter, nor consented to the patriarchal powers exercised by the bishops of Constantinople. To St. Celestine Cyril was not only the first prelate of the East, he was also the inheritor of the traditions of Athanasius and Peter. The pope's confidence was not misplaced. Cyril had learnt prudence. Peter had attempted unsuccessfully to appoint a Bishop of Constantinople; Theophilus had deposed another. Cyril, though in this case Alexandria was in the right, does not act in his own name, but denounces Nestorius to St. Celestine, since ancient custom, he says, persuaded him to bring the matter before the pope. He relates all that had occurred, and begs Celestine to decree what he sees fit (typosai to dokoun--a phrase which Dr. Bright chooses to weaken into "formulate his opinion"), and communicate it also to the Bishops of Macedonia and of the East (i.e. the Antiochene Patriarchate).

    The pope's reply was of astonishing severity. He had already commissioned Cassian to write his well known treatise on the Incarnation. He now summoned a council (such Roman councils had somewhat the office of the modern Roman Congregations), and dispatched a letter to Alexandria with enclosures to Constantinople, Philippi, Jerusalem, and Antioch. Cyril is to take to himself the authority of the Roman See and to admonish Nestorius that unless he recants within ten days from the receipt of this ultimatum, he is separated from "our body" (the popes of the day had the habit of speaking of the other churches as the members, of which they are the head; the body is, of course the Catholic Church). If Nestorius does not submit, Cyril is to "provide for" the Church of Constantinople. Such a sentence of excommunication and deposition is not to be confounded with the mere withdrawal of actual communion by the popes from Cyril himself at an earlier date, from Theophilus, or, in Antioch, from Flavian or Meletius. It was the decree Cyril has asked for. As Cyril had twice written to Nestorius, his citation in the name of the pope is to be counted as a third warning, after which no grace is to be given.

    St. Cyril summoned a council of his suffragans, and composed a letter which were appended twelve propositions for Nestorius to anathematize. The epistle was not conciliatory, and Nestorius may well have been taken aback. The twelve propositions did not emanate from Rome, and were not equally clear; one or two of them were later among the authorities invoked by the Monophysite heretics in their own favour. Cyril was the head of the rival theological school to that of Antioch, where Nestorius had studied, and was the hereditary rival of the Constantinopolitan would-be patriarch. Cyril wrote also to John, Patriarch of Antioch, informing him of the facts, and insinuating that if John should support his old friend Nestorius, he would find himself isolated over against Rome, Macedonia, and Egypt. John took the hint and urged Nestorius to yield. Meanwhile, in Constantinople itself large numbers of the people held aloof from Nestorius, and the Emperor Theodosius II had been persuaded to summon a general council to meet at Ephesus. The imperial letters were dispatched 19 November, whereas the bishops sent by Cyril arrived at Constantinople only on 7 December. Nestorius, somewhat naturally, refused to accept the message sent by his rival, and on the 13th and 14th of December preached publicly against Cyril as a calumniator, and as having used bribes (which was probably as true as it was usual); but he declared himself willing to use the word Theotokos. These sermons he sent to John of Antioch, who preferred them to the anathematizations of Cyril. Nestorius, however, issued twelve propositions with appended anathemas. If Cyril's propositions might be might be taken to deny the two natures in Christ, those of Nestorius hardly veiled his belief in two distinct persons. Theodoret urged John yet further, and wrote a treatise against Cyril, to which the latter replied with some warmth. He also wrote an "Answer" in five books to the sermons of Nestorius.

    As the fifteenth-century idea of an oecumenical council superior to the pope had yet to be invented, and there was but one precedent for such an assembly, we need not be surprised that St. Celestine welcomed the initiative of the emperor, and hoped for peace through the assembly. (See EPHESUS, COUNCIL OF.) Nestorius found the churches of Ephesus closed to him, when he arrived with the imperial commissioner, Count Candidian, and his own friend, Count Irenaeus. Cyril came with fifty of his bishops. Palestine, Crete, Asia Minor, and Greece added their quotient. But John of Antioch and his suffragans were delayed. Cyril may have believed, rightly or wrongly, that John did not wish to be present at the trial of his friend Nestorius, or that he wished to gain time for him, and he opened the council without John, on 22 June, in spite of the request of sixty-eight bishops for a delay. This was an initial error, which had disastrous results.

    The legates from Rome had not arrived, so that Cyril had no answer to the letter he had written to Celestine asking "whether the holy synod should receive a man who condemned what it preached, or, because the time of delay had elapsed, whether the sentence was still in force". Cyril might have presumed that the pope, in agreeing to send legates to the council, intended Nestorius to have a complete trial, but it was more convenient to assume that the Roman ultimatum had not been suspended, and that the council was bound by it. He therefore took the place of president, not only as the highest of rank, but also as still holding the place of Celestine, though he cannot have received any fresh commission from the pope. Nestorius was summoned, in order that he might explain his neglect of Cyril's former monition in the name of the pope. He refused to receive the four bishops whom the council sent to him. Consequently nothing remained but formal procedure. For the council was bound by the canons to depose Nestorius for contumacy, as he would not appear, and by the letter of Celestine to condemn him for heresy, as he had not recanted. The correspondence between Rome, Alexandria, and Constantinople was read, some testimonies where read from earlier writers show the errors of Nestorius. The second letter of Cyril to Nestorius was approved by all the bishops. The reply of Nestorius was condemned. No discussion took place. The letter of Cyril and the ten anathemaizations raised no comment. All was concluded at one sitting. The council declared that it was "of necessity impelled" by the canons and by the letter of Celestine to declare Nestorius deposed and excommunicated. The papal legates, who had been detained by bad weather, arrived on the 10th of July, and they solemnly confirmed the sentence by the authority of St. Peter, for the refusal of Nestorius to appear had made useless the permission which they brought from the pope to grant him forgiveness if he should repent. But meanwhile John of Antioch and his party had arrived on the 26th and 27th of June. They formed themselves into a rival council of forty-three bishops, and deposed Memnon, Bishop of Ephesus, and St. Cyril, accusing the latter of Apollinarianism and even of Eunomianism. Both parties now appealed to the emperor, who took the amazing decision of sending a count to treat Nestorius, Cyril, and Memnon as being all three lawfully deposed. They were kept in close custody; but eventually the emperor took the orthodox view, though he dissolved the council; Cyril was allowed to return to his diocese, and Nestorius went into retirement at Antioch. Later he was banished to the Great Oasis of Egypt.

    Meanwhile Pope Celestine was dead. His successor, St. Sixtus III, confirmed the council and attempted to get John of Antioch to anathematize Nestorius. For some time the strongest opponent of Cyril was Theodoret, but eventually he approved a letter of Cyril to Acacius of Berhoea. John sent Paul, Bishop of Emesa, as his plenipotentiary to Alexandria, and he patched up reconciliation with Cyril. Though Theodoret still refused to denounce the defence of Nestorius, John did so, and Cyril declared his joy in a letter to John. Isidore of Pelusium was now afraid that the impulsive Cyril might have yielded too much (Ep. i, 334). The great patriarch composed many further treatises, dogmatic letters, and sermons. He died on the 9th or the 27th of June, 444, after an episcopate of nearly thirty-two years.

    St. Cyril as a theologian

    The principal fame of St. Cyril rests upon his defence of Catholic doctrine against Nestorius. That heretic was undoubtedly confused and uncertain. He wished, against Apollinarius, to teach that Christ was a perfect man, and he took the denial of a human personality in Our Lord to imply an Apollinarian incompleteness in His Human Nature. The union of the human and the Divine natures was therefore to Nestorius an unspeakably close junction, but not a union in one hypostasis. St. Cyril taught the personal, or hypostatic, union in the plainest terms; and when his writings are surveyed as a whole, it becomes certain that he always held the true view, that the one Christ has two perfect and distinct natures, Divine and human. But he would not admit two physeis in Christ, because he took physis to imply not merely a nature but a subsistent (i.e. personal) nature. His opponents misrepresented him as teaching that the Divine person suffered, in His human nature; and he was constantly accused of Apollinarianism. On the other hand, after his death Monophysitism was founded upon a misinterpretation of his teaching. Especially unfortunate was the formula "one nature incarnate of God the Word" (mia physis tou Theou Logou sesarkomene), which he took from a treatise on the Incarnation which he believed to be by his great predecessor St. Athanasius. By this phrase he intended simply to emphasize against Nestorius the unity of Christ's Person; but the words in fact expressed equally the single Nature taught by Eutyches and by his own successor Diascurus. He brings out admirably the necessity of the full doctrine of the humanity to God, to explain the scheme of the redemption of man. He argues that the flesh of Christ is truly the flesh of God, in that it is life-giving in the Holy Eucharist. In the richness and depth of his philosophical and devotional treatment of the Incarnation we recognize the disciple of Athanasius. But the precision of his language, and perhaps of his thought also, is very far behind that which St. Leo developed a few years after Cyril's death.

    Cyril was a man of great courage and force of character. We can often discern that his natural vehemence was repressed and schooled, and he listened with humility to the severe admonitions of his master and advisor, St. Isidore. As a theologian, he is one of the great writers and thinkers of early times. Yet the troubles that arose out of the Council of Ephesus were due to his impulsive action; more patience and diplomacy might possibly even have prevented the vast Nestorian sect from arising at all. In spite of his own firm grasp of the truth, the whole of his patriarch fell away, a few years after his time, into a heresy based on his writings, and could never be regained by the Catholic Faith. But he has always been greatly venerated in the Church. His letters, especially the second letter to Nestorius, were not only approved by the Council of Ephesus, but by many subsequent councils, and have frequently been appealed to as tests of orthodoxy. In the East he was always honoured as one of the greatest of the Doctors. His Mass and Office as a Doctor of the Church were approved by Leo XIII in 1883.

    His writings

    The exegetical works of St. Cyril are very numerous. The seventeen books "On Adoration in Spirit and in Truth" are an exposition of the typical and spiritual nature of the Old Law. The Glaphyra or "brilliant", Commentaries on Pentateuch are of the same nature. Long explanations of Isaias and of the minor Prophets give a mystical interpretation after the Alexandrian manner. Only fragments are extant of other works on the Old Testament, as well as of expositions of Matthew, Luke, and some of the Epistles, but of that of St. Luke much is preserved in a Syriac version. Of St. Cyril's sermons and letters the most interesting are those which concern the Nestorian controversy. Of a great apologetic work in the twenty books against Julian the Apostate ten books remain. Among his theological treatises we have two large works and one small one on the Holy Trinity, and a number of treatises and tracts belonging to the Nestorian controversy.

    The first collected edition of St. Cyril's works was by J. Aubert, 7 vols., Paris, 1638; several earlier editions of some portions in Latin only are enumerated by Fabricius. Cardinal Mai added more material in the second and third volumes of his "Bibliotheca nova Patrum", II-III, 1852; this is incorporated, together with much matter from the Catenæ published by Ghislerius (1633), Corderius, Possinus, and Cranor (1838), in Migne's reprint of Aubert's edition (P.G. LXVIII-LXVII, Paris, 1864). Better editions of single works include P. E. Pusey, "Cyrilli Alex. Epistolae tres oecumenicae, libri V c. Nestorium, XII capitum explanatio, XII capitum defensio utraque scholia de Incarnatione Unigeniti" (Oxford, 1875); "De recta fide ad principissas de recta fide ad Augustas, quad unus Christus, dialogus apologeticus ad Imp." (Oxford, 1877); "Cyrilli Alex. in XII Prophetas" (Oxford, 1868, 2 vols.); "In divi Joannis Evangelium" (Oxford, 1872, 3 vols., including the fragments on the Epistles). "Three Epistles, with revised text and English translation" (Oxford, 1872); translations in the Oxford "Library of the Fathers"; "Commentary on St. John", I (1874), II (1885); Five tomes against Nestorius" (1881); R. Payne Smith, "S. Cyrilli Alex. Comm. in Lucae evang. quae supersunt Syriace e manuscripts apud Mus. Brit." (Oxford, 1858); the same translated into English (Oxford, 1859, 2 vols.); W. Wright, "Fragments of the Homilies of Cyril of Alex. on St. Luke, edited from a Nitrian manuscript" (London, 1874); J. H. Bernard, "On Some Fragments of an Uncial manuscript of St. Cyril of Alex. Written on Papyrus" (Trans. of R. Irish Acad., XXIX, 18, Dublin, 1892); "Cyrilli Alex. librorum c. Julianum fragmenta syriaca:, ed. E. Nestle etc. in "Scriptorum grecorum, qui Christianam impugnaverunt religionem", fasc. III (Leipzig, 1880). Fragments of the "Liber Thesaurorum" in Pitra, "Analecta sacra et class.", I (Paris, 1888).

    Bibliography

    The best biography of St. Cyril is, perhaps, still that by TILLEMONT in Mémoires pour servir, etc., XIV. See also KOPALLIK, Cyrillus von Alexandrien (Mainz, 1881), an apology for St. Cyril's teaching and character. A moderate view is taken by BRIGHT in Waymarks of Church History (London, 1894) and The Age of the Fathers (London, 1903), II, but he is recognized as prejudiced wherever the papacy is in question. EHRHARD, Die Cyril v. Alex. zugeschriebene Schrift, peri tes tou K. enanthropeseos, ein Werdes Theodoret (Tubingen, 1888); LOOFS, Nestoriana (Halle, 1905); WEIGL, Die Heilslehre des Cyril v. Alex. (Mainz, 1905). Of review articles may be mentioned: LARGENT Etudes d'hist. eccl.: S. Cyrille d'Al. et le conc. d'Ephèse (Paris, 1892); SCHAFER, Die Christologie des Cyril v. Al. in Theolog. Quartalschrift (Tubingen, 1895), 421; MAHE, Les anathématismes de S. Cyrille in Rev. d'hist eccl. (Oct., 1906); BETHUNE-BAKER, Nestorius and his Teaching (Cambridge, 1908); MAHE, L'Eucharistie d' apres S. Cyrille d' Al. in Rev. d' Hist. Eccl. (Oct., 1907); L. J. SICKING defends Cyril in the affair of Hypatia in Der Katholik, CXXIX (1907), 31 and 121; CONYBEARE, The Armenian Version of Revelation and Cyril of Alexandria's scholia on the Incarnation edited from the oldest MSS. and Englished (London, 1907).

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. IV, 1908, New York

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    Predefinito Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo

    Per mezzo di te, Maria, Madre di Dio,
    la croce preziosa è celebrata, adorata nel mondo intero.
    Per mezzo di te, i demoni sono messi in fuga.
    Per mezzo di te, la creatura caduta sale al cielo.
    Per mezzo di te, ogni creatura […]
    Giunge alla conoscenza della verità. […]
    Per mezzo di te, i re regnano, per mezzo della Santa Trinità
    (S. Cirillo d'Alessandria, Omelia IV, Concilio di Efeso, 431).

  7. #7
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    Predefinito Dall'«Omelia tenuta nel concilio di Efeso» da san Cirillo d'Alessandria, vescovo

    Om. 4, in PG 77, 991.995-996

    Vedo qui la lieta e alacre assemblea dei santi, che, invitati dalla borsa e sempre Vergine Madre di Dio, sono accorsi con prontezza. Perciò, quantunque oppresso da grave tristezza, tuttavia il vedere qui questi santi padri mi ha recato grande letizia. Ora si é adempiuta presso di noi quella dolce parola del salmista Davide: «Ecco quanto é buono e quanto é soave che i fratelli vivano insieme!» (Sal 132, 1). Ti salutiamo, perciò o santa mistica Trinità, che ci hai riuniti tutti in questa chiesa della santa Madre di Dio, Maria.
    Ti salutiamo, o Maria, Madre di Dio, venerabile tesoro di tutta la terra, lampada inestinguibile, corona della verginità, scettro della retta dottrina, tempio indistruttibile, abitacolo di colui che non può essere circoscritto da nessun luogo, madre e vergine insieme per la quale nei santi vangeli é chiamato «Benedetto colui che viene nel nome de Signore!» (Mt 21, 9).
    Salve, o tu che hai accolto nel tuo grembo vergine colui che é immenso e infinito. Per te la santa Trinità é glorificata e adorata. Per te la croce preziosa é celebrata e adorata in ogni angolo della terra. Per te i cieli esultano. Per te gli angeli e gli arcangeli si allietano. Per te i demoni sono messi in fuga. Per te il diavolo tentarore é precipitato dal cielo. Per te tutto il genere umano, schiavo dell'idolatria, é giunto alla conoscenza della verità. Per te i credenti arrivano alla grazia del santo battesimo. Per te viene l'olio della letizia. Per te sono state fondate le chiese in tutto l'universo. Per te le genti sono condotte alla penitenza.
    E che dire di più? Per te l'unigenito Figlio di Dio risplende quale luce «a coloro che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte» (Lc 1, 79). Per te i profeti hanno vaticinato. Per te gli apostoli hanno predicato al mondo la salvezza. Per te i morti sono risuscitati. Per te i re regnano nel nome della santa Trinità. E qual uomo potrebbe celebrare in modo adeguato Maria, degna di ogni lode? Ella é madre e vergine. O meraviglia! Questo miracolo mi porta allo stupore. Chi ha mai sentito che al costruttore sia stato proibito di abitare nel tempio, che egli stesso ha edificato? Chi può essere biasimato per il fatto che chiama la propria serva ad essergli madre?
    Ecco dunque che ogni cosa é nella gioia. Possa toccare a noi di venerare e adorare la divina Unità, di tenere e servire l'individuale Trinità, celebrando con lodi la sempre Vergine Maria che é il santo tempio di Dio, e il suo Filgio e sposo senza macchia, poiché a lui va la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

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    Predefinito

    BENEDETTO XVI

    UDIENZA GENERALE


    Piazza San Pietro
    Mercoledì, 3 ottobre 2007

    San Cirillo di Alessandria

    Cari fratelli e sorelle!

    Anche oggi, continuando il nostro itinerario che sta seguendo le tracce dei Padri della Chiesa, incontriamo una grande figura: san Cirillo di Alessandria. Legato alla controversia cristologica che portò al Concilio di Efeso del 431 e ultimo rappresentante di rilievo della tradizione alessandrina, nell’Oriente greco Cirillo fu più tardi definito “custode dell’esattezza” – da intendersi come custode della vera fede – e addirittura “sigillo dei Padri”. Queste antiche espressioni esprimono bene un dato di fatto che è caratteristico di Cirillo, e cioè il costante riferimento del Vescovo di Alessandria agli autori ecclesiastici precedenti (tra questi, soprattutto Atanasio) con lo scopo di mostrare la continuità della propria teologia con la tradizione. Egli si inserisce volutamente, esplicitamente nella tradizione della Chiesa, nella quale riconosce la garanzia della continuità con gli Apostoli e con Cristo stesso. Venerato come santo sia in Oriente che in Occidente, nel 1882 san Cirillo fu proclamato dottore della Chiesa dal Papa Leone XIII, il quale contemporaneamente attribuì lo stesso titolo anche ad un altro importante esponente della patristica greca, san Cirillo di Gerusalemme. Si rivelavano così l’attenzione e l’amore per le tradizioni cristiane orientali di quel Papa, che in seguito volle proclamare dottore della Chiesa anche san Giovanni Damasceno, mostrando così che tanto la tradizione orientale quanto quella occidentale esprimono la dottrina dell’unica Chiesa di Cristo.

    Le notizie sulla vita di Cirillo prima della sua elezione all’importante sede di Alessandria sono pochissime. Nipote di Teofilo, che dal 385 come Vescovo resse con mano ferma e prestigio la diocesi alessandrina, Cirillo nacque probabilmente nella stessa metropoli egiziana tra il 370 e il 380, venne presto avviato alla vita ecclesiastica e ricevette una buona educazione, sia culturale che teologica. Nel 403 era a Costantinopoli al seguito del potente zio e qui partecipò al Sinodo detto della Quercia, che depose il Vescovo della città, Giovanni (detto più tardi Crisostomo), segnando così il trionfo della sede alessandrina su quella, tradizionalmente rivale, di Costantinopoli, dove risiedeva l’imperatore. Alla morte dello zio Teofilo, l’ancora giovane Cirillo nel 412 fu eletto Vescovo dell’influente Chiesa di Alessandria, che governò con grande energia per trentadue anni, mirando sempre ad affermarne il primato in tutto l’Oriente, forte anche dei tradizionali legami con Roma.

    Due o tre anni dopo, nel 417 o nel 418, il Vescovo di Alessandria si dimostrò realista nel ricomporre la rottura della comunione con Costantinopoli, che era in atto ormai dal 406 in conseguenza della deposizione del Crisostomo. Ma il vecchio contrasto con la sede costantinopolitana si riaccese una decina di anni più tardi, quando nel 428 vi fu eletto Nestorio, un autorevole e severo monaco di formazione antiochena. Il nuovo Vescovo di Costantinopoli, infatti, suscitò presto opposizioni perché nella sua predicazione preferiva per Maria il titolo di “Madre di Cristo” (Christotòkos), in luogo di quello - già molto caro alla devozione popolare - di “Madre di Dio” (Theotòkos). Motivo di questa scelta del Vescovo Nestorio era la sua adesione alla cristologia di tipo antiocheno che, per salvaguardare l’importanza dell’umanità di Cristo, finiva per affermarne la divisione dalla divinità. E così non era più vera l’unione tra Dio e l’uomo in Cristo e, naturalmente, non si poteva più parlare di “Madre di Dio”.

    La reazione di Cirillo – allora massimo esponente della cristologia alessandrina, che intendeva invece sottolineare fortemente l’unità della persona di Cristo – fu quasi immediata, e si dispiegò con ogni mezzo già dal 429, rivolgendosi anche con alcune lettere allo stesso Nestorio. Nella seconda (PG 77,44-49) che Cirillo gli indirizzò, nel febbraio del 430, leggiamo una chiara affermazione del dovere dei Pastori di preservare la fede del Popolo di Dio. Questo era il suo criterio, valido peraltro anche oggi: la fede del Popolo di Dio è espressione della tradizione, è garanzia della sana dottrina. Così scrive a Nestorio: “Bisogna esporre al popolo l’insegnamento e l’interpretazione della fede nel modo più irreprensibile e ricordare che chi scandalizza anche uno solo dei piccoli che credono in Cristo subirà un castigo intollerabile”.

    Nella stessa lettera a Nestorio – lettera che più tardi, nel 451, sarebbe stata approvata dal Concilio di Calcedonia, il quarto ecumenico – Cirillo descrive con chiarezza la sua fede cristologica: “Affermiamo così che sono diverse le nature che si sono unite in vera unità, ma da ambedue è risultato un solo Cristo e Figlio, non perché a causa dell’unità sia stata eliminata la differenza delle nature, ma piuttosto perché divinità e umanità, riunite in unione indicibile e inenarrabile, hanno prodotto per noi il solo Signore e Cristo e Figlio”. E questo è importante: realmente la vera umanità e la vera divinità si uniscono in una sola Persona, il Nostro Signore Gesù Cristo. Perciò, continua il Vescovo di Alessandria, “professeremo un solo Cristo e Signore, non nel senso che adoriamo l’uomo insieme col Logos, per non insinuare l’idea della separazione col dire ‘insieme’, ma nel senso che adoriamo uno solo e lo stesso, perché non è estraneo al Logos il suo corpo, col quale siede anche accanto a suo Padre, non quasi che gli seggano accanto due figli, bensì uno solo unito con la propria carne”.

    E presto il Vescovo di Alessandria, grazie ad accorte alleanze, ottenne che Nestorio fosse ripetutamente condannato: da parte della sede romana, quindi con una serie di dodici anatematismi da lui stesso composti e, infine, dal Concilio tenutosi a Efeso nel 431, il terzo ecumenico. L’assemblea, svoltasi con alterne e tumultuose vicende, si concluse con il primo grande trionfo della devozione a Maria e con l’esilio del Vescovo costantinopolitano che non voleva riconoscere alla Vergine il titolo di “Madre di Dio”, a causa di una cristologia sbagliata, che apportava divisione in Cristo stesso. Dopo avere così prevalso sul rivale e sulla sua dottrina, Cirillo seppe però giungere, già nel 433, a una formula teologica di compromesso e di riconciliazione con gli antiocheni. E anche questo è significativo: da una parte c’è la chiarezza della dottrina di fede, ma dall’altra anche la ricerca intensa dell’unità e della riconciliazione. Negli anni seguenti si dedicò in ogni modo a difendere e a chiarire la sua posizione teologica fino alla morte, sopraggiunta il 27 giugno del 444.

    Gli scritti di Cirillo – davvero molto numerosi e diffusi con larghezza anche in diverse traduzioni latine e orientali già durante la sua vita, a testimonianza del loro immediato successo – sono di primaria importanza per la storia del cristianesimo. Importanti sono i suoi commenti a molti libri veterotestamentari e del Nuovo Testamento, tra cui l’intero Pentateuco, Isaia, i Salmi e i Vangeli di Giovanni e Luca. Rilevanti sono pure le molte opere dottrinali, in cui ricorrente è la difesa della fede trinitaria contro le tesi ariane e contro quelle di Nestorio. Base dell’insegnamento di Cirillo è la tradizione ecclesiastica, e in particolare, come ho accennato, gli scritti di Atanasio, il suo grande predecessore sulla sede alessandrina. Tra gli altri scritti di Cirillo vanno infine ricordati i libri Contro Giuliano, ultima grande risposta alle polemiche anticristiane, dettata dal Vescovo di Alessandria probabilmente negli ultimi anni della sua vita per replicare all’opera Contro i Galilei composta molti anni prima, nel 363, dall’imperatore che fu detto l’Apostata per avere abbandonato il cristianesimo nel quale era stato educato.

    La fede cristiana è innanzitutto incontro con Gesù, “una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte” (Enc. Deus caritas est, 1). Di Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, san Cirillo di Alessandria è stato un instancabile e fermo testimone, sottolineandone soprattutto l’unità, come ripete nel 433 nella prima lettera (PG 77,228-237) al Vescovo Succenso: “Uno solo è il Figlio, uno solo il Signore Gesù Cristo, sia prima dell’incarnazione sia dopo l’incarnazione. Infatti non era un Figlio il Logos nato da Dio Padre, e un altro quello nato dalla santa Vergine; ma crediamo che proprio Colui che è prima dei tempi è nato anche secondo la carne da una donna”. Questa affermazione, al di là del suo significato dottrinale, mostra che la fede in Gesù Logos nato dal Padre è anche ben radicata nella storia perché, come afferma san Cirillo, questo stesso Gesù è venuto nel tempo con la nascita da Maria, la Theotòkos, e sarà, secondo la sua promessa, sempre con noi. E questo è importante: Dio è eterno, è nato da una donna e rimane con noi ogni giorno. In questa fiducia viviamo, in questa fiducia troviamo la strada della nostra vita.

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    9 febbraio 2017: SANTA APOLLONIA, VERGINE E MARTIRE, E SAN CIRILLO ALESSANDRINO VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA…






    San Cirillo di Alessandria - Sodalitium
    http://www.sodalitium.biz/san-cirillo-di-alessandria/
    “9 febbraio, San Cirillo di Alessandria, Vescovo, Confessore e Dottore (Teodosia d’Egitto, 370 – Alessandria d’Egitto, 27 giugno 444). Al Concilio di Efeso nel 431 difese i dogmi dell’unità e unicità della persona in Cristo e della divina maternità della Vergine Maria.
    Preghiera di San Cirillo a Maria, Madre e Vergine.
    Ti Salutiamo, Maria, Madre di Dio venerabile tesoro di tutto l’universo, fiaccola inestinguibile, corona della verginità, scettro della vera fede, tempio indistruttibile, grembo santo e verginale, che hai contenuto l’Incontenibile! Per te è glorificata e adorata la Trinità! Per te esulta il cielo, si rallegrano gli angeli, sono messi in fuga i demoni! Ave a te, per la quale regnano i re e il Figlio Unigenito di Dio è divenuto un faro di luce per coloro che erano nelle tenebre e nell’ombra della morte.”









    Don Francesco Ricossa dell'IMBC su Ipazia e San Cirillo:



    Miti laicisti: Ipazia « www.agerecontra.it
    Miti laicisti: Ipazia - Centro Studi Giuseppe Federici
    “Il mito di Ipazia, di don Francesco Ricossa (n. 64 della rivista Sodalitium)"

    http://www.sodalitium.biz/sodalitium_pdf/64.pdf






    Carlo Di Pietro - Sursum Corda
    Preghiera al Santo del giorno.
    Ad Alessandria il natale di sant’Apollónia, Vergine e Martire, alla quale i persecutori, sotto Décio, prima estrassero tutti i denti, poi, innalzato ed acceso un rogo, minacciarono di bruciarla viva, se non avesse pronunciato con loro empie parole; ma essa, avendo riflettuto un poco tra sè, si svincolò improvvisamente dalle mani di quegli empi, ed accesa internamente da più grande ardore di Spirito Santo, si gettò nel fuoco, che le avevano preparato, così spontaneamente, che gli autori stessi di quella crudeltà rimasero sbigottiti, come si fosse trovata più pronta una donna alla morte che il persecutore alla pena.
    In nómine Patris
    et Fílii
    et Spíritus Sancti.
    Amen.

    Eterno Padre, intendo onorare sant’Apollónia, Vergine e Martire, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi le avete elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questa santa Vergine e Martire, ed a lei affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, sant’Apollónia, Vergine e Martire, possa essere mia avvocata e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
    #sdgcdpr













    Ligue Saint Amédée

    www.SaintAmedee.ch/


    “9 Février : Sainte Apolline ou Apollonie, Vierge et Martyre († 249)”






    “9 Février : Saint Cyrille d'Alexandrie, Évêque et Docteur de l'Église († 444)”














    Radio Spada
    "Radio Spada è un sito di controinformazione cattolico http://www.radiospada.org e una casa editrice http://www.edizioniradiospada.com"

    “9 FEBBRAIO 2017: SAN CIRILLO ALESSANDRINO VESCOVO, CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA.”





    “9 FEBBRAIO 2017; SANTA APOLLONIA, VERGINE E MARTIRE.”















    Guéranger, L'anno liturgico - 9 febbraio. San Cirillo Alessandrino, Vescovo e Dottore della Chiesa

    http://www.unavoce-ve.it/pg-9feb.htm
    "9 FEBBRAIO
    SAN CIRILLO ALESSANDRINOVESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA
    L'inimicizia fra la donna e il serpente.
    "Porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua progenie e la progenie di lei; essa ti schiaccerà la testa e tu la insidierai al calcagno (Gen 3,15). La parola che fu pronunciata contro il serpente, e che la Chiesa in questi giorni richiama alla mente dei suoi figli domina tutta la storia del mondo. La donna, caduta per la prima, per l'astuzia di Satana, in Maria viene per la prima rialzata. Nella sua immacolata Concezione, nel parto verginale e nell'offerta che fece a Dio del nuovo Adamo sul monte Calvario, la novella Eva mostrò all'antico nemico la potenza del suo piede vittorioso. Persino l'angelo ribelle, divenuto il principe del mondo per la complicità dell'uomo (Gv 12,31), sin d'allora, contro la donna che doveva trionfare su di lui, convogliò tutte le forze della duplice schiera delle legioni infernali e dei figli delle tenebre che dipendono da lui. Maria, in cielo, prosegue la lotta che cominciò sulla terra. Regina degli spiriti beati e dei figli della luce, ella stessa guida alla battaglia, come un solo esercito, le falangi celesti e le schiere della Chiesa militante. Il trionfo di queste truppe fedeli è quello della loro sovrana: il continuo schiacciamento del capo del padre della menzogna mediante la disfatta dell'errore e l'esaltazione della verità rivelata, del figlio di Maria e figlio di Dio.
    Cirillo e Atanasio.
    Però, mai l'esaltazione del Verbo divino parve più intimamente connesso al trionfo dell'augusta sua Madre, come nel memorabile combattimento, in cui il pontefice che oggi viene presentato ai nostri riconoscenti omaggi ebbe una parte così gloriosa. Cirillo d'Alessandria è il Dottore della divina Maternità; come il suo predecessore Atanasio lo fu della consustanzialità del Verbo; l'Incarnazione si poggia sui due misteri, che, a un secolo di distanza, furono l'oggetto della loro confessione e delle loro lotte. Quale Figlio di Dio Cristo doveva essere consustanziale al Padre, perché la semplicità infinita dell'essenza divina esclude ogni idea di divisione o di parte; negare in Gesù, Verbo divino, l'unità di sostanza col suo principio, era negare la sua divinità. Quale figlio dell'uomo, al tempo stesso che Dio vero da Dio vero (Simbolo di Nicea), Gesù doveva nascere quaggiù da una figlia d'Adamo, e restare tuttavia, nella sua umanità, una medesima persona col Verbo consustanziale al Padre: negare in Cristo questa unione di persona delle due nature era lo stesso che misconoscere la sua divinità; ciò significava proclamare nel medesimo tempo che la Vergine benedetta, venerata fino allora per aver generato Dio nella natura assunta per salvarci, non era che la madre d'un uomo.
    Ario.
    Tre secoli di persecuzione avevano tentato invano di indurre la Chiesa al rinnegamento della divinità del Cristo. Il mondo aveva appena assistito al trionfo dell'Uomo-Dio, e già il nemico traeva vantaggio da questa vittoria; approfittando del nuovo stato createsi intorno al cristianesimo e della sicurezza da parte dei persecutori, si sforzava d'ottenere sul terreno della falsa scienza quel rinnegamento che non era riuscito a conseguire nell'arena del martirio. L'accanito zelo degli eretici nel riformare la credenza della Chiesa serviva all'inimicizia del serpente, e contribuiva allo sviluppo della sua razza maledetta più che non l'avessero fatto le defezioni degli apostati. Degno d'essere, per la sua superbia, il primo nell'era della pace, di questi dottori infernali, Ario spinse la sua controversia persino nelle profondità dell'essenza divina, rigettando, sulla base di testi astrusi, il termine consustanziale. Sullo scorcio d'un secolo in cui il principale elemento di forza era stato l'appoggio delle potenze di questo mondo, l'arianesimo cadeva, conservando le radici solo presso quelle nazioni che, battezzate di recente, non avevano dovuto versare il loro sangue per la divinità del Figlio di Dio. Allora Satana fece sorgere Nestorio.
    Nestorio.
    Abile a trasformarsi in angelo di luce (2Cor 11,14), l'eterno nemico rivestì il suo apostolo d'una duplice bugiarda aureola di santità e di scienza; l'uomo che più d'ogni altro doveva manifestare l'odio del serpente contro la donna ed il suo seme, si assise sulla cattedra episcopale di Costantinopoli col plauso di tutto l'Oriente, che si riprometteva di veder rivivere in lui l'eloquenza e le virtù d'un nuovo Crisostomo. Ma l'esultanza dei buoni fu di breve durata perché nello stesso anno dell'esaltazione dell'ipocrita pastore, il giorno di Natale del 428, Nestorio, approfittando dell'immenso concorso di fedeli venuti a festeggiare il parto della Vergine-Madre, dall'alto del soglio episcopale lanciò quella blasfema parola: "Maria non ha generato Dio: il Figlio suo non è che un uomo, strumento della divinità".
    Difesa della fede.
    A queste parole la moltitudine fremette inorridita; interprete della generale indignazione Eusebio di Doriles, un semplice laico si levò in mezzo alla folla a protestare contro l'empietà. In seguito, a nome dei membri di questa desolata Chiesa fu redatta una più esplicita protesta, diffusa in numerosi esemplari, anatemizzando chiunque avesse osato dire: "Altro è il Figlio unico del Padre, altro quello nato dalla Vergine Maria". Generoso atteggiamento che fu allora la salvaguardia di Bisanzio e gli valse l'elogio dei Concili e dei Papi! Quando il pastore si cambia in lupo, tocca soprattutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede, i capi. Ma nel tesoro della rivelazione vi sono dei punti essenziali, dei quali ogni cristiano, perciò stesso ch'è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la dovuta custodia. Il principio non muta, sia che si tratti di verità da credere che di norme morali da seguire, sia di morale che di dogma. I tradimenti simili a quelli di Nestorio non sono frequenti nella Chiesa; tuttavia può darsi che alcuni pastori tacciano, per un motivo o per l'altro, in talune circostanze in cui la stessa religione verrebbe ad essere coinvolta. In tali congiunture, i veri fedeli sono quelli che attingono solo nel loro battesimo l'ispirazione della loro linea di condotta; non i pusillanimi che, sotto lo specioso pretesto della sottomissione ai poteri costituiti, attendono, per aderire al nemico o per opporsi alle sue imprese un programma che non è affatto necessario e che non si deve dare loro.
    Roma e Alessandria.
    Ciò nonostante, lo scandalo provocato dalle bestemmie di Nestorio mise in agitazione tutto l'Oriente e presto raggiunse Alessandria. La cattedra fondata da Marco in nome di Pietro e, per volontà di questo capo delle Chiese, ornata dell'onore di seconda sede, era allora occupata da Cirillo. Come l'armonia che regnò fra Atanasio ed i pontefici romani aveva, nel secolo precedente, vinto l'arianesimo; così l'unione costante di Alessandria con Roma doveva ancora una volta abbattere l'eresia. Se non che il nemico, edotto dall'esperienza, aveva escogitato una precauzione diabolica. Quando il futuro rivendicatore della Madre di Dio saliva sulla sede di sant'Atanasio non esisteva più quell'alleanza tanto temuta dal demonio. Infatti Teofilo, l'ultimo patriarca e autore principale della condanna di san Giovanni Crisostomo nel conciliabolo detto "ad Quercum", dal luogo dove fu tenuta la riunione, aveva sempre impedito fino alla fine, di favorire la riabilitazione della sua vittima con la Sede Apostolica, per cui Roma ruppe i rapporti con la sua figlia primogenita. Ora Cirillo, nipote di Teofilo, ignorava affatto le ragioni inconfessabili dello zio in questa dolorosa faccenda; abituato fin dall'infanzia a venerare in lui il legittimo superiore, il suo benefattore e il suo maestro nella sacra scienza, Cirillo, divenuto a sua volta patriarca, non ebbe la minima idea di mutare le decisioni di colui che considerava come un padre: così Alessandria rimase separata dalla Chiesa romana. Perciò Satana, veramente simile al serpente, che con la sua bava avvelena tutto ciò che tocca, aveva rivolto a suo profitto contro Dio i più nobili sentimenti. Però Maria Santissima, tanto amica dei cuori retri, non abbandonò il suo paladino. Dopo alcuni anni, in cui diversi avvenimenti fecero conoscere al giovane patriarca gli uomini, un santo monaco, Isidoro di Pelusa, aprì completamente gli occhi di Cirillo alla luce, il quale ormai convinto, non esitò a rimettere nei dittici sacri il nome di Giovanni Crisostomo. La trama ordita dall'inferno era sventata, e per le nuove lotte della fede che stavano per sorgere in Oriente, Roma ritrovava sulle sponde del Nilo un nuovo Atanasio.
    La fede dei monaci.
    Ricondotto da un monaco sui sentieri della santa unità, Cirillo nutrì per i solitari un affetto pari a quello di cui li aveva circondati il suo illustre predecessore, e al primo rumoreggiare dell'empietà nestoriana, li elesse a confidenti delle sue angoscie, illuminando, in una lettera rimasta celebre, la loro fede sul pericolo che minacciava la Chiesa. "Poiché, scrive loro (I Lettera ai monaci), tutti coloro che hanno abbracciato in Cristo l'invidiabile e nobile vostra vita, devono anzi tutto rifulgere dello splendore d'una fede inequivocabile e indefettibile, e su questa fede innestare la virtù; dopo ciò, devono impiegare tutta la loro diligenza nell'approfondire in loro la conoscenza del mistero di Cristo, tendendo con ogni sforzo ad acquistarne l'intelligenza più perfetta. Così io intendo, soggiunge il santo Dottore, il modo di arrivare all'uomo perfetto di cui parla l'Apostolo, e alla misura dell'età piena di Cristo" (Ef 4,13).
    Il liberalismo.
    Né il patriarca d'Alessandria si contentò d'effondere la sua anima con coloro il cui consenso gli era stato garantito in anticipo. Con lettere in cui la sua mansuetudine non cede se non alla forza ed all'ampiezza dell'esposizione dottrinale, Cirillo tentò di ricondurre Nestorio sulla retta via. Ma l'ostinato settario si mostrò contrario, e, in mancanza di argomento, si lamentò dell'ingerenza del patriarca. Come sempre avviene in tali circostanze, s'imbatté in uomini amanti del quieto vivere che, senza condividere l'errore, pensavano ch'era meglio non rispondere, per timore d'inasprire Nestorio e aumentare lo scandalo, in una parola, d'offendere la carità. A questi uomini, che non si spaventavano dell'audacia dell'eresia e non si preoccupavano di affermare la fede cristiana, a questi partigiani della pace e a qualunque costo, Cirillo rispondeva una buona volta: "Come?! Nestorio osa lasciar dire in sua presenza nell'assemblea dei fedeli: anatema chiunque chiami Maria Madre di Dio! e per bocca dei suoi partigiani colpisce d'anatema noi e tutti gli altri vescovi dell'universo, e gli antichi Padri che ovunque e in ogni epoca unanimemente hanno riconosciuto ed onorato la santa Madre di Dio! E noi non avremo il diritto di ritorcergli la frase e dire: Se qualcuno nega che Maria sia Madre di Dio, sia anatema? Questa parola, però, io non l'ho ancora pronunciata contro di lui" (Lettera 8.a o 6.a).
    La paura.
    Altri uomini, che pure in ogni tempo esistono, palesavano il vero motivo delle loro esitazioni, quando, gridando a tutti i venti i vantaggi della concordia e la loro antica amicizia per Nestorio, ricordavano timidamente il credito di cui egli godeva e il pericolo che si poteva incontrare nel contraddire un avversario così potente. "Potessi io, rispondeva Cirillo, perdendo tutti i miei beni, soddisfare il vescovo di Costantinopoli e placare l'asprezza del mio fratello! Ma qui si tratta della fede; lo scandalo dilaga in tutte le Chiese e ciascuno cerca d'informarsi della nuova dottrina. Se noi, che abbiamo ricevuta da Dio la missione d'insegnare, non portiamo rimedio a così grandi mali, il giorno del giudizio non saranno per noi riservate moltissime fiamme? Già non mi sono mancate calunnie e ingiurie; ma io dimentico tutto questo: resti unicamente salva la fede, e non mi lascerò sorpassare da nessuno nell'amare ardentemente Nestorio. Ma se, per colpa di qualcuno, ne viene a soffrire la fede, non vi può essere ombra di dubbio: noi non vogliamo perdere la nostra anima, anche se la stessa morte pende sulla nostra testa. Se il timore di qualche disagio vincesse sullo zelo della gloria di Dio, e ci facesse tacere la verità, con quale coraggio potremmo celebrare alla presenza del popolo cristiano i santi Martiri, quando ciò che costituisce unicamente il loro elogio è l'aver realizzato la parola (Eccli 4,33): Per la verità, combatti fino alla morte?" (Lettera 9.a o 7.a).
    La lotta coraggiosa.
    Quando finalmente la lotta divenne inevitabile, organizzò la santa milizia che doveva combattere a suo fianco, chiamando vicino a sé vescovi e monaci. Non contenendo più il sacro entusiasmo che l'animava, Cirillo scriveva ai suoi chierici residenti nella città imperiale: "Quanto a me, soffrire, vivere e morire per la fede di Gesù Cristo è il mio sommo desiderio. Come è scritto, non concederò sonno agli occhi miei, non riposo alle mie palpebre, non requie alle mie tempia (Sal 131,4-5), finché non abbia ingaggiata battaglia necessaria alla salvezza di tutti. Pertanto, compenetrati del nostro pensiero, siate forti, sorvegliate il nemico, informateci sulle minime sue mosse. Alla prima occasione v'invierò uomini scelti fra tutti per pietà e saggezza, vescovi e monaci; fin d'ora vi preparo le debite lettere, come il caso richiede. Ho deciso di lavorare senza tregua per la fede di Cristo e di sopportare tutti i tormenti, anche i più terribili, fino a subire la morte, che mi sarà così dolce per una tal causa" (Lettera 10.a o 8.a).
    Santa Pulcheria.
    Informato dal patriarca d'Alessandria circa l'agitazione delle Chiese, san Celestino I, che occupava allora la Sede Apostolica, condannò la nuova eresia e incaricò Cirillo di detronizzare il vescovo di Costantinopoli in nome del Romano Pontefice, se non veniva a resipiscenza. Ma gl'intrighi di Nestorio dovevano prolungare la lotta. A questo punto, vicino a Cirillo nel trionfo della donna sull'antico nemico, ci appare l'ammirabile figura d'una donna, d'una santa, che per quarant'anni fu il terrore dell'inferno, e per due volte, nel nome della Regina del cielo, schiacciò il capo all'odioso serpente. In un secolo di rovine, Pulcheria dovendo reggere a quindici anni le redini dell'impero, con la prudenza nel consiglio e con l'energia nell'azione, arginò i torbidi all'interno, al punto che, con la sola forza del suo divino salmodiare insieme alle sorelle, anch'esse vergini, riuscì a contenere i barbari. Quando l'Occidente si agitava nelle convulsioni di un'ultima agonia, l'Oriente ritrovava nel genio della sua imperatrice la prosperità dei suoi giorni migliori. Ora, nel vedere la nipote del grande Teodosio consacrare le proprie ricchezze a moltiplicare fra le sue mura le chiese alla Madre di Dio, Bisanzio apprese da lei il culto di Maria, che doveva costituire la sua salvaguardia in tanti tristi giorni, e le valse dal Signore, Figlio di Maria, mille anni di misericordia e d'incomprensibile pazienza. Salutata dai Concili ecumenici come la custode della fede ed il baluardo dell'unità (Labbe, Conc. iv, 464), santa Pulcheria ebbe dopo san Leone la parte principale di tutto ciò che si fece nel suo tempo contro gli avversari della verità divina (Lettera 31.a o 27.a). Due palme sono nelle sue mani, due corone cingono il suo capo, dice questo grande Papa, perché la Chiesa deve a lei la propria vittoria sull'empietà di Nestorio e di Eutiche, i quali, divisi nell'attacco, si congiungevano per lati opposti nel medesimo fine: la negazione dell'Incarnazione e quella del ruolo della Vergine-Madre nella redenzione del genere umano (ivi e Lettera 79.a o 59.a).
    VITA. - San Cirillo, ancor giovane, fu fatto vescovo d'Alessandria nel 412. Infiammato di zelo per la salvezza delle anime, s'adoperò a conservare intatta la fede del suo gregge. Con un ardore e con una scienza ammirevoli egli difese contro Nestorio il dogma della Maternità divina e, quale legato al Concilio di Efeso (431), confuse e condannò l'eretico. Mori nel 434. Leone XIII lo dichiarò Dottore della Chiesa universale.
    La divina Maternità e V Immacolata Concezione.
    Santo Vescovo, si rallegrino i cieli ed esulti la terra (Sal 95,11) al ricordo del combattimento in cui la Regina della terra e del cielo volle trionfare per tuo mezzo dell'antico serpente. L'Oriente sempre ti onorò quale suo luminare; l'Occidente saluta in te sin dagli antichi tempi il difensore della Madre di Dio; ed ecco che oggi la solenne commemorazione ch'essa consacra alla tua memoria, nei fasti dei Santi, non basta più alla sua riconoscenza. Infatti, un nuovo fiore è sbocciato sulla corona di Maria nostra Regina; e questo fiore splendente è germogliato dal medesimo suolo che irrorasti coi tuoi sudori. Tu, proclamando nel nome di Pietro e di Celestino Papa la divina Maternità, preparavi alla Madonna un altro trionfo, conseguenza del primo: la Madre d'un Dio non poteva che essere immacolata. Pio IX, definendo tale dogma, non faceva che completare l'opera di Celestino e la tua, perciò le date del 22 giugno del 431 e dell'8 dicembre del 1854 risplendono in cielo con un medesimo fulgore, alla stessa maniera che produssero sulla terra le medesime manifestazioni di giubilo e di amore.
    Dottore della Chiesa.
    L'Immacolata imbalsama il mondo dei suoi profumi, ed è per questo, o Cirillo, che tutta quanta la Chiesa, a quattordici secoli di distanza, si rivolge a te, e giudicando compiuta l'opera tua, ti proclama Dottore, affinché d'ora in poi nulla manchi agli omaggi che ti deve la terra. Così, o Pontefice prediletto del cielo, il culto che ti è attribuito si completa con quello della Madre di Dio; la stessa tua glorificazione è una nuova estensione della gloria di Maria. Te fortunato, o suo paladino, che nessun altro onore potrebbe mai procurarti un tale avvicinamento alla Sovrana del mondo e del suo cavaliere.
    Preghiera alla Madre di Dio.
    Pertanto, comprendendo che il miglior modo di onorarti, è l'esaltare Colei la cui gloria divenne la tua, noi vogliamo ripetere gli accenti infiammati che lo Spirito Santo ti suggerì per cantare le sue grandezze all'avvenuto trionfo di Efeso: "Noi ti salutiamo, o Maria Madre di Dio, gioia fulgente dell'universo, lampada inestinguibile, corona di verginità, scettro dell'ortodossia, tempio indistruttibile e che racchiude l'immenso, o Vergine e Madre, per la quale ci fu dato il benedetto dei santi Evangeli, colui che viene nel nome del Signore. Salve a te, il cui seno verginale e sempre puro portò l'Infinito, per la quale è glorificata la Trinità, e la preziosissima Croce è onorata e adorata in tutta la terra; letizia del ciclo, serenità degli Arcangeli e degli Angeli, che mette in fuga i demoni; per merito tuo il tentatore è caduto dal cielo, così come per merito tuo la creatura decaduta si rialza e risale al cielo. L'insania degl'idoli chiudeva come in una morsa il mondo, e tu apristi i suoi occhi alla verità; a te i credenti devono il santo battesimo, a te l'olio dell'allegrezza; in ogni angolo della terra tu fondasti le Chiese e riconducesti le nazioni alla penitenza. Che dire di più. Per te il Figlio unico di Dio brillò come la luce di coloro che giacevano nelle tenebre e nell'ombra della morte; per te i Profeti predissero l'avvenire, gli Apostoli predicarono la salvezza alle nazioni, i morti risuscitano e regnano i re per la Ss. Trinità. Chi mai potrà celebrare Maria, la creatura degna d'ogni lode, in maniera adeguata alla sua dignità?" (4.a Omelia).
    Preghiera a san Cirillo.
    Se la dignità della Madre di Dio realmente supera ogni lode, o Cirillo, fa' almeno ch'ella susciti in mezzo a noi uomini capaci di celebrare come te le sue grandezze. Che la potenza di cui ella si degnò arricchirti contro i suoi nemici mai venga meno a coloro che devono sostenere ai nostri giorni la lotta incominciata dall'origine del mondo fra la Donna e il Serpente. L'avversario è cresciuto in audacia; il nostro secolo è andato più lontano, nel negare Cristo, che Nestorio, che lo stesso Giuliano, questo principe apostata, contro il quale pure difendesti la divinità del Figlio della Vergine Madre. O te, che hai colpito l'errore così fortemente, mostra ai sapienti dei nostri tempi come si vince: ch'essi sappiano appoggiarsi come te su Pietro, e non restino indifferenti per tutto ciò che viene a toccare la Chiesa, e considerino sempre propri nemici, e loro soli nemici, i nemici del regno di Dio. Nei tuoi scritti sublimi i pastori apprenderanno la vera scienza, quella dei Libri Sacri, senza la quale il loro zelo sarà inefficace. I cristiani impareranno alla tua scuola che non potranno mai crescere nella virtù, senza progredire sopra tutto nella fede e senza approfondire in essi la conoscenza del mistero dell'Uomo-Dio. In un tempo in cui la superficialità delle nazioni basta a tante anime, a tutti ripetete che "solo l'amore del vero porta alla vita" (1.a Omelia).
    All'avvicinarsi della santa Quarantena, noi ci ricordiamo ogni anno, in questi stessi giorni, di queste Lettere pasquali, che, con l'annuncio della Solennità delle solennità, esortavano alla penitenza; penetra i nostri cuori dell'importanza della vita cristiana, eccitali ad entrare coraggiosamente nel sacro tempo in cui essi dovranno ritrovare la pace con Dio mediante il trionfo sulla carne e sui sensi.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 793-802."



    Guéranger, L'anno liturgico - Lo stesso giorno (9 febbraio) Santa Apollonia, Vergine e Martire
    http://www.unavoce-ve.it/pg-9feb-2.htm
    "LO STESSO GIORNO9 FEBBRAIO
    SANTA APOLLONIA, VERGINE E MARTIRE
    Dio padrone della vita.
    La Chiesa d'Alessandria c'invita oggi a venerare la vergine santa Apollonia, che insieme alle sorelle Agata e Dorotea viene a rianimare i nostri cuori. La presente vita non fu niente ai suoi occhi. Guidata dallo Spirito Santo, la vediamo salire sul rogo senza aspettare d'esservi gettata dalla mano dei carnefici. Non è raro ai nostri giorni, che uomini stanchi della vita o compromessi dalla loro superbia si diano in pasto alla morte per sottrarsi ai doveri. Apollonia corre, sì, a gettarsi nel bracere, ma per dimostrare in questa maniera l'odio per il più grande dei delitti. Più d'una volta, ai tempi delle persecuzioni, lo Spirito divino suggerì il medesimo comportamento ad altre vergini che temevano per la loro fede o per il loro onore. Tali esempi, tuttavia, sono rari; ma comprovano che padrone della nostra vita è Dio, e che noi dobbiamo essere disposti a restituirgliela quando a lui piaccia.
    Santa protettrice.
    Una circostanza del martirio di sant'Apollonia attira l'attenzione dei fedeli. Per punire la libertà con la quale la santa predicava Gesù Cristo, i carnefici giunsero al punto di spezzare furiosamente i denti nella sua bocca ispirata. Una pia fiducia, spesso ricompensata, portò i cristiani ad implorare da sant'Apollonia il sollievo nel mal di denti. È infatti volontà del Signore che possiamo contare sulla protezione dei suoi santi, non solo nei bisogni spirituali, ma anche nelle necessità corporali.
    VITA. - Ecco l'elogio che la Chiesa, nella liturgia, consacra alla memoria di sant'Apollonia.Apollonia, vergine d'Alessandria, era già molto avanzata in età, quando sotto l'impero di Decio, fu trascinata davanti agli idoli e costretta ad adorarli. Ella diede loro soltanto segni di disprezzo, dichiarando altamente che si doveva adorare Gesù Cristo, vero Dio. Allora le ruppero e le strapparono tutti i denti; e gli empi carnefici, acceso un rogo, la minacciarono di bruciarla viva, se non avesse detestato il Cristo e adorato gli dei. Apollonia rispose ch'era pronta a sostenere la morte per la fede di Gesù Cristo. Allora s'impossessarono di lei per bruciarla; ma, fermandosi un istante, come per deliberare su ciò che dovesse fare, ella si liberò dalle mani che la tendevano e, divorata nell'intimo dell'anima dall'ardore dello Spirito Santo, si precipitò nel braciere ardente che stava preparato per lei. In poco tempo il suo corpo fu consumato, e l'anima purissima volò al cielo a ricevere l'eterna corona del martirio (349).(Racconto autentico desunto da una lettera di Dionigi Alessandrino a Fabiano d'Antiochia e riportato da Eusebio).
    Timore dell'inferno.
    Quale ardore avesti, o Apollonia! La fiamma del rogo, lungi dallo spaventarti, ti attira e corri là come a un luogo di delizie. Di fronte al peccato la morte ti è dolce, e non aspetti che la barbara mano degli uomini ti getti in pasto ad essa. Un tal coraggio confonde la nostra debolezza; quantunque il braciere che preferisti all'apostasia, e che in pochi istanti doveva farti nascere alla felicità senza fine, non sia nulla in confronto del fuoco eterno che il peccatore affronta a ogni momento, perché non ne è ancora scottato. Egli osa sfidare queste fiamme vendicatrici ed esporvisi per una soddisfazione effimera. Per questo i mondani si scandalizzano dei santi, trovandoli esagerati, impulsivi, fanatici, perché i santi vedono più lontano di loro. Risveglia in noi il timore del peccato, che può divorare eternamente coloro che muoiono in stato di peccato. Se il fuoco ci pare spaventoso l'orrore della sua sofferenza e distruzione serva almeno a tenerci lontani dal male che trascina gli uomini in quell'abisso, in fondo al quale, come dice san Giovanni (Ap 14,11), il fumo dei loro tormenti si alzerà nei secoli dei secoli. Moviti a compassione di noi, o Vergine, e prega per i peccatori, apri loro gli occhi sui pericoli che li minaccia; fa' che temiamo Dio, affinché possiamo evitare la sua giustizia e cominciamo anzi ad amarlo.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 802-804."












    https://forum.termometropolitico.it/...la-chiesa.html
    E' stato detto tutto sull'assassinio della filosofa Ipazia?
    https://forum.termometropolitico.it/...fa-ipazia.html
    “Ipazia, da coloro che non conoscono bene i fatti, ne è fatta una sorta di "martire", accusando addirittura un santo della Chiesa della sua uccisione.
    In verità, con ogni verosimiglianza, per non dire certezza storica, ella fu l'ispiratrice di terribili crudeltà contro i cristiani. La sua uccisione fu un linciaggio popolare - cui comunque era estraneo S. Cirillo - contro questo personaggio infido e crudele, autore morale di delitti e violenze a danno della popolazione cristiana di Alessandria. Non fu uccisa, dunque, in quanto filosofa o matematica o astronoma (come vorrebbero far credere i laicisti e gli atei), ma in quanto manipolatrice politica del governatore della città egiziana (grazie ai favori, non esclusi quelli sessuali, che accordava a quest'ultimo). Era una sorta di Messalina o Poppea, insomma, anticristiana: si avvaleva della sua influenza per legittimare o per ispirare le violenze pagane contro i cristiani.”
    “Hipatia, figlia di Theone e amante dell'ebreo Orestes, persecutore e assassino dei cristiani di Alessandria!
    Questo è l'epitaffio che andrebbe affisso ad eterna memoria sul fetido loculo funebre di costei...”
    “Nerone anticristiano? Fu colpa degli ebrei. Lo avrebbe istigato una Poppea «giudeizzante»
    Le persecuzioni dei cristiani iniziarono con Nerone, ma non fu del tutto colpa sua. La tesi è sostenuta da Marta Sordi, professoressa emerita di Storia greca e romana alla Cattolica di Milano, che nel volume «Impero Romano e Cristianesimo. Scritti scelti» (Institutum Patristicum Augustinianum, pp.552) ha raccolto alcuni articoli dedicati ai rapporti fra Roma e Cristianesimo. Fra le tesi esposte, che sono molte, anche quella di una Poppea «giudeizzante», che appena sposato il crudele imperatore dopo il ripudio di Ottavia, secondo Tacito molto si adoperò per scatenare la caccia ai seguaci della nuova fede cristiana.”
    “Chi ha spinto Nerone a perseguitare i cristiani? Mons. Umberto Benigni
    Tratto da: MONS. UMBERTO BENIGNI, Storia sociale della Chiesa, vol. I, Ed. Dott. Francesco Vallardi, Milano, 1906, pagg. 80-87.
    Fonte: Sodalitium, 1996, fasc. n. 43, pp. 29 ss.”



    Miti laicisti: Ipazia « www.agerecontra.it
    http://www.agerecontra.it/public/press40/?p=16305
    Miti laicisti: Ipazia - Centro Studi Giuseppe Federici
    http://www.centrostudifederici.org/m...icisti-ipazia/“Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
    Comunicato n. 47/15 del 20 maggio 2015, San Bernardino

    Riproponiamo un nostro comunicato del 2010 su Ipazia, in quanto periodicamente la cultura ufficiale promuove la “canonizzazione laica” del personaggio. Uno degli ultimi esempi è un articolo della Stampa del 1/5/2015: “Ipazia, la filosofa pagana uccisa dai talebani cristiani”.
    Il mito di Ipazia, di don Francesco Ricossa (n. 64 della rivista Sodalitium)
    (...) In realtà quello di Ipazia è fatto oscuro e marginale della storia (della filosofessa non ci è giunta una riga filosofica né conosciamo il pensiero, se non che era neo-platonica; e la sua straordinaria bellezza che la rende figura romantica – scrive ancora Colla -, è tutta da dimostrare, ecc.). Il fatto è che, di tanto in tanto, la povera Ipazia viene riesumata per servire ad interessi che neppure si nascondono. Così, quando nel 1914 il teosofo Augusto Agabiti scrisse Ipazia: la prima martire della libertà di pensiero, tutti sapevano da quali Logge usciva lo scritto. Ma pochi conoscono chi fu, prima ancora di Diderot e Voltaire, a fare di Ipazia un simbolo della lotta massonica al Cristianesimo. Pochi… ma non nessuno, grazie anche alle edizioni Clinamen che, a cura di Federica Turriziani Colonna hanno tradotto per la prima volta in Italiano il libro di John Toland, Ipazia. Donna colta e bellissima fatta a pezzi dal clero (titolo originale: Hypatia or the History of a most beautiful, most virtuous, most learned and in every way accomplished lady, who was torn to pieces by the clergy of Alexandria to gratify the pride, emulation and cruelty of the archbisoph commonly but undeservedly titled St Cyril), pubblicazione che fa le delizie di Piergiorgio Odifreddi, Margherita Hack (figlia – pochi lo sanno – di un teosofo), del Grand’Oriente d’Italia e di tutta la UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti) che ne promuove la diffusione.
    John Toland (1670-1722) pubblicò il suo libello su Ipazia nel 1720. Tre anni prima, nel 1717, venivano fondate (o rifondate, per quel che riguarda la Massoneria) in Inghilterra due società esoteriche: la Massoneria e, col massone Stukeley, l’Ordine Druidico, dedito al risorgere dei miti pagani celtici e nordici (non mancano eredi contemporanei di tale mitologia massonica!). Toland, di volta in volta definito repubblicano, deista, sociniano, panteista, libero pensatore, illuminista radicale, anticipatore del materialismo ateista del XVIII sec. ecc. fu quasi certamente implicato nell’una e nell’altra fondazione (su Toland e Massoneria, cf ad esempio Margaret Jacob, L’Illuminismo radicale, 1981). Ecco le fonti del “mito di Ipazia”, dalla Loggia alle sale cinematografiche.
    Detto del mito (Ipazia come macchina da guerra dei liberi pensatori e massoni contro il Cristianesimo) che dire della storia? Gli autori classici che raccontano l’episodio, colorando di tinte fosche la figura di san Cirillo, non sono imparziali… Pesano sugli uni l’avversione religiosa (sono ariani, o nestoriani, a denigrare Cirillo) o su gli altri, quella etnico-politica dei Bizantini contro i Copti. E poi spuntano i Giudei. I Giudei? Cosa c’entrano? Ce lo racconta – col suo solito stile graffiante che non guarda in faccia a nessuno – un autentico storico e un autentico cattolico, Mons. Umberto Benigni, in queste poche pagine tratte dalla sua Storia Sociale della Chiesa (Vallardi editore, Milano, 1912,vol. II, tomo I, pp. 406-408).

    San Cirillo, Ipazia, i Pagani e i Giudei, di Mons. Umberto Benigni
    «…In Alessandria stessa Bisanzio era degnamente rappresentata dal prefetto Oreste, colui che abbiamo visto geloso dei vescovi. Le angherie, le provocazioni, le parzialità prefettizie avevano profondamente irritato il popolo alessandrino, cotanto irrequieto di per sé stesso. Eccessi non potevano mancare da una parte e dall’altra in un tale ambiente.
    In Alessandria gli ebrei erano numerosissimi e, inutile dirlo, influentissimi sul prefetto imperiale. Per loro istigazione Oreste fece torturare un certo Jerace maestro elementare, accusato dagli ebrei di essere un emissario di Cirillo per far nascere tumulti. Saputo ciò, Cirillo chiamò i capi degli ebrei, e li avvertì che se non cessavano di tumultuare contro i cristiani, ne avrebbero pagato la pena.
    Da ciò maggiormente irritati e sempre più imbaldanziti dalla connivenza prefettizia, gli ebrei stabilirono di assalire di notte i cristiani e di bruciare la chiesa detta d’Alessandro. I cristiani avvertiti in tempo accorsero per opporsi all’incendio, e ne successe una colluttazione sanguinosa.
    Al dire di Socrate, che va preso col beneficio dell’inventario, Cirillo (evidentemente persuaso dell’inutilità anzi del pericolo di ricorrere ad Oreste), messosi a capo della cittadinanza cristiana tolse le sinagoghe agli ebrei, li espulse dalla città e lasciò che la plebe ne saccheggiasse i beni. È facile rimettere a posto queste notizie tendenziose dello storico bizantino. Se gli ebrei si preparavano a coronare coll’incendio di una chiesa la serie dei loro misfatti anticristiani; se la cittadinanza accorsa a salvare la chiesa aveva avuto una terribile collisione con i briganti del ghetto, – non c’era davvero bisogno che intervenisse Cirillo per cacciare i giudei dalle sinagoghe e da Alessandria, e “permettere” (sic) che la plebaglia ne saccheggiasse le case. Se in tutto ciò intervenne Cirillo, fu, senza dubbio, opportuno nell’interesse stesso degli ebrei, giacché senza l’intervento del veneratissimo patriarca è ovvio supporre quanto più gravi sarebbero stati gli effetti della reazione antisemita.
    Il complice Oreste, infuriato dal vedere la piega che prendevano le cose, scrisse a modo suo all’imperatore. Ma Cirillo non perse tempo; anche egli scrisse al Cesare mandandogli un rapporto sulle scelleratezze ebraiche commesse in Alessandria. Intanto per calmare gli animi, e nell’interesse comune, Cirillo aveva mandato degli intermediari ad Oreste per calmarlo e riprendere le relazioni. Il buon Socrate che vuol sempre attribuire il male a Cirillo ed il bene agli altri, insinua che a queste pratiche di pace Cirillo era stato costretto dal popolo alessandrino: lo creda chi lo può, cioè chi non conosce la storia di quel popolo.
    Quello che è certo si è che Oreste non volle sapere di pace; onde la situazione divenne sempre più tesa, e gli animi sempre più s’irritarono. I monaci, numerosissimi e ardentissimi, facili agli eccessi come quel popolo da cui direttamente venivano (il monacato egizio era quasi tutto copto, e, del resto, era laico) parteggiavano vivamente per il loro patriarca e detestavano il prefetto corrotto e corruttore.
    Socrate racconta (e il beneficio dell’inventario sarebbe più che mai opportuno, ma pur troppo è impossibile) che circa cinquecento monaci della Nitria si recarono in Alessandria; e, incontrato Oreste, lo insultarono chiamandolo pagano e sacrificatore. Vistosi a mal partito, Oreste protesta di essere cristiano; ma un certo monaco Ammonio lancia un sasso che colpisce Oreste al capo; allora i littori impauriti (sic) si disperdono fra il popolo, ma questo caccia via i monaci. Ammonio è arrestato e finisce la vita tra le torture; Cirillo voleva farlo venerare come martire (Socrate, H.E., XIV).
    Ugualmente sono oscuri i dati esatti della morte della filosofessa Ipazia (Socrate, XV) uccisa nei tumulti antisemiti. È certo che la sua casa era il centro non solo e non tanto di un’accademia neo-platonica, quanto di un vero partito di ellenismo politico-sociale attivamente anticristiano.
    Il popolo cristiano di Alessandria non si ingannò quando nella sinagoga e nella casa d’Ipazia sentì due centri di lotta anticristiana, probabilmente alleati nella pratica dell’odio comune. Se è dunque a deplorarsi ogni eccesso in genere e la tragica fine d’Ipazia in ispecie, lo storico non può non constatare che simili eccessi furono la crisi naturale di uno stato intollerabile di cose. La sinagoga, l’ellenismo pagano, la prefettura venale e partigiana, erano tre piaghe di cui Alessandria soffriva sempre più senza vedere il come liberarsene pacificamente e legalmente. In uguali circostanze ogni tempo ed ogni luogo ha visto uno scoppio di furore del popolo che tenta curarsi da sé col ferro e col fuoco.
    È facile per uno scrittore partigiano, antico o moderno, renderne responsabile Cirillo; ma non è difficile allo storico sereno ed oggettivo di mostrare la tendenziosità di certi racconti e la mancanza di prove per certe accuse.
    Per la storia serena ed oggettiva Cirillo d’Alessandria è una grande figura religiosa e civile. Uomo retto, quanto risoluto e fattivo, egli vede l’errore dommatico di Nestorio come il malgoverno di Oreste; li combatte risolutamente, duramente, come i tempi e le persone lo imponevano. Se egli ebbe i difetti delle sue qualità, possiamo bene esaltarlo al disopra di tanti suoi contemporanei ed anche di tanti suoi colleghi che ebbero o difetti suoi o i difetti opposti senza avere le qualità sue o equivalenti». (...)







    Luca, Sursum Corda!
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

 

 
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